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Autore: Daifha    09/05/2012    3 recensioni
[Prima parte] "Neppure per un secondo avevamo avuto la presunzione di sperare che Matt fosse ancora vivo: si era sacrificato per noi, questo era quanto."
[Seconda parte] "Il silenzio continuò a regnare in quei giorni, rotto soltanto dai gemiti strozzati di Mello, dallo strusciare delle coperte, dallo scoppiettio del fuoco. Fissavo le onde che le luci del fuoco proiettavano sulle pareti, ballavano e sembravano annullarsi a vicenda l’una sull’altra, dando vita a vampate nuove e più grandi, e tutto quello non faceva altro che farmi pensare al dolore che Mello stava provando. Avrei voluto essere io al suo posto. Mi sentivo morire più e più volte, ammattire e poi morire di nuovo."
[Terza parte] "Ma non feci niente di questo. Non mi crogiolai nel dolore, non dormii tranquillo, non pensai a quello che mi aspettava l’indomani, non ne fui capace. Quelle prima notte nella mia nuova casa, della mia nuova esistenza, la passai a ricordare, a fare sorrisi tristi e illudermi che, forse, ora Matt e Mello erano in un posto migliore, insieme e felici. Ricordai tutto, quella calda notte.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello, Near
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Get involved - Seconda parte

 

Mello sembrava impazzito.

Erano passati un paio di mesi da quando avevamo seppellito Matt, dietro quella stessa casa in cui gli uomini neri lo avevano ucciso, e per quel breve periodo eravamo riusciti a cavarcela spostandoci continuamente, abbandonando ogni rifugio che riuscivamo a trovare dopo appena qualche giorno da che vi eravamo arrivati. Il più delle volte, nemmeno un paio.

Di tanto in tanto Mello si chiudeva in se stesso più di quanto già non facesse, portandosi le ginocchia al petto e appoggiandovi sopra la fronte, e io restavo a fissare i suoi capelli biondi - quegli stessi capelli su cui spesso Matt scherzava - sparsi sulla schiena, divisi a metà dalla linea del collo, il più delle volte arruffati e sporchi. Restavo a guardarlo e mi crogiolavo nella mia inutilità e stupidità. Se ci fosse stato Matt, se solo ci fosse stato lui al mio posto, probabilmente la situazione sarebbe stata diversa, e Mello non avrebbe dovuto scontrarsi con tanti sensi di colpa, che, ne ero sicuro, gli attanagliavano il cuore facendoglielo battere in maniera tanto opprimente da risultare odiosa. Lo sapevo, perché anch’io sentivo quelle stesse emozioni scalpitare nel petto e aggredirmi la gola, stringendomela e impedendomi quasi di respirare. In quei momenti, la voglia di piangere era grandissima.

Però mi trattenevo, perché non volevo che Mello si sentisse in colpa anche per la mia di tristezza, volevo affrontare da solo quel batticuore e quell’angoscia.

Spesso, se non si addormentava in quella posizione, passava poco prima che Mello si riprendesse, alzasse lo sguardo, deciso, forte, con gli occhi fiammeggianti e puntasse dritto, rialzandosi, offrendomi una mano per tirarmi in piedi, evitando i miei di occhi, e riprendendo la strada.

Ed io gelosissimo di quella sua forza, di quella sua straordinaria capacità di rimettersi in cammino nonostante il dolore e il senso di oppressione. La volevo anch’io, con tutto me stesso. Ma l’unica cosa che ero capace di fare era afferrare la mano che mi veniva tesa, tenere lo sguardo fisso a terra, e andargli dietro incerto, goffo e distrutto nell’animo.

Era devastante.

 

Poi avvenne, in maniera tanto improvvisa che non ebbi in alcun modo il tempo di reagire. Era maggio, faceva caldo ed entrambi sapevamo che non avremmo retto ancora molto, che avevamo bisogno di riposo se volevamo continuare a camminare. Per fortuna, potevamo permetterci una pausa. Eravamo in un campo di grano, e le spighe alte ci coprivano abbastanza da darci un riparo, almeno per quella notte, perciò ci accampammo, io appoggiai lo zaino vicino, e Mello si accovacciò sull’erba a gambe incrociate, nello sguardo un velo leggero di incoscienza e sonnolenza.

