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Autore: Lua93    03/05/2012    11 recensioni
«Ti dispiace?» Si lamentò Bella abbassando lo sguardo sul suo corpo avvolto solo da un asciugamano troppo piccolo. Era la prima volta che Isabella incontrava uno dei tanti ragazzi di Jessica in giro per la casa, solitamente non uscivano mai dalla camera da letto, salvo per andarsene.
Il ragazzo sembrò risvegliarsi, e arrossendo visibilmente si voltò dall’altra parte.
«Non credevo ci fosse qualcuno». Disse con voce bassa. Bella sussultò, e si accorse di stare tremando, non poi così certa di farlo a causa del freddo.
«Tu chi sei?» Gli domandò indietreggiando fino a raggiungere la porta della sua camera, e nascondendosi dietro di essa, rimase a fissare il ragazzo che ancora le dava le spalle.
«Emmh… mi chiamo Edward e sono un compagno di corso di Jessica». Rispose quest’ultimo leggermente imbarazzato, passandosi una mano tra la folta chioma ramata.
Isabella inarcò un sopracciglio, indispettita. Si era ritrovata improvvisamente innervosita, quasi gelosa del fatto che Jessica fosse riuscita a conquistare un ragazzo talmente bello da sembrare irreale. Un sentimento, la gelosia, a lei totalmente estraneo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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5 capitolo                                                                                                                
                                                                                                                  Sleeping at Last -Turning Page
                                                                                                                  
            5

Susan aveva i capelli rossi e due grandi occhi azzurri che nascondeva sotto lunghe ciglia. Portava spesso i capelli sciolti, perché di legarli non aveva mai voglia. Lavorava nel Milk bar da anni, forse da sempre. Il giorno in cui ci mise piede la prima volta non lo ricordava neppure più, sapeva solo che fuori pioveva ma dentro il rumore dell’acqua che scivolava via dalle grondaie, che sfiorava i tetti, che colpiva i passanti, non si sentiva. Susan in ebraico significava rosa, ma lei questo non lo sapeva. La gente la chiamava Suz perché la vedeva sorridere quando la si chiamava così. Lei era una di quelle ragazze che quando passavano non facevano rumore, una di quelle che sorridevano per il semplice gusto di farlo e che piangevano perché qualcosa il loro non funzionava più e allora, come accadeva ai bambini, piangere, pensavano, aiutasse a ripararle. A Susan ultimamente le cose le si rompevano spesso, però era brava ad aggiustarle.
Suz lavorava al Milk bar e conobbe Isabella in un giorno di pioggia, solo che una volta aperta la porta il rumore del mondo si sentiva lo stesso, però, inaspettatamente quella volta, spuntò il sole.
Ora lei sapeva che Bella aveva qualcosa dentro che le impediva di respirare come tutte le altre persone, lo sapeva perché aveva notato che qualcosa in lei non funzionava correttamente. Però sapeva anche che non avrebbe potuto aggiustarlo, semplicemente perché non c’era nulla di rotto in Isabella. Gli ingranaggi con il quale era composto il suo cuore ruotavano in senso antiorario, come l’orologio della stazione nel racconto di Fitzgerald. Così aveva imparato ad accettarlo e anche a volerle bene, perché a una ragazza come Isabella, le si poteva solo volere bene e di affetto nella sua vita ne aveva avuto davvero tanto, questo nessuno avrebbe mai potuto negarlo.
Il sabato tanto temuto da Isabella era arrivato senza preavviso, tanto che pensò bene di rinunciare all’invito fatto da Edward diverse volte nell’arco della mattinata. Pensò di raggiungerlo nella sua facoltà, cercarlo frettolosamente come aveva fatto la prima volta e rincorrerlo per dirgli che non era possibile vedersi quel giorno. E lì per lì avrebbe inventato una scusa, la più veritiera e falsa nello stesso tempo. E si arrovellò così tanto il cervello che quando era entrata al Milk bar si era seduta frustrata, gettandosi di peso sulla prima sedia libera, senza neppure salutare.
