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Autore: Vitriolic Sheol    06/05/2012    2 recensioni
Tutti conoscono Edgar Allan Poe e le sue opere... Horror, Noir, Thriller e Mistero si intrecciano nelle sue storie... ma cosa accadrebbe se questi racconti venissero vissuti e raccontati dai protagonisti di Kingdom Hearts?
Genere: Drammatico, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naminè, Organizzazione XIII, Riku, Sora
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Altro contesto
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BERENICE



      “La miseria è molteplice.
L’infelicità sulla terra è multiforme.”
Edgar Allan Poe.      


Fin da ragazzo sono sempre stato attratto da ciò che la gente definiva “misticismo”. Le apparizioni spettrali, i fenomeni paranormali, gli avvenimenti inspiegabili hanno sempre stuzzicato la mia coscienza come un ghiottone può essere invogliato da un lauto banchetto, tanto da indurmi a trascorrere ore ed ore nella libreria di casa, immerso in trattati di alchimia, mesmerismo, stregoneria e molti altri.

Il mio nome è Axel. Quello della mia famiglia non lo voglio rivelare. Il nostro “clan” è conosciuto, e definito, come un insieme di visionari; e per alcuni dettagli, apparentemente insignificanti ad un occhio razionale, come gli affreschi della grande sala, i ninnoli sparsi per la casa ed i quadri presenti, tale convinzione sembra essere ben giustificata e con salde fondamenta. Vi è una stanza di questa immensa casa, a cui il mio animo è strettamente legato: nella camera verde sono forse racchiusi i miei ricordi più rilevanti. Qui ventidue anni fa, contemporaneamente io giunsi alla vita e mia madre alla morte; ed ogni volta che il mio sguardo osserva la mia stessa figura di fronte ad uno specchio, tale ricordo si impone imperiosamente nella mia mente tramite il colore delle mie iridi, di un sorprendente verde intenso e brillante. Immancabilmente, risuona nella mia testa la voce della balia, alle cui cure mio padre mi aveva affidato dopo la morte della moglie. Era convinta che i miei occhi avessero tale cromatura a causa della mia troppo elevata permanenza in quella stanza, permeata di tristezza, di lutto e di dolore.

Osservandomi attentamente, forse non erano solo parole insensate, pronunciate da una “popolana superstiziosa e bigotta” come la definiva mio padre; la mia persona non è completata da colori di gioia. I capelli ribelli, di una forma inconcepibile quanto bizzarra, sono color del sangue, un rosso così intenso da sembrare orrendamente vivo; simile per candore a quella dei cadaveri, è la mia pelle, scrigno di quegli occhi che molte fanciulle avevano definito “dalla superbia smeraldina”.

Ma ora sto divagando, e tale riflessione su me stesso potrebbe indurmi a non onorare lo scopo che mi sono prefisso di raccontare, in queste lugubri righe.

Roxas ed io eravamo cugini e crescemmo assieme in quella che fu la mia casa paterna. Nessuno avrebbe dato affidabilità all’informazione della nostra parentela, osservandoci di primo acchito: io ristagnavo nella mia malinconia ed in una salute cagionevole mentre lui, con il suo bel viso dalle gote rosee simile a quello di un angelo, incorniciato da capelli color del grano e meravigliosi occhi simili al cielo per limpidezza, era agile, vivace, traboccante di un’energia che pareva inesauribile, presente in qualsiasi ora lo si incontrasse. Miei erano gli studi e le letture protette dalla fresca ombra del chiostro, sue le interminabili passeggiate per le colline ed il bosco circostanti. Io vivevo incatenato alla mia mestizia, logorandomi l’anima e la mente in una lugubre meditazione, lui percorreva la vita spensierato, senza curarsi delle ombre sul suo sentiero o del fugace trascorrere del tempo

Oh, Roxas! Oh, mio adorato, giovane cugino! Anche il solo ricordare il tuo nome per riportarlo in queste righe mi provoca dolore! E’ ora dinanzi a me la tua immagine, nei tempi della allegrezza e della vivacità, magnifica e dolce creatura! Eri luce, eri ossigeno per il mio buio e soffocato cuore, acqua per la mia coscienza assetata, cibo per la mia anima affamata!

Ma poi … poi tutto è mistero e terrore, ed una storia che non dovrebbe essere narrata.

