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Autore: Drums182    02/05/2012    0 recensioni
Storia vera, tristemente vera. La vita non sempre corre liscia e senza intoppi, ma ci sono quei periodi, a volte lunghi anni, che lasciano un segno talmente profondo da restare visibile a occhio nudo anche dopo molto tempo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano le 5.32 del 31 Marzo 2010, lo ricordo come fosse ieri, nonostante gli anni che sono trascorsi. Stavo studiando in cucina, mentre mia mamma era nel cortile con i cani, e mio babbo era in giro chissà dove. Strano che stia squillando il telefono.
-Pronto!?
-Oh sono io, sono qua da nonna Pina, c'è mamma?
La prima cosa che pensai quando sentii la voce di mio babbo così allegra, ma con quella nota tirata, fu che fosse morta mia nonna, ma rimasi fredda, impassibile e allegra, come se non mi fossi accorta di nulla.
-Oh, è giù, te la vado a chiamare? 
-No, non fa niente.
-Ok ciao.
-Ciao.
Click, bum. Aveva riagganciato, ed ero sempre più convinta delle mie sensazioni, mi sentivo leggermente svuotata, feci gli scalini a due a due pensando a cosa dire a mia mamma.
-Mamma, ha chiamato Ba, ha detto che è da nonna Pina, e se lo puoi richiamare.
Mi rintanai in cucina, sapevo benissimo che la mia impressione era giusta, e ne ebbi la conferma mentre mia mamma era al telefono.
-Ah, quindi è stata una cosa improvvisa, almeno non se n'è accorta.
Pensavo che mi passassero davanti agli occhi tutti i momenti con mia nonna, in realtà quando muore una persona malata di Alzehimer che non ti ha mai riconosciuto, non ti passa davanti niente. Non perchè non ci sei attaccato, ma perchè tutti i giorni sei una persona diversa, sono tanti rapporti diversi, e quando sai certe notizie ti rimane solo un gran macigno addosso e un senso di vuoto che ti arriva fino ai piedi. Non ho mai amato dar a vedere le mie emozioni, credo di aver preso da mio babbo, infatti cercai di mostrarmi razionale e preparata alla notizia. Da quando sono nata ci aspettavamo da un momento all'altro che capitasse, ma non ero comunque pronta.
-Arianna, ha chiamato Ba, ha detto che è morta nonna Pina, che adesso sistema tutto e torna.
-Ah, quindi...
Non mi veniva da piangere, ero troppo basita, era da quando avevo 6 anni che non mi moriva qualcuno, non capivo tanto di quello che stava succedendo. Mi alzai e andai in camera mia, non mi ricordo di aver pianto, odio piangere.
-Mamma, nonna Franca lo sa?
La mia nonna Franca, da quando i miei si sono sposati, vive al piano di sotto della mia bi-familiare, non so come farei senza di lei.
-No, adesso vado giù a dirglielo.
-Vengo anche io.
Mi tremavano le gambe, avevo paura di mettermi a piangere come una bambina, non volevo piangere, non dovevo piangere, non potevo piangere.
-Mammaaa! Sono io, vieni di qua un attimo!
La porta si stava aprendo, e la solita immagine di mia nonna mi si presentava davanti agli occhi.
-Oh, ma siete qua, pensavo foste andate via!
-Mamma, è morta Pina.
-Bè, ma cosa dici mai? Ma quando?
-20 minuti fa.
-Eh, con sto vento che tira, entro domani muore anche Silvano.
Mi si gelò il sangue nelle vene. Ma mi si gelò veramente. Il mio zietto, mio zio che mi aveva vista crescere, che mi aveva fatto da zio e da nonno non poteva ancora andarsene. Cacciai giù il magone che mi stava salendo, pensai alla credenza popolare che aveva citato mia nonna e pensai alle condizioni di mio zio, pensai all'anno appena trascorso. Erano 13 mesi che gli avevano scoperto un tumore non operabile, mia zia aveva scelto di non rivelargli il suo destino da condannato a morte, e forse è stata la cosa giusta da fare, o forse no. E' difficile prendere queste decisioni. A 12 anni non puoi prendere bene la notizia che tuo zio con cui hai vissuto spalla a spalla fin dalla culla dovrà morire entro sei mesi tra sofferenze atroci. Dopo l'intervento per cercare di rimuovere la massa passarono tre mesi in cui non lo vidi, non ce la facevo. 
 