Susan che ormai aveva imparato a riconoscerla, sapeva che quel giorno non aveva bisogno di nessuna tazza di tè, ma solo di un’amica con la quale parlare.
«Tu non dovresti essere qui», le disse strisciando la sedia sul pavimento, attirando l’attenzione della mora. Isabella sollevò gli occhi dal tavolo, incontrando quelli chiari di Susan. «Sbaglio o tra meno di due ore hai un appuntamento?» le domandò sorridendole.
Bella scosse la testa, «no non sbagli, purtroppo».
«Alice mi ha detto che si tratta di un compromesso, una specie di scambio. La tua moleskine in cambio di un appuntamento, vero?»
«Già, ma la cosa che davvero non capisco di tutta questa storia è il perché». Le rispose Isabella, portando le braccia sotto il petto.
Suz corrugò la fronte, interrogativa, «e non sei curiosa di scoprirlo?»
«No, io rivoglio solo la mia moleskine», sbottò contrariata. Era cocciuta quella ragazza, una delle più caparbie che Susan avesse mai conosciuto. Sempre così sicura, mai titubante sul suo futuro. Si vedeva che viveva la vita proiettata su diapositive in anteprima assoluta. Ora che era arrivato questo ragazzo sembrava quasi che le avesse prese, queste diapositive, e sparpagliate a caso, senza un filo logico. Non si trattava solo del suo diario e questo Isabella lo sapeva bene, come lo sapevano Suz, Alice e anche Jessica. Bella sapeva che ad aprirsi con un ragazzo si finiva col rovinarsi, a fidarsi completamente si finiva col bruciare. Lei sapeva che l’amore faceva soffrire, l’aveva letto nei libri, visto nei film e qualche volta provato anche sulla sua pelle. Isabella sognava l’amore delle favole, ma desiderava fortemente qualcuno che la facesse ridere, perché lei amava farlo.
«E poi lui è un ladro», aggiunse come se quelle parole fossero superflue.
Susan ridacchiò visibilmente divertita, «un ladro non riporta le cose indietro. Secondo me la tua è solo paura. Una di quelle paure che parte da dentro le ossa e ti scuote tutta, tremi di freddo e la pelle d’oca arriva senza controllo, non è forse così che ti senti?»
Bella rimase basita di fronte a quelle parole, «e di cosa dovrei avere paura?»
«Di trovare quello che cerchi da anni nelle tue storie».
La rossa le sorrise affettuosamente, e avvicinandosi le disse di tornare a casa, sistemarsi i capelli, giocare un po’ con i trucchi di Jessica e indossare il vestito più bello che avesse, perché se la meritava una serata così. E le chiese anche di non pensare, almeno per una sera, a quanto la sua anima di artista la tenesse lontana dal mondo. Per una sola sera, le chiese di vivere e non più sopravvivere.
 
Isabella quando ritornò a casa aveva il fiatone, i capelli scompigliati e la sciarpa che le scivolava dalle spalle intralciandole anche i movimenti più semplici. Si rese conto di essere in ritardo e che probabilmente avrebbe impiegato un sacco di tempo per sistemare il casino che si ritrovava al posto dei capelli.
Solo che avendo trovato una persona che viaggiava sulla sua stessa lunghezza d’onda, non era difficile immaginare che quella sera le sarebbe stata affianco.
«Mi ha fatto entrare Jessica», sorrise Alice, sollevandosi dal divano sul quale si era seduta nell’attesa del rientro in casa dell’amica, «andiamo, abbiamo poco tempo prima dell’arrivo del tuo cavaliere». Disse, trascinandosi Isabella nella stanza.
