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Autore: LenahSalvatore    09/05/2012    0 recensioni
Il dolore è parte integrante dell’amore……ti fa crescere, ti cambia e fa diventare sempre più forti i tuoi sentimenti……il dolore per una perdita, un rifiuto, per essere stati mollati è ciò di cui si ha paura quando si ama ma se sarai forte ogni momento passerà e un angelo ti salverà facendoti capire che nulla è perduto……prendigli la mano e tenerla stretta perché anche quell’angelo un giorno potrà abbandonarti.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai tutta sudata, i capelli incollati alla faccia e il viso di Tania che mi guardava pieno di tensione e preoccupazione, mi alzai cercando di ricompormi, ma fu molto difficile visto le mie condizioni, mia madre non veniva mai in camera mia a svegliarmi e se mi sentiva urlare non veniva a controllare sapeva che erano gli incubi e non voleva vedermi in queste condizioni. Io – Tania non ti preoccupare sono sette anni che ho lo stesso incubo e tutte le notti urlo non devi venire qui, per favore! Odio che le persone mi vedano in questo stato, io sto bene non ti preoccupare! Tania – Marta credevo ti fosse successo qualcosa non potevo starmene lì buona! Sono venuta qui alle due di notte e tu ti stavi contorcendo nel letto, stavi sudando e urlando, non sapevo cosa fare! Cosa sogni? Io- Niente! Solo io che cammino da sola nella foresta! Non potevo certo dirle della malattia che mi uccideva mentre vagavo nella foresta, il suo viso si fece comprensivo e una smorfia di dolore le balenò sul viso, si alzò dal letto e uscì dalla stanza, meno male che ora potevo stare da sola. Mi alzai anche io e andai a prendere dei abiti dall’armadio, scelsi una innocua t-shirt nera, una felpa con il cappuccio grigio fumo e un paio di jeans scuri, presi dei calzetti neri e le mie solite scarpe da ginnastica e andai in bagno, ero talmente sudata che mi dovetti rifare la doccia non ci misi molto, appena uscita mi vestì e mi asciugai i capelli. Finita la solita routine andai in cucina, il solito quadro smielato era lì, non so perché ce l’avessi tanto con quello stupido dipinto ma ogni volta che ci passavo davanti mi dava inquietudine, forse perché mi ricordava quando anche la mia famiglia era così, cercai di non farci caso e entrai in cucina, Tania era già seduta che stava mangiando pancetta? Ma siamo pazzi? A colazione? Andai verso i fornelli e mi preparai del latte. Lei mi squadrava a ogni mio movimento, era ancora preoccupata? Non doveva vedermi ma del resto ora abitavo a casa sua come poteva non preoccuparsi se non aveva ancora dormito in una casa con me? Mi sedetti al tavolo mentre il profumo della pancetta mi dava dei conati di vomito, dovevo abituarmici prima di poter dire che non avrei vomitato: Io – Senti Tania non voglio più che entri in camera mia di notte non ti voglio più vedere così preoccupata, io ho sempre gli incubi ormai mi sveglio tutti i giorni così, non ti preoccupare sul serio! Lei fece un debole cenno con la testa e tornò a guardare fuori dalla porta-finestra qualcosa che la interessava, io finito il mio latte tornai in bagno a lavarmi i denti, appena uscì Tania mi si parò davanti con gambe e mani incrociate mentre mi osservava: Tania – La scuola è qui vicino comunque ci sono le indicazioni per arrivarci, la vice preside ti conosce già e vedrai che con i tuoi compagni andrà tutto bene io devo andare al lavoro per cui ci si vede questa sera! Feci uno dei miei deboli cenni di si e la salutai con la mano, lei uscì frettolosamente da casa e si chiuse la porta alle spalle, andai in camera mia e presi lo zaino, andai davanti alla porta e nella serratura c’era una chiave con un biglietto: “ queste sono per te, quella più piccola è di casa e quella più grossa è per il portone giù ciao e buona giornata”. Nel pensiero la ringraziai e mi diressi verso la scala, per fortuna mi sembrava uguale, avevo ancora paura di vivere in un incubo ma era la realtà, percorsi le scale di marmo e uscì dal portone, le strade erano umide per la pioggia caduta il giorno prima, nell’aria c’era ancora l’umidità ma da quanto sapevo qui a Londra non se ne andava mai tranne per quei pochi e rari giorni in cui c’era il sole. Come aveva detto Tania tra gli altri cartelli segnaletici c’era l’indicazione che mi serviva decisi che ormai dovevo seguirla non ero più a Bologna e ora dovevo buttarmici dentro totalmente, male che vada potevo continuare a fare la vita dell’associale che mi