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Autore: sonyx1992    05/05/2012    1 recensioni
Dal capitolo 12:"I sogni sono come i bicchieri: si rompono facilmente.
Vengono chiusi in una scatola su cui viene scritto “fragile” come ammonimento, per ricordarci di quanto sia facile perderli.
Tu prendi la scatola tra le mani, stai attenta ad ogni passo, stai attenta alla stretta sul contenitore, lo appoggi al petto, giusto sotto al mento, per poter cogliere le trappole sul cammino.
Ma stai attenta!
Anche quando mancano pochi gradini i pericoli sono lì, in agguato, nascosti dietro l'angolo, celato dentro due bambini che giocano sulle scale.
Ti incontrano, vi scontrate, cadete; e cadono i sogni.
E quella scatola con la scritta “fragile” ti dimostra la sua fragilità lasciando che i tuoi sogni si frantumino.
GAME OVER.
I tuoi sogni sono distrutti, non vedi? Sono lì, a terra, spezzati in miliardi di pezzi, ormai inutili se non per ferire e tagliare chi posa un piede sopra di loro.
Ed ora cosa fai?
Ti siedi, li osservi, pensi a come andare avanti.
È inutile piangere sul latte versato e sui sogni infranti.
Ti alzi, ti tiri su con le braccia e ricominci, raccogli la scatola, rimetti insieme i pezzi di vetro e vai avanti; cammini fino alla tua destinazione, poi ti fermi e ti siedi di nuovo, vicino ad un cumulo di neve, e con le mani rosse ed infreddolite, inizi a modellarla, a schiacciarla, a toglierla.
Cosa fai?
“Voglio costruire un pupazzo di neve”, mi rispondi.
Ed io osservo la scatola accanto a te, con dentro i tuoi sogni infranti.
Ci guardo dentro e mi accorgo che tra i cocci di vetro un bicchiere è ancora intero; si, te lo giuro, non lo vedi? È ancora lì, si è salvato!
Sorrido perché i tuoi sogni ci sono ancora, nascosti tra i pezzi di quelli infranti, ma ci sono ancora.
Quindi, ti aiuto a costruire il pupazzo di neve."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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13-QUANDO SI PIANGE DA SOLI I FAZZOLETTI RISCHIANO DI MANCARE

 

Federica”

 

E' difficile pensare a te, in questi giorni difficili.

Sai, Simona, Lea ha paura ed è terrorizzata.

Chissà, forse, se tu fossi ancora qui, sapresti meglio di me come starle accanto e farla riprendere dallo sconforto che l'assale.

Pensa a te, in continuazione.

Le abbiamo detto che l'incidente non è avvenuto per colpa sua, che il vero colpevole aveva pensato bene di bere qualche bicchiere in più quella sera e poi di mettersi a guidare la sua macchina per le strade innevate; gliel'abbiamo detto.

Ma non credo ci abbia ascoltato veramente quando cercavamo di rassicurarla.

Lei è ancora convinta di averti uccisa.

E, allora, cosa aspetti?

Tocca a te entrare nella sua stanza adesso, sentire nelle orecchie il silenzio delle sue paure e ricevere, nel cuore, la sua fragilità.

Forse, allora, sarà tutto più semplice per lei accettare la realtà.

Perché ti avvicinerai a lei, ti siederai sullo sgabello accanto al suo letto e la costringerai a staccare gli occhi da quella finestra.

Lei ti guarderà e allora piangerete insieme, perché dividere il dolore in due è più semplice, è più facile da sopportare.

Ed io?

Bè, io starò fuori dalla stanza, non troppo lontano, magari giusto appoggiata accanto alla porta, abbastanza vicino per sentire le vostre lacrime, ma non troppo per non farmi vedere da voi perché un dolore troppo condiviso è un dolore che troppi capiscono e che più, nessuno, può curare.

 

 

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La neve sta scomparendo, come se fosse sotto l'effetto di un incantesimo.

Un sole primaverile compare timido in un cielo ancora gelido e scioglie la polvere bianca che l'inverno ha lasciato dietro di sé.

Mi affaccio alla finestra dell'ospedale e guardo laggiù, in basso, dove un pupazzo di neve inizia a soffrire il caldo e bagna l'erba intorno a lui.

