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Autore: _joy    09/05/2012    3 recensioni
E – diciamocelo – cosa sarà mai una mail importante nell’ordine delle priorità dell’universo?
Ordine che ha fatto sì che oggi Ben Barnes – BEN BARNES – sia seduto a pochi metri da me?
Gin/Ben
[Serie "Forever" - Capitolo I]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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Sto rivalutando il dormire con le finestre aperte e, quindi, l’essere svegliata dalla luce del sole.
 
Innanzitutto, oggi non devo lavorare, per cui potrei tranquillamente restare a letto tutto il giorno, poco importa la luce. Posso girarmi dall’altra parte e sprofondare sotto il cuscino.
Poi, il panorama che si vede dalla finestra di questa camera è incredibile: colli verdi e un cielo azzurrissimo. A completare la vista idilliaca, sento persino qualche uccellino che cinguetta.
Che pace.
E poi – e questa è la cosa principale – se le finestre fossero chiuse, sarei senza luce e quindi mi perderei questo spettacolo.
Ben dorme sul fianco, voltato verso di me. Con il braccio destro mi cinge la vita e la sua mano sinistra è stretta nella mia. I capelli scuri risaltano sul cuscino bianco. Un ciuffo gli ricade sulla fronte. Quando dorme è ancora più bello: sembra un bambino, è angelico. Non riesco a trattenermi e gli accarezzo piano i capelli. Non voglio svegliarlo.
Dopo quanto mi ha detto ieri sera nessuno di noi due si decideva a staccarsi dall’altro e abbiamo rimandato la questione “dove dormire” il più possibile. Io ero divisa tra il desiderio di restare con lui e una certa ansia di affrettare troppo le cose. O, più probabilmente, paura di fronte a quanto le cose stessero cambiando in fretta, tra noi due. Insomma, lo conosco da tre giorni. E anche se mi sembra di conoscerlo da una vita giusto per il fatto di essere una sua fan da sempre, il ragazzo che dorme accanto a me è il vero Ben, a trecentosessanta gradi, non Ben l’attore. E, altra cosa, anche lui non conosce ancora me.
Infatti, alla fine lui a malincuore si è staccato da me per baciarmi la fronte.
«Ti lascio dormire»
«Ma tu…dove vai?» non riuscivo a decidermi e, per guadagnare tempo, gli ho preso la mano.
Lui me l’ha baciata e mi ha stretta di nuovo.
«Tu dormi qui così stai comoda e io vado sul divano»
«No, la camera è la tua. Vado io sul divano…»
«No, no, vado io»
Ma nessuno dei due aveva davvero voglia di andare, visto che siamo caduti di nuovo sul letto, avvinghiati. Dopo un po’, mi sono azzardata a dirgli:
«Magari…»
Lui mi stava baciando il collo e io mi sono zittita per sospirare.
«Magari…?»
«Magari potresti restare qui. E anche io. Insomma…»
Sono arrossita e la mia voce è sfumata in un bisbiglio. Lui mi ha sorriso e ha poggiato una mano sulla mia guancia.
«Non sai quanto vorrei. Ma possiamo aspettare, tutto il tempo che vuoi. Non c’è fretta. Davvero»
Ci ha pensato su un attimo.
«Sai, quando ieri mi hai detto che pensavi che mi approfitto delle donne perché sono famoso…»
Ecco. Un ottimo momento per desiderare di essermi tagliata la lingua. Ho fatto per parlare, ma me lo ha impedito.
«Vedrai che non sono così»
«Ma io…»
«Davvero, Gin. Non voglio rovinare il momento. Nessun momento che passo con te. Quando succederà, saremo convinti tutti e due al cento per cento»
Io sarei già convinta. Ma direi una bugia se affermassi che non sono stracontenta che lui sia quel tipo di ragazzo: quello che ti rispetta, che sa aspettare.
E quindi, eccoci qui.
Ci siamo addormentati parlando e abbiamo dormito abbracciati. È la cosa più meravigliosa, più intima del mondo.
E mentre lo guardo, realizzo che non mi importa cosa farò oggi, domani o fra una settimana o un mese: basta che ci sia lui. Per me, potremmo direttamente restare in questo letto.
Mi avvicino di più a lui e, con il dito, seguo il profilo del viso, senza toccarlo. Quant’è bello. È semplicemente perfetto.
