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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    07/05/2012    8 recensioni
Era quello che volevo, no? L’occasione giusta per mandare tutto all’aria e concedermi del tempo per me.
Avevo immaginato di mandare al diavolo il mio lavoro e la mia coinquilina tante di quelle volte che nemmeno ricordavo quando la mia insofferenza nei loro confronti fosse iniziata. Quello che non avevo immaginato, però, era di non intraprendere quel viaggio da sola; e che ad accompagnarmi sarebbe stata una delle persone da cui cercavo disperatamente di fuggire in quel momento: Edward Cullen.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Route 66

Now that I'm losing hope

And theres nothing else to show

For all of the days that were spent

carrying away from hope

Somethings I'll never know

And I had to let them go

I'm sitting all alone

Feeling empty

Paramore - Pressure

12. Who are you talking about?

Quando mi svegliai ero sola nel letto. Le tende erano state tirate per far filtrare la luce del mattino nella stanza, e gli unici rumori erano quelli del cinguettio degli uccelli e lo scrosciare dell’acqua nella doccia.

Mi girai a pancia in sù, verso il soffitto bianco, e in quel momento qualcosa iniziò a vibrare sul comodino dalla parte opposta del letto. Guardai la porta del bagno chiusa, da cui proveniva ancora ininterrotto il rumore dell’acqua, e poi strisciai sul materasso fino ad arrivare alla fonte di quel movimento: il cellulare di Edward.

Lo presi dopo essermi assicurata nuovamente che la porta del bagno fosse ben chiusa ed Edward fosse ancora sotto la doccia, e non appena lessi il nome della persona che gli stava telefonando provai una vaga sensazione di nausea. Lizzy.

Guardai il display per un lungo istante, poi aprii la chiamata, portandomi il cellulare all’orecchio, restando in silenzio. Non avevo intenzione di parlare, volevo solo sentire la voce di questa Lizzy, che aveva tormentato la mia notte insonne da quando Edward aveva pronunciato il suo nome nel sonno.

«Pronto? Pronto, Edward?», arrivò la voce dall’altro capo del telefono. Era una voce chiaramente femminile, ma per nulla familiare. Chi era quella donna?

«Edward…», sospirò la donna, non ricevendo alcuna risposta da me. Poteva sentire il rumore della doccia? «Ho capito perché te ne sei andato. Lo so che ti dispiace per quello che è successo fra di noi ma… se solo tornassi… io sono ancora qui che ti aspetto».

L’acqua della doccia venne chiusa e sussultai, facendo cadere il cellulare fra le lenzuola.

Chiusi la chiamata e sistemai il telefono di nuovo al suo posto, poi mi raggomitolai dal mio lato del letto, nascondendomi fra le lenzuola.

 

«Bella?», sussurrò Edward, scuotendomi leggermente la spalla, cercando di svegliarmi. Non gli ci volle molto: il sonno in cui ero caduta era più un dormiveglia che altro.

Riaprii gli occhi a fatica, e subito scorsi il suo viso chino sul mio. Era seduto sul bordo del letto, accanto a me, già vestito per andare via.

Lo guardai confusa, cercando di risvegliarmi completamente. Sentivo i muscoli dolere e la testa sull’orlo dello scoppio. Non avevo dormito niente quella notte, e quei pochi minuti di sonno erano stati disturbati dall’incubo di rispondere ad una chiamata ad Edward da parte di quella Lizzy.

Edward accarezzò la mia guancia con la punta delle dita, sfiorando leggermente le ombre scure che sicuramente marchiavano i miei occhi. Anche il suo viso era stanco e segnato dalle occhiaie, e mi chiesi quanto fosse stato ristoratore il suo sonno tormentato.

«Dobbiamo andare, le donne delle pulizie sono già venute a bussare», disse, mantenendo un tono di voce basso.

Allontanò la mano, preparandosi ad alzarsi. Lo fermai posando la mano sul suo viso, costringendolo a guardarmi.

«Stai bene?», gli chiesi, dando voce alla prima delle mie preoccupazioni. Edward coprì la mia mano con la sua e cercò di sorridere, ma i suoi occhi rimasero tristi e lontani.

