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Autore: PaganGod    04/05/2012    1 recensioni
Può un'anima terribile, che vorrebbe soffocare nella morte le sue colpe,
salvare un'anima che vive nel rimorso?
Può un mago assassino lottare per la redenzione di chi vive in un incubo?
Parthan inizia un viaggio, per racimolare un po' di imperiali,
ma scoprirà che non c'è solo morte sul suo cammino
e che la redenzione può giungere dai percorsi più oscuri...
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo III
 
La palude gli appariva diversa: più impenetrabile che mai. Forse le acque si erano alzate, e il sentiero non era più visibile, o magari non ricordava bene dove avesse messo i piedi, di fatto Parthan non aveva idea di dove si trovasse. Analizzò la mappa più volte senza trovare un punto di riferimento adeguato, nessun sentiero, nessuna indicazione, solo provviste fradice e un ambiente completamente ostile. 
 
Un grosso rospo dagli occhi acquosi saltò, con un tonfo, in una pozza d’acqua, per rispuntare pesantemente accanto al mago. Questi aprì le mani che si illuminarono di sprazzi di fulmine. “Sono alquanto alterato al momento." sibilò guardandolo di sottecchi. "Non ho niente contro di te, ma dati i trascorsi in questa palude di merda è meglio che non ti avvicini!”
Il rospo, ignaro, saltellò un po’ in tondo e se ne andò placidamente. 
 
Il borsone del mago cadde a terra di nuovo, il bastone galleggiava nell’acqua satura di foglie: Parthan era riverso a terra, esangue.
 
Avanzava a grandi passi, la mascella serrata e lo sguardo fisso, come un toro in carica. Sbatté malamente i pesanti cancelli del giardino d’altrove e si diresse, senza esitazioni, verso il seggio della bianca morte. Sembrava sul punto di metterle le mani addosso, ma si arrestò a poca distanza dallo scranno e parlò ruvidamente. ”Se hai deciso di irritarmi ci sei riuscita, va bene? Inoltre stavolta non ero nemmeno in pericolo! Di cosa diavolo sono morto?”
“Infatti non sei morto.“ rispose placida la morte.
Parthan inspirò rumorosamente per replicare ma tacque. Le dita di alabastro della regina si posarono sulle labbra sottili dell’uomo invitandolo al silenzio. “Ti devo qualche spiegazione, lo ammetto, ma se tu non fossi così mirabilmente testardo, questo mio ennesimo intervento non sarebbe stato necessario.”
 
Parthan optò per una tregua: nella sua vita era stato un assassino dell'imperatore, un mago da battaglia mercenario, uno studioso delle Arti Arcane e ne aveva viste di bizzarrie, ma dialogare amabilmente con la propria morte per tre volte di seguito era davvero troppo. Si sedette accanto alla regina di ogni vita, che lo ricambiò con un sorriso sanguigno, assumendo un'espressione tra lo stupito e l'irritato: la sua bocca sottile piegata all'ingiù tra la barba ispida di qualche giorno, gli occhi color piombo dardeggianti. 
 
“Facciamo il punto della situazione, vuoi?" chiese alla fine. "In primo luogo ho il sospetto che tu non sia quello che vuoi farmi credere.“ Parthan cercava di farsi chiarezza in testa, soprattutto cercava di mantenere la calma.
 
“Diciamo che sono anche quello che sembro Parthan." la sua amorevolezza era scomparsa lasciando spazio ad una più fredda amarezza. "Questa forma in cui mi vedi è solo una degli aspetti che i viventi immaginano di me. Io non sono solo la morte, sono anche la creatrice della vita, la madre di tutte le cose. Sono la furia della tempesta e il gorgoglio dei ruscelli.”
 
“La madre delle acque...” bisbigliò il mago sbigottito. 
 
“Esatto figlio mio. Io sono quella che voi chiamate Shalla, la dea delle acque.”
 
“E cosa vorresti da me?” cercò di essere il meno sgarbato possibile, ma il suo caratteraccio non si arrestava nemmeno dinanzi agli dei. 
 