All’improvviso non resisto e gli do piano un bacio sulla punta del naso. Lui aggrotta le sopracciglia e, senza aprire gli occhi, mi stringe più forte con il braccio.
Gli do un altro bacio, sulla deliziosa fossetta che ha sul mento.
«Buongiorno»
«Mmmm….» borbotta qualcosa.
Io sorrido e gli faccio una carezza sulla spalla e lungo il braccio. E lui mi tira più vicina, affondando contemporaneamente il viso tra i miei capelli.
«Cinque minuti…» mi dice.
Ma io rido e inizio a mordicchiargli il collo.
Dopo pochi secondi, Ben mi rotola sopra e apre un occhio.
«Dispettosa»
Mentre gli circondo il collo con le braccia si apre la porta.
«Zio Ben…» Luca si ferma perplesso a guardarci.
Noi facciamo entrambi un salto sul letto. Ben si stacca subito da me e tutti e due ci contendiamo il lenzuolo. Ma Luca si avvicina tutto tranquillo e dice che vuole venire nel letto con noi.
Scavalca Ben e si piazza tra noi due. Alla faccia dello chaperon. Ben borbotta qualcosa poco convinto, ma lo sta già abbracciando.
Neppure dieci minuti dopo, dormono tutti e due stretti l’uno all’altro.
Li guardo per un po’: sono meravigliosi. Poi mi alzo, faccio una doccia e scendo in cucina. Livia sta lavando le stoviglie della colazione sua e di Matteo. Mi faccio un the e ci mettiamo a parlare: lei mi racconta del suo lavoro e io del mio (a ieri, naturalmente). Colin le ha detto di Arnaldo e lei è senza parole. Mi dice che secondo lei sarebbe stato preferibile andare alla polizia. Io le dico che non è successo nulla di grave e che non volevo coinvolgere nessuno in questa storia. Lei mi rivolge un’occhiata penetrante.
«Sai, Ginevra, se davvero vuoi stare con Ben, devi ricordarti di essere comunque, sempre, te stessa»
«Cioè?»
«Cioè, le tue idee, le tue decisioni devi portarle avanti»
«Ma l’ho deciso io! Ben voleva che andassimo»
«Dicevo in generale. Sai, mio marito è molto protettivo e severo sulla nostra privacy. Se non fosse così, non avremmo una vita nostra. E ci preoccupiamo soprattutto per i bambini»
Sorride a vedere la mia espressione.
«Non devi preoccuparti di non piacere a Colin. Se fai felice Ben, gli piaci. Ma lui è protettivo con le persone cui tiene e Ben è giovane e così candido a volte… Te lo dico perché magari dovrai prendere decisioni che vi coinvolgeranno entrambi e quando uno dei due è un attore famoso diventa tutto più difficile. Non siete tu e lui e basta. Siete tu e lui e la carriera. Tu e lui e i paparazzi. Tienilo a mente»
Sembrerò irresponsabile, ma tutto questo mi sembra facile, rispetto al fatto che ho incontrato Ben e che abbiamo iniziato…qualcosa. Insomma, quante probabilità nell’universo c’erano? Appunto.
Poi parliamo del film che sta per produrre.
«Ben ha deciso?» le chiedo.
«Sembra abbastanza convinto. Anche più convinto, da quando gliene hai parlato tu»
«E chi sarà Rose?»
«Non abbiamo scelto nessun altro attore. Ben è il primo con cui ne parlo»
«Non sceglierne una troppo bella, se lui accetta» storco il naso.
Lei scoppia a ridere. Poi parliamo del copione e io inorridisco davanti ai cambiamenti.
«Ma Gin! Gli adattamenti cinematografici sono sempre diversi dai libri!»
«Sì, sono sempre più brutti! Tu devi fare un film bello»
Ne stiamo ancora parlando quando scende Francesca. È pallida e ha le occhiaie, segno che la tequila ha lasciato il segno. O che non ha molto dormito per altri motivi. Hum. Devo indagare.
Anche Livia la sta fissando e probabilmente pensa le stesse cose che penso io, considerando che l’altra persona coinvolta è suo fratello.
Francesca incontra i suoi occhi e arrossisce, ma Livia sorride e ci lascia per andare a vedere cosa fanno i suoi figli (mi trattengo appena in tempo dal dirle dove può trovare Luca).