Una bella mattina d'estate stava arrivando una macchina, la presi per la macchina di mia zia, infatti si fermò nel solito posto, scese mia zia, la riconobbi bene, poi scese un uomo alto, magro, e cominciai a chiedermi chi fosse quello spilungone che l'accompagnava. Non poteva certo essere mio zio, capelli grigi, baffi ben tenuti e una pancia che faceva arrivare l'ago della bilancia al quintale.
-Ciao Arianna!
Quella voce non l'avrei potuta confondere con nessuna. Mi prese un accidente, non poteva essere che quell'uomo di 60 chili fosse lui. Non poteva essere che non l'avevo riconosciuto a meno di 50 centimetri da me. Dire che mi crollò tutto addosso è dire poco. Non avevo ancora fatto i 13 anni e stavo avendo il mio primo confronto con il cancro. Mi trovavo a dover stare accanto a una persona che non sapeva di dover morire, mi trovavo a dover assistere al calvario di quell'uomo che mi aveva tirata su, e alla distruzione della mia famiglia.
 
A 13 anni di solito pensi a uscire, a divertirti, io pensavo a stare in casa, pregando che venissero gli zii, per sfruttare tutti gli attimi possibili con lui. Poi mi sentivo in colpa, perchè non potevo dirgli la verità, non potevo essere sincera, e finiva che ero fredda e a disagio per paura di rivelargli qualcosa che "non doveva sapere". Dovevo essere calcolatrice proprio quando l'unica cosa da fare sarebbe stata puntare sulle emozioni per sfruttare quel poco tempo che rimaneva. Era talmente magro che avevo paura perfino ad abbracciarlo, infatti non l'ho mai fatto. Quello che mi è mancato di più è stata sicuramente la fisicità, ero abituata a stargli in braccio per ore, a dormire sulla sua pancia, a farmi prendere in braccio e lanciarmi in alto, ed ora non potevo nemmeno appoggiare la testa sulla sua spalla che avevo il terrore che mi si rompesse in mano. Non c'è cosa peggiore, non c'è cosa che ti spacchi di più. Tutte le volte che andava via era un magone, perchè quelle tre parole, "ti voglio bene", non riuscivo a farle uscire, magone perchè stava peggio dei cani e continuavano a pomparlo di chemio per allungargli la vita di qualche mese. Ma a quale prezzo? Col senno del poi, forse avrei preferito averlo con me qualche mese di meno, piuttosto che vederlo in quello stato solo "grazie" alla chemio, che non faceva altro che distruggerlo. Dopo pochi mesi la situazione peggiorò drasticamente, dentro e fuori dall'ospedale, poi fuori dall'ospedale e dentro alla clinica per malati terminali. Quando entri in un posto come quello puoi stare sicuro che non ne esci vivo. E non gliel'avevano detto. Non sono mai andata a trovarlo lì dentro, avevo il blocco; con tutto il bene che gli ho voluto e che gli voglio non ci sono mai riuscita. Quando mia mamma e mia nonna andavano da lui dipingevano una situazione alienante.
-Zia gli ha tolto lo specchio, perchè sta cambiando troppo, l'urlo di Munch, solo un po' più magro.
Non ci si può ridurre così, ci si deve fermare prima, è una delle poche convinzioni che ho. Io e la mia famiglia stavamo passando un dolore straziante, che prima ti prende d'un botto, con la disperazione, poi diventa un dolore sordo, logorante, che cresce sempre di più col passare dei mesi della malattia.
 
Stavo pensando a tutto questo casino quando mio babbo rincasò. Ero troppo intrippata per ricordarmi cosa successe esattamente, credo di esser rimasta rintanata in camera mia ancora per una mezzora, senza uscire e senza dirgli niente. Non credo di avergli detto niente nemmeno a cena, non avrei saputo cosa dire, e non volevo aprire l'argomento; ero terrorizzata.
 