“Ho bisogno di un favore." pronunciò quelle parole a fatica, la sua candida pelle divenne di un grigio funereo, le sue labbra di amaranto persero colore. "Devo aiutare una mia creatura in difficoltà, ma non posso intervenire direttamente. Io stessa ho dettato le Regole e io stessa non posso infrangerle."
 
Parthan la fissò, nonostante i suoi occhi esprimessero una dura diffidenza, si rendeva conto di quanto la dea soffrisse sinceramente e ne rimase turbato. La donna dalle ali di corvo continuò: "Avrei preferito che tu non conoscessi i dettagli, nel tentativo, ahimè vano, di alterare il meno possibile lo scorrere degli eventi, e di mantenere il segreto di queste mie sconvenienti azioni, ma è evidente che non possa fare altrimenti.”
 
Parthan drizzò le spalle, la fissò negli occhi e allargò le braccia. “Quali sconvenienti azioni?" tuonò. "E perché non ti sei rivolta a qualche prete devoto? Mi rendo conto che sono sempre meno, grazie a Sua Immensità, e che quella buffonata del culto dell'Unico Sole sta facendo molta presa sulla gente, ma perché hai cercato un mago miscredente, solitario e distruttivo?”
 
La giovane dea sorrise. “Perché devo aiutare qualcuno che è solitario e distruttivo quanto te. Qualcuno che è rimasto da solo troppo tempo, affogando nel rimorso e nei ricordi.”
La dea si fece seria e l’aria immota della notte eterna sembrò più fredda. “Molte mie devote figlie si sono immolate per difendere lo specchio, che chiude la porta del mio santuario alle sorgenti del Charadiom. Nonostante la loro fede e il loro valore il male, alla fine, ha trionfato. Pensavo che lo specchio fosse stato dimenticato e invece..." la dea tacque e tutto il giardino si fece silenzioso. Il suo volto, di candido avorio, si macchiò di una lacrima lenta e brillante; scivolò sulle sue guance perfette per cadere, pesante come un masso, sulla pietra del suo scranno. Sospirò, e il giardinò sperimentò lo sconforto. "Molti anni a venire saranno corrotti dalle azioni sconsiderate di un solo uomo." guardò lontano nel futuro. "Sta corrompendo i luoghi di potere su tutta la terra, e si prepara a sfogare il suo rancore vecchio di millenni..." poi tacque, come se avesse detto troppo.
 
Parthan aveva seguito il suo discorso come il rombo del tuono che risuona nelle viscere. La bestia mai domata, che era la sua magia, ruggì nel profondo: avvertiva immenso dolore e anni di pena e una sottile, strisciante, cosmica ingiustizia. Sfoderò un ghigno ferino: "In tutta onestà non credevo nemmeno tu esistessi, ma a questo punto ho la certezza che la mia anima arderà nell'Abisso per i miei peccati; quindi non girarci tanto intorno, dimmi solo chi devo far fuori. Ho ucciso davvero per molto meno."
 
"Parthan," chiamò scuotendo sommessamente il capo. Era calda la sua voce e piena di materna comprensione. "Quanto è semplice il tuo mondo; se fosse possibile ti svelerei tutto, e lascerei la sua vita alla tua Arte. Ma non mi è concesso. Non posso riparare ciò che è accaduto: il destino del mondo non può essere nelle mie mani, deve essere nelle vostre e ciò che deve compiersi si compirà." asciugò una seconda lacrima per impedire che il giardino ne soffrisse.
I suoi occhi neri divennero fessure e ordinò: "Voglio ricompensare una figlia che è rimasta ingiustamente 
intrappolata nelle trame del destino. Lei non ha colpa! E per questo compito ho scelto te.”
 
Parthan aggrottò le sopracciglia, scrutava lontano nella notte senza fine, mentre un lampo di comprensione gli illuminò la mente: “Le nebbie spettrali erano gli spiriti delle ninfe morte..." sussurrò. "E io stavo per distruggerle.” provava un insolito rimorso.
 