«Allora…» dico maliziosa a Fra, ma lei geme e nasconde il viso tra le mani.
«Mi scoppia la testa…» si lamenta.
«Sono i postumi della sbronza, o non hai dormito per altri motivi?»
«Macchè. Gli ho quasi vomitato addosso» borbotta.
Ah. Bè, Fra non è famosa per essere una grande bevitrice. Dopo poco però Tommaso scende in cucina e la saluta con un bacio in fronte. Ha un ottimo carattere, non c’è che dire: se lei avesse provato a vomitare addosso a me ora passerebbe un guaio, altro che.
Poi lui mi fa l’occhiolino e chiede:
«Ben dov’è?»
«Dorme»
«Ah. Stanco dopo stanotte?»
«Veramente è a letto con Luca»
«Ah!!!! Hai un rivale!» mi strizza di nuovo l’occhio «Bè, potrebbe essere un problema…»
Scoppia a ridere quando io faccio il gesto di lanciargli contro un tovagliolo.
Dopo cinque minuti sono io a scappare, quando il livello glicemico tra lui e Francesca sale a livelli preoccupanti. Schizzo di sopra con una fetta di torta e faccio capolino in camera di Ben. Luca è sparito e lui è ancora disteso, con un braccio di traverso sugli occhi. Chiudo la porta e mi avvicino.
Mi siedo sul bordo del letto e con il dito traccio il profilo del suo avambraccio. Lui sospira e abbassa il braccio. Gli bacio la fronte e poi le labbra. E quando lui mi tira sul letto, capisco che non scenderemo subito dagli altri.
 
Tre ore dopo, siamo tutti in terrazza. Ben sta leggendo un libro in inglese a Luca e sia io che il bambino gli stiamo accoccolati addosso, sul dondolo, uno per parte. Lui ha una mano tra i miei capelli e Luca gli sfoglia le pagine. La sua voce mi culla: malgrado la sua pronuncia chiara, non sono concentrata e capisco una parola su tre, ma non fa niente. Mi basta ascoltarlo. Si interrompe solo per dare un morso alla torta salata che gli avvicino alle labbra.
«Vai avanti!» gli dice Luca, imperioso.
Io rido e Ben gli dà un bacio tra i capelli.
«Agli ordini»
«Luca, lascialo mangiare» gli dice suo zio, ma Luca mette il broncio. Poi io gli tendo le braccia e lui scavalca subito Ben per venire da me.
«Ahi!» fa Ben, mentre Luca gli cammina praticamente sopra.
Io lo prendo al volo e lo metto seduto sulle mie gambe. Divido la restante torta salata tra lui e Ben, che non sembra interessato a mangiare seduto a tavola, se può stare abbracciato a me e farsi imboccare. Mi sa che stiamo prendendo un’abitudine, qui. Ma non posso resistere. Non so se gli do più torta o più baci, ma ad un certo punto Tommaso viene a prendere Luca e lo porta da Francesca.
«Quando voi due piccioncini avete finito… decidiamo cosa si fa? Si va a Milano?» chiede Tommaso.
«Io direi di sì, se a voi non dispiace…avevate altri progetti?» risponde Francesca.
«Ma no…non avevamo deciso niente in particolare…certo, non so come dirlo ai bambini: vi si sono già affezionati….»
«Mi dispiace…magari…Gin, che dici se…Gin! Ben!»
Noi mugugnamo qualcosa, ma non smettiamo di baciarci. Almeno, io mi stacco da Ben solo quando vedo un’ombra coprirci e a qual punto faccio un salto per la paura. Tommaso ci incombe sopra.
Ben mi stringe e poi gli dà una pacca sul braccio.
«Ehi! Qui è privato!»
«Non credo, siete sulla terrazza di casa mia, fino a prova contraria. Il minimo che potete fare è partecipare alla discussione. Altrimenti, venite dove decidiamo di portarvi io e Fra»
Ben mi guarda un attimo.
«Per noi va bene. Decidete voi» e si china su di me.
Tommaso e Francesca gemono all’unisono e io scoppio a ridere.
«D’accordo, stiamo a sentire»
Mi stringo a Ben e inizio a fargli i grattini sull’avambraccio. Lui sospira e chiude gli occhi.
Tommaso mi guarda male.
«Lo fate apposta. Ben, mi piacevi di più single e attivo, chiaro?»