Il corvo spiegò le grandi e fosche ali, facendo ombra sul suo dolce cammino e, dal nulla, un male sconosciuto quanto fatale si abbatté su di lui, alterandone non solo la salute, ma anche la sua mente, le sue abitudini. Il suo carattere, in modo infido e subdolo, venne mutato fino alle più recondite identità della sua persona. Da quell’infausto giorno Roxas iniziò a subire un lento degrado fisico e psichico, sfociante in tremendi attacchi di epilessia che si concludevano in una catalessi che somigliava moltissimo all’effettiva morte.
Ma non solo Roxas fu colpito da tale disgrazia; io con lui intrapresi il medesimo percorso di decadenza: le mie facoltà speculative si indebolirono, passavo ore ed ore ad osservare e collezionare oggetti insulsi e frivoli, dalla più svariata natura, perdendo prezioso, irrecuperabile tempo. Tempo che avrei potuto trascorrere con Roxas.

E poi, una notte, l’orrore si manifestò ai miei occhi.

Ero seduto in biblioteca, da dove avevo sentito poco prima il pendolo del corridoio battere distintamente i dodici rintocchi della mezzanotte; pur essendo fermamente convinto di essere solo nella stanza, alzai lo sguardo dal libro in cui ero immerso e vidi Roxas ritto di fronte a me.

Al principio attribuii tale visione alla mia precaria psiche o al riverbero del fuoco nel caminetto, che poteva creare incredibili giochi di luce nella penombra della stanza, dal momento che la figura di Roxas si presentava a me con vaghi ed indistinti contorni, tremolanti come il fumo di una candela. Egli non pronunciava alcuna parola né mi guardava, dal momento che i suoi occhi erano chiusi; ed allo stesso modo nessun suono uscì dalla mia bocca, mentre un brivido gelido risaliva le mie membra pervadendomi con un senso di angoscia. Tutto ciò che potevo fare, era osservare la sua persona con occhi curiosi ed al contempo impauriti.

La fronte era alta, pallidissima ma stranamente immota come l’espressione del volto; ed i capelli, una volta più luminosi dell’oro, avevano assunto il colore spento della stoppa, con vaghe sfumature di rossiccio. Gli occhi erano ancora celati dalle candide palpebre ma d’un tratto, quasi come un automa con nuova carica, decise di schiuderle. Avesse voluto il cielo che io non li avessi mai visti o che, avendoli veduti, io fossi morto all’istante!

Il chiudersi di una porta interruppe quel lugubre silenzio, e nell’esiguo lasso di tempo che impiegai per voltare il viso verso la fonte di quel rumore, notai che mio cugino non era più presente all’interno della stanza. Ma non era uscito dalla prigione del mio cervello, nemmeno se avessi voluto scacciarlo volontariamente, l’azzurro intenso, orrendo spettro dei suoi occhi. Non vi fu ombra sul loro colore, intaccatura nella loro forma, deturpazione nel loro fascino, che quel breve momento del suo sguardo non fosse bastato ad imprimerli nella mia memoria. Io li vedevo ora anche più chiaramente di quanti li avessi visti allora. Gli occhi! Gli occhi! Essi erano ovunque, prima qui e dopo là, perfettamente visibili e tangibili attorno a me. Grandi, luminosi, esageratamente azzurri con le languide ciglia a contornarli.

Bramavo quegli occhi. Li desideravo con tutto l’ardore possibile. Tra i molteplici oggetti che mi contornavano io non avevo altri pensieri se non per gli occhi, ed essi divennero la sola ed unica essenza della mia vita mentale.
Li bramavo follemente! Sapevo che soltanto il possederli avrebbe potuto ricondurmi alla ragione, facendomi riacquistare la lucidità che avevo perduto.

Dopo un arco di tempo che non riuscii a quantificare, mi addormentai cadendo in un sogno burrascoso, dove l’inquietante fantasma degli occhi aleggiava in ogni cosa; quasi al concludersi del mio sogno sentii un alto grido di orrore a cui seguirono passi affrettati e voci concitate, accompagnati da lamenti di disperazione. Di colpo mi svegliai, alzandomi di scatto dalla poltrona e, spalancando la porta, vidi nel corridoio una domestica sciolta in lacrime che mi diede l’orrenda notizia.

Roxas era morto. Il mio amato cugino non era più.

Era stato colto dall’epilessia nel primo mattino ed ora, a metà della notte, la catalessi che poi l’aveva colpito si era trasformata nel sonno eterno della morte, che l’aveva avvolto mentre riposava nella camera verde.

La tomba era già pronta per accoglierlo. I preparativi per la sepoltura erano completati.


*****************************************

Mi ritrovai seduto nella biblioteca, nuovamente solo; avevo l’impressione d’essermi svegliato da poco, emerso da un sogno confuso e singolare.
Ero consapevole che fosse mezzanotte, come lo ero del fatto che Roxas era stato sotterrato al tramonto… ma di quel frangente non  avevo che confuse, vaghe impressioni, unite ad un irrefrenabile istinto d’orrore ed al suono di un lacerante ed acuto urlo di ragazzo, ancora rimbombante nelle mie orecchie.

