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Autore: NotFadeAway    06/05/2012    3 recensioni
Eileen sta cucinando tranquillamente, ha settantanni ormai, e non vede suo figlio da sei.
Poi arriva qualcuno e bussa alla sua porta.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Centinaia di sedie erano state disposte in lunghissime file e le persone iniziavano già a prendere posto.
Eileen si avvicinò e ancora una volta una donna con una cartellina e una piuma la fermò.
Per la terza volta le fu chiesto chi fosse e lei fu costretta a ricordare perché era lì.
Le fu detto di andare in una delle prime file e di prendere posto là.
Si mise in quarta fila, nel posto più in fondo, il più esterno, e aspettò.
Dopo mezz’ora tutta la gente accorsa ad Hogwarts aveva preso posto e la cerimonia poté iniziare.
Un omino vestito di nero, che si trovava su una sorta di palco (forse avrebbe dovuto chiamarlo altare), salutò l’assemblea e porse le sue più sentite condoglianze. Poi arrivarono.
Un centinaio di bare bianche filarono a mezz’aria lungo il corridoio centrale e si disposero nello spazio che intercorreva tra l’omino e il pubblico.
Non c’era musica, le uniche cose che si sentivano erano il respiro delle persone circostanti, colpi di tosse, qualcuno che si soffiava il naso, altri, molti, che piangevano.
Eileen, invece, era tra quelli che non fecero alcun rumore, le sue lacrime erano ancora una volta come gocce d’acqua sul pavimento, uscivano e cadevano in silenzio.
L’omino in nero cominciò con l’elencare tutti i nomi degli “eroi caduti” in ordine alfabetico. Tutti quei nomi che Eileen non aveva voluto leggere e quel nome che non aveva avuto bisogno di cercare furono scanditi a uno a uno. Il suono del nome di suo figlio le tolse un po’ di vita, se la sentì scivolare addosso e via appena fu pronunciato.
Le lacrime non si fermavano.
Assistette con occhio spento a tutta la cerimonia, senza sentire cosa realmente stesse dicendo quell’uomo, né vedere i suoi gesti.
Verso la fine, l’omino agitò la bacchetta e tutte le bare volarono alle sue spalle, dove erano stati scavate decine e decine di fosse, ognuna sotto una lapide.
Quando si alzò dalla sedia, udì le sue ossa scricchiolare assieme alle gambe di legno di quest’ultima. Sentì forte, in quel momento, il peso della vecchiaia, le sembrava che il suo corpo fosse un po’ più lontano, come se fosse in un sogno e non riuscisse  più a controllarlo come prima.
Non sentì l’erba fresca sfiorarle a tratti la pelle scoperta della caviglie. Non sapeva dire se gli sbuffi di vento sulla sua faccia fossero caldi o freddi. Non fu costretta a socchiudere gli occhi, quando il sole vi si riflesse dentro a forza.
Le voci attorno a lei si fecero ovattate e adesso sentiva solo i suoi passi rimbombare sul prato, mentre raggiungeva quello che era appena diventato un cimitero: una distesa di lapidi bianche punteggiava il parco di Hogwarts, intanto che figure in nero si disperdevano tra queste.
Eileen si trovò per la quarta volta la strada sbarrata da una donna con una di quelle stramaledette liste in mano.
-Prego?-
Eileen strinse gli occhi in due fessure, non le rispose e proseguì.
La donna non desistette.
-Signora, vuole gentilmente dirmi il suo nome? Chi sta cercando?-
-Faccio da sola, grazie – disse, in quello che era un ringhio.
-Lasci che la aiuti- continuò a inseguirla.
-Lasci che la mandi al diavolo, grazie- abbozzò un sorriso tirato, arricciando le labbra proprio come suo figlio.
La donna rimase lì, basita dalla risposta, e finalmente si arrese.
 
Eileen lo trovò da sola quello che stava cercando.
Suo figlio era sotto una lapide uguale alle altre.
La vecchia donna si avvicinò quasi zoppicando e, prima di mettere piede sulla parte di terreno appena smosso, si fermò.