Poi intercetta lo sguardo di Francesca e, improvvisamente, si impappina.
«Cioè io…ehm…allora, se ieri ho detto, voglio dire, lo so che sto sempre a punzecchiarvi, ma…»
Francesca lo interrompe.
«Quello che vuole dire è che è molto dispiaciuto di aver ficcato il naso nei vostri affari privati e sentimentali e che non lo farà più, giusto?»
Lui annuisce e io provo un immediato moto d’affetto, perché sembra davvero pentito. Gli sorrido e anche Ben, che dice:
«Non è colpa tua. È stata colpa mia»
Mi guarda e sorride:
«Avevi ragione quella mattina in cui mi hai definito un … com’era la parola?»
«Ah…ehm…un coglione»
Tommaso scoppia a ridere.
«Apposto! Ma quando? Che ragazza intelligente!»
«Me lo merito» Ben fa una smorfia.
«Assolutamente sì» gli sussurro, prima di dargli un bacio. Non è che io lo stia esattamente tendendo sulla corda, ma come potrei?
«Non ricominciate!!! Insomma, prendete esempio di decoro da me e Fra» Tommaso assume quella che nelle sue intenzioni vorrebbe essere un’aria virtuosa, ma fallisce miseramente. E quando tutti ci mettiamo a ridere, si unisce a noi.
 
Alla fine, decidiamo di partire per Milano il giorno dopo.
Passiamo il resto della giornata con i bambini, ma dire loro che dobbiamo salutarci per un po’ è molto più complicato del previsto. Luca piange tanto che io mi sento un mostro e persino Ben resta senza parole. Lo tiene solo in braccio e lo stringe, ma non riesce a calmarlo, finché sua madre non lo porta in un’altra stanza.
Matteo mi fa quasi più tenerezza, perché si sforza di non piangere ma si vede che è tristissimo. E quando va a sedersi sulle gambe di Francesca, è quasi lei che si mette a piangere.
Quando alla fine andiamo a letto, siamo tutti e quattro stremati, nemmeno avessimo corso la maratona. Se non altro, non volano frecciatine e battute sulla divisione delle camere. Arrivati sulla sua porta, Ben decide di andare di nuovo a controllare Luca e Tommaso e Francesca mi salutano e vanno insieme in camera di lui.
Quando Ben torna, io sono già stesa a letto. Gli tendo le braccia e lui viene a sdraiarsi accanto a me.
«Lo so che è assurdo, ma non pensavo di affezionarmi così ai bambini.»
«Lo so, si vede che li adori. Ti dispiace che partiamo?»
«No» mi dà un bacio «Mi dispiace solo vederli così. Ma i bambini si riprendono velocemente. E li rivedrò a Londra…»
Londra.
Cavolo.
Un pensiero mi folgora la mente e non mi abbandona neppure quando Ben si toglie la maglietta e mi si accoccola vicino.
Certo, lui deve tornare a casa sua e poi…e poi dove andrà?
E io? In tutto questo, come mi colloco io?
E quando succederà? Quando dovremo salutarci per fare…cosa? Telefonarci? Vederci nei weekend? Sempre se lui non va a girare un film dall’altra parte del mondo… oddio!
Cerco di non pensarci, di tranquillizzarmi. Mi ripeto che Ben ieri parlava proprio di questo e che quindi lui ha già considerato e valutato il problema, anche se quella grande tonta della sottoscritta si è limitata a scrollare le spalle fingendo che non esistesse, troppo presa com’era dal momento.
Tutto questo non ti spaventa?
Mi spaventa sì. Mi spaventa l’idea che partirai, che ti allontanerai da me, e che io non potrò fermarti. Mi spaventa l’idea di non vederti per chissà quanto tempo. Mi terrorizza il pensiero che tu possa stancarti di me, di un rapporto a distanza. E che tu possa incontrare qualcun’altra.
E io…cosa farò?
Non riesco nemmeno a pensarci, voglio solo stare con lui.
Lo conosco da tre giorni e mi sono già annullata? Com’è possibile?
Ma mentre lo stringo forte, mi viene da piangere al pensiero che quella che sembra una favola magari è destinata ad un finale niente affatto felice.
 
La mattina dopo mi sveglio ancora agitata. Ho fatto fatica ad addormentarmi e, quando alla fine ci sono riuscita, mi svegliavo ogni mezz’ora. Morale: sembro un cadavere, ho due occhiaie spaventose.