Cominciai a  camminare per la stanza, in cerca di trovare un nesso logico a tutto questo finché il mio sguardo cadde sull’unico tavolo della stanza, dove ardeva una lampada, con accanto una piccola scatola. Dapprima mi sembrava non possedere nulla di particolare ed avevo la certezza di averla già vista prima di quell’occasione, poiché apparteneva a Vexen, il medico di famiglia.

Ma allora perché era nella stanza dov’ero io? Cosa l’aveva condotta alla mia presenza? E soprattutto… perché provavo orrore nel guardarla?

Avvicinandomi cautamente, mi accorsi che vicino alla scatola vi era un foglio dove erano stati vergati i versi del poeta Ebn Zaiat: “Mi dicevano i compagni che se avessi visitato il sepolcro dell’amica, le mie pene sarebbero state alleviate.”
Perché mai, mentre i miei occhi scorrevano quelle parole, i capelli mi si rizzarono sulla nuca ed il sangue mi si gelò nelle vene?

Un sommesso colpo fu bussato alla porta della biblioteca, lasciando entrare un domestico, silenzioso e felpato come un gatto; il suo sguardo era colmo di folle terrore, la sua voce flebile e tremolante.

“Signor Axel…”

Che cosa mi disse?  Non riuscii a comprendere appieno ciò che mi disse, in un discorso smozzicato, fatto da frasi singhiozzate. Egli raccontò di un grido selvaggio, esploso nel cuore della notte, a cui i famigliari si erano raccolti, volendo trovare la fonte di quel suono. Raccontò poi, con voce simile ad un sussurro, di una tomba violata, di un corpo sfigurato avvolto nel sudario, ma ancora palpitante, ancora vivo!

Egli successivamente, fissò lo sguardo sui miei abiti; erano pieni di fango e macchiati di grumi di sangue. Io non osai proferire parola, ed egli mi prese delicatamente la mano, facendomi notare che era segnata dalla profonda impronta di unghie umane. Convogliò poi la mia attenzione verso un oggetto, poggiato contro il muro: un badile.

Con un grido ferino mi gettai sulla scatola, ma a causa del tremito violento che mi pervadeva le mani non riuscii ad aprirla; essa cadde sul pavimento, andando in mille pezzi.

E dal suo interno, con un demoniaco tintinnio, rotolarono fuori alcuni strumenti di chirurgia oculistica, tra i quali spiccarono due globi oculari perfettamente tondi che rotolarono fino i miei piedi.

Quando si arrestarono, due sfavillanti angoli di cielo si fissarono sul mio viso.


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* angolo dell’autrice *

Axel eternamente depresso. Roxas “mister felicità”. Roxas che si ammala. Roxas che muore. Axel che profana la tomba di Roxas. Roxas sepolto vivo nella bara. Axel che strappa gli occhi a Roxas ancora vivo nella bara.

Ooooooh beh! Che dire? O.o

Non so se sono da internare più io che l’ho scritta o i miei personaggi!

Comunque, il vero motivo di questa cosa è il seguente: ho appena concluso di leggere per la trecentomilionesima volta i racconti di Edgar Allan Poe ed ho pensato: “beh, qualche racconto si potrebbe adattare ai nostri cari amici Nobody dell’Organizzazione XIII!" E così è nata quest’idea che ha come sfondo l’omonimo racconto di Poe. Non saranno complete riedizioni dei racconti dello scrittore (esempio: nell’opera originale il protagonista strappava i denti di Berenice, Axel ha optato per gli occhi del povero Roxas! u.u ) ma verranno rimaneggiate, tagliate, arricchite a seconda dell’esigenza.

L’idea che ho è di fare una raccolta di tutte queste one shot, ispirate proprio ai racconti di uno tra i miei scrittori preferiti!

Una curiosità (che non frega a nessuno, piuttosto ridammi i miei occhi! N.d Roxas) : inizialmente al posto di Roxas avevo contemplato l’idea di mettere Naminè o Larxene… ma poi, alla fine, non ho saputo resistere all’invitantissima idea di un AkuRoku (un po’ perverso, ma pur sempre AkuRoku) !!!!


Detto questo, attendo di sapere che ne pensate!

Ah, Roxas! *Roxas si gira: EH?!* I tuoi occhi! Tieni! * lancia gli occhi di Roxas chissà dove e il ragazzo si fionda a cercare di recuperarli*

Un saluto ed un inchino

Dark Rag Dancer
  
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