ero creata, sulla strada incontrai vari ragazzi che andavano nella mia stessa direzione, speravo che almeno dopo qualche giorno avrei imparato a riconoscerne qualcuno. Dopo poco tempo mi ritrovai davanti a un edificio molto imponente, davanti c’era una specie di giardinetto anonimo che non riusciva a contenere tutti gli alunni, mi tuffai dentro a quella massa informe di persone e provai a raggiungere l’entrata, arrivata davanti una ragazza mi fermò: Ragazza – Sei nuova immagino, non ti ho mai visto, se vuoi entrare devi suonare in quel campanello! Mi indico con la mano un puntino giallo sul muro, le sorrisi di rimando, era carina come ragazza, bionda, occhi azzurri, non molto alta ma magra, lei mi salutò animatamente e se ne andò, suonai il campanello giallo che mi aveva indicato, una signora mi aprì, era riccia con i capelli, era piuttosto bassa e portava gli occhiali. Donna – Si? Io- Sono nuova dovrei andare nell’ufficio della vicepreside! Mi guardò attentamente e poi sul suo viso comparve una smorfia di dolore seguita dalla compassione, mi indicò dove andare e si congedò per andare ad aprire gli altri alunni, mi diressi verso le scale di marmo che mi aveva indicato e girai subito a destra c’erano due porte, una con un cartello con scritto “ saletta polivalente” l’altro “ vicepresidi” . Andai nell’ultimo, prima bussai piano, poi una voce gentile mi fece accomodare, mi mostrò tutta la scuola e poi mi portò nella mia classe, era in fondo a un lungo corridoio vicino alle macchinette del cibo e alla scala di marmo, mi fece entrare in modo plateale, perfetto ora tutti mi fissavano la vicepreside se ne andò e mi lasciò lì da sola: Professore- Perché non ti presenti? Io – Mi chiamo Marta Delfini, vengo da Bologna in Italia e mi sono appena trasferita! Professore- Raccontaci qualcosa sui tuoi genitori! Non riuscivo a parlare, ecco uno dei miei argomenti tabù, uno degli alunni si alzò in piedi e prese la parola: Ragazzo – Professore non credo che sia una buona idea vede quella ragazza è sul giornale legga! No, ecco la cosa che non doveva succedere, il ragazzo portò il giornale al professore, intanto lo guardai accigliata, non era brutto, aveva i capelli bronzei leggermente lunghi tirati su con il gel, gli occhi erano castano d’orato, la pelle era candida, non si vestiva per niente male, il professore leggeva la mia storia sul giornale e poi mi guardò con compassione: Prof – Scusami tanto non lo sapevo! Alunna – Potremmo sapere la sua storia anche noi! Il professore e il ragazzo stavano per controbattere ma li fermai con un cenno della mano, ormai il dado era tratto tanto valeva raccontare la mia storia, provai a parlare ma all’inizio non ci riuscivo, Il professore e il ragazzo mi guardavano con compassione ma ci riprovai comunque: Io – La mia famiglia è affetta da una malattia degenerativa genetica, immagino che sappiate cosa sia, mio padre è morto sette anni fa a causa di questa e mia madre è morta due settimane fa per la stessa malattia, io sono destinata a finire come loro, non so quando mi colpirà! Ora tutti mi guardavano compassionevoli come se fossi condannata a morte poi la ragazza curiosa mi chiese: Ragazza – Cosa succede con questa malattia? Io – Colpisce il cuore, la persona lentamente ha dolori al cuore che nessuna medicina può alleviare fino a che il dolore non diventa talmente devastante da uccidere la persona, gli impedisce di respirare e per la troppa forza usata anche il cuore cede, è un processo piuttosto doloroso e non esiste morfina in grado di renderlo più piacevole, i dottori possono solo dirti di riposarti ma non serve a niente comunque voi potete stare tranquilli è una malattia genetica non esiste un virus in grado di infettarvi! Perfetto, dalla padella alla brace, ora si che tutti erano sconvolti, il ragazzo mi guardava come se vedesse un morto al mio posto : Ragazzo- Quando iniziano i dolori? Io – Quando non si sa! È una cosa naturale che colpisce quando più li pare comunque è più frequente se il cuore è sotto pressione! Ragazzo- Tu hai mai provato ciò di cui morirai, cioè hai mai avuto dolori al cuore? Io – Non credo sia interessante meglio tornare alla lezione! Io e il ragazzo andammo ai nostri posti, casualmente io ero vicina a lui, il prof in aula era quello di inglese, il suo nome era Mcaffy, era bravo nel suo lavoro, stava spiegando un argomento che avevo già fatto per cui non restai attenta per più di dieci minuti. Le altre ore passarono in fretta, non me ne accorsi