Nonostante tutto, però, sembra sia l'unico ad opporsi ai primi calori primaverili, l'unica macchia di gelida neve che ancora tenta di sopravvivere.

E, accanto a lui, la mia migliore amica gli fa compagnia e lo incita a continuare nella sua lotta.

Non arrenderti!

Se ne sta lì, seduta su una coperta adagiata sull'erba bagnata e sembra imitare il pupazzo di neve, sciogliendosi sotto quel sole; e, accanto a lei, siede Mattia che l'ha aiutata a costruire il loro nuovo amico, che ha fatto diventare le sue mani rosse per il freddo per mettere la neve nel punto più giusto e che si è preso perfino un raffreddore pur di costruirlo.

Sorrido silenziosamente ricordando i suoi improvvisi starnuti rompere l'inquietante silenzio nei corridoi dell'ospedale, mentre andava da Lea pronto per prenderla in braccio e portarla a trovare il loro nuovo amico, che era il solo in grado di consolarla, offrendole uno sguardo di bottoni e un legnetto al posto del naso.

Tutti e 3 siedono sul prato ed aspettano qualcosa; aspettano che il pupazzo si sciolga completamente e che li lasci soli sull'erba bagnata; 2 di troppo e 1 in meno; tristi nel sentirsi troppo soli e troppo indifesi; perfino un po' troppo fuori luogo seduti su quella coperta a fissare un prato bagnato.

Lea è la più agitata e si tira la gamba sana contro il petto, appoggiandovi poi sopra il mento: lei non vuole che arrivi quel momento, vuole solo che il pupazzo resti sempre accanto a lei, freddo ed in silenzio; vuole solo potersi alzare di nuovo e camminare come prima; vuole che sotto il ginocchio destro ci sia ancora qualcosa da toccare e che, proprio ora, non le faccia perdere l'equilibrio, facendola cadere indietro.

Ma, se il pupazzo non può muovere le sue braccia di legno per salvarla, Mattia è lì accanto a loro, pronto a prenderla e, appoggiandole una mano sulla schiena le fa ritrovare l'equilibrio che andava perdendo.

Stringo i pugni e continuo ad osservarli dalla finestra della camera vuota di Lea, mentre un sentimento insolito mi afferra il cuore.

Sono gelosa.

 

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Quanti anni mi daresti?”

Mmm...18?”
Ed un broncio infastidito compariva sul tuo volto: avresti voluto apparire più grande, più matura; invece sembravi sempre e solo come una ragazzina, impacciata ed insicura, con la sola voglia di crescere.

Ma ora non crescerai più, resterai la bambina di sempre; continuerai a mettere il tuo broncio contrariato ogni volta che qualcuno proverà ad indovinare la tua età ma che, immancabilmente, sbaglierà.

Perché quella faccia? Quanti ne hai in realtà?”

24”, rispondevi tristemente e con un sospiro amaro.

E non sei felice che sembri più giovane? Ah, vedrai, tra qualche anno rimpiangerai questa fortuna!”

Non la rimpiangerò affatto!”

Già, tu eri davvero strana, particolare.

Ti piaceva essere più grande, non avresti mai voluto tornare piccola, bambina, dove ancora qualcuno decideva per te.

Volevi essere indipendente, camminare da sola ed anche se poi inciampavi non importava, potevi sempre rialzarti.

Ma, allora, cosa è successo?

Dimmi, Simona, perché sei ancora a terra? Perché non ti rialzi più?

Questa volta è più difficile, ora sì che avresti bisogno di tornare bambina e che qualcuno venga in tuo soccorso a darti una mano.

Sei rimasta sola nella tua indipendenza e neppure Michele riesce ad aiutarti.

Lui che era il solo a poterti chiamare “Bambina” senza ricevere una tua smorfia contrariata; lui, che si è rialzato ma non ti ha aspettato, è andato avanti senza voltarsi, senza accorgersi che tu non c'eri più.

 

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Michele è diverso dopo l'incidente; be, praticamente, lo siamo tutti.

Lui, però, lo è in un modo particolare.

Non è mai stato un tipo solare, che corre in tuo aiuto quando ne hai bisogno o robe simili; da quando aveva conosciuto Simona, esisteva solo per lei.