 
Con indosso un vestitino blu cobalto di un tessuto morbido come la seta, Isabella si sentiva fuori dal proprio mondo. L’abito le cadeva soffice sul corpo, fasciandole armoniosamente i fianchi, scivolando come piccole onde lunghe le gambe. Il colore scuro del vestito risaltava sulla sua carnagione chiara, seguendo i contorni del suo corpo, valorizzando le curve delicate e il piccolo seno. Alice le aveva lasciato i capelli sciolti, mossi lungo la schiena, le sistemò qualche ciocca ribelle dietro la fronte, valorizzando con un trucco leggero i tratti delicati del suo viso. Aveva deciso di lasciare la pelle molto naturale, preferendo truccare gli occhi per valorizzarne la forma allungata e le lunga ciglia.
Bella osservandosi allo specchio stentava a riconoscersi e non perché fosse diventata una bellissima ragazza, lei bella lo era sempre stata, solo che non essendone consapevole non riusciva a credere di potersi essere trasformata da un anatroccolo a un cigno.
«Secondo me sei perfetta», le aveva sorriso Alice, allungandole un paio di ballerine nere.
Isabella la ringraziò mentalmente per non averle obbligato ad indossare tacchi, entrambe erano a conoscenza del suo scarso equilibrio.
«Non mi sento molto a mio agio con questo vestito», le aveva confessato, dando un ultima occhiata al suo riflesso, prima di aver indossato il cappotto di panno nero, abbastanza lungo da coprirle metà gambe.
Alice fece una smorfia contrariata, «è uno dei pochi vestiti che sono riuscita a trovare nel tuo armadio, figurati che non ho neppure intenzione di chiederti chi dovrei ringraziare per avertelo fatto comprare».
«I miei genitori me l’hanno portato da Parigi», le sorrise.
«Tua madre deve essere una donna di gran classe, ha davvero un ottimo gusto», disse mentre entrambe si accomodavano sul divano. Edward sarebbe arrivato a momenti.
Bella annuì, «lei è fantastica, anche sono completamente diversa da lei, mi conosce molto bene».
«In fatto di vestiti devi aver preso tutto da tuo padre», ridacchiò Alice, coinvolgendo anche Isabella.
Quest’ultima stava per controbattere quando il suono stridulo del citofono catturò completamente la loro attenzione. Le due ragazze si guardarono, Alice elettrizzata, Isabella terrorizzata.
«Tu rispondi, io spio dalla finestra». Le disse Alice eccitatissima mettendosi in piedi per raggiungere velocemente la finestra che dava sulla strada.
Isabella invece, con un grosso respiro, rispose al citofono dicendo che stava per scendere.
«Tesoro non avrò gli occhi di un aquila, ma ti posso assicurare che davanti al tuo portone ci sta un dio greco, non un ragazzo», le disse voltandosi verso l’amica, intenta a guardarsi un ultima volta allo specchio.
La mora si voltò verso l’amica, «spera che abbia portato la mia moleskine, altrimenti quel dio greco non vedrà mai più il sole sorgere».
Risero entrambe di gusto, poi mentre Isabella apriva la porta di casa, Alice raccoglieva le sue cose.
«Tranquilla aspetterò che siate andati via per uscire dal portone», le disse mentre scendevano le scale.
«Grazie di tutto».
Alice fece spallucce, stringendo l’amica in un abbraccio, «figurati, adesso vai Cenerentola».
Le due ragazze si separarono prima di arrivare sul pianerottolo. Aprendo il portone del suo palazzo, Isabella si rese conto di essere vestita forse un po’ troppo leggere per quella sera di Dicembre. Sperò con tutta se stessa di trovare l’abitacolo della macchina caldo, ma, sollevando gli occhi dall’asfalto e incontrando due gemme verdi, si rese conto di non avere poi così tanto bisogno del calore artificiale per riscaldarsi.
Edward l’aspettava con le braccia incrociate al petto, poggiato comodamente alla sua macchina, una Volvo grigia, nulla di eccessivo o appariscente, però molto elegante. Quando lui la vide avvicinarsi con passo lento nella notte, le sorrise  aprendole lo sportello.