«Certo, non preoccuparti», rispose.

Mi morsi la lingua, per trattenere la mia replica e le altre mille domande che stavano affollando la mia mente stanca. Non era il momento di interrogarlo, e non ero nemmeno certa che lui lo volesse: avrei dovuto aspettare che fosse lui a parlarmi di questa Lizzy, non potevo costringerlo a farlo contro la sua volontà. Ma sapevo anche che non sarei riuscita a resistere ancora a lungo prima di esplodere in mille interrogativi.

 

Il viaggio per tornare verso Flagstaff, da dove avremmo ripreso la Route 66, fu lungo e silenzioso. Il cielo era macchiato da diverse nuvole scure, che sembravano promettere pioggia: sperai solo che il tempo reggesse almeno fino a sera, in modo da poter prendere l’elicottero per raggiungere la riserva Havasupai nel pomeriggio.

Né io né Edward parlammo molto in auto: entrambi eravamo persi nei nostri pensieri, e mentre Edward si teneva sveglio sorseggiando una bibita energetica, io oscillavo fra sonno e veglia, risvegliandomi bruscamente e peggiorando il mio umore. Mi sentivo sull’orlo di una crisi isterica: mille domande continuavano a premere per uscire, infiniti dubbi si annidavano intorno al nome di Lizzy, e altrettante paure e paranoie non mi permettevano di riposare in pace. Mi era capitato solo una volta di vedere Edward piangere - in occasione del funerale della sua nonna paterna, tre anni prima - e non riuscivo a ricordare altre occasioni in cui l’avessi visto sull’orlo delle lacrime, tanto meno piangente come la notte precedente. Quell’evento mi aveva turbato più di quanto mi sarei mai aspettata. Edward non era mai stato il genere di persona incline a dimostrare i propri sentimenti in maniera eclatante, anzi, spesso si nascondeva dietro a maschere d’indifferenza che ero certa fossero in parte dovute anche al suo lavoro come cardiochirurgo; tuttavia, anche con me spesso cercava di nascondere le sue vere emozioni.

Non sapevo più cosa pensare: cos’era successo dopo che era uscito dalla stanza? Dove era andato? Aveva parlato con qualcuno, magari proprio con questa Lizzy? E, di nuovo, chi era questa donna, che rapporto aveva con Edward?

La parte più irrazionale di me trovava una sola risposta a quella domanda: forse era la sua nuova ragazza. Dopotutto era passato un anno da quando ci eravamo entrambi separati, e sebbene io non abbia avuto nessuna relazione di alcun genere con altri uomini dopo di lui non potevo sapere che cosa avesse fatto lui. Poteva anche essere un’infermiera o una collega di lavoro con cui aveva scelto di svagarsi dopo la nostra rottura. Quell’ipotesi mi faceva più male del previsto. Davvero si era gettato fra le braccia di un’altra non appena l’avevo lasciato?

Edward guidava tranquillo, come se nulla fosse successo, ma ogni tanto lo vedevo lanciarmi occhiate preoccupate, soprattutto quando il mio silenzio si prolungava per lunghi minuti, oppure mi risvegliavo sobbalzando.

Ci fermammo solamente a Seligman, una cittadina segnalata sull’itinerario di Edward per il famoso Delgadillo's Snow Cap Drive-In, un locale particolare in cui sostammo per pranzare: le pareti esterne erano decorate da tante insegne diverse, e davanti all’ingresso era posteggiata una vecchia Chevrolet con gli occhi sul parabrezza e il nome del locale dipinto sulle fiancate, e accanto ad essa c’era una vecchia pompa di benzina rossa. La cosa più strana però, era la porta: c’erano due pomelli, e il cartello appeso al vetro recitava “Sorry, we’re open”, una cosa che non avevo visto da nessun’altra parte prima di allora.

Quando dopo aver pranzato uscimmo dal locale, il cielo era diventato più scuro, e le prime gocce di pioggia stavano iniziando a scendere. Corremmo fino al furgoncino, giusto in tempo per ripararci dal diluvio che iniziò a imperversare sulla città. Per arrivare a Peach Springs, dove avremmo trovato la deviazione che conduceva a ridosso del canyon e al punto di partenza dell’elicottero, avremmo impiegato all’incirca una mezz’oretta, ma con la pioggia che scendeva dubitavo avrebbero continuato a fare viaggi su e giù per la riserva.