Avevamo entrambi gli occhi stanchi, sentivamo le palpebre cadere e il desiderio di addormentarsi e poter, seppur per poco, dimenticare ciò che ci circondava, eppure lessi qualcosa di sbagliato in quello sguardo, qualcosa di troppo o qualcosa di meno, qualcosa che non era normale. Gli occhi erano vacui, fissi su di me e appannati, quasi surreali tanto erano chiari e gelati.

Mi sporsi verso di lui, allungando una mano tremante per scuoterlo, ma prima che potessi fare qualunque cosa, lui me la bloccò, stringendo forte il polso e spaventandomi maggiormente. La sentii subito, la paura, perché era ovvio che qualcosa non andava in quel suo comportamento.

Tentai di scansare la mano, lo feci con quanta forza potessi imprimere in quelle piccole braccia che avevo, ma la stretta si fece più forte e il viso di Mello si incrinò appena. Allora cominciai a tremare.

Come una foglia ancora appesa all’albero, il balia del vento che deve solo scegliere il momento opportuno per trascinarla via, avvolgerla e farla danzare con crudeltà avvolta dalle sue spire. Come quella lepre che avevamo catturato, costringendola in un angolo, e che poi non avevamo avuto il coraggio di uccidere. Semplicemente, tremavo.

Mello mi prese anche l’altra mano, e le schiacciò contro il suolo, costringendomi a sdraiarmi di schiena, con le spighe più basse che mi pungevano le spalle, mentre lui mi sovrastava, con l’espressione neutra e la bocca leggermente incrinata verso l’alto, in un sorriso per niente rassicurante.

Tentai ancora di divincolarmi, scalciando e muovendo il bacino, ma non serviva a nulla, davanti alla forza nettamente superiore di Mello, e lo sapevo, eppure ancora provavo e quasi mi facevo male da solo. Avevo paura, non tanto per i gesti del mio amico, quanto per l’espressione indecifrabile che gli solcava il volto, dandogli follia e allo stesso tempo una disperazione profonda.

Lo vidi abbassare il volto, lo sentii appoggiare le labbra ancora curve sul mio collo, percepii l’odore di sporco dei suoi capelli che mi solleticavano il naso. Spalancai gli occhi e sussurrai “Mello…”, con le prime lacrime a bagnarmi le ciglia bianche e a rigarmi le guancie arrossate. Avevo paura e avevo caldo, sentivo di non poter far nulla per oppormi alla lingua di Mello che percorreva lasciva la mia pelle e allo stesso tempo desideravo infinitamente allontanarmi da quel tocco che di dolce non aveva proprio nulla. Tutte le emozioni erano di nuovo, come quell’orribile notte in cui Matt morì, buttate addosso, insite e straripanti dal mio petto, e si mischiavano, mi facevano tremare, si compattavano a creare un unico rimbombo che mi riempiva le orecchie e mi opprimeva terribilmente, scorrendo nelle mie vene e facendo scalpitare il mio cuore come una belva che brama la sua preda.

La lingua di Mello era ancora lì, a bagnarmi e gli schiocchi di saliva si alternavano con veloci baci. E alla fine atterrii completamente quando quel sussurro, quel soffio che raggiunse il mio orecchio tra i leggeri gemiti di Mello mi trapassasse il cuore bloccando ogni emozione. “… Matt.”

Solo in quel momento capii con orrore quanto profonda fosse davvero la disperazione di Mello. Lo percepii, sulla mia stessa pelle, mentre lui si strusciava in cerca di calore - perché di calore si trattava, e non di desideri più profondi -, sospirando e sussurrando il nome del nostro amico morto, distinsi i suoi sentimenti dai miei e lasciai che la consapevolezza mi distruggesse dentro.