«Sei splendida», le disse perdendosi nel calore dei suoi occhi scuri.
Isabella arrossì leggermente, «oltre che ladro sei anche bugiardo», bofonchiò sedendosi sul sedile. Edward ridacchiò divertito e chiudendole lo sportello fece il giro della macchina per sedersi poi alla guida.
«Credo che mi darai del filo da torcere questa sera», le disse mettendo in moto. Bella annuì leggermente, vittoriosa, poi mentre si allontanavano dalla via, vide indistintamente un esile corpo uscire dal portone del suo palazzo e istintivamente sorrise.
Sfrecciavano silenziosi lungo le strade bagnate di Chicago, sotto un cielo coperto di nuvole e talmente nero da non sapere dove sarebbe finito, se fosse solo cielo o anche universo.
«Per la moleskine, posso sapere quan-»
Edward non le diede il tempo neppure di concludere la frase, «cosa ti avevo detto?» le sorrise divertito.
Bella sprofondò più comodamente sul sedile, sbuffando contrariata.
«Posso almeno sapere dove stiamo andando?» gli chiese osservando il paesaggio scorrerle accanto.
«E’ una sorpresa, però sono sicuro che ti piacerà». Le rispose, lanciandole un occhiata incuriosito. Quella sera era di una bellezza mozzafiato, una giovane donna talmente bella da sembrare irreale. Come aveva fatto a non accorgersi di lei, ancora non l’aveva capito.
«Ci hai portato anche le altre ragazze?» Domandò Isabella stizzita, continuando a guardare il panorama fuori dal finestrino.
Edward si voltò a fissarla, corrugando la fronte, «parti già prevenuta così».
«Andrebbe meglio se mi spiegassi perché hai voluto quest’appuntamento», gli disse, giocando con una ciocca dei capelli. L’abitacolo profumava di menta e i sedili erano così comodi che Isabella pensò di poterci sprofondare dentro.
«E’ davvero così difficile per te lasciarti andare?» le domandò Edward, osservando la strada.
Isabella smise di respirare, voltandosi verso il ragazzo che le stava accanto. Edward fece finta di non accorgersene e si lasciò osservare, continuando a guidare come se gli occhi di lei non gli facessero alcun effetto.
«Mi sentirei meglio se tu mi restituissi la moleskine» gli rispose flebilmente.
Accortosi del cambiamento d’umore della ragazza, di come la sua voce fosse improvvisamente diventata silenziosa, si sentì in colpa, ma qualcosa dentro di lui mantenne vivo il suo progetto originario. Fermandosi davanti a un semaforo rosso, si voltò verso Isabella.
«Ti prometto che alla fine di questa serata ti ridarò il tuo diario, sul serio. Solo, per favore, lasciati andare, okay? Non voglio passare il resto dell’appuntamento con un pezzo di legno».
Bella rimase in silenzio, nella sua mente c’erano così tante parole da non riuscire a riordinare i pensieri.
«Posso chiamarti Bella?» Domandò a un certo punto Edward, quando il semaforo si fece verde e la macchina che lo precedeva si mise in moto.
«Si», rispose lei, voltandosi verso di lui, «d’accordo».
Edward si voltò verso di lei, incuriosito. Isabella si morse il labbro inferiore, osservandolo, «facciamo come vuoi tu. Infondo non c’è nulla di male a divertirsi un po’». Sorrise debolmente e Edward ricambiò felice di quella vittoria.
«Bene, allora Bella, hai detto che frequenti il corso di scrittura creativa, da quanto?» Le domandò interessato.
Isabella si lasciò andare sul sedile, si sentiva stranamente più leggera,«sono tre anni ormai. Tu, invece?»
«Sono al quarto anno di medicina», le rispose incontrando i suoi occhi.
«Io non riuscire mai a fare il medico».
