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Autore: barboncina85    07/05/2012    1 recensioni
Ci avevo dedicato la vita.
Allo studio, alla ricerca.
Ero il migliore, migliore negli esami, migliore negli orali.
Il meglio che riuscivo ad essere.
Niente vita privata, non mi serviva.
Niente feste.
Niente.
Solo lo studio e la ricerca.
Dovevo essere li migliore.
Glielo dovevo.
A lei.
A Isabella.
Ogni anno andavo a trovare la sua tomba.
Ogni anno trovavo sua madre più invecchiata.
Ogni anno mi facevo raccontare com’era, che sogni aveva, che destino si era scelta.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Final destination'
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QUESTA STORIA è IL CONTINUO DI Final Destination 
SO CHE DOVREI AGIORNARNE ALTRE MA CI STO LAVORANDO
UN BACIONE ALLA PROSSIMA!



Ci avevo dedicato la vita.
Allo studio, alla ricerca.
Ero il migliore, migliore negli esami, migliore negli orali.
Il meglio che riuscivo ad essere.
Niente vita privata, non mi serviva.
Niente feste.
Niente.
Solo lo studio e la ricerca.
Dovevo essere li migliore.
Glielo dovevo.
A lei.
A Isabella.
Ogni anno andavo a trovare la sua tomba.
Ogni anno trovavo sua madre più invecchiata.
Ogni anno mi facevo raccontare com’era, che sogni aveva, che destino si era scelta.
 
« Era una ballerina. Aveva il ritmo nella vene » mi diceva sua madre.
« Voleva danzare, e ammirava le pattinatrici, danzavano sul ghiaccio come fate sull’acqua » mi disse un altro anno.
« mi portava a vedere gli spettacoli di danza e mi promise che un giorno sarebbe salita anche lei sul palco. E avvenne, ma solo per dei saggi. » mi raccontò un altro anno.
E cosi via per dieci anni.
 
Oramai laureato, mi specializzai in ortopedia sportiva.
Giurai sulla bibbia, una tiritera che imponevano a qualsiasi dottore, ma mentre giuravo promettevo anche di essere ciò che gli altri non erano.
Il dottore perfetto.
Il dottore che prima di mettere le mani addosso ad un paziente sa quel che fa.
Il dottore che se si rende conto che la cosa è troppo grande per le proprie capacità, lascia il posto a qualcuno più bravo.
Io sarò questo dottore.
Lo giuro.
 
A trentuno anni ero già primario ortopedico.
Con immenso orgoglio di mio padre e di mia madre.
Ora, dopo diciassette anni, la dovevo ritrovare.
Come? Non lo so.
È il mio destino, e la troverò.
 
Cominciai a cercarla su internet, sotto il nome ballerina.
Tra le riviste di sport, cercando una diciassettenne emergente.
Ne trovai tante.
E mi dissi, che avrei cominciato raggiungendole.
Una ad una.
Non rendendomi conto che in realtà non avevo idea di cosa cercare.
“terminerò il mio destino” era quello che mi aveva detto.
Il suo destino era di diventare una ballerina.
O forse no?
 
La cercai per due anni.
Ne ero maledettamente convinto.
L’avrei trovata.
La cercai in America, in Europa, in Africa.
La cercai ovunque. Ma niente.
Ogni posto che visitavo, ogni ragazza che conoscevo non riusciva a suscitare in me niente.
Lo zero assoluto.
Che non fosse destino?
Che io, non fossi il suo destino?
 
Tornai a casa.
Venni riaccolto in ospedale come se fossi andato in giro per il mondo ad aiutare gli altri.
Invece l’avevo fatto per me stesso.
 
Passò un altro anno.
Mi ero arreso, non l’avrei potuta mai incontrare.
Non era destino Isabella, non era destino.
Continuai il mio lavoro, non riuscendo comunque ad andare avanti nella vita.
Mia madre era preoccupata, mio padre le diceva che avrei avuto tempo, ora dovevo pensare ad affermarmi come medico, e cosi fu.
 
