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Autore: formerly_known_as_A    02/05/2012    2 recensioni
Qualcosa di perfetto può essere a portata di mano. A volte basta semplicemente allungarsi verso di esso, nel momento più propizio, per ottenerlo.
Vorrebbe capire cosa gli manca, solo che a pensarci troppo non pensa di risolvere qualcosa, perciò ignora la sensazione -già da tempo- e tira avanti.
{Scritta a quattro mani da ViolaNera e la sottoscritta.}
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Norvegia, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sente un rumore, poi la porta si apre ed il respiro -lo stava veramente trattenendo?- riparte vedendo qualcuno di familiare. Qualcuno della famiglia, anzi.
Svezia. Che gli fa un piccolo sorriso, scuotendo la testa e prendendolo per il pigiama per farlo rimettere a letto, sotto le coperte.

Cos'è quel sorriso? Perché ha l'impressione che l'ultima volta in cui ha avuto l'occasione di vederlo in quel modo sia stata un centinaio di vite fa?

Ti sei fatto male alla testa, non è salutare muoversi subito”, mormora lo svedese lanciando un'occhiata dietro di sé e tendendo una mano verso la porta, aperta solo per uno spiraglio di luce. “Vieni a vedere, pappa non si è fatto nulla!” esclama, dolcemente.

Lo fissa con occhi seri e un po' confusi, chiedendosi di cosa stia parlando. Pappa? Non sarà di nuovo Islanda con quella vecchia storia, vero?

Il sollievo nel vedere Sve dura pochi secondi, perché si accorge immediatamente che c'è qualcosa di diverso nel suo atteggiamento e che, pur sembrando a conoscenza della situazione, non dubiti proprio che per Norvegia sia tutto strano.

Apre e chiude la bocca, indeciso su cosa chiedere per cominciare, poi rimane immobile a guardare una bambina fare capolino dalla porta. Lo osserva con occhi grandi, occhi pieni di curiosità e preoccupazione, occhi che gli ricordano qualcuno.

Sve...”, comincia, cercando di non badarle troppo per poter chiedere spiegazioni all'uomo.

Cosa ci faccio qui. Che posto è. Chi è lei. Ho preso davvero una botta in testa?

Sì, ricorda un negozio e una bambina -non quella che sta pian piano entrando e non gli stacca gli occhi di dosso, mordicchiandosi una ciocca lunghissima di capelli chiari- ed un regalo da comprare.

Ha perso i sensi? E per quanto tempo è rimasto incosciente? La bambina non è quella del negozio. Ne è sicuro?

Torna a guardarla ed in quel preciso momento lei sorride come se non stesse aspettando altro che un segnale, lanciando dietro la spalla la ciocca e salendo sul letto per gattonare fino a lui. Apre le braccina e lo avvolge, premendogli il viso contro il petto e ondeggiando piano.

Pappa!”, piagnucola con la voce ovattata. “Ho avuto tanta paura! Stai bene adesso, pappa?”

Pa... pap... EH?! A-anche Svezia prima lo ha chiamato...

Allontana le braccia, tenendole alzate ai lati del corpo e la fissa senza parole per qualche lungo momento di silenzio, mentre lei si agita e si struscia come un cucciolo in cerca d'affetto.

Guarda Sve, interrogativo, sbattendo le palpebre un paio di volte, senza sfiorarla.

Chi... chi è questa bambina”, sussurra, nel suo particolare tono di domanda senza vera intonazione interrogativa, sperando che possa aiutarlo a capire meglio.

La bambina spalanca gli occhi e Svezia si affretta ad accoglierla tra le braccia, perché sembra sconvolta, singhiozzante nel suo petto.

Mi dispiace, pappa! Mi dispiace, non dovevo dirgli di prendere la mia palla, potevo anche stare senza!” esclama rapidamente, con le lacrime agli occhi.

L'uomo le accarezza la testa, cullandola, rivolgendole parole dolci e rassicuranti, per poi guardare, preoccupato, l'uomo sul letto.

Sei caduto da un albero e credo che tu abbia battuto la testa. Hai perso i sensi e ti ho riportato qui... Ma...” spiega, allungando un braccio e sfiorando la sua fronte fredda. “Non ti ricordi di lei?” chiede, assumendo un'espressione strana, che stona con il suo solito modo di essere.

Sembra triste e ferito, quello Svezia.