neanche, alla fine della quinta ora decisi di andare in un posto tranquillo per riposare e per poter consolarmi in silenzio, durante la ricreazione avevo notato che il quarto piano dell’ala est restava quasi sempre vuoto, decisi di andare lì, come avevo sperato era vuoto, mi sedetti sul tavolo davanti alla vetrata appoggiato zaino e restai semplicemente lì con la mente vuota. Dopo qualche minuto arrivò il ragazzo dai capelli bronzei che si sedette di fianco a me: Ragazzo – Immaginavo che eri qui, quando ci siamo venuti avevi il viso illuminato! Cosa stava dicendo il mio viso erano anni che non si illuminava, forse lo aveva detto perché involontariamente avevo espresso con il viso un certo interesse per questo posto isolato: Ragazzo – Immagino che tu non ami molto la compagnia visto che te ne stai sempre da sola, comunque il mio nome è Daniel se hai bisogno di me dimmelo! Non lo stavo nemmeno ascoltando, guardavo fuori dalla finestra cercando una distrazione per evitare la conversazione con Daniel, ma non ci riuscì: Io – Non sono un tipo socievole mi dispiace, comunque grazie dell’offerta! Restammo in silenzio per un po’, perché lui non se ne andava? Perché non faceva come tutte le persone e mi lasciava pensare ai fatti miei da sola? Perché restava lì? Non ero per niente socievole anzi, per questo la gente mi stava lontana, perché lui no? Daniel – Perché prima non hai risposto alla domanda che ti ha fatto quella ragazza in classe con noi, comunque per la cronaca si chiama Angelina! Io- Perché in effetti quel dolore di cui vi parlavo lo provo ogni sera quando dormo, sogno di essere dentro a una delle foreste che visitavo da piccola con la mia famiglia, ma nei sogni sono da sola, il dolore mi sta per uccidere, mi accascio a terra, il dolore è insopportabile, sento i polmoni che si spengono lentamente, però sotto un certo aspetto sono felice perché so che non sono riuscita a infliggere questa pena ad un’altra persona, intanto il dolore continua, è insopportabile, sento che i polmoni cedono, non respiro più, il cuore fa l’ultimo battito sordo e io muoio da sola, come deve essere, poi mi sveglio sudata e più esausta di prima! Restammo di nuovo zitti, lui mi guardava con sguardo compassionevole, non lo sopportavo, odiavo le persone che mi guardavano in quel modo, ero una persona come le altre eppure senza neanche conoscermi tutti mi guardavano così, dopo qualche minuto mi alzai dal tavolo, presi il mio zaino e mi voltai verso le scale: Daniel – Aspetta che ti accompagno! Si alzò anche lui, io cercai di dirgli di no ma prima che riuscissi ad aprire la bocca me la bloccò con un dito, scendemmo le scale in silenzio, non mi volevo voltare verso di lui sapevo che se lo avessi fatto mi sarei arrabbiata e preferì non farlo, anche il tragitto fu piuttosto silenzioso, mi chiedevo se Tania fosse già rientrata o se tornasse a sera, lo avrei scoperto di lì a poco. Daniel mi salutò sulla soglia di casa accennando un debole ciao con la mano, probabilmente la mia storia lo aveva parecchio scosso, perfetto domani mi sarebbe stato alla larga, così anche l’unico amico che mi ero riuscita a fare mi avrebbe mollato, nessun problema, ero abituata a situazioni di quel genere, sarei rimasta indifferente come sempre. Salì le scale fino al terzo piano, giunsi fino alla fine del corridoio e aprì la porta di casa, stranamente quella porta era l’unica che si apriva con un basso dispendio di forza, la casa era vuota probabilmente Tania sarebbe tornata per cena, attraversai con deboli falcate il corridoio fino alla mia stanza, la porta sembrava più pesante del giorno prima, probabilmente la scuola mi aveva stancato. La mia camera era uguale a come l’avevo lasciata, il letto era ancora in disordine, però la mia scrivania era libera, vi appoggiai sopra la cartella e tolsi i libri da dentro, li misi al loro posto e mi fiondai in cucina, era vuota naturalmente, provai a vedere se nel frigo c’era qualcosa di commestibile, trovai solo un po’ di insalata e qualche carota, non sarei riuscita a fare un pranzo da re ma ha mangiare si. Mi avvicinai al cassetto delle stoviglie, presi un coltello e misi tutto sul tavolo, mi avvicinai a una delle tante credenze e presi uno scolapasta, da quello vicino presi del sale e del’’olio, tagliai l’insalata e ne misi una buona metà nello scolapasta, poi misi tutto sotto l’acqua gelida del lavandino Lascia l’insalata lì mentre sul lavabo di fianco tagliavo le carote. Tagliate le carote le misi nell’insalata, la