Adesso, però, lei non c'è più. Quindi, mi chiedo: per chi vivrà, ora, Michele?

L'incidente non gli ha causato molti danni al fisico; non gravi almeno: un braccio rotto, qualche ustione e traumi poco gravi.

Ha un cerotto sulla fronte, appena sopra l'occhio, che lo fa sembrare quasi buffo; quasi bambino.

Eppure lui un bambino dice di non esserlo mai stato, non conosce quel modo di sentirsi, quel modo di entrare nel mondo per la prima volta; forse è per questo che stava bene con Simona. Si completavano: una bambina che voleva crescere, un adulto che non ricordava la sua infanzia.

Ora, mentre sta seduto sul bordo del letto a fissarsi il suo braccio ingessato, sembra proprio un bambino caduto e con il ginocchio sbucciato: aspetta che qualcuno venga a soffiarci sopra per cacciare via il dolore.

Niente, non c'è nessuno.

Entro nella sua stanza ma non ho il coraggio di farmi avanti: resto sullo stipite a guardarlo, le braccia incrociate sul petto come per difendermi dalla folata di tristezza che mi arriva da lui.

Entri pure, signorina, non faccia la timida!”

Un vecchietto mi sorride dal fondo della stanza, una gamba ingessata appoggiata sopra le lenzuola e gli occhi velati dalla cataratta che cercano di identificarmi.

Michele alza lo sguardo su di me, ma non sembra affatto stupito di vedermi lì, bloccata sullo stipite della porta.

Ricambio il sorriso del vecchietto e, facendomi forza, mi avvicino al letto di Michele, sedendomi al suo fianco.

Lea è ancora giù con quel pupazzo?”

Michele alza lo sguardo su di me, sforzandosi di sorridere; ma il ginocchio sbucciato torna a bruciargli, costringendolo ad abbassare di nuovo lo sguardo.

Si, anche se ormai si sta sciogliendo”, commento tristemente.

Ma io mi riferivo a Mattia!”

Alza di nuovo lo sguardo e le sue pupille tornano di nuovo a sorridermi, divertite.

Stupido!”.

Lui si lascia sfuggire una risatina, per poi tornare con lo sguardo basso ed abbattuto.

Ed è buffo con il suo alternarsi di sguardi, con quella pupilla scura che prima piange e poi sorride.

Penso che sia strano trovarci qui, io e lui, seduti uno vicino all'altro su un letto, lui che è sempre esistito solo per Simona.

Quando c'era lei niente sembrava più importante per loro due.

Del resto, cosa importa del mondo e della vita quando ci si innamora? Al diavolo ogni cosa, al diavolo tutto.

Michele sospira, è stanco, non sa quanto ancora potrà resistere: un'ora? Un giorno? Non lo sa...Ma lui sospira, ha bisogno di svuotarsi, di buttare fuori l'aria e di ricominciare, magari di riempirsi di nuovo, con un'aria più fresca e pulita.

In questa città, però, c'è solo smog.

E quella pupilla continua con il suo gioco, accendendosi e spegnendosi, cercando di stare dietro ai pensieri di Michele.

Mattia è dolcissimo con Lea, non dovresti prenderlo in giro”, continuo abbassando di un poco la voce, mentre lo strano sentimento di prima si allarga dentro di me.

Hai ragione...”, risponde lui sorridendo debolmente.

Questa volta cambia qualcosa: Michele si tocca il braccio ingessato con la mano sana e poi alza la testa, guarda il soffitto sopra di noi.

Mi chiedo dove voglia arrivare con le sue pupille scure, fin dove vuole salire e chi vuole raggiungere.

Simona manca, Simona non c'è.

La sua assenza è forte, soffocante, perfino ora, mentre siamo semplicemente seduti sul bordo di un letto si sente il suo peso che ci opprime.

Lei era come Mattia: c'era sempre quando qualcuno aveva bisogno di lei, era perfino disposta a rinunciare al suo sogno d'indipendenza pur di aiutare gli altri.

Sbagli a cercarla lassù...”, gli sussurro piano fissando il pavimento e dondolando le gambe dal bordo del letto.

Lui abbassa la testa e cerca il mio sguardo, si lascia il braccio malato e continua a fissarmi.