Quella notte, di due mesi prima, quando ci eravamo consolati a vicenda, piangendo l’uno sulla spalla dell’altro, avevo percepito i battiti del cuore di Mello, e avevo pensato che fossero gli stessi sentimenti che scuotevano il mio a farlo scalpitare tanto, ero sicuro che provassimo le stesse emozioni, la stessa tristezza, la stessa paura.

In quel momento però capii che non era vero, compresi quanto la disperazione di Mello fosse superiore e più profonda della mia, insita nel suo cuore, uccidendo da dentro il suo stesso spirito.

Quel sussurro mi aprì gli occhi, perché se fin a quel momento ero convinto che la tristezza che provavamo fosse condivisa in modo equo, lì sentii che io ne sopportavo ben poca rispetto a quella che rinchiudeva e oscurava l’animo di Mello. Era così, ed ero stato stupido a pensare di poter portare un tale peso sulle mie spalle, senza prima verificare effettivamente quello che era invece lui a trascinarsi dietro. Mello amava Matt.

Lo amava come me, ma in modo diverso, più profondo e scavato. Il pensiero di Matt era la sua costante, il suo unico punto di riferimento, ciò che gli aveva permesso di andare avanti continuamente.

Da quando poi era morto, aveva provato a scacciare con quanta forza avesse in quel suo corpo magro e denutrito quell’angoscia e quella disperazione che, rinnegata in quel modo, non faceva che distruggerlo lentamente da dentro, oscurando completamente il suo cuore alle sensazioni e alle emozioni che non desiderava. Si era chiuso in una barriera, si era protetto da dentro, e aveva continuato ad ammassare quel miscuglio di emozioni in un unico angolo del suo animo. E alla fine, semplicemente, era esploso.

Quando finalmente compresi quanto la disperazione di Mello fosse grande e come fosse traboccata, tramite quei gesti, quel ghigno di follia, quei sospiri non suoi, smisi di aver paura. Lasciai semplicemente che facesse, abbandonai quell’inutile tentativo di liberarmi, rilassai i muscoli e chiusi gli occhi. Sentivo ancora i miei polsi schiacciati contro il terreno, la schiena punzecchiata dalle spighe, Mello che si sfregava sui miei abiti e i suoi capelli abbandonati sul mio collo. Sapevo che non mi avrebbe fatto nulla di male, lo capivo da come quei gesti avevano cominciato a diventare ritmici e calcolati, e dalle lacrime di Mello che calde mi bagnavano il petto e il collo. Non era fiducia, solo intuito e comprensione dei fatti. Mello era innocente, innamorato di Matt, non di me.

Quando smise di muoversi, lo sentii lasciarsi completamente andare su di me, appoggiandosi e smettendo di fare pressione sui polsi arrossati. Ancora sussurrò “Perché non sei Matt?”, poi chiuse gli occhi e si addormentò, ormai sfogatosi da tutte quelle opprimenti emozioni di tristezza.

Non mi sentii colpito affatto da quelle parole, forse perché sapevo già che pensieri si annidavano della mente di Mello, sapevo già che io non era Matt e, soprattutto, sapevo già di non poter in alcun modo sostituirlo nel suo cuore.

Mi assopii così, e Mello, nonostante fossi più piccolo di lui di corporatura, non mi pesò affatto addosso, anzi, mi donò un senso di calore e tranquillità a cui ormai avevo rinunciato da tempo.

 

 

Quello sfogo aiutò molto sia me che Mello. Da quel giorno riuscimmo ad andare avanti più tranquilli e leggeri, anche se ancora il dolore per la perdita di Matt si sentiva forte e continuava a bruciarci nel petto. Mello non mi chiese scusa se non prima di un paio di giorni, probabilmente più per parlare ed evitare di addormentarsi che altro - dovevamo rimanere allerta per un po’, prima di poterci lasciar abbracciare da Morfeo, nel caso gli uomini neri ci avessero seguiti.