Ben mi passa una mano sul viso e mi chiede:
«Non stai bene?»
«No no, tutto ok. Ho dormito male, tutto qui»
«Perché?»
«Non so, niente…» ma lui sembra preoccupato, per cui sorrido e gli dico:
«Te l’hanno mai detto che russi?»
«Cosa? Non è vero…»
«Invece sì, e in più ti agiti e tiri i calci»
«No, non è vero. A meno che io non dorma con donne particolarmente antipatiche…»
Ride e mi blocca i polsi per evitare che io lo picchi.
«… o particolarmente brutte, o…non lo so.»
«Ah, pure!»
«Allora, russavo?» mi sorride.
«Mmmm….forse, dopotutto, no» dico io e lui ride ancora. Poi mi lascia le mani e io schizzo in bagno per il restyling.
Tornata umana, scendo a fare colazione. Siamo di nuovo solo noi quattro, perché Livia e Colin hanno portato i bambini al mare, per non farli rattristare di più.
Affogo le mie preoccupazioni in un cappuccino doppio. Cappuccino e confabulata di nascosto con Francesca. Le bisbiglio a raffica le mie preoccupazioni, nascosta dietro una pianta in terrazza.
Lei sgrana gli occhi.
«Bè, sì, è una preoccupazione normale: il vostro sarà per forza un rapporto a distanza. Non ci avevi pensato?»
«No!»
«Ma come no? Tu che progetti le cose da qui a cinque anni…»
«Stavolta ero – come dire – preoccupata innanzitutto della fattibilità della cosa!»
«Bè, a quanto pare è fattibile. Ora, accetta l’idea che sarete spesso lontani…»
«Lo dici come se fosse facile! Ma tu con Tommaso come pensi di fare?»
«Non lo so. Non me ne preoccupo di certo ora. Ci siamo trovati. Funziona. Per il momento mi pare abbastanza, no?»
Uffa. Ma sarò solo io in tutto l’universo a pensare che non è abbastanza, che non basta mai? Non mi sembra così strano lo sperare di essere felici. Nel tempo. Durevolmente.
Emergiamo dalla pianta cercando di darci un tono. Io sgranocchio un secondo cornetto alla crema. Ecco, potrei preoccuparmi di non lievitare come una balena, magari. Della serie: come tenere la mente lontana dalle preoccupazioni amorose, concentrandosi sulle preoccupazioni caloriche. Che faticaccia.
Tommaso sta finendo di caricare le valigie in macchina. Ben è al telefono con Livia.
«Va bene, prometto che decido entro la fine della settimana. Ok, dico a Gin di chiamarti. Sì, ciao. Dai un bacio ai bambini»
«Perché devo chiamarla?» gli bisbiglio io.
«Dice che non avete finito di chiacchierare. Si vede che ti vuole già bene. Come tutti» mi sorride.
«Anche tu, spero» non posso fare a meno di dirgli.
«Soprattutto io» mi stringe.
«Pensare che ero convinta di sembrarti una stupida, all’inizio» dico, appoggiando la testa sulla sua spalla.
«No, perché?»
«Non riuscivo a parlare quando mi guardavi!» mi vergogno ancora al ricordo.
«Pensavo di esserti antipatico»
«Cosa?»
«Il giorno che ci siamo conosciuti. Ti guardavo da lontano parlare con tutte quelle persone, sempre sorridente e gentile… sei persino salita in piedi su quel tavolo! E invece con me…sono venuto ad aiutarti con quel giornalista ciccione e nemmeno mi hai guardato in faccia. E anche dopo….non parlavi mai»
«Prima perché ero troppo tonta per accorgermi che eri tu! E dopo perché ero troppo in ansia per aver capito che eri tu!»
Scoppia a ridere.
«Ma non dirmi…non sarai una mia fan?»
«No. Voglio dire, sì. Ma fai finta di non aver sentito, così non ti monti la testa»
«No, no, invece ho sentito benissimo!» mi dà un bacio. «Basta che non mi chiedi un autografo, o dettagli delle scene di nudo di Dorian Gray, o qualcosa sui capelli del principe Caspian…» scherza.
«Ben, ti prego, mi fai un autografo? Ben, ma lo sai che eri troppo carino in Prince Caspian: sembravi un orsacchiotto smarrito?» gli dico subito.