“Non crucciarti.” continuò la dea. “Conosco le mie figlie. Ti avrebbero di certo ucciso prima loro se non ti fossi difeso. Ormai sono annegate nella disperazione e le loro azioni non sono più coscienti. Capisci, ora, perché ho scelto te? Chi altri avrei potuto inviare?” la morte dispiegò le ali in un gesto maestoso e familiare ad un tempo. “Tu sei tra le più bizzarre creature che la Vita abbia mai concepito. In te scorre sangue degli elfi del Lilèm, da cui deriva la tua magia. Sangue harakiano, che ti da audacia in battaglia. La furia e la potenza le devi ai demoni del profondo, e il tuo cuore inquieto viene dal petto di tua madre, dal cui seno non sei mai nato.”
 
Parthan, stralunato, non credeva alle proprie orecchie. Una rabbia sorda cavalcava nel suo cuore: si sentiva usato e manipolato. Fin dal suo primo vagito non era stato altro che un cane rabbioso addestrato alla lotta, viziato di lussi e piaceri solo per poter dirigere la sua furia omicida. Pensava di poter dimenticare quel passato, poter fingere di essere un qualsiasi orfano, fingere di non aver visto ciò che pulsava nel cuore marcio della Torre. Poter dire di essere sfuggito a quel luogo maledetto che aveva chiamato casa. E ora scopriva, così candidamente, che vi era un piano dietro alla sua misera esistenza; vi era una volontà superiore. La bestia, nera, sei occhi gialli nel buio della sua anima, ruggì e imprecò e scalciò. Parthan serrò i pugni e la mascella, e avvertiva già il bruciare della magia nelle sue vene: avrebbe fatto a pezzi l'intero creato se necessario.
 
La dea sorrise, come si sorride ad un bambino che piange, gli sfiorò appena uno zigomo e continuò: “Non aver paura Parthan. Anche tu troverai un posto in questo mondo, te lo prometto, ma la tua strada è ancora lunga.”
Shalla era ora avvolta in una bianca veste virginale e si mostrava come madre della vita.
 
Parthan si sentiva come un naufrago nel mare grosso: le labbra secche, la gola riarsa dal sale, gli occhi bruciati e un indefinibile senso di pesantezza nel petto. Il tocco della dea scacciava la bestia nella sua tana e lasciava, al suo posto, un vuoto vertiginoso da quale non sapeva difendersi.
 
“Non mi sono mai preoccupato di quale regina o meretrice mi avesse partorito." parlò alla fine con lo sguardo basso e la voce ridotta a un roco sussurro. "Ero troppo orgoglioso per chiederlo o, forse, avevo solo troppa paura di saperlo. Non mi sono mai chiesto quale fosse lo scopo della mia vita. Ero nato per uccidere e servire, nato per dominare nel nome dell'Impero! E quanto godevo della mia potenza! Quanto desideravo gli onori e le lodi della Duchessa! E anche quando decisi di abbandonare tutto, di ribellarmi, di distruggere tutto ciò che ero, non mi sono mai guardato indietro." fece una lunga pausa. "Quando gli incubi colmano le mie notti, quando odo le voci delle mie vittime e vedo i loro volti insangunati. Quando annuso l'odore pestilenziale della carne morta, anche in quei momenti non mi pongo mai la domanda." alzò gli occhi su di lei; per la prima volta nella sua vita erano umidi di lacrime. "Dimmi! Chi mai poteva essere per generare un mostro come me?”
 
Shalla lo guardò per un tempo infinito, lo guardò come una madre guarda il suo primogenito addormentato: un dolce arco delle sue labbra di rubino, il capo reclinato di poco. "Lo meriteresti." disse. "Ma non voglio rispondere."

"Perché?" sibilò Parthan mentre l'eco della sua rabbia ululava lontano.

 
"Non ti porterebbe alcun bene. Non è questo il momento. Devi andare ora." la dea comandava senza appello.