«Cosa facciamo ora?», chiesi, guardando le macchie d’acqua sul parabrezza.

Edward mise in moto il furgoncino. «Andiamo comunque al punto di partenza dell’elicottero. Se siamo fortunati nel giro di un’ora ci sarà abbastanza bello da riprendere i voli», mormorò, immettendosi nel traffico.

Appoggiai la fronte contro il vetro freddo del finestrino, e osservai il paessaggio scorrere al nostro fianco, la città sparire e venire nuovamente sostituita dal deserto. Le nuvole grigie si allungavano fino all’orizzonte, gettando sulla terra scura un’ombra buia. Il tempo sembrava riflettere il mio umore, in quel momento.

I minuti sembravano durare ore, e i dubbi non facevano altro che infittirsi. Stavo per impazzire. Non potevo più trattenermi.

«Cos’è successo questa notte?», sussurrai, osservando il suo riflesso nel vetro, senza guardarlo direttamente.

Lui rimase in silenzio per un lungo istante. Quando rispose la sua voce era priva di intonazione: «Ho avuto un crollo nervoso. Mi dispiace di averti fatto preoccupare».

Mi voltai a fissare il suo profilo. «Perché? Cos’è successo quando sei uscito dalla stanza?»

Le sue dita si strinsero intorno al volante, le labbra divennero una linea dritta. «Nulla. Sono solo andato a bere qualcosa al bar dell’hotel».

«E hai avuto un crollo nervoso perché hai bevuto?», replicai, facendogli capire dal mio tono che non gli credevo.

Edward rimase in silenzio. «Ho parlato con una persona», disse infine, con la voce bassa. «Mi ha fatto ricordare alcune cose che preferivo dimenticare».

Trattenni il fiato. Aveva parlato con Lizzy? «Ti ha telefonato qualcuno da casa?», domandai, sentendo la gola stretta in una morsa.

Edward aggrottò le sopracciglia. «No. Non mi ha chiamato nessuno. Era solo… un uomo seduto al bar come me, nessun altro».

Mi morsi il labbro. Stava dicendo la verità? Aveva davvero parlato solo con un uomo seduto al bar, oppure questa famosa Lizzy gli aveva telefonato e lui non voleva dirmelo per chissà quale motivo? Di certo non volevo dirgli di averlo sentito pronunciare quel nome nel sonno, e in quel modo non potevo accusarlo di star mentendo, né avevo un vero motivo per farlo; perché avrebbe dovuto mentirmi, oltretutto?

«Di cosa avete parlato?», tentai di chiedergli, sperando che avrebbe accettato di parlarne.

Edward scrollò le spalle. «Del nostro viaggio, di lavoro, del Grand Canyon. Cose in generale», mormorò.

«E quale di queste cose ti ha fatto avere un crollo nervoso?», insistetti.

Lui assottigliò lo sguardo, ancora puntato sulla strada. Deviò per una stradina sulla destra, allontanandoci dalla Route 66. «Niente in particolare», rispose.

Lo guardai accigliata. «Ma hai detto che quell’uomo ti ha fatto ricordare qualcosa che non volevi», ribattei, iniziando a perdere la pazienza.

Edward rimase in silenzio per diversi minuti, chiaramente intenzionato a non rispondermi. Quando parlò fu per farmi vedere lo strapiombo che costeggiava la strada priva di guardrail che stavamo percorrendo.

Non distolsi lo sguardo da lui. «Perché non mi vuoi dire cos’è successo?», gli chiesi, con un tono di voce che lasciava trasparire tutta la mia tristezza e delusione.

Mi sentivo inutile. Inutile e indesiderata. Io gli avevo raccontato i miei problemi senza riserve, gli avevo detto tutto appena lui aveva dimostrato un minimo di interesse nella faccenda, mentre lui aveva deciso di affrontare qualunque cosa stesse passando da solo, senza volere alcun aiuto da parte mia. Non aveva fiducia in me? Pensava che l’avrei giudicato? Oppure non voleva dirmelo perché c’entrava questa donna, che avrebbe potuto significare più di una semplice amica o conoscente per lui?