Lui fa una smorfia.
«Parliamo di Dorian Gray, anzi, di certe scene di Dorian Gray…» proseguo, imperterrita.
«Dai, ti prego, no…» geme lui.
«Va bene, allora parliamo di Killing Bono. Con chi stavi quando l’hai girato? E non dirmi che non stavi con nessuno, perché ho sentito un’intervista a Robert Sheenen in cui lui diceva che eravate entrambi fidanzati»
Parlo d’un fiato. E poi resto di stucco: ma da dove mi è uscita questa?
Cioè, ce l’avevo in testa da un po’ (va bene, va bene, ho rivisto ieri il video su youtube), ma … come mi è venuto di chiederglielo così?
Anche Ben sembra senza parole per un attimo.
«Ah. Robert non sta proprio mai zitto» borbotta. Poi sorride.
«Bè, immagino che prima o poi il discorso “ex” doveva saltare fuori. Solo che con te succede sempre tutto prima di quello che penso»
«Ah sì?»
«Guarda noi»
«Stai per dirmi di nuovo che non ero prevista?»
«Non eri prevista. Ma sei stata una sorpresa meravigliosa»
«Va bene, ti sei salvato…» borbotto.
Mi dà un bacio in fronte.
«E per Killing Bono: è vero, stavo con una persona» mi prende per mano e mi porta a sedere sul dondolo. Io mi rannicchio accanto a lui e gli poso la testa sulla spalla. Guardo le nostre mani intrecciate: non so più se voglio saperlo davvero. Cosa potrei farci, dopotutto? E se scopro che ha un passato con tutte modelle e attrici di Hollywood? Come se io non fossi il tipo che va in paranoia.
«È durata per un po’, stavamo insieme da prima. Ma non in modo continuo, ci siamo lasciati e siamo tornati insieme più volte.»
«Eri molto innamorato?» non lo guardo chiedendoglielo, ma faccio finta di essere assorta a giocare con il cinturino del suo orologio. Che bugiarda penosa.
«Non…lo so. Cioè, siamo sempre stati amici, le voglio bene. È stata una persona importante, sì. Ma non era la donna della mia vita, se è questo che ti preoccupa» mi dà un bacio sui capelli.
È pure sensitivo.
«Bè, non vuol dire. Puoi essere molto innamorato di una persona anche se non è quella della tua vita»
«Stai per raccontarmi dei tuoi ex, quindi?» sorride.
«Veramente pensavo tu avessi da farmi una lista infinita…»
Si mette a ridere.
«Decisamente no. Guarda che più da giovane io ero sfortunato con le ragazze. Ero sempre il più magro e il più piccolo di tutti. I ragazzi che piacciono sono quelli biondi, alti e muscolosi.»
Io gli faccio un sorriso.
«Dimmi che non hai ex biondi, alti e muscolosi»
«Ehm…»
«Ecco, lo sapevo. Voi donne siete così prevedibili…»
«Ma smettila! Per prima cosa, non è vero. Per seconda cosa, starai a preoccuparti tu di me? Io cosa dovrei dire, visto che tu passi il tuo tempo tra attrici e modelle?»
«Non significa niente. Per prima cosa io non sono uno da feste, non frequento party con modelle a meno che non siano party per i miei film o per film di amici. E le attrici le vedo sul set»
«E le baci anche, sul set!»
«Sai, mi piace molto questa te gelosa. Dimmi di chi devo essere geloso io, dai»
«Dei giornalisti vecchi, brutti e pallosi?»
«Dell’ex fidanzato biondo e palestrato?»
«Sai, mi piace molto questo te geloso!» lo prendo in giro, poi proseguo: «Comunque, fidanzato è una parola grossa. Di fidanzati, nella mia vita, non ce ne sono stati. Diciamo che ci sono stati dei…ragazzi. Ma niente di troppo serio. Il mio ex è palestrato, è biondo, fa il giornalista, è un cretino. Rendo l’idea?»
Si mette a ridere.
«Il fatto che è un cretino me lo fa piacere di più»
«Torniamo a te e alle modelle…»
«Parliamo del cretino…»
«Tu vuoi svicolare!»