scolai e poi la condii, presi anche un bicchiere e dell’acqua insieme ad una forchetta, mi misi a tavola e mangiai il pranzo che mi ero preparata, mentre mangiavo pensavo a quando mia madre mi preparava la pasta per pranzo, argomento sbagliatissimo, le lacrime stavano già scendendo involontariamente, cercai di memorizzare solo i gesti che faceva. Così se domani avrei dovuto farmi da mangiare da sola avrei potuto mangiare qualcosa di meglio, fu molto difficile, i miei ricordi erano per lo più offuscati dal pianto che non riuscivo a frenare, comunque le cose fondamentali le ricordavo, chiusi subito l’argomento mamma e mi concentrai sulle richieste che avrei fatto a Tania per la pasta e magari un ragù anche confezionato. Finito di mangiare la mia insalata lavai tutto in modo da non creare altro disordine, presi uno dei foglietti sul frigo e ci scrissi sopra le mie richieste quando Tania sarebbe tornata gliele avrei riferite, tornai nella mia stanza ma prima di riuscire ad entrarci il quadro smielato mi catturò l’attenzione, i miei occhi si fissarono di nuovo sulla famigliola felice. Questa volta i miei occhi non piansero ma facevano comunque male, li sentivo pungere, stavano per scattare le lacrime, mi voltai di scatto e mi fiondai in bagno, mi cercai di controllare, provai a distrarmi con le goccioline sulla doccia, l’effetto non fu immediato come speravo ma comunque mi tranquillizzai, tornai in camera senza guardare il quadro e mi chiusi la porta alle spalle. Andai subito alla scrivania e aprì il mio zaino, tolsi il diario e guardai se ci fossero compiti con cui distrarmi, no non ce n’erano, cosa potevo fare ora che non avevo niente con cui distrarmi? Ripensai ai milioni di dvd che Tania aveva nel mobiletto sotto la tv, ottimi per le distrazioni, andai subito in salotto, andai al mobiletto e cercai qualcosa, erano tutti film di storia d’amore, cercai più affondo, non potevo certo rischiare una delle mie solite crisi. Sul fondo c’era qualche dvd horror, ottimo così mi sarei distratta, ne pescai uno a caso senza osservare il titolo, lo misi subito dentro al lettore dvd e accesi la tv, era come essere dentro di essa, il film parlava di demoniaci alieni invasori che stavano distruggendo la terra entrando nel corpo degli umani e distruggendoli dall’interno, le scene erano per lo più cruenti, ciò mi distrasse da i miei problemi per circa due ore. Quando il film finì ero leggermente più rilassata di quando ero entrata in casa, ora però non sapevo cosa fare, Tania sarebbe tornata solo tra un’ora e io ero seduta sul divano, provai a pensare a qualche possibile svago, il computer era escluso, non potevo rischiare di leggere ancora quello stupido articolo, i film erano troppo lunghi e non avevo compiti. Per fortuna Tania quella sera decise di rientrare mezzora prima così non dovetti inventarmi grandi cose, quando entrò ero ancora seduta sul divano a fissare i titoli di coda del film che avevo appena visto, senza accorgermene avevo messo indietro di qualche minuto il film ogni volta che i sottotitoli sparivano, Tania entrò nella stanza e mi osservò. Dovevo sembrarle uno straccio perché aveva quello sguardo indagatore, o forse stava solo studiando la mia espressione e il mio umore, raggiunse il lettore dvd e tirò fuori il film che avevo appena visto, la sua faccia era sconvolta, probabilmente aveva visto il titolo e si stava chiedendo perché non avessi una faccia sconvolta: Tania – Perché sorridi? Io? Sorridere? Siamo matti! Non appena disse quelle parole mi accorsi che effettivamente stavo sorridendo, allora i miei muscoli della faccia non si erano impietriti, potevo effettivamente ancora sorridere, mi ricomposi, tornare alla mia solita smorfia di dolore fu più difficile del previsto, probabilmente il mio inconscio voleva ricordare quel gesto così estraneo. Quella sera cenammo con cotoletta e patatine fritte, finito come al solito la aiutai a lavare tutto, quella sera non parlammo, non mi fece domande e io non dovetti così rispondere, non avevo voglia di ascoltare musica così presi il pigiama e andai in bagno, mi lavai, mi asciugai e mi lavai i denti, mi misi il pigiama e andai in camera, mi buttai sotto le coperte e ripresi il mio solito incubo. La foresta mi opprimeva e la malattia mi uccideva, il cuore stava cedendo come i polmoni, il dolore mi aveva atterrato, il terreno si stava facendo bianco, tutto perse colore, la morte mi si avvicinava.
  
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