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Autore: giulina    02/05/2012    3 recensioni
Lei, capelli rossi tinti e occhi azzurri, si chiamava Polly.
Come il pappagallo di Kurt Cobain e il primo bonsai di sua madre.
Lei si chiamava Polly e tutti la amavano e la odiavano allo stesso tempo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a tutti per aver letto il primo capitolo di questa che potrei definire una specie di raccolta, se possiamo chiamarla così. Il prossimo sarà l'ultimo ...penso, a meno che la mia ispirazione prenda il comando sulle mie azioni!

Grazie a tutti in anticipo. Grazie davvero.

Giulia!

 

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Capitolo dedicato a Rob-torta-meringata.

Con affetto (lo vorresti!),

tua albicocca al miele.

 

 

                                                                                          Polly wants a cracker.

 

 

 

 

 

                                                       

 

 

 

 

 

 

Lei, la pelle colorata dall'inchiostro, gli occhi azzurri come il cielo sopra Dublino e i capelli biondi cenere annodati in lunghi rasta, si chiamava Robin.
Nome probabilmente scelto da suo padre, quel lontano 12 giugno 1980, che l’aveva pronunciato con voce strascicata all'indirizzo dell'infermiera che teneva in braccio sua figlia, mentre si rollava l'ennesima canna stravaccato sulle sedie pieghevoli del lungo corridoio dell'ospedale, dalle pareti dipinte di rosso. Sembra impossibile, ma Robin è sicura che le pareti di quel corridoio fossero proprio di un rosso sbiadito e quasi acquoso.

Come il colore degli occhi quando suo padre si faceva le canne, d'altronde.
Se ci pensava bene, erano parecchi anni che non vedeva quegli occhi acquosi e socchiusi e il suo sorriso sbilenco che le piaceva tanto quando era bambina e lo faceva assomigliare ad un quadro di Picasso.

Un quadro un po’ inquietante, se doveva essere sincera.
Robin amava suo padre -che non sapeva se fosse ancora vivo- come amava l'estate, i pantacollant leopardati, le borchie e i ciclamini. Oh, il profumo dei ciclamini la mandava fuori di testa!
Adorava fotografare. Senza, sarebbe stato un po’ come morire giorno per giorno. Lei osservava la vita attraverso un obiettivo di una macchina anni '70 o di una polaroid. I momenti più belli della sua vita erano conservati su dei pezzi di cellulosa attaccati in giro per il suo appartamento quattro metri per quattro.

Le pareti erano diventate degli album giganti che raccoglievano la sua vita che si poteva conoscere con delle sfuggevoli occhiate.
In pochi si erano fermati ad osservarle veramente, quei pezzi di lei attaccati con del nastro adesivo. Quasi nessuno. Forse perché quelle foto non erano perfette, erano sfuocate, ritraevano personaggi strani e paesaggi mai visti. Una Dublino poco conosciuta e i sentimenti di persone con cui non si sarebbe mai voluto avere a che fare.
C'era un intero mondo, su quelle pareti di cartongesso per cui pagava settecento euro al mese.

 

 

Robin aveva parecchi difetti... diciamo pure che ne aveva milioni.
Era una ragazza arrogante e spesso maleducata; scontrosa verso tutti e tutto, tanto che una volta era finita addirittura al commissariato per aver quasi picchiato un'impiegata all'interno di un negozio di abbigliamento perché aveva affermato che 'gli anfibi sono così poco chic!'
Lei ne aveva dodici tipi diversi di anfibi, nascosti in cantina.
Un'altra volta aveva passato una notte in prigione perché era entrata dentro ad un giardino privato, sotto la pioggia scrosciante di ottobre, e si era messa a ballare nuda sull'erba.
Quella sera se ne era fatte di canne!
Qualche anno prima se l'era vista davvero brutta. Era metà novembre quando il suo cane dell'epoca, il mitico Oscar, -come Lady Oscar, cartone animato per cui Robin nutriva un'insana ossessione- preso da un improvviso attacco di passione, si era attaccato alla gamba di una ragazzina di appena quindici anni, che quel giorno aveva deciso di uscire di casa con una misera gonna e un paio di calze.
Mentre Oscar -che tanto Lady quel giorno non era- tentava di accoppiarsi con la gamba rinsecchita della ragazza -che naturalmente stava urlando come quando sua zia Ines aveva trovato il marito a letto (sulla lavatrice) con il suo istruttore di tennis-, il fidanzato, che faceva un baffo ad Arnold Schwarzenegger, aveva preso il cane per il collare e lo stava scuotendo violentemente.
Robin gli aveva spaccato due denti, fatto un occhio nero e reso bianca la sua voce con una potente ginocchiata.
Ancora si domandava perché non l'avessero mandata in prigione.



Fu proprio qualche giorno dopo quell'incidente, che incontrò colei di cui non si sarebbe più liberata per anni: Polly.
E dire che quell'incontro avvenne grazie ad un paio di scaldamuscoli rosa chicco e una violente pulsione sessuale di Oscar nei confronti della ragazza.
Forse avrebbe dovuto castrarla, quella bestia.