«Per via del sangue?» Chiese lui, entrando nel parcheggio del ristorante. Aveva scelto il locale con attenzione, c’era stato solo una volta, in compagnia dei suoi genitori. Era stata una serata speciale, una di quelle difficili da dimenticare. E chissà per quale assurdo motivo aveva pensato che a Bella sarebbe piaciuto, e chissà per quale altro motivo aveva deciso di portarci proprio lei.
Edward spense la macchina, voltandosi poi verso Isabella.
Lei scosse la testa, rispondendo alla sua ultima domanda, «non credo che potrei farcela a lavorare in un ospedale. Non riuscirei a reggere tutto il dolore e la sofferenza di quel luogo» sorrise debolmente, sperando di non essergli sembrata insensibile.
«Nessuno di noi è forte abbastanza per quello, però non sarebbe bello se con il mio lavoro riuscissi in qualche modo a diminuire il dolore? Non voglio aiutare le persone per piacere personale. Quello non mi è mai interessato, io desidero aiutare le persone per poterle vedere sorridere con chi credeva di stare per morire», le spiegò lentamente, osservando la sorpresa dipingersi sul volto della ragazza.
«E’ una cosa bellissima», sussurrò lei, non sapendo bene cosa dire.
Edward sorrise intenerito davanti a quel viso arrossato, poi aprendo lo sportello scese dalla macchina e, prima che Isabella facesse la stessa cosa, si avvicinò a lei, aprendole la portiera e aiutandola a scendere.
Insieme si avvicinarono all’entrata del ristorante, stringendosi nei loro cappotti a causa del freddo pungente. Il locale si trovava poco fuori città, immerso in un atmosfera inusuale, era infatti una piccola struttura a due piani, completamente isolata dalla città. Quando entrarono, Isabella rimase piacevolmente sorpresa. Il primo piano era composto dall’hall e un piccolo bar pieno di liquori, le pareti erano in realtà specchi, infondo vi erano due porte, la cucina e i bagni e proprio di fronte a queste vi erano delle scale a chiocciola che conducevano al secondo piano. Quando Edward e Bella salirono le scale si trovarono in una grande sala arredata con tavolini in legno con fiori e candele adagiate sopra, mentre dal soffitto scendevano delle lanterne legate tra loro tramite dei cavi luminosi, simili alle lucine che addobbavano gli alberi di Natale.
«Non ero mai stata qui», sussurrò Isabella, osservandosi intorno.
Un uomo sulla cinquantina si avvicinò ai due ragazzi, e con tono basso e gentile li accompagnò al loro tavolo.
Erano passati anni dall’ultima volta che Edward era stato lì, eppure la magia del luogo non era andata via.
«Non c’era bisogno di tutto questo», sussurrò la ragazza, osservandosi intorno. Entrambi si sfilarono i cappotti per consegnarli all’uomo che con un sorriso li portò via, dicendo che avrebbe mandato da loro un cameriere al più presto. Edward aveva però smesso di ascoltarlo, quando, nel vedere Isabella senza cappotto, rimase meravigliato e stregato dalla sua bellezza.
Con quel vestito addosso, con la luce calde del locare che brillava sulla sua candida pelle, sembrava una bambola di porcellana.
«A costo di sembrare ripetitivo, io te lo devo dire», sorrise il ragazzo, quando spostandole la sedia l’aiutò a sedersi, «sei meravigliosa, Bella».
Questa volta Isabella lasciò correre il complimento, e osservando il suo accompagnatore, non poté che pensare altrettanto. Edward indossava una semplicissima camicia bianca sopra un pantalone nero, eppure il modo in cui le luci giocavano con i suoi occhi, il modo in cui si sfiorava i capelli guardandosi intorno, lo facevano sembrare qualcosa di etero, di inavvicinabile e intoccabile. Isabella adesso capiva come si doveva essere sentita Psiche scoperta l’identità del suo amante. Con quale meraviglia avevano potuto narrare quella storia, se ancora Edward non esisteva, era per Isabella un mistero.