Quando morì mia nonna era mercoledì, e venerdì ci sarebbe dovuto essere il funerale.
Giovedì primo aprile dovevo uscire con una mia amica, ma non me la sentivo, sapendo che mia mamma e mia nonna sarebbero andate in reparto da mio zio. Ho avuto per tutta la notte e per tutta la mattina fino alle 9 la domanda sulla punta della lingua.
-Mamma, posso venire anche io? Per piacere, vengo anche io.
Ma non la dissi mai. Forse per paura, forse per orgoglio, di chè poi, non lo so nemmeno adesso.
Guardavo la macchina andar via con un senso di sprezzo nei miei stessi confronti, anche perchè stavo uscendo, più rimbecillita che mai, ma stavo uscendo.
-Mamma, se succede qualcosa mi mandi un messaggio?
-Sì, non ti preoccupare.
Si fecero le 11 e non mi arrivava nessun messaggio, cominciai a pensare che per stavolta zio l'avesse scampata. Alle 11 e mezza squillò il telefono. "Mamma". Uno squillo solo. Pensando che fosse successo qualcosa di grave la richiamai, col cuore in gola e con la voce fint'allegra che aveva fatto mio babbo appena il giorno prima.
-Mamma... mi avevi chiamato, cos'è successo?
-Niente di nuovo, stiamo tornando a casa.
-Ok! A dopo.
Ero talmente sollevata che sospirai in mezzo a una quarantina di persone al mercato.
Ma arrivata a casa successe il macello.
-Nonna, allora come sta zio?
-Come, come sta zio?! Ma zio è morto alle 10.45...
Mi sentii male, avevo la bocca aperta, gli occhi sbarrati e non parlavo, mi sedetti sul divanetto vicino al telefono, chiedendo di ripetere, non ci credevo.
-Come, scusa? Ma quando mamma mi ha chiamata aveva detto che non c'era niente di nuovo, aveva detto che se succedeva qualcosa mi avrebbe mandato un messaggio!
Mi tremava la voce, avevo il mal di testa dal magone e gli occhi gonfi e lucidi, ma non mi misi a piangere.
 
Mi affacciai alla tromba delle scale e chiamai mia mamma. Già, la tromba delle scale, tutto lì era iniziato, e tutto lì era finito. 13 mesi prima avevo sentito per sbaglio mentre ero per le scale quello che mia mamma diceva a mia nonna, e cioè della malattia di zio. Sì, lo seppi ascoltando una conversazione, bel modo, no?!
-MAAMMAAAAAA!
Il passo di mia mamma era stanco e strascicato.
-Cosa c'è?
-Tu non mi hai detto che era morto zio.
-Come no?! Ti ho mandato un messaggio alle 10.45, appena se n'è andato.
Guardai nel cellulare, casella dei messaggi piena. Ne eliminai un paio e in meno di due secondi eccolo, il famoso sms. "E' tutto finito, adesso torniamo a casa". Mi si ruppe qualcosa dentro.
Quindi quando le avevo parlato al cellulare lei era convinta che io sapessi, e avevo anche riso al telefono, fingendomi sollevata, stavo peggio di prima.
Non capivo più niente, avevo la testa in fiamme, ero annebbiata, mi potevano dire qualsiasi cosa che non avrei detto niente. In meno di un'ora arrivarono mio cugino, mia zia, e un'altra mia zia. Mia zia, appena diventata vedova, era ridotta uno straccio, l'altra mia zia pure, e io rimasi tutto il pomeriggio con mio cugino, che sembrava normale. Non capivo come facesse. Mi chiese addirittura come stavo.
-Ah  guarda, ieri mi è morta mia nonna e oggi è morto zio, esattamente come aveva detto nonna Franca.
-Eh lo so, mi dispiace.
Mi chiusi a riccio piangendo, un singhiozzo solo, però. Anche se hai 13 anni e ti muoiono due parenti, non si deve piangere. Non mi abbracciò neanche, mi sentivo persa.
Credo di aver chiamato una mia amica singhiozzando come un animale, ma non ne sono sicura, forse parlavo solo col cane, ero annebbiatissima.
Il giorno dopo ci fu  il funerale di mia nonna. Ero talmente presa male che non capivo quello che le persone mi dicevano. Non facevo apposta, non capivo veramente. Ero talmente sotto shock che non riconoscevo i posti, non riconoscevo nemmeno i miei parenti, che mi salutavano e io non capivo chi erano. Di quel giorno e dei quattro seguenti ricordo solo alcuni frammenti e secondi.
 