 

 

 

 

-'Due gemelle in gara...'-
-Quali caramelle?-
-Quelle con cui spero un giorno ti affogherai. 'Lo è il botulino...'-
-C'è il budino?!- La signora Eeda si alzò a fatica sui gomiti gracili, allargando gli occhi fino a farli quasi uscire dall'orbita per potersi osservare intorno, notando che non ci fosse alcuna infermiera con il carrello della cena nella stanza. Ma soprattutto, non c'era alcun budino.
-Il budino dov'è?- Robin posò il cruciverba sulle sue gambe fasciate da un paio di calze rosse ai cui piedi campeggiavano i fedeli anfibi neri, guardando la vecchietta con frustrazione e impotenza.
-Eeda, non mi far essere volgare. Ti prego-
-Rosalie, tu parli troppo piano!-
-Robin, Eeda, mi chiamo Robin-
-Voi giovani, con quelle vocette da usignoli torturati. Dove sono i soprani di una volta?!-
-Pavarotti è morto da tempo, passerotto-
-Quale passerotto?-
L'infermiera Janis Tyler -assunta qualche giorno prima dal direttore dell'ospedale che era rimasto colpito, più che dal suo curriculum impeccabile, dal suo petto prorompente e l'accento latino- entrò nella stanza d'ospedale numero 002, dalle tristi pareti color verde acqua, nel momento esatto in cui Robin aveva preso tra le braccia un cuscino morbido dal letto di un'altra paziente, con tutta l'intenzione di schiaffarlo sulla faccia dell'anziana signora Eeda.
La donna guardava la ragazza con un sorriso tranquillo sulle labbra raggrinzite, ignara dei suoi pensieri.
-Dios mio! El Diablo!-
-Diablo un corno, questa non la uccidi con l'acqua santa-
La ragazza uscì di corsa dalla stanza urlando in spagnolo mentre Robin si risiedeva annoiata sulla sedia di plastica su cui era stata seduta per qualche ora, prendendo tra le braccia il cuscino e il cruciverba che le era caduto sul pavimento di linoleum.
-Rosy, me la canti una canzoncina?-
Perché continuava ad andare a trovare quella vecchietta?

 

 

 

 

 

Uscita dall'ospedale in cui la signora Eeda era ospite da ormai parecchi mesi, Robin montò in sella alla sua bicicletta blu dalle ruote mezze forate, attraversando le vie più sconosciute di Dublino.
Arrivò dopo una mezz'oretta davanti ad un edificio altissimo e dalle pareti colorate con dei murales dalla tinta ancora fresca. Fuori dal portone di legno consumato, campeggiava un aspirapolvere rotto e due palloni da calcio forati.
Lasciò la sua bicicletta legata ad un palo e bestemmiò per qualche minuto quando la sua calza si impigliò in un pedale, smagliandosi.
Entrò dentro al palazzo umido canticchiando sottovoce, salì due rampe di scale ed arrivò in un enorme stanza dalle pareti arancioni. Le decine di lunghi tavolini che occupavano la stanza erano azzurri cielo ed anche le persone che erano sedute sulle panche basse sembravano possedere dei colori dentro di loro.
Robin entrò nella sala salutando le persone presenti, tutte intente a consumare il loro umile pranzo in compagnia di altre persone come loro, oppure da soli. Seduti in angolo con un libro usato tra le mani o delle cuffie nelle orecchie.
-Era l'ora che tu ti facessi vedere!- Disse la donna dai capelli grigi nascosti da una cuffietta bianca che troneggiava aldilà di un bancone in cui venivano serviti i pasti caldi a tutte quelle persone senza un tetto sulla testa.
Robin notò subito le sue labbra rosse ed il tatuaggio sul polso sinistro che rappresentava il viso di George Clooney, suo grande idolo da anni ormai.
-Sono stata dalla signora Eeda-
-È ancora viva?-
-Oggi se l'è vista brutta ma sì, è ancora tra noi. Sorda più che mai-
La donna, Ilda, le sorrise, osservandola tirare fuori la sua Canon rovinata dallo zaino liso.
La teneva tra le mani quasi fosse un figlio.
Scavalcò il bancone con la macchina fotografica legata al collo, legandosi i lunghi rasta biondi con un laccetto trovato sul marciapiede davanti casa sua qualche ora prima.
-Oggi cosa fai?-
-Primi piani-
-A me no, grazie. Ho un brufolo sulla fronte che sembra il terzo occhio-
-L'ho notato ma non volevo essere scortese-
-E da quando in qua tu sei una persona educata?!-
Robin iniziò ad aggirarsi per i tavoli con il suo gioiello tra le mani, fermandosi di tanto in tanto a scambiare due chiacchiere con le persone che conosceva da ormai qualche settimana.
C'era Andrew, un ragazzo di venticinque anni che aveva perso tutti i suoi soldi nel gioco d'azzardo, amava il polpettone ripieno ed era allergico all'ananas.
Lisa era una signora di mezza età, divorziata e con un figlio a carico che studiava in un'università all'estero, forse in Germania.

A lei piacevano i girasoli e indossava ogni giorno un paio di orecchini di bigiotteria diversi. Robin amava fotografare il suo sorriso di denti non bianchi.
Sempre da sola se ne stava Hanna, una ragazza finlandese dalla pelle più bianca che la bionda avesse mai visto. I suoi occhi erano talmente azzurri che Robin non poteva fare a meno di fotografarli. Qualche mese prima si era presa una cotta per quella ragazza sempre in silenzio e per i suoi occhi. E poi aveva un culo da favola.
Quel giorno però, seduto al tavolo dodici vicino alla finestra, c'era un ragazzo sconosciuto.
Aveva un cappello di lana blu calato sulla testa, la barba incolta e due tatuaggi sul braccio destro: una frase in latino e una corona dai contorni poco precisi.
Robin si accucciò sulle gambe e avvicinò l'occhio all'obiettivo della Canon. Inquadrò il viso del ragazzo e la macchina fotografica emise un flebile 'Click'.
Pochi secondi dopo, il ragazzo si alzò dalla panca ed uscì dalla grande stanza in cui i suoi passi risuonavano come un’eco all'interno dello stomaco.
Anche lui in quanto a culo non ci scherzava.

Affatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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