Ora, la preoccupazione maggiore era diventata trovare di che nutrirsi e un buon posto dove riposarsi. Parlavamo poco e di cose riguardanti la situazione attuale di viveri e possibilità di accamparsi, e i silenzi riempivano gran parte delle giornate, eppure io notai subito che Mello aveva cominciato a proteggermi, seppur in modo velato, come a voler seguire le orme di Matt. Questo mi terrorizzava, ma allo stesso tempo mi permetteva di capire che, nonostante i sentimenti molto più forti che provava per Matt, anche io occupavo un posto importante nel suo cuore. Quasi mi veniva da sorridere a quel pensiero, ma mi sembrava ingiusto e stupido, perciò ogni volta mi trattenevo.

Andò avanti così per due anni, nella solita monotonia e nel solito terrore di essere scoperti.

Poi, così come Matt, anche Mello se ne andò.

 

La casa che avevamo trovato per accamparsi era grande e disabitata. Ci sembrava quasi un sogno, eppure nessuno ci aveva seguiti, di questo ne eravamo sicuri, e le porte erano metà a terra e metà penzolanti, come ad invitarci ad entrare.

I pavimenti erano in marmo e l’abitazione era circondata da un giardino verde e incolto, straripante di erbacce e alti alberi, come una piccola villa. Le finestre erano sbarrate da grandi assi di legno marcio, e nell’aria c’era un tanfo terribile di muffa. Ci sembrò una reggia.

Vi entrammo non senza un po’ di agitazione e ci guardammo attorno. Era buio, ma c’era un piccolo camino pieno di legno che poteva fare al caso nostro. Non ci azzardammo al secondo piano, sarebbe stato uno spreco di energie e inoltre non sapevamo in che condizioni versasse la casa, e, per quanto robusta potesse sembrare, non volevamo correre il rischio di vedercela crollare addosso. Ci limitammo a lasciare la nostra roba in un angolino al buio mentre ci adoperavamo per accendere il fuoco. Ma prima che ci riuscissimo, vidi Mello chiudere gli occhi, lentamente, piegarsi sulle ginocchia e cadere a terra, con il viso arrossato e la fronte terribilmente calda. Aveva la febbre, alta, e io mi sentii più spaesato che mai.

Lo feci sdraiare vicino al fuoco appena riuscii ad accenderlo, bagnando un pezzo di stoffa che trovai in giro - nel giardino c’era un piccolo stagno, freddo e maleodorante - e lo posai sulla fronte di Mello, sperando che quel poco potesse bastare a far calare la temperatura. Mi addormentai con la testa poggiata sul suo petto, mentre il fuoco bruciava nel camino creando sinistri giochi di luce sulle pareti.

Andò avanti così per più di una settimana, ogni sera accendevo il camino, più spesso cambiavo la pezza sulla fronte di Mello, ogni volta speravo che migliorasse. Per mangiare ci arrangiavamo con i due frutti che miracolosamente sembravano crescere in quel giardino, anche se Mello raramente mangiava, spesso addormentato o troppo nauseato per poter rischiare di addentare una mela e vomitarla l’attimo dopo. Non voleva sprechi.

Le sue guance erano sempre più rosse, e i momenti in cui era desto e lucido rarissimi. A volte si limitava a tenere gli occhi spalancati fissi sul soffitto, mentre gemeva in preda a strani dolori, a sua detta. Io ripresi ad avere paura, e mi rannicchiavo fissandolo dall’altro lato della stanza, lontano, mentre lo sentivo gemere e lo vedevo sfregarsi i piedi con forza come se potesse attutire il dolore. Non riuscivo a piangere, anche se la voglia era tanta. Quando mi alzavo scostavo subito lo sguardo, ribagnavo il pezzo di stoffa e glielo riporgevo, andando a ravvivare il fuoco. Sentivo lo sguardo di Mello fisso su di me, mi metteva in soggezione e non mi lasciava ragionare su quel che facevo. Ero sicuro che mi odiasse, pensando che lo stessi trascurando e che non ricambiassi quelle attenzioni che lui prima aveva con me, nel proteggermi.

Io invece mi sentivo semplicemente confuso. Non sapevo che fare, avevo paura, tremavo, e la mente era offuscata da mille pensieri, funesti, orribili, di un futuro breve e doloroso. Avevo paura di peggiorare la situazione di Mello, e mi tenevo alla larga perché ero convinto che la mia vicinanza potesse irritarlo, per la mia inutilità.