Mia zia (non la vedova) mi aveva detto, portandomi al funerale, che ci saremmo fermate a prendere un caffè. Parcheggiò la macchina, scendemmo e entrammo in una stanza con qualche tavolo e qualche persona che ci salutava.
-Zia, siamo al bar?
-No tesoro, siamo alle onoranze funebri. 
Mi prese uno smalvino, avevo ancora la porta in mano quando l'impiegata la chiuse. Non capivo più niente, ero andata.
-Scusala, è che mercoledì le è morta la nonna, ieri lo zio. Adesso stiamo andando alla camera mortuaria qua di fronte per la nonna, così ti ho portato la cravatta del vestito per mio zio.
In chiesa i miei parenti mi salutavano, io li guardavo 3 secondi e non dicevo niente, non li riconoscevo; si scusava mia zia per me.
E' l'unico ricordo che ho del funerale. So di non essere entrata nella camera mortuaria.
Non ricordo assolutamente nulla dei giorni successivi, nemmeno della domenica di Pasqua, mi ricordo solo martedì, il giorno del funerale di mio zio.
Non volli entrare nella camera nemmeno in quell'occasione, però stetti fuori tutto il tempo, in  chiesa entrai, lottando per non piangere. Doveva essere cremato, per essere seppellito nel paesino originario della moglie, sulle Alpi. Fu un colpo anche quello, non ho ancora potuto vedere la sua tomba. Accompagnai il carro funebre con i miei fino al forno crematorio, poi lo lasciammo andare. La cosa più brutta che abbia mai fatto, un dolore bestiale. Vederlo sparire in quella stanza piena di altre bare è stato micidiale, una gran mazzata. Non mi ricordo più niente. 
Una notte gli parlai, gli dissi che mi dispiaceva, che non volevo che finisse così, che non me lo perdonavo, che avrei voluto dirgli tante cose. Piansi talmente tanto che mi si ruppe un capillare e sanguinai dal naso per 3 ore. Non mi sono mai spiegata se era la sua ripicca, fattostà che gli dissi che per sfogarsi dalla rabbia poteva anche farmi sanguinare per 6 ore, bastava che poi non fosse più arrabbiato. Io non credo. Nè in dio, nè nella vita dopo la morte, ma in certi frangenti ti ci appoggi comunque, ne hai bisogno. Poi torni alla normalità, e torni a capire che non c'è niente dopo, purtroppo.
 
Tutti mi dicevano che ero agitata, nervosa. Nonostante ormai fossero passati mesi. Il mio quattordicesino compleanno (esattamente 10 giorni dopo la morte di mio zio) fu il peggiore, l'avevo sempre immaginato con lui, non so per quale ragione, e proprio quel compleanno lo passai da sola, ancora immersa nel mio brodo di rimbecillimento. Stavo fissa su un oggetto per minuti, qualcuno mi diceva qualcosa, io aspettavo 10 secondi, poi gli chiedevo di ripeterla, non capivo ancora, e davo una risposta insensata. 
I miei erano preoccupati, questo stato passò, ma nei mesi successivi mi dicevano tutti che ero nervosa, che ero cambiata, che ero agitata, che non stavo bene. Dalla botta persi 5 chili in 4 settimane.
A fine estate ero più o meno normale, fin quando, mentre ero con dei miei amici, un altro mio zio, malato di Alzehimer anche lui, ma che mi aveva sempre riconosciuto, non mi riconobbe , e anche presentandomi non capiva chi fossi. Mi misi a piangere seduta stante, pianto isterico proprio. Per fortuna c'era un mio amico nella mia stessa situazione, dopo mezzora riuscì a calmarmi. Non c'è paragone fra non essere mai stati riconosciuti, e accorgersi un bel giorno che le persone non ti riconosceranno mai più. E' allucinante. 
 
Tutto questo può mandare in depressione una sedicenne. E non parlo di depressione per dar aria alla bocca, parlo di depressione certificata. Ora so cosa vuol dire soffrire, e spero che passi tutto il più in fretta possibile, e che tutto questo capiti a meno persone possibili.
Il cancro e l'Alzehimer sono due malattie che spaccano sia le persone affette, ma anche le famiglie. Devastano tutto e tutti, qualunque età si abbia.
  
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