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Autore: _LunaRossa_    03/05/2012    2 recensioni
Scavo nella mia mente, tra i ricordi, e ti ritrovo lì, seduta nel box del canile ad aspettarmi... Quante cose sono cambiate da allora... La cosa che mi fa più male è che non capisco perchè anche noi non abbiamo potuto avere il nostro lieto fine...
Storia vera...tutta vera...
Storia mia...solo mia...
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Non vedevo l’ora di sabato. Dopo tanto tempo, dopo tanto dolore, l’avrei rivista. E se non mi avesse riconosciuta? Se si fosse dimenticata di me? Non sapevo cosa aspettarmi … e se sarebbe stata un’altra pugnalata al mio cuore sanguinante?

Durante la strada verso il canile non dissi niente, nella mia testa mille pensieri scorrevano uno dietro l’altro, senza sosta, senza che io potessi fermarli.

Una volta parcheggiata la macchina non aspettai mio padre, il mio cuore era attratto da un richiamo sconosciuto (anzi, forse troppo familiare e desiderato da poterlo riconoscere di nuovo) e io non riuscivo a resistergli. Corsi al cancello. Cercai con lo sguardo Cristian, ma Mattia (un volontario giovane e molto gentile, che avevo avuto l’occasione di conoscere nei giorni precedenti) mi si avvicinò: “Ciao Giulia! Pronta per un altro pomeriggio in canile, dico bene?”. Ignorai la sua domanda, avevo la testa altrove. “Ciao Mattia, ho saputo che è tornata Clara …” Mattia mi guardò come se avesse già capito tutto: “Eh sì … povera piccola, è proprio triste … vuoi entrare a vederla? Lo so che non dovrei neanche chiedertelo, a quest’ora è vietato far entrare gente esterna, ma tu sei un’eccezione, no?” lo guardai con riconoscenza infinita. Mi aprì il cancello e io corsi verso il box di Clara. Non me ne importava niente se qualcuno mi avesse vista all’interno del canile, e ancora meno se qualcuno mi avrebbe giudicata pazza o infantile a correre in quel modo. Non aveva importanza. Corsi e basta. Corsi verso di lei, verso quel box che per tanto tempo avevo visto vuoto, verso quel richiamo che il mio cuore aveva a lungo bramato di ascoltare di nuovo. Ora sarebbe stato perfetto. Ora ci sarei stata solo io.

Mi fermai davanti al box e la cercai con lo sguardo.

Eccola

Lei mi guardò. Le sue orecchie si alzarono, sollevò il muso e la coda. Si alzò in piedi. Era indecisa se venire verso di me o meno, continuava a guardarsi in giro.

“Clara … Ciao bellissima. Vieni! … Sono io.”

Gli altri cani cominciarono ad abbaiare, lei si spaventò, distolse l’attenzione da me e si accucciò a terra, lo sguardo triste, le orecchie basse.
Mi inginocchiai davanti al box. Si era sdraiata, il muso appoggiato sulle zampe, gli occhi fissi a guardare davanti a lei. Non l’avevo mai vista così. Non era spaventata: era triste. Triste come non mai. A quel punto mi sentii egoista … fino a quel momento avevo pensato solo a me, a come ero felice perché lei era tornata e a come lo sarei stata avendola ancora con me. Solo allora mi resi conto che non sarebbe stata la stessa cosa. Lei era distrutta, aveva gli occhi spenti, sembrava non avere più la voglia di vivere.

Ricominciai a piangere. Le mie lacrime sapevano di gioia, di tristezza, di malinconia, di rassegnazione, di speranza.

Una volontaria mi passò accanto: “Ti sei innamorata di Clara, è?”. Risposi sorridendo, non curandomi del fatto che stavo piangendo: “Eh sì …”

Rimasi in ginocchio fino a quando le gambe cominciarono a farmi male. Mattia mi raggiunse: “Ehi, ti va di portarla fuori?”. Rimasi abbastanza shoccata dalla proposta. Me l’aveva chiesto davvero?! Già vederla era un regalo immenso, ma portarla a spasso! Ce l’avrei fatta? Dopo tutto questo tempo si sarebbe ancora fidata di me? Non mi sentivo in grado e poi lei era così triste! Non me la sentivo di farla uscire, anche se in fondo era la cosa che volevo di più al mondo. Mattia non accettò risposte negative: “Dai Giulia, non la vedi? Se la lasciamo lì dentro a deprimersi non ne usciremo più! Dobbiamo svegliarla un po’! E poi se non la porti fuori tu non la farà uscire nessuno!! Lei ti conosce già, quindi sei la persona più adatta per portarla a spasso in questo momento.”

Aveva ragione, non potevamo lasciarla lì da sola, dovevamo fare qualcosa anche se non le avrebbe fatto piacere. Doveva ricominciare a vivere.

Aspettai che Mattia le mettesse pettorina e guinzaglio. Ah, piccolo particolare: in passeggiata non potevo tenere io Clara non essendo maggiorenne. L’avrebbe tenuta al guinzaglio mio papà.

Quando lei uscì dal box mi rivolse solo un breve sguardo, poi si accucciò tra l’erba. Mattia, spazientito, la prese in braccio e ci accompagnò fuori dal cancello, lontano dalla folla. Poi cominciammo ad allontanarci soli con lei. Clara era spaventata, aveva gli occhi spalancati, si guardava freneticamente intorno e camminava distante da noi. Riuscimmo a farle fare qualche passo. Ci fermavamo ogni tanto, io mi avvicinavo a lei e la accarezzavo, cercavo di tranquillizzarla pur sapendo che non sarebbe servito a molto. Con mio papà nelle vicinanze era impossibile renderla tranquilla. Lui la chiamava con la solita vocina irritante e io lo imploravo di smettere. Dopo qualche minuto capì che la poveretta era già abbastanza tesa senza che lui complicasse le cose e non parlò più.

Fatto qualche passo in più arrivammo nei pressi di un prato enorme. Allarme erba!! Troppo tardi. Clara era già distesa sul soffice manto verde e aveva l’aria di non volersi più alzare. “Come se non ti conoscessi”. Sorrisi. “Papà, per favore, puoi andare a chiamare Mattia? Non credo che lei voglia andare oltre e io non me la sento di prenderla in braccio per riportarla indietro.”. Mentre mio padre si allontanava coccolai Clara. Sembrava più rilassata, anche se i suoi occhi non mi guardavano più come una volta.

Mattia arrivò presto: “Claretta, ma cosa mi combini! La Giulia è venuta qui apposta per te e tu ti fermi subito!”. Naturalmente scherzava, la passeggiata era durata più del previsto, era stata brava. La riportammo in canile insieme e Mattia ne approfittò per darmi qualche consiglio su come comportarmi quando lei si spaventava, su cosa fare per tranquillizzarla e per farla sentire a suo agio. Una volta entrata nel box lei si accucciò di nuovo nel suo angolino e appoggiò la testa sulle zampe.
Aveva ancora l’aria triste ma almeno qualcosa ero riuscita a fare!

Sentii la voce di Mattia: “Ciao Giulia, allora ti aspetto le prossime settimane per portarla fuori ancora!”. Lo salutai con la mano e risposi: “Certo, non mi perderò neanche un sabato!”. E così feci. Ogni settimana andava meglio: camminavamo ogni volta più lontano e lei era sempre bravissima. Clara usciva in passeggiata solo con me, non si fidava di altri. Imparai cosa voleva dire essere essenziali per qualcuno, cosa voleva dire amare senza riserve.

Da quel giorno diventai “la ragazza della Clara”. E non sarei potuta essere più felice.

  
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