Il silenzio continuò a regnare in quei giorni, rotto soltanto dai gemiti strozzati di Mello, dallo strusciare delle coperte, dalla scoppiettio del fuoco. Fissavo le onde che le luci del fuoco proiettavano sulle pareti, ballavano e sembravano annullarsi a vicenda l’una sull’altra, dando vita a vampate nuove e più grandi, e tutto quello non faceva altro che farmi pensare al dolore che Mello stava provando. Avrei voluto essere io al suo posto.

Mi sentivo morire più e più volte, ammattire e poi morire di nuovo.

 

Quando mi svegliai il nono giorno, regnava il silenzio. Mi ero addormentato sempre nel solito angolino lontano dal camino, del fuoco della sera prima rimaneva solo il carbone bruciato e ancora caldo, e davanti Mello era fermo, immobile, il volto e le mani completamente bianchi. Il pezzo di stoffa bagnato era scivolato di lato, e ora si trovava per terra, scomposto, mentre la coperta era raggomitolata in fondo, tra i suoi piedi freddi.

Il rossore sulle guance era scomparso, lasciando posto unicamente ad un colore cadaverico, mentre la frangia gli copriva gli occhi chiusi, cerchiati di nero per la stanchezza e la bocca socchiusa asciutta. Tutto era innaturalmente immobile, non c’erano scatti, e il suo torace aveva smesso di alzarsi ed abbassarsi ritmicamente.

Sorrisi. “Sei morto, vero?” da quanto tempo non sorridevo? Due anni, forse tre. Mi alzai con le gambe tremanti e lo ripetei “Sei morto?”

Avevo gli occhi spalancati fissi sul corpo di Mello, e ovviamente non ricevetti risposta. Mi avvicinai barcollando e stavolta non distolsi lo sguardo; continuai a fissarlo fino a che non mi trovai a guardarlo dall’alto in basso, la mia ombra che gli tagliava il viso, privandolo della luce che filtrava dal portone aperto alle mie spalle. La pelle diafana risaltava fin troppo sul nero dei suoi vestiti, e l’immobilità di quel corpo mi ricordava tanto una statua greca che avevo visto una volta su un dépliant trovato per terra, tutto accartocciato. Dava una sensazione di freddezza e innaturalezza totali.

Eppure continuavo a sorridere, avvolto da una sensazione di gelo quasi inebriante. Mi sentivo stranamente calmo.

Mello era morto, non avevo dubbi, eppure non era il panico a muovermi, bensì un vuoto enorme che sentivo come una presenza tangibile che aleggiava nel mio cuore. Tutte le emozioni che fino alla sera prima mi avevano tenuto lontano da quel corpo ora sembravano essersi annullate completamente, distruggendosi l’una contro l’altra dopo che avevano tanto crudelmente duellato nel mio petto. Era la calma a regnare.

Mossi un piede nudo per scuotere il braccio di Mello, quasi calciandolo con la poca forza che tenevo. Nessuna risposta, nessun movimento, nessuna reazione. Solo quegli occhi ancora chiusi, quel petto sempre immobile, quel vuoto ogni secondo più grande che mi avvolgeva.

Mi inginocchiai, piegando le gambe fino a lasciarmi andare completamente a terra, senza la forza di sostenermi. Avevo smesso di avere paura, smesso di chiedermi cosa ne sarebbe stato di me a quel punto. Perché la risposta era troppo ovvia, cieca agli occhi di chiunque per la sua semplicità: non potevo fare proprio nulla. Non potevo scappare da solo, non potevo tornare a distruggermi nella disperazione, non potevo vivere. L’unica cosa che mi rimaneva da fare era lasciarmi andare, addormentarmi, e sperare di non dovermi più svegliare. E se anche avessi riaperto gli occhi, tornare a chiuderli e continuare a vivere fino al momento in cui le forze non mi avessero abbandonato completamente. Poi, finalmente, sarei morto, giunto al termine di un’esistenza piena di sofferenza e che non avevo avuto la possibilità di vivere. Sentivo che era la cosa giusta da fare, l’unica e, allo stesso tempo, la più crudele.