Se fosse da qualche parte sarebbe giù con Lea, non credi?”

Alzo lo sguardo e fisso le sue pupille, ci entro dentro con le mie ed aspetto di vederle sorridere di nuovo.

Loro ridono, ridono perché sono felici, sanno che ho ragione: Simona potrebbe essere solo giù nel parchetto a fissare il pupazzo di neve che si scioglie, stando accanto a Lea e aiutandola a riprendere l'equilibrio ogni volta che quella sua maledetta gamba mancante glielo fa perdere.

Ed è strano il sorriso di Michele, è diverso, è nuovo; fa capolino dagli occhi lucidi per il dolore e si allarga in tutto il suo viso.

Non alza più la testa verso l'alto, vuole alzarsi con tutto il corpo, vuole andare a vedere Simona, vuole sedersi anche lui a fissare il pupazzo di neve mentre si scioglie.

Si alza in piedi e mi tende la mano sana, vuole che vada anch'io con lui, ha bisogno di me, forse teme di non trovarla, di non vederla bene sotto quel sole primaverile.

Le sue pupille non piangono più, sorridono e basta. Sono belle quelle pupille scure, sono asciutte, non sono più quelle di un bambino che si è fatto male; sembrano quelle di uno che si è rialzato, ha raccolto il suo braccio rotto e il suo ginocchio sbucciato ed ora è in piedi, è pronto a camminare, ad andare avanti; tira su col naso, si asciuga gli occhi lucidi e continua a vivere.

Non ha più bisogno di qualcuno che soffi sulla sua ferita, il dolore l'ha cacciato via da solo, l'ha messo in un angolo e gli ha ordinato di stare lì, buono ed in silenzio.

E' buffo questo nuovo Michele, ha capito per chi vivere.

Lei non c'è più ma lui vive lo stesso, vive per gli altri, per Lea e forse anche per me; vive per tutti, vive anche per il pupazzo di neve che presto si scioglierà, lasciando una macchia bagnata sul prato.

E penso che Simona ne sarebbe contenta.

 

 

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E' successa una cosa strana, oggi, sai?

Ho aiutato qualcuno. Si è ripreso grazie a me.

Questa volta non sono stata in disparte, ascoltando senza parlare, ma ho detto la mia, mi sono fatta coraggio e le parole sono uscite da sole, automaticamente.

Fin troppo semplice, non credi?

Se l'avessi saputo prima!

Penso che non sarebbe andata così, sarebbe cambiato tutto, o se non tutto almeno qualcosa, qualche piccolo particolare che poi si rivela essere sempre importante.

Insieme a te e Lea avrei pianto anch'io, sarei entrata anch'io nella stanza ed avrei pianto con voi, perché così le lacrime sarebbero state più leggere da sopportare e i fazzoletti sempre a portata di mano.

In effetti, quando si piange da soli, i fazzoletti rischiano di mancare.

Dividere il dolore, invece, sarebbe stato più semplice, più facile.

E se non era rimasto più nessuno per curarlo, che importa?

Ci saremmo arrangiate da sole. Avremmo soffiato via le nostre lacrime dentro i fazzoletti e ci saremmo curate per conto nostro, mettendo un cerotto sui nostri ginocchi sbucciati.

Ma, soprattutto, ci saremmo rialzate insieme, noi 3, per continuare il nostro cammino.

E, forse, sarebbe stato tutto diverso.

 

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Buongiooooorrrnooo a tuttiiii (anche se diluvia...)!!!!!!!!!
E' passato un bel pò di tempo da mio ultimo capitolo di questa storia, l'ispirazione mi aveva abbandonato, quindi non potevo fare altrimenti che aspettare di vederla riapparire!!
Ebbene, non è tornata del tutto, da questo capitolo "forzato" lo vedrete bene...ho fatto fatica a scriverlo e, anche se è abbastanza soddisfacente, non lo è del tutto.
Vi devo lasciare perché devo andare a mangiare, sto morendo di fame!!! :P
Non so quando pubblicherò il prossimo...presto, tardi, mai...bo!!!!!!!! Spero solo che l'ispirazione mi torni completamente, illuminandomi con la sua luce divina!!
Un abbraccio a tutti!!
=Sony=
 

 

   
 
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