«Spero per te che tutto questo non ti stia costando un patrimonio, non ne varrebbe la pena», gli disse, cercando di alleggerire il silenzio che si era creato. I tavoli intorno a loro erano vuoti, eppure non erano i soli, in fondo alla stanza alcuni tavoli erano occupati da diverse coppie, chi giovani come loro, chi un po’ meno, ma forse ancora più belli.
Edward scosse la testa, «non preoccuparti per questo, pensa a goderti la serata».
Quando aveva detto a Jasper il ristornate dove avrebbe portato Isabella, l’amico era rimasto perplesso, si chiedeva come avrebbe fatto a pagare una cena se entrambi erano rimasti con pochi soldi. Edward lo tranquillizzò. Quella settimana era passato dal proprietario del negozio di dischi dove lavorava, e si fece pagare tutti gli arretrati. Con quei soldi pagò i due mesi d’affitto prima di essere sbattuti fuori e il resto decise di spenderli per Isabella. Jasper pensò che fosse impazzito, ma l’ammirava. Entrambi sapevano che tutto quello si sarebbe potuto evitare se solo le cose fossero andate diversamente, eppure Edward aveva scelto la sua vita e non si era mai pentito della sua scelta.
Non perse troppo tempo dietro quei pensieri, aveva davanti la creatura più bella che avesse mai visto e non voleva perdersi neppure un secondo di quella serata.
«Va bene», sorrise Isabella, osservandosi intorno.
«Ma dove ti eri nascosta per tutto questo tempo?» Domandò a un certo punto Edward, catturando finalmente la sua attenzione.
Isabella lo fissò in silenzio, non riuscendo a capire.
«Come puoi non pensare di essere interessante, conosco ragazzi che pagherebbero per uscire con te», le disse fissandola. Isabella rise, ricordandosi della parole detta dalla sua coinquilina. Jessica diceva lo stesso di Edward Cullen.
«Ti assicuro che non è così, non c’è nulla di interessante in me». Disse sfogliando il menù che il cameriere aveva portato qualche minuto prima.
«Questo lascia che sia io a dirlo».
Isabella sollevò gli occhi incontrando quelli chiari di Edward, si portò entrambe le mani sul viso, «ma fai sempre così tu?» gli domandò, cercando di nascondere l’imbarazzo.
Edward non riusciva a capire, non l’aveva offesa in alcun modo, di questo era sicuro, e cercò di capire perché reagì in quel modo.
«Voglio dire, con le ragazze. Tu le conquisti sempre così?» chiese fissandolo, «le porti in un bel ristorante, l’aiuti a sedersi al tavolo, le fai due o tre complimenti e quando sai di averle conquist-»
Edward l’interruppe sconcertato, «no, assolutamente no. Nessuna ragazza era mai stata qui, non faccio il casca morto con tutte le donne. Smettila di pensare questo di me, non mi fa sentire uomo». Disse facendo una smorfia di disgusto.
Bella di fronte a quelle parole rimase in silenzio, un pugno nello stomaco le avrebbe fatto meno male. Si sentiva in imbarazzo, sapeva di essere diventata tutta rossa. Edward riusciva a disorientarla, era creta nelle sue mani.
«Io sto cercando di corteggiarti se tu non l’avessi capito, e non lo sto facendo perché voglio aggiungere una crocetta alle donne che sono riuscito a conquistare» le disse guardandola negli occhi, «lo sto facendo perché tu mi affascini, dal nostro primo incontro, lo capisci questo?»
«E la moleskine?» domandò lei, «anche lei ti affascinava?»
Edward fece un respiro profondo e stava per risponderle, quando ad interromperli ci pensò il cameriere che con un sorriso si era avvicinato a loro.
«Siete pronti per ordinare?» domandò aprendo il block notes che reggeva in mano.
Isabella rimase in silenzio, cercando di riacquistare un po’ di autocontrollo davanti all’estraneo.