“Rispondi!” gridò serrando i pugni. “Non sei migliore di altri ai miei occhi! Ostentare divinità e potenza, bontà e pietà per le tue creature, non ti dà il diritto di ingannarmi. Se vuoi il mio aiuto rispondi o continua a grufolare nel tentativo di raggiungere i tuoi scopi!"
L'orizzonte notturno del giardino si infiammò come di un tramonto d'estate ma non era il sole, era la rabbia di un uomo condannato a distruggere. Parthan si levò dallo scranno per sovrastare la dea, strinse i pugni e questi presero fuoco. "Eri tu il vecchio mercante!" ringhiò. "Solo per questo sei riuscita a trascinarmi in questa situazione! Non vuoi interferire!" alzò la voce. "Vuoi essere buona e caritatevole e poi mi attiri nel tuo giardino in gran segreto! Poi ti nascondi alla mia vista per direzionare i miei passi! Tu e tutto il tuo creato siete solo una massa di rovi meschini che si accalcano per un po’ di luce. Odio le vostre lingue velenose, odio i vostri pugnali che sanno colpire solo alle spalle, odio i vostri sussurri di calunnie. Odio te per ogni giorno della mia vita!”
 
Parthan cominciava a ricordare: vedeva gli anni scorrere a ritroso fino al momento della sua nascita. 
 
Ce n’erano molti altri come lui ma solo i migliori potevano sopravvivere.
 
Vi era un antro buio, caldissimo e soffocante: una caverna.
 
Donne incatenate con le gambe aperte.
 
E vi era il Pozzo, scuro e umido, che scendeva nella terra e nel cielo.
 
Ovunque incantesimi e macchine, rame e ottone, inchiostri e pietra scolpita dall'Arte.
 
Vi era il pianto degli infanti, il pianto delle partorienti, e i gemiti dei prigionieri; e su questi alti lamenti vegliavano gli occhi famelici della Duchessa. 
 
La terra tremò. Il giardino tremò di furia e ribrezzo: che senso aveva la sua esitenza se era solo una menzongna? Lo spettacolo di un burattinaio? Meglio porre fine ad ogni cosa! Meritavano tutti di svanire arsi dalle fiamme, e finalmente il suo cuore avrebbe trovato pace.
Parthan comprese, in un istante, quale fosse il suo ruolo nella vita. Lo abbracciò con l'anima, serrò gli occhi e pronunciò nella sua mente le parole dell'Arte. La bestia uggiolò di piacere mentre la fibra della realtà cedeva sotto i colpi della sua infernale potenza.
 
Tra le fiamme, ruggenti come leoni, dell'Abisso, la dea luminosa strinse Parthan per le spalle e lo baciò sulla fronte. I pensieri del mago divennero confusi, immagini svanivano dalla sua memoria, le rivelazioni della dea sbiadivano ricadendo nell’oblio. 
 
“Calmati uomo." ordinò con la sua voce dolce e terribile. "Sono sicura di aver fatto la giusta scelta. Placa la tua ira e ascoltami: per il tuo bene non posso lasciarti ricordare, è il mio regalo per te. Non mi è concesso alterare il mondo ma voglio che tu sia pronto per i bui giorni a venire. Le nostre piacevoli chiacchierate non saranno mai esistite. Nessuno, né uomini né dei, dovranno mai sapere di noi. Non mi vedrai mai più, se non il giorno fatidico. Per questo servigio che mi rendi ti garantirò onori nel mio giardino e un posto al mio fianco. Ora obbedisci al mio comando: torna da Eriendal e portala via dal suo dolore. Ti prometto che questo lenirà anche il tuo.”
 
“Obbedisco!” rispose Parthan con un tristissimo filo di voce.
 
Ad un gesto della signora di ogni cosa, il rogo scomparve e il giardino tornò splendido e avvolto nella notte eterna. Parthan non era di dinanzi a lei, rimaneva solo l'eco del suo amaro sorriso.
 
Si sedette lentamente sul suo scranno, e attese che il crepuscolo divenisse il nulla eterno.  
  
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