Edward fermò il furgoncino in un parcheggio con diverse altre auto e spense in motore. Si tenne al volante per alcuni istanti, poi mi guardò. «Perché non so come potresti reagire ad una cosa simile», rispose solamente.

Aggrottai le sopracciglia. «Intendi dire che credi che non sia in grado di gestire la cosa?»

Lui scosse il capo. «Aspettami qui, vado a chiedere se c’è la possibilità di riuscire ad arrivare alla riserva in giornata», disse, troncando il nostro discorso. Si guardò alle spalle, cercando qualcosa sui sedili posteriori. «Abbiamo un ombrello?»

«Ce l’ho dentro la valigia…», mormorai.

Lui allungò una mano per aprire la portiera e uscire, ma lo fermai, trattenendolo per un braccio.

«E allora cosa intendi dire?», insistetti.

Edward mi guardò per un istante. «Che non credo che mi guarderesti allo stesso modo se ti dicessi quello che è successo».

Non mi permise di replicare, perché uscì sotto la pioggia lasciandomi sola in auto con i miei pensieri.

Lo guardai dirigersi verso la roulotte che riportava il cartello della compagnia che dirigeva i trasporti in elicottero fino alla riserva, correndo per arrivare a ripararsi sotto la tettoia dalla pioggia scrosciante che sembrava non volersi fermare più. Un uomo corpulento apparve sulla porta, e li vidi parlare per diversi minuti.

Nel frattempo cercai di pensare a cos’altro dire una volta che sarebbe tornato, quali altre domande fargli per convincerlo in qualche modo a darmi maggiori informazioni su quanto fosse successo. Lui aveva paura che lo giudicassi in qualche modo, se avevo capito bene. Aveva paura di quello che avrei pensato una volta scoperto ciò che gli era successo. Ed ero certa che in tutta questa faccenda centrasse anche Lizzy.

Il sogno di quella notte tornò alla mia memoria, e mi chiesi se non stessi lasciando che fosse la mia gelosia a guidare i miei pensieri. Forse Edward non voleva raccontarmi cos’era successo con quella donna proprio perché temeva che la nostra relazione ne avrebbe risentito. Cos’avrei fatto se avessi saputo per certo che Edward aveva avuto una relazione con un’altra donna dopo che ci eravamo lasciati? Sicuramente mi sarei sentita tradita - anche se non avrei dovuto - perché inconsciamente speravo che Edward stesse subendo la stessa situazione di solitudine che stavo provando io. Sapevo che era sbagliato il mio ragionamento, che dopo che l’avevo lasciato Edward meritava di rifarsi una vita e di essere felice, anche se questo significava essere con qualcuno che non fossi io.

Quando vidi Edward tornare verso il furgoncino mi imposi di scacciare tutti quei pensieri, e cercai di stamparmi in viso un’espressione indifferente.

Appena richiuse la portiera si scrollò con le mani i capelli bagnati, lanciando in giro goccioline di pioggia e spettinandosi.

«Cos’hanno detto?», gli chiesi.

«Che se smette di piovere prima delle cinque ci possono portare fino alla riserva con l’ultimo volo, altrimenti dovremo aspettare domani», rispose.

Feci una smorfia, guardando il cielo scuro sopra di noi. Non sembrava intenzionato a smettere di piovere, e anche se avevamo ancora più di due ore di tempo prima che arrivassero le cinque non ero molto ottimista. «Cosa facciamo, allora?»

«Aspettiamo», disse, lasciandosi andare contro il sedile.

«Qui?»

«Dove altro potremmo andare? Piove a dirotto, e non ne vale la pena di tornare indietro per arrivare alla prima città che è a più di venti minuti da qui. È meglio se restiamo qui e riposiamo», mormorò.

Sospirai pesantemente, e sbadigliai. «Allora possiamo anche dormire».

Lui rise leggermente. «Direi di sì. Potremmo sdraiarci nel baule».