«Anche tu»
«Va bene, d’accordo. Hai ragione. Non voglio svicolare, è che non c’è molto da dire. Solo che io ero innamorata di lui e lui di me no. O almeno, non era innamorato di me quanto io di lui. O forse non è proprio capace di amare qualcuno, gli manca la generosità… Comunque, ci siamo lasciati»
Ben non indaga oltre, ma mi fa una carezza.
«Sempre preoccupata per le modelle?»
«Certo!»
«Ok, ammetto che la mia ex fa la modella»
Lo sapevo.
«Bionda, scommetto»
«Sì»
Il brutto è che sono sicura di sapere di chi parla (sì, leggevo i gossip su di lui. Tutti) e mi si attorciglia lo stomaco. Mi trattengo appena in tempo dal dirgli che però è bionda tinta e quindi non conta.
«Voi uomini siete così prevedibili…»
«Ma io preferisco le more!»
Il problema, con Ben, è che quando sorride mi manda in pappa il cervello e non riesco a concentrarmi. E nemmeno ad arrabbiarmi.
«Va bene, parlami delle altre»
«Non ce ne sono. Avventure, sì. Ma donne importanti no. Sai, nessuno ci crede quando dichiaro che sono single perché davvero non ho il tempo da dedicare a una persona, ma è vero. E poi io non voglio una donna che sta con me perché sono famoso»
Esita un attimo e mi accarezza la guancia.
«Sei sempre dell’idea che vuoi stare con me? Tu meriti una persona che ti dedichi tutto il tempo del mondo…»
«Mi basta tutto il tempo che hai tu»
Ci guardiamo per un attimo.
«Sicura?»
No.
«Sì»
Lo voglio. Più di qualsiasi altra cosa. Quindi, in un modo o nell’altro…me la caverò.
 
Quando la sera arriviamo a Milano ci accoglie quell’afa tipica che opprime la città da tutta l’estate. Non si respira. Tommaso propone di andare tutti nel suo appartamento.
«Non staremo comodissimi come in Toscana, ma almeno evitiamo di spostarci per venire da voi con questo caldo»
E viene fuori che l’appartamento è un loft in zona San Babila. Pieno centro, a due passi dal Duomo. Ma davvero due passi. Tommaso e Ben sembrano non farci caso; io e Francesca, che conosciamo il mercato immobiliare di Milano, siamo un po’ più colpite dalla cosa.
«Hai capito? Alla faccia dell’appartamento» borbotta Francesca, guardando con sospetto un’enorme tela contemporanea che occupa un’intera parete.
«Dovrai abituarti all’idea di fare la sciura» le dico scherzosa, e lei mi pizzica il braccio.
Piuttosto, mi chiedo il perché di queste tinte pastello. Sono belle e luminose, ma si sporca tutto con una facilità incredibile. Non mi azzardo a sedermi sul divano con Ben, che ha acceso la tv e guarda il notiziario della BBC, ma opto per una doccia.
Quando tutti ci siamo rinfrescati, decidiamo di mangiare fuori e andiamo in Corso Sempione. Tommaso parcheggia e fa per guidarci tutti in un super ristorante lussuoso, quando Francesca mi dà di gomito appena in tempo.
Guardo l’insegna.
«Ehm… Tom» lo chiamo come fa Ben, ormai. «Te l’ho mai detto che io non mangio il pesce?»
Si ferma di botto.
«Non mangi il pesce…in che senso? Che non mangi…lo scorfano? O magari l’aragosta?»
«No, che non mangio il pesce nel senso di nessun pesce. E per pesce si intende, per la cronaca, tutto quello che vive sott’acqua. Molluschi compresi.»
Lui geme.
«Ma insomma Gin…ma come? Tutti mangiano il pesce! A Milano, poi!»
«Sì, ma tutti tranne me, perché io sono intollerante»
Mi guarda come se fossi la fonte di tutti i suoi problemi.
«Non importa» interviene Ben «Tu porta Francesca a mangiare il pesce e noi andiamo da un’altra parte»
Ma lui e Francesca non vogliono sentirne parlare. Passiamo l’ora successiva a cercare posto in altri ristoranti (con Tommaso che borbotta a cadenza regolare che non sapeva esistessero marchigiani intolleranti al pesce), ma alla fine troviamo una bellissima osteria gestita da un signore sardo simpaticissimo, così loro mangiano il pesce e io le pappardelle al ragù.
Ah, chi più felice di me?
 
Il giorno dopo, fa ancora più caldo, se possibile.
«