«Prendiamo entrambi la specialità della casa, sorprendeteci». Edward rispose al cameriere ma continuava a guardare Isabella senza mai abbassare lo sguardo.
L’uomo scrisse velocemente, «da bere?»
«Acqua andrà benissimo», rispose questa volta Isabella, «voglio andare sul sicuro» aggiunse reggendo su di sé gli occhi caldi ed enigmatici di Edward.
Il cameriere prese i due menù e con un ultimo saluto si allontanò dal loro tavolo, dicendo che i loro piatti sarebbero arrivati quanto prima.
La sala era immersa in una piacevole bolla, da uno stereo in lontananza una musica leggera si diffondeva nell’aria. Le altre coppie sembravano apprezzare la musica, e alcune di queste, più coraggiose di altre, si alzarono. Gli uomini strinsero le proprie compagne tra le braccia, portandole al centro di una pista da ballo improvvisata.
Due anziani iniziarono a muoversi lentamente, seguendo il ritmo leggero della musica, mentre l’altra coppia, più giovane si muoveva con più sensualità, in un ballo lento.
Isabella rimase ad osservali in silenzio, sapendo di avere gli occhi di Edward ancora addosso.
«Non sapevo che la moleskine fosse tua», le disse alzandosi dalla sedia. Bella lo fissò incuriosita, mentre lo vedeva avvicinarsi e allungarle la mano, «balla con me», le chiese dolcemente sperando in una risposta affermativa.
«Io non so ballare», risposte fredda, ignorando la mano di Edward che, come se quelle parole non l’avessero neppure sfiorato, si mosse incontrando quella piccola e calda di Bella.
«Balla con me» disse nuovamente, «fidati di me» le bisbigliò avvicinando le labbra al suo viso. Cosa la convinse non lo sapeva neppure lei eppure Isabella si lasciò andare, stringendo la mano di Edward con la sua. Qualcosa in loro tremò, le loro pelli in contatto provocarono un brivido che pervase entrambi. C’era attrazione tra loro, questo nessuno avrebbe potuto negarlo.
Quando raggiunsero la pista, Edward portò le braccia di Isabella sulle sue spalle, per poi posare le mani sui suoi fianchi. Era così fragile, così morbida, avrebbe voluto stringerla in un abbraccio e non lasciarla mai più andare. Iniziarono a muoversi lentamente, lei teneva la testa bassa, controllando che i suoi piedi non intralciassero quelli di Edward, aveva il terrore di fare qualcosa di sbagliato. Ballare non era la sua specialità, la sua inesistente coordinazione nei movimenti la rendeva goffa e impacciata, si sentiva ridicola. Eppure Edward non sembrava in alcun modo infastidito, la stringeva delicatamente, respirando il suo buon profumo,
«Ho scoperto che Jessica non frequentava la facoltà di medicina, quando portando a casa i suoi appunti gli ho dato un'occhiata, e tutto quello che c’era scritto sopra erano marche di shampoo per capelli», iniziò a parlare lentamente, avvicinando il suo viso a quello di Isabella, «ma cos’altro avrei potuto fare? Le ho riportato il quaderno, così come lei mi aveva chiesto. Non sapevo che tu vivessi lì, non ti avevo mai visto prima di quella sera». Continuò e Isabella istintivamente lasciò che le sue mani scivolassero sul petto di Edward e i loro occhi si incontrassero.
«Prima di andare via, ho notato un diario sul tavolo, e qualcosa in me, qualcosa che non saprei spiegarti mi ha convinto a prenderlo, non sapevo che fosse tuo. Per quello che ne sapevo poteva essere anche un altro elenco di marche» Le disse facendola sorridere.
La musica cambiò improvvisamente, non erano più solo note, una voce maschile accompagnava quella nuova melodia, dolce, struggente, sembrò avvolgerli. Altre coppie si unirono a loro, mentre alcune ritornavano ai propri tavoli.
«E poi l’hai letto», continuò Isabella al suo posto.