-Ciao- disse e provò un forte desiderio di abbracciarlo. Ma di abbracciare cosa? Una pietra?
Rinunciò presto al pensiero di sedersi per terra, così fece apparire uno sgabello e vi si poggiò sopra.
Fisso per un attimo la lapide, poi si protese in avanti e avvicinò la mano, strisciando con le dita, seguì  il solco sulla pietra che tracciava il nome di suo figlio. La mano tremava, la vista era opaca e per un attimo non vide nulla, sentì solo la pietra sotto le sue dita.
Sopra quella scritta c’era una foto. Era abbastanza recente, Severus era in piedi e aveva la sua solita espressione impassibile. Eileen la conosceva bene e aveva imparato ad interpretarla. Ma perché avevano messo una foto in cui era così triste?
Si disse che non andava bene, così prese la borsa e vi frugò dentro. Alla fine da questa tirò fuori una foto, era vecchia, strappata e ingiallita, ma era perfetta.
Eileen la sostituì.
Ora il viso di quella lapide era un bambino, era piccolo, avrà avuto tre anni, non di più, e stava in braccio a sua madre, che vorticava, mentre lui rideva e si protendeva verso chi stava scattando quella fotografia.
-Almeno questo ricorderà a chi passerà di qui che adesso sei felice e che un tempo lo eri anche qui con noi-
-Già. Sono d’accordo- disse una voce alle sue spalle.
Eileen non ebbe bisogno di voltarsi per capire a cui appartenesse.
-Che cosa ci fai qui?-
Tobia si fece più vicino.
-Sono venuto a salutare mio figlio-
-Lasciaci in pace – disse Eileen, mentre ora sembrava fissare quasi con insistenza quella foto sulla pietra.
-Non mi concederai nemmeno questo?- disse Tobias, era stanco, credo.
-Perché dovrebbe esserti concesso qualcosa? Quando mai ti è importato niente di lui?-  ma la voce le si era abbassata sulla fine, quando si era girata e si era resa conto che anche Tobias sembrava essere diventato più vecchio nell’arco di una giornata.
-Hai ragione, Eileen. Non sono mai stato un padre, né pretendo di volerlo essere adesso. Non sono venuto in cerca di seconde possibilità, so che non si può tornare indietro. Volevo solo chiedergli scusa-
Eileen non rispose, ma tornò a guardare la lapide.
-Un…un ragazzo…vendendo qui, ma ha dato questo…- continuò lui, da una delle tasche della sua giacca cacciò fuori una fiala – Sono ricordi – disse, tendendoli a lei – I ricordi di tuoi figlio-
Eileen fissò quella fiala, poi guardò per un attimo il suo ex-marito e  la prese.
-Ha detto che era più giusto che li tenessi io. Invece io credo che sia più giusto che li tenga tu-
La donna si strinse al petto quell’esile contenitore di vetro e sentì la vita di suo figlio pulsare tra le sue mani.
-Va bene…io vado…- disse Tobias, rauco e si avviò, le mani in tasca, il capo chino, il terreno che scricchiolava sotto i suoi piedi.
-Aspetta- gridò Eileen.
L’uomo si arrestò.
-Rimani-
Tobias tornò indietro, mentre la vecchia signora si alzava dallo sgabello.
Eileen si avvicinò un poco e lo abbracciò. Non c’era nulla di romantico in quell’abbraccio, la donna stava solo abbracciando la persona più simile a suo figlio in quel momento. Tobias aveva esattamente il suo odore.
Dall’altro lato, con la faccia rivolta verso la bianca pietra, Tobias piangeva.
Il tre maggio era una splendida giornata di sole, la natura era più rigogliosa che mai.
Il tre maggio la terra era più leggera, molte persone erano volate via.
Il tre maggio era tutto più buio per centinaia di famiglie, che non riuscivano a vedere quanto sole ci fosse in realtà.
La natura se ne frega di quello che succede sulla terra, delle faccende degli uomini, lei prosegue il suo corso, perché lei sa che niente finisce, che le stagioni ritornano, che la vita continua, anche se tu non la vedi.
   
 
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