«Tu dici?», chiesi, perplessa. Guardai alle mie spalle, oltre il sedile posteriore, dove si apriva l’ampia zona del baule. In effetti c’era parecchio spazio, perfino Edward avrebbe potuto sdraiarsi senza dover piegare le gambe.

Prima che prendessi una decisione Edward si girò sul sedile, e dopo essersi inginocchiato scavalcò il suo posto, finendo sui sedili posteriori. Quando raggiunse il baule lo seguii, battendo la testa contro il tettuccio e facendolo ridere. Spostò le valigie ai lati, e recuperò il sacco a pelo da campeggio, stendendolo in mezzo per non farci restare sulla plastica fredda. Io tirai le tendine, per evitare eventuali sguardi curiosi da fuori la macchina - del resto eravamo pur sempre in un parcheggio, e non credevo che sarei riuscita a chiudere occhio sapendo che chiunque poteva vedermi passando a pochi centimetri da me.

Ci stendemmo insieme, restando vicini, spalla contro spalla. Il rumore della pioggia che sbatteva insistente contro il tettuccio era l’unico suono percepibile, e riusciva a rilassarmi.

Chiusi gli occhi, distrutta dalla notte insonne, desiderosa solo di poter riposare e porre fine al caos di domande e ipotesi che governava nella mia mente. In lontananza si sentì il rombo di un tuono.

«Mi spiace di averti tenuta sveglia stanotte», sussurrò all’improvviso Edward, strappandomi al sonno che stava per catturarmi. «Non avrei dovuto piombare nel letto in quelle condizioni e farti preoccupare. Scusami».

Sollevai le palpebre pesanti, voltando il capo per cercare il suo sguardo, puntato sul tettuccio. «Non devi scusarti», mormorai con voce assonnata.

Edward strinse le labbra, per nulla convinto dalla mia risposta. Mi girai sul fianco, avvicinandomi di più a lui, e posai una mano sul suo petto, sopra al cuore. «Tu puoi sempre venire da me, in qualsiasi condizione, okay? Non devi scusarti, né preoccuparti».

Finalmente i suoi occhi incontrarono i miei, e in essi lessi gratitudine e disperazione. Coprì la mia mano con la sua, e mi avvolse con un braccio per stringermi a lui. Poggiai il capo sul suo petto, chiudendo nuovamente gli occhi.

«Mi dirai mai cos’è successo a Chicago?», gli chiesi, mentre cercavo di resistere al bisogno di dormire, sempre più irresistibile.

Lui accarezzò i miei capelli, respirando profondamente.

Quando non rispose sussurrai ancora, già con un piede nel mondo dei sogni: «Aspetterò. Lo sai che non potrei mai giudicarti».

Mi addormentai mentre le sue labbra mormoravano un “grazie” contro i miei capelli.

 

Edward mi svegliò due ore più tardi, e quando scostai le tendine dei finestrini scoprii che in quel lasso di tempo le nuvole erano sparite, e che il cielo era limpido nonostante il sole si stesse già dirigendo verso l’orizzonte.

Mentre Edward raggiungeva nuovamente la roulotte per chiedere conferma della partenza dell’elicottero, mi occupai di estrarre un paio di cambi per passare la notte e la giornata di domani alla riserva: avevamo intenzione di pernottare presso l’unico albergo che c’era laggiù, e di portarci dietro una sola valigia per evitare carichi ingombranti.

Quando Edward tornò, dopo aver pagato il nostro viaggio ed essersi assicurato la prenotazione anche per il ritorno del giorno successivo, tirò fuori alcune cose dal suo borsone, facendo spazio per le mie e poi richiudendo il tutto, dopo aver aggiunto anche il mio ombrellino portatile per precauzione.