Mi dispiaceva per Matt, non avrei mai voluto dover gettare via così la vita che lui aveva tanto caparbiamente difeso fino alla morte, ma a consolarmi c’era l’idea di una nuova esistenza sotto la forma più pura, quella dell’anima, dove avrei potuto ricongiungermi con le uniche persone cui davvero tenevo. Era l’unica speranza che mi rimaneva.

Appoggiai la testa sul petto di Mello, rannicchiando le gambe al petto, senza aver né ravvivato il fuoco, né preso la coperta, lasciando che l’aria fresca mi congelasse i piedi. Il corpo di Mello era ancora caldo, evidentemente doveva aver lottato fino all’ultimo, aggrappandosi alla vita fino a che la morte non lo aveva strappato alla coscienza, nonostante stesse soffrendo e sapesse che non avrebbe potuto tirar avanti ancora a lungo. Mi chiesi se avesse affrontato quella lotta interiore solo per voglia di vivere o perché si sentiva costretto a difendermi fino alla fine. Quell’ultima opzione mi diede una leggere scossa, come un moto di speranza in un futuro che avevo già dato per disperso. Poi, di nuovo, il nulla.

Smisi di soffrire, smisi di avere paura, smisi di pensare a qualunque cosa.

Volevo solo addormentarmi per sempre.

 

Non volevo piangere, non più, speravo solo che il destino riservato a te potesse contagiarmi. Volevo morire al tuo fianco, sperando che in questo modo tu potessi perdonarmi per averti abbandonato nel momento del bisogno, Mello.

 

 
 

Mi risvegliai poche ore dopo, steso a terra e con il viso ancora poggiato sul corpo freddo di Mello. Era stato un rumore che veniva da fuori a svegliarmi, come un fruscio e dei passi, tanti passi, veloci.

La prima cosa a cui pensai fu che non ero morto. Anzi, in un certo senso mi sentivo più riposato e sveglio del solito, e capivo che non era merito delle ore di sonno, bensì di qualcos’altro.

Fuori percepivo ancora un suono di passi, ritmato e inquietante, e qualche voce che gridava ordini, tutt’intorno. Sicuramente erano gli uomini in nero. Dovevano essere risaliti a noi in qualche modo e aver accerchiato la casa, brandendo i fucili contro l’abitazione, pronti, stavolta, a non farsi sfuggire nessuno.

Sentii l’adrenalina farsi spazio nel mio corpo, agitandomi e facendomi perdere tutta la voglia di morire di solo qualche minuto prima. Non volevo andarmene così, sotto i colpi di pistola di persone sconosciute, non potevo.

Sentii un fruscio alle mie spalle, mi alzai di scatto girando la testa e spalancando gli occhi. Il cuore avevo ripreso tutto d’un tratto a battere feroce nel mio petto, aumentando l’angoscia e la paura di soffrire.

Un uomo, alto, con indosso i soliti pantaloni neri, abbinati alla maglia a mezze maniche, del medesimo colore, che fasciava perfettamente i muscoli delle braccia. Sorrideva strafottente e puntava la sua arma su di me. Rimasi immobile, certo di ricevere il colpo a breve.

Ma quello non fece nulla di ciò che mi aspettavo, abbassò il fucile, si avvicinò e, tramite una radiolina attaccata al collo della maglia, chiamò a raccolta i compagni.

Camminava lento verso di me, ghignando e masticando parole di scherno che il battito troppo forte del mio cuore mi impediva di sentire. Quando mi fu davanti, spostò gli occhi sul corpo di Mello, ostentando un espressione di disgusto. “E’ già morto?” lo sentii dire tanto era vicino. Ebbi l’impulso di spostarmi, ma l’uomo in nero non sembrava più interessato a me, anzi, iniziò a scalciare Mello con il suolo della scarpa, continuando a parlare.