Edward annuì, «e poi l’ho letto. Ma tutto quello che sapevo era che chi l’aveva scritto si chiamava Isabella, non sapevo che fossi tu».
«Così quando ti ho fermato, sono stata io stessa a rivelarti la mia identità».
«Esatto» sorrise Edward, vedendo come Isabella si stava ammorbidendo tra le sue braccia. Profumava di miele e la sua pelle lo tentava come mai gli era successo prima di quella sera. Non aveva mai incontrato una ragazza che gli facesse un tale effetto.
Bella socchiuse leggermente le labbra, perdendosi dentro il mare verde degli occhi di Edward. «Me la restituirai?» Gli chiese dolcemente.
Edward sorrise, ma non rispose. Preferì invece cambiare discorso, «la cena è servita», disse lanciando un'occhiata al loro tavolo. Bella si voltò appena in tempo per vedere il cameriere allontanarsi.
Ritornarono ai propri posti in silenzio, si sedettero e lentamente iniziarono a godersi la serata.

 
 
 
 
 
 
Ed eccomi qui con un leggero ritardo. Vi avevo promesso il capitolo per Domenica, ma a causa di forze maggiori, non sono riuscita a postare. L'importante però è averlo fatto alla fine, quindi spero di essermi fatta perdonare. Il capitolo è stato diviso in due parti, altrimenti sarebbe venuto troppo lungo, quindi ho preferito tagliarlo. Allora, come vi sta sembrando il primo appuntamento di questi due signorini?? Io li trovo dolcissimi, da una parte abbiamo Edward, completamente incantato da questa ragazza. Diciamo che non è solo la sua semplice bellezza ad averlo conquistato, ma anche e soprattutto i suoi modi di fare, così estranei e lontani. Isabella l'ha detto Susan stessa "è un'artista" e in quanto tale, è più che naturale vederla così, come se avesse bisogno di più tempo per assimilare le cose. Personalmente amo il suo carattere, perché se da una parte è timida e impacciata, dall'altra è fiera e combattiva. Mi sembra abbastanza naturale venire affascinati da un essere così. Ma non pensiate che Isabella non abbia subito il fascino del bell'Edward, al contrario, proprio perché lo trova così affascinante, bello e pericoloso (per la sua sensibilità), ha paura a lasciarsi andare con lui. 
Ora nel testo si parla anche dei genitori di Isabella, vengono nominati più volte in questi cinque capitoli, e ogni volta che sono stati nominati avrete notato qualcosina vero? Ditemi che sono stata così brava da avervelo fatto notare (e qui partono gli occhi dolci, nella speranza di riuscire a smuovere qualcosa nel vostro cervellino), mentre dei genitori di Edward ancora si è scoperto poco o nulla. Si sa solo che non sono in ottimi rapporti, quale sarà mai il motivo? Ci vorrà ancora un pò per scoprirlo, però in ogni capitolo lancerò degli indizi (la prossima volta mi cimento in un giallo ù.ù)!
Detto questo vi lascio, ringraziandovi per la pazienza e soprattutto per le recensioni-bellissime- che mi avete lasciato. Ringrazio come sempre chi ha messo la storia nelle tre liste *_*
Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare Domenica 10 Maggio, poiché ho il pranzo dei 100 giorni non sono sicura di arrivare lucida fino alla sera xD Comunque farò del mio meglio, se riesco lo posto direttamente la mattina dato che ho l'entrata posticipata a scuola :P In caso non ci riuscissi, verrà postato il giorno dopo, I promise ù.ù
Ora vi lascio, che vi ho rubato fin troppo tempo. Fatemi un pò sapere cosa ne pensate di questo strambo appuntamento.
Avviso: Nel prossimo capitolo succederà qualcosina che smuoverà -e non poco- la situazione, vediamo un pò chi riesce ad indovinare cosa accadrà :P
Lua93.



 
 
 
 
 
   
 
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