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Autore: NotFadeAway    04/05/2012    3 recensioni
Eileen sta cucinando tranquillamente, ha settantanni ormai, e non vede suo figlio da sei.
Poi arriva qualcuno e bussa alla sua porta.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Erano passati più di cinquant’anni dall’ultima volta che Eileen aveva varcato la soglia di Hogwarts. Ma le circostanze erano un tantino cambiate.
Si era Materializzata pochi passi fuori dal cancello della scuola e ora stava attraversando il parco che la separava dal castello.
La vista era davvero agghiacciante come l’aveva descritta il giornalista: anche se non c’erano più le file di cadaveri sul prato di fronte all’entrata, la scuola distrutta, le torri crollate, il parco devastato disegnavano chiaramente i momenti di quello scontro.
Arrivò, alla fine, sotto all’arco della porta d’ingresso, dove alcune persone gestivano l’afflusso di gente. Si dovette fermare e rispettare quella sorta di fila che si era venuta a creare. Dopo un poco arrivò il suo turno.
Un uomo con una cartellina e una piuma in mano la fissava.
-Salve, sono Eileen Prince…la…la madre di Severus Piton…- disse, cercando di impedire alla sua voce di tremare.
Il ragazzo, era un ragazzo in realtà, non un uomo, sbirciò sulla lista, poi rispose:
-Sì, secondo piano, corridoio a sinistra. Segua gli altri-
Eileen annuì e si avviò, piena di tristezza.
Si guardava attorno e non c’era un sorriso sulle facce di chi la circondava, proseguivano tutti a testa bassa, senza fiatare.
Raggiunsero la scalinata principale, poi iniziarono a salire. Lei superò la prima rampa  e proseguì per il secondo piano, mentre una buona metà della gente si fermava lì.
Il corridoio del secondo piano non era diverso dal primo: era stato adibito a stanza d’ospedale (preferì non pensare alla parola “obitorio”), un letto seguiva l’altro e persone si aggiravano nello stretto spazio lasciato tra di questi.
Girò a sinistra, chiedendosi se avesse dovuto guardare i corpi uno a uno fino a riconoscere quello di suo figlio per trovarlo, ma prima che andasse oltre, una donna la fermò. Era un’infermiera, probabilmente.
-Salve signora, chi sta cercando?-
Aveva anche lei un’altra anonima lista in mano.
-Severus Piton-
-Settimo letto a destra- disse, abbozzando un sorriso.
La donna iniziò a percorrere quel corridoio stretto, guardando a terra e contando in mente sua i letti.
Sentiva qualcuno urlare, qualcuno piangere, qualcuno sussultare. Sentiva il silenzio di molta altra gente. Quei corpi disposti in schiera su bianchi letti d’ospedale erano l’unico punto in comune tra tutte le storie di quegli uomini e quelle donne che arrivavano. Mentre tutti si disperavano, soffrendo per la propria perdita, una diversa dall’altra, loro erano lì, in silenzio, tutti uguali, tutti in pace, tutti troppo lontani.
-…sei…sette…-
Eileen si fermò, si spostò sulla destra e alzò piano lo sguardo.
Per quanto la sua immaginazione avesse potuto anticiparle quel momento, niente sarebbe mai stato in grado di prepararla a quella realtà.
In quell’istante non pensò a nulla, agì d’istinto. Si gettò sul petto del figlio e si strinse a lui, più forte che mai, e poi, poco dopo, arrivarono le lacrime.
Lui era lì, immobile, impassibile, fermo, gli occhi serrati, che non avrebbe riaperto, la bocca chiusa, che sembrava disegnata da un bambino.
Quando, esitante, si alzò un poco, si sedette accanto a lui e poggiò una mano sulla sua. Sentì il freddo che veniva da quest’ultima, ma non la mollò.
-E così ci siamo rivisti alla fine – mormorò, non sentendosi neanche stupida nel farlo, era tutto normale, era una madre che parlava con suo figlio – Certo, non era così che me l’ero immaginato. Avevo sempre pensato che un giorno avrei aperto la porta e ti avrei trovato dall’altra parte. Poi tu mi avresti abbracciato, e avremmo parlato un po’ di te, di cosa ti è successo, ché sono vent’anni che non sorridi più. Invece l’altro giorno alla mia porta ci è arrivato quell’uomo in nero, è quando se n’è andato, si è portato via la mia speranza di rivederti, e mi ha detto che tu non c’eri più…Non ci sei più…Fa così strano dirlo, mentre  ti sto guardando, mentre ti posso toccare…eppure è…così…-
Sentì le lacrime salirle alla gola e non riuscì ad andare oltre.
Solo quando tornò a vedere oltre il velo lucido dei suoi occhi, notò alcune bende sul collo di lui. Celavano la ferita che se l’era portato via.
Tese la mano e le toccò, sentì la ruvida garza sotto le sue dita.
Pensò a quanto era stupida e crudele potesse essere la morte, a come quel segno sulla carne avesse potuto portarle via suo figlio. Pensò anche che lui era morto da eroe, e che quella ferita non doveva restare nascosta.
Si alzò e prese delicatamente la testa del figlio tra le mani, la posò sulle sue ginocchia e si mise a svolgere quelle bende. Quando ebbe finito lo riadagiò sul letto e gettò da una parte quelle inutili garze.
La ferita era stata pulita e i fori dove le zanne di quel serpente erano penetrate adesso erano visibili a tutti.
-Così va molto meglio- disse, quasi tra sé, poi continuò rivolgendosi al figlio – Tutti vedranno il tuo coraggio-
Ma fu in quel momento che una delle infermiere, forse quella di prima, le toccò una spalla.
-Signora, è arrivato il momento delle esequie, dovrebbe andare nel parco-
Eileen annuì, senza girarsi.
Senza aspettare alcuna altra risposta, la donna proseguì oltre, verso un altro letto, un’altra famiglia, un’altra storia.
-E così ci salutiamo qua? Io vado di sotto e tu mi raggiungi, va bene? – gli strinse forte la mano. Pensò che quella era l’ultima volta che avrebbe potuto vedere suo figlio, l’ultima volta che avrebbe potuto toccarlo, poi, che lui fosse passato per quella terra, sarebbe stato garantito solo da vecchie foto, dalla sua memoria e dalla scritta su una lapide.
Lasciò esitante quella mano rigida, raccogliendo ogni particolare di lui. Sempre più lentamente si alzò.
-Mi sarebbe bastato anche solo quell’abbraccio- disse e lanciando un ultimo sguardo a suo figlio, tornò nel parco.
   
 
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