Quel gesto mi fece ribrezzo. Stava infierendo su un corpo già morto, come fosse una semplice pezza da scarpe, e mi sentii sporco e schifoso quanto lui, pensando che era la stessa cosa che avevo fatto io poche ore prima. Continuai a fissarlo, fin quando non giunsero anche gli altri uomini in nero, e allora indietreggiai leggermente, poggiandomi sul palmi delle mani. Respiravo affannosamente e sentivo che ogni parte del mio corpo a stento mi rispondeva.

L’unica cosa che mi consolava era sapere che di lì a poco tutto, tutto sarebbe finito. Definitivamente.

Mi sforzai di ascoltare quel che dicevano, ma prima che potessi concentrarmi sulle loro parole, un suono forte, orribile e destabilizzante mi rimbombò nella testa. Avevano sparato.

Alzai gli occhi su di loro, e ingoiai a fatica un groppo di saliva. Un uomo in nero puntava ancora l’arma fumante al petto di Mello, e, con un ghigno sadico in volto, diede fuoco una seconda volta. Due squarci all’altezza del cuore cominciarono a riversare sangue di un rosso sbiadito a terra. “Sì, capo, era già morto, anche se da poco.” disse infine l’uomo, ritirando il fucile.

Gli sguardi di tutti si spostarono su di me. Scossi la testa, tentai di indietreggiare ancora e scivolai per il sudore. Finii con il reggermi sui soli gomiti, le lacrime agli occhi e il cuore che scoppiava tanto batteva freneticamente.

“Abbiamo un vincitore.” sentenziò alla fine il cosiddetto capo, allungandomi una mano “Vieni via, moccioso. Sei salvo.”

Non c’era gentilezza in quella voce, non era una proposta, ma un ordine.

Mi portarono via, e dentro di me mi sentii morire un’ultima volta.

 
 

 

- Non volevo piangere, non più, speravo solo che il destino riservato a te potesse contagiarmi. Volevo morire al tuo fianco, sperando che in questo modo tu potessi perdonarmi per averti abbandonato nel momento del bisogno, Mello. -

Quell’ultima notte passata al tuo fianco, avevo pianto. Lo avevo fatto senza accorgermene, senza la disperazione di quando era morto Matt, semplicemente le lacrime mi avevano bagnato le guancie silenziose fino a che non mi ero addormentato.

Il giorno dopo, quando mi portarono via senza uccidermi, Mello, sentii di averti tradito di nuovo.

 

- Fine -

 

 

 
 

Sorpresi? No? Io sì.

Alla fine ho ascoltato i consigli di chi ha recensito e ne ho fatto una long. In realtà fin dall’inizio ero indecisa se farne una long oppure pubblicarli come capitoli singoli ma di una stessa serie. Alla fine è andata per la seconda.

Ringrazio prima di tutto Angel666, Lord_Trancy (a cui ho già risposto per messaggio privato) e ChibyLilla per aver recensito e ne approfitto per rispondere a quest’ultima recensione - mi vergogno tanto per non aver risposto dopo tanto tempo che preferisco fare qui, sperando che la legga. Davvero, grazie mille, sono felice che ti sia piaciuta! Il fatto di lasciar un po’ ‘svuotati’… Beh, devo dire che un po’ mi fa felice, perché significa che qualche sensazione l’ho trasmessa con i miei deliri mentali :D La fine di Matt è crudele, lo so, ed è solo colpa mia se è andata a finire così (ma pensa un po’…), ma è voluta. Già, sono cattiva con i personaggi u.u Spero che anche questo capitolo ti piaccia ^^

Non ho molto altro da aggiungere, con la terza parte dovrei terminarla e, non vorrei dar false speranze, ma può essere che non la pubblichi tra tantissimo… Balle, son tutte balle. Passerà un’infinità di tempo, e già me ne scuso. Inoltre col prossimo capitolo dovrebbero chiarirsi tutti i mille punti oscuri su quel che è successo… Ma non anticipo nulla. Se avrete voglia di leggerla, ne sarò felice.

E ancor di più, se ci sarà qualche anima pia a recensire.

Detto ciò, vi abbandono per qualche altro mese, temo.

By Ming

  
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