Aspettammo insieme ai due uomini della compagnia che gestiva i trasferimenti alla riserva, fino a quando sentimmo in lontananza il rumore dell’elicottero che risaliva dal fondo del canyon. Apparve quasi all’improvviso, e con una virata strettissima si posò quasi sul ciglio dello strapiombo, lasciando le pale in funzione. Da bordo scesero quattro persone, una famiglia in vacanza, probabilmente, e subito dopo il pilota ci fece segno di salire. Un uomo ci aiutò a sederci e allacciarci l'imbracatura di sicurezza, e assicurò il borsone sul retro, dopodiché chiuse il portellone, che aveva la finestra aperta. Infilammo le nostre cuffie anti-rumore, e per poco non urlai per lo spavento quando l’elicottero si alzò senza preavviso per gettarsi direttamente a capofitto nella spaccatura del canyon. Vidi la pietra rossa a pochi metri dal finestrino accanto a cui mi trovavo, e mi strinsi con forza alle maniglie accanto al sedile, stringendo i denti. Più in là, oltre alla distesa di boschi verdi, vidi il tratto serpeggiante del fiume Colorado, che tagliava a metà il canyon. Se non fossi stata troppo terrorizzata al pensiero di staccare le mani dalle maniglie probabilmente avrei scattato una fotografia a quel panorama mozzafiato. Il tragitto durò una decina di minuti, e quando finalmente atterrammo alla riserva ci ritrovammo circondati dalla natura e privati della luce del sole, ormai nascosto dietro le pareti rocciose che ci circondavano.

Edward prese il borsone, e insieme ci dirigemmo verso il centro del piccolo villaggio. Le strade sterrate erano circondate da alberi e panchine di legno, e in giro si potevano trovare anche animali come galline e gatti che giravano liberamente. Molti bambini si rincorrevano e giocavano a palla, mentre gli anziani li osservavano da lontano, intenti a chiacchierare fra di loro seduti all’ombra. La maggior parte delle strutture erano case di legno molto rustiche, e gli unici locali un po’ più moderni erano un piccolo bar-mensa e l’albergo, posizionati l’uno di fronte all’altro nella zona più centrale. C’era un’unica via che si divideva in due più avanti, e subito le case si facevano più rade e distanziate fra di loro. Si sentiva il rumore del fiume in lontananza, e il verso delle galline che giravano per le strade. C’erano pochissime automobili, e molte biciclette. Non c’erano pali della luce, ma solo alcuni proiettori postati sulla mensa e l’albergo, che illuminavano le facciate. Non osavo immaginare come sarebbe stato quel posto quando sarebbe calato il buio.

Andammo subito in albergo, e dopo aver lasciato giù le valigie nella nostra piccola stanza scendemmo nell’atrio, dove c’era solo un’altra coppia di turisti che si sarebbe fermata per la notte - del resto le camere disponibili in tutto erano solo tre, e dato il tempo terribile di quel pomeriggio probabilmente era normale non trovare molta gente.

Trascorremmo un’ora a girare per il piccolissimo villaggio, percorrendo i sentieri sterrati che conducevano fino alla riva del Colorado, di un colore così scuro che non mi invitava di certo a tuffarmici dentro. Quando il cielo iniziò a scurirsi e si avvicinò l’ora di cena tornammo in centro, e cenammo velocemente alla mensa, usufruendo del menù dell’albergo. Una volta terminato non avevamo molto da fare: sebbene entrambi fossimo stanchi - nonostante il riposo pomeridiano - non avevamo ancora voglia di andare a ritirarci in camera, però non c’era neanche niente da fare al villaggio. Non si poteva nemmeno passeggiare per le strade, completamente buie e illuminate solo a tratti dalle luci che filtravano dalle finestre delle case, così attraversammo la strada per tornare in albergo. Lì, sulla veranda, incontrammo tre signore anziane, sedute sui divani di vimini, intente a intessere uno strano filo intorno a cerchi di legno, e solo quando mi avvicinai di più, incuriosita, riconobbi quegli strani oggetti ancora in lavorazione come gli acchiappasogni.

L’anziana indiana mi guardò sorridendo. «Vorresti provare, cara?», mi chiese, gentilmente.

Arretrai di un passo, arrossendo. «Non credo di esserne capace», risposi, imbarazzata.

Lei sorrise ancora, appoggiando il suo lavoro incompleto sulle ginocchia. «Non dire così. Ti possiamo insegnare noi, non è difficile come sembra», disse. «Perché non vi sedete qui con noi a provare? Purtroppo qui al villaggio non abbiamo molti intrattenimenti per i turisti».