Un giorno poi, mentre ero nel mio studio a controllare le cartelle dei pazienti entrò la mia segretaria.
« Dottore, posso disturbarla? » mi disse cortese.
« Certo Alice, dimmi »
Alice era una tirocinante, sembrava molto più giovane della sua età, dall’aspetto sbarazzino, sempre allegra e con il sorriso. Guardandola non si poteva far a meno di sorridere. Forse per questo l’ho assunta.
« è arrivata una paziente » mi porge la cartella.
« Diagnosi? » le chiesi aprendola.
« Un problema alla spina dorsale. Lamenta disturbi alle gambe »
Persi un battito, lessi velocemente la diagnosi del medico di turno e scattai in piedi neanche avessi una molla sulla poltrona.
« Marie Hans » lessi il nome sulla cartella « Che stanza? »
« 205 »
Alice non fece in tempo a dirmi il numero che ero già fuori dalla porta e corsi per le scale fino al reparto. Mi sarebbe venuto un accidenti se aspettavo l’ascensore.
Arrivai alla camera.
La porta chiusa.
Presi un respiro profondo e bussai.
« Avanti » una voce femminile mi invitò ad entrare.
Composto Edward, composto.
« Buon giorno, sono il dottor Edward Cullen » mi presentai e la ragazza era intenta a leggere una rivista, come alzò gli occhi, di un intenso color cioccolato, qualcosa dentro mi si sciolse come burro.
Era diversa da Isabella, i capelli erano mossi, il viso più tondo, ma il fisico sembrava identico.
Che l’avessi trovata?
Potevo davvero essere cosi fortunato?
« Buon giorno dottor Cullen » la voce le tremava.
Sono io Isabella, ti ricordi?
Era lei?
« Ho visto la sua cartella signorina Hans » prendo quella ai piedi del letto.
Cerco la data.
Isabella è nata il tredici settembre e morta il dodici luglio, qualcosa deve coincidere.
Marie Hans, vent’anni nata il 12 luglio.
Sorrido come un idiota. È lei!
« Il suo caso l’ho studiato affondo » le dico rimettendo la cartella ai piedi del letto.
« E’ grave? » la sua paura mi colpisce al cuore.
Che le dico?
Prendo la sedia, mi avvicino a lei e le afferro la mano.
È gelida.
La copro con l’altra.
« Vedi Is … Marie » la guardo negli occhi, lei arrossisce. « Il tuo caso è molto raro. Ci fu un'altra ragazza che aveva il tuo stesso problema … »
« E ora come sta? »
Dannazione!!
« Morì per un errore di valutazione » le sussurrai.
Sbarrò gli occhi trattenendo il respiro.
« Marie, voglio essere sincero con te. Quella ragazza purtroppo non ce la fece, ma tu, tu ce la farai. Perche proprio da quel errore che io sono qui »
« Tu eri li quando successe? » la sua voce era dura, quasi tagliente.
« No, c’era mio padre »
Un lampo le passò dagli occhi. Come una consapevolezza.
« Io non farò il loro stesso errore. Tanto per cominciare devo riportare la spina dorsale alla forma originaria, e per farlo ti devo operare. Dopo di che dovrai stare in assoluto riposo. »
Strinse la mia mano.
« Potrò tornare a pattinare? » mi chiese con gli occhi lucidi.
« Si, potrai tornare a pattinare, ma dopo un periodo molto lungo di riposo »
« Mi fido di te, Edward » mi disse semplicemente sorridendomi.
Potevo innamorarmi di un sorriso, potevo innamorarmi delle sensazioni che avevo, potevo innamorarmi di nuovo di lei?
Ma … era lei?
Come potevo esserne certo?
Come potevo dichiarare chiusa la mia ricerca?
Cercai di non pensarci.
Le coincidenze erano tante.
Lo stesso problema fisico, la stessa data della sua morte.
Gli stessi occhi.
Quando le presi il braccio, vent’anni fa.
 
“« Prendi me. Prendi me, lascialo » i suoi occhi erano pozzi di cioccolato, dolci e tristi, e tanto arrabbiati.”
 
Nei giorni che seguirono le feci tutti gli esami, le radio grafie, le tac che il caso richiedeva.
Il giorno dell’operazione non la feci entrare in sala operatoria, ma in una pre-camera, per evitarle lo shock di tutte quelle attrezzature che avremmo dovuto usare.
Le posizionai la mascherina sulla bocca.
« Respira, comincia a contare da dieci a uno » le dissi sistemandole la cuffia sopra la testa.
Fa un respiro profondo, non comincia a contare, solleva la mano con attaccati delle flebo e tocca la mia che mantengo la mascherina.
« Edward … » la voce cominciava a mancarle.
« Dimmi »
« Mi hai trovata … »
Fu solo un sospiro prima di addormentarsi ma che a me fece mancare un battito.
Era lei!
L’avevo davvero trovata!!
L’operazione durò nove ore, senza complicazioni di alcun tipo.
Dopo due ore dall’intervento era già sveglia.
Le spiegai com’era andata, che ho riposizionato la vertebra nella posizione originaria, che per evitare che si sposti ulteriormente, l’ho dovuta bloccare con una vite lunga sei centimetri con la vertebra di sopra.
 Ce l’hai fatta » mi disse sorridendo.
« Si, nessuna complicazione, liscio come l’olio »
Il suo sorriso aumenta « Mi sei mancato … » sussurra prima di riaddormentarsi.
Davanti alle persone non potevo dire niente, non potevo fare niente, ma ero ormai certo che in quei momenti, tra il sogno e la veglia, Marie sapesse chi ero.
Non riuscì più ad andare nella sua stanza, preso dagli impegni.
  
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