Tiene ancora la bambina tra le braccia -sarebbe impossibile staccarla- e recupera un tomo dalla libreria, porgendoglielo con sguardo preoccupato. Ricorda di averlo visto ben poco con quell'espressione, riservata ai momenti veramente seri.

Non sono caduto da un albero”, obietta, debolmente, prendendo il libro che gli sta porgendo, salvo poi accorgersi che non è altro che un album di foto.

Non è caduto da un albero e non ha idea di cosa stia succedendo né per quale motivo quella bambina li chiami entrambi pappa. Che diavolo...

Sospira interiormente, comandandosi di stare calmo e rilassato, isolandosi dal pianto furioso della piccola ed aprendo il tomo.

Fotografie, come aveva intuito. Fotografie mai viste prima e che non dovrebbero nemmeno esistere.

Lui e Sve, seduti accanto su una panchina. Niente di strano. A parte il braccio dello svedese che gli circonda le spalle e la propria testa posata, quasi casualmente, contro di lui.

Avvicina l'album, guardando la propria espressione completamente diversa dal normale. È imbarazzato? Sta sorridendo sotto i baffi? Cosa significa?

Va avanti a sfogliare e deve trattenersi per non lanciare l'album.

Matrimonio.

Si sono sposati? C-c-c...

Cosa...”, sbuffa, senza fiato, mettendosi l'album sotto il naso, inclinato verso la luce.

Svezia e lui vestiti di bianco, le mani destre intrecciate e quegli anelli che non possono non notarsi.

Si guarda immediatamente l'anulare e vede che la indossa, quella fede nuziale, proprio come nella foto. Lo stupore è talmente tanto che non ha nemmeno la forza di sfilarsela, chiedendo spiegazioni.

Un matrimonio tra loro completamente differente dal primo. È per amore, a giudicare dalle espressioni: sottili particolari, non evidenti ad un occhio esterno, forse, ma palesi ai propri.

Non posso crederci”, commenta, quasi tra sé, accorgendosi vagamente della mano della bambina che gli sta sfiorando la testa, passandogli le minuscole dita tra i capelli.

Sfoglia, sfoglia, sfoglia, solo per vedere estratti di una vita che non conosce, ma sembra la sua vita, sembrano eventi che dovrebbe ricordare e, diavolo, sono decisamente importanti.

È tua figlia”, sussurra, indicando il pancione di Svezia in una delle foto successive.

Si volta a guardarla, incrociando quegli occhi immensi, pieni di lacrime, accorgendosi della forma e del colore. Viola, con un tocco di blu. Vede se stesso e vede Svezia, in lei.

Pappa. Matrimonio. Pappa.

... È nostra figlia?”

Per poco non soffoca. La voce si spegne sulla fine e deve distogliere gli occhi da lei, che nel frattempo ha ritirato la manina esitante e si è accoccolata nuovamente tra le braccia di Svezia.

Foto al mare. Foto a Natale, scartando dei regali. Foto al parco. La bambina in quasi ognuna di esse, prima minuscola, una cosina infagottata in abiti microscopici e poi sempre più simile ad ora.

Si ferma su una foto in particolare, decidendo che ha esaurito il coraggio di andare oltre.

C'è lui stesso sul divano con un libro aperto abbandonato contro la spalla. La mano col quale lo reggeva ha allentato la presa sulla copertina con l'avanzare del sonno profondo.

C'è la bambina, che dorme allo stesso modo, stesa accanto a lui, protetta da un eventuale volo giù dal bordo del divano grazie al suo braccio destro che l'avvolge dietro le spalle.

Lei non si vede in viso, è sepolta nella sua maglia e ha solo una manina, evidente, che si tiene all'altra sua manica. Il volto di Norvegia, però, è sereno, le labbra dischiuse, completamente in pace.

È una foto semplice e bellissima, che esprime tanto di quel benessere e di quell'amore che rimane stordito a fissarla per moltissimi minuti.

Sembra lui, ma non è lui. Non è... lui. Non è la sua vita.

Non la sua normale, monotona, perfetta, impegnata, incompleta esistenza.

Chiude l'album e lo tiene sulle gambe, rivolgendo a Svezia uno sguardo serio, il più controllato possibile.

Voglio tornare a casa mia. Questo scherzo non è divertente.”

Lo sguardo dello svedese, però, è dannatamente serio.

   
 
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