Guardai Edward, che scrollò le spalle, lasciandomi la decisione. Dopo un secondo di indecisione accettai la proposta dell’anziana, e mi sedetti su uno dei divanetti in vimini, seguita da Edward. Guardai gli strani oggetti sul tavolino di legno davanti a me, e poi le dita delle tre signore muoversi abili intorno al cerchio di legno per intessere una rete che sembrava quella di un ragno, con un perfetto buco al centro.

La signora che ci aveva invitati ci mostrò con pazienza i movimenti da svolgere per riuscire a tessere la rete, e diversi tentativi andati a vuoto e parecchie battutine di Edward sulla mia incapacità più tardi riuscii a raggiungere un risultato abbastanza accettabile. Nel frattempo le anziane signore si alternavano a raccontare la leggenda intorno all’origine degli acchiappasogni, che sarebbe stato creato da un grande maestro di saggezza di nome Iktome che apparve sotto forma di ragno ad uno stregone, a cui prese un anello di legno a cui erano attaccate perline e piume e gli tessé dentro una ragnatela; la rete avrebbe trattenuto i sogni e le visioni buone, mentre quelle cattive sarebbero state risucchiate dal buco al centro e sarebbero svanite per sempre. Ci dissero anche che secondo un’altra leggenda le piume nere rappresentavano i brutti sogni, e le perline quelli belli; ci raccontarono che ad alcuni indiani veniva regalato un acchiappasogni privo di ornamenti fin dalla loro nascita, e sarebbero stati poi loro a decorarlo in base ai loro sogni, e questo li avrebbe accompagnati per tutto il corso della loro vita.

Ascoltai le donne affascinata, e nel giro di un paio d’ore riuscii a terminare il mio acchiappasogni, con tanto di perline e piume nere.

«Hai tanti bei sogni, cara?», mi domandò la signora, quando terminai di sistemare l’ultima perlina nel cordino che pendeva dal cerchio.

Arrossii, ed evitai lo sguardo di Edward. «Ho tante speranze, non so se sono proprio sogni», mormorai.

Lei sorrise calorosamente, e mi batté una pacca leggera sulla mano, facendo oscillare l’oggetto. «Le speranze sono sogni, mia cara. Li si chiamano speranze solo perché spesso non si ha il coraggio di ammettere che sono qualcosa che si vuole con tutto se stesso, come i sogni».

Guardai il piccolo cerchio nelle mie mani, riflettendo sulle sue parole. Sapevo bene che significato davo ad ogni singola perlina, e mi chiesi se l’anziana signora avesse davvero ragione. Era davvero quello ciò che sognavo e desideravo con tutta me stessa?

«Vedo che hai anche dei brutti incubi, però», aggiunse, strappandomi ai miei pensieri.

Guardai con lei le due piume nere che pendevano solleticandomi la pelle dei polsi. Annuii leggermente, sperando che non indugiasse oltre e non chiedesse altro.

Fortunatamente, la sua attenzione venne dirottata da Edward, che aveva lasciato cadere una perlina sul tavolo, insieme alle altre.

«Oh, ragazzo, il tuo è un acchiappasogni davvero particolare», disse, con un tono di voce strano. «Sembra che gli incubi superino di gran lunga i sogni».

Seguii lo sguardo della signora, e osservai il cerchio di Edward: c’erano quattro lunghe piume nere come la notte che pendevano dal legno, e solo due piccole perline erano infilate in due laccetti.

Edward rimase in silenzio, senza incontrare lo sguardo di nessuno dei presenti. Dopo alcuni secondi alzò il viso, accennando un sorriso. «Un giorno forse potrò aggiungere qualche perlina».

Le anziane rimasero in silenzio, perplesse. Alla fine una di loro annuì e disse: «Lo spero per te, figliolo».

Poi lui si voltò verso di me. «Andiamo a dormire?», mi chiese, e capii dal suo sguardo che voleva scappare da quella situazione.

Annuii, ed entrambi ci alzammo dal divanetto, salutando calorosamente le tre signore che ci avevano tenuto compagnia per quella sera e ci avevano anche insegnato tante cose sulle tradizioni indiane. Subito dopo rientrammo in camera, restando di nuovo soli.

Edward ritirò immediatamente il suo acchiappasogni nel borsone, in una tasca laterale, quasi ansioso di volerlo nascondere.

Prima che potessi chiedergli qualcosa si chiuse in bagno. Quando uscì mi ero già preparata per andare a dormire, e avevo già tirato le coperte del letto sulle gambe. Lì sul fondo del canyon non faceva poi così caldo la notte.

Appena mi raggiunse spense la luce, facendo piombare la camera nell’oscurità totale. Non c’era alcuna luce quella notte che filtrava dalle tende delle finestre, e non c’era nemmeno la spia della televisione o la luce lampeggiante della sveglia. Eravamo completamente immersi nel buio. Se da una parte era un sollievo per i miei occhi, dall’altro quell’assenza di fonti di luce mi metteva a disagio.

Mi accoccolai sotto le coperte, cercando di avvicinarmi il più possibile ad Edward, per avvertire la sua presenza al mio fianco.

Dopo diversi minuti lo sentii muoversi, segno che poteva essere ancora sveglio.

«Edward?», lo chiamai, girandomi verso di lui.

«Sì?», rispose subito.

Ripensai alle diverse perline che avevo infilato nei nastri di pelle, ognuna per un sogno/speranza particolare che mi veniva in mente man mano che aggiungevo decorazioni all’acchiappasogni. «Davvero hai solo due sogni in questo momento?»

Lui tacque per un istante. «È così sbagliato?», sussurrò in risposta poi, e dal tono di voce sembrava quasi preoccupato.

«Non è sbagliato», mormorai, «è… strano. Pensavo che tutti avessero almeno una decina di sogni - anche irrealizzabili - nel cassetto. Per questo sono sorpresa».

Rise leggermente, ma la sua era una risata amara, che mi preoccupò. «E pensare che quelle due perline indicano già due sogni che sono irrealizzabili. Sono proprio messo male, eh?»

«Non dire così», borbottai. «Non puoi sapere se sono davvero irrealizzabili - a meno che tu stia sognando di far resuscitare Freddie Mercury, perché in quel caso devo darti ragione».

Lo sentii ridere di nuovo, e sorrisi a mia volta quando capii che la sua era una risata divertita e non più amara. Si mosse, e poi il suo respiro arrivò al mio viso, segno che si era girato verso di me. Passò un braccio sul mio fianco, arrivando a posare la mano sulla mia schiena. Mi avvicinò a sé, e mi accucciai contro di lui, inspirando il suo profumo.

«Forse hai ragione tu», sussurrò, sfiorando il mio naso con il suo.

«Ovvio che ho ragione», mormorai in risposta, facendolo ridere nuovamente.

Rimanemmo fermi così per diversi minuti, in silenzio, ad occhi chiusi e con le punte dei nasi che si sfioravano. Sarebbe bastato così poco per poterlo baciare. Mi sarebbe bastato inclinare un po’ la testa e le nostre labbra si sarebbero finalmente incontrate. Ma sapevo che non era ancora il momento. C’erano troppi dubbi e troppe domande ancora fra di noi, e non potevo rischiare di fare ancora errori con Edward. Non volevo.

Rimasi zitta a lungo, mentre cercavo di trattenermi dal dire e fare cose che sicuramente avrebbero rovinato tutto. Poi, alla fine, non resistetti più.

«Edward», sussurrai nel buio della stanza, e nel silenzio totale. «Chi è Lizzy?»

***************************************************

Il Diario di Bella - blog dove potete vedere immagini dei luoghi visitati nel corso della storia.

Buongiorno!! :D

Fortunatamente sono riuscita a finire il capitolo anche per oggi, e da settimana prossima in teoria non dovrei rischiare più di non arrivare puntuale per almeno un mesetto. Grazie a tutti per gli "in bocca al lupo" per l'esame! :*

Questo capitolo è più breve degli altri, anche perché è abbastanza di passaggio. Please, non mi uccidete per il finale XD

Il prossimo - se tutto va come ho in mente - sarà parecchio importante, vi consiglio di non perdervelo XD

Bon, scappo a studiare ç_ç

Alla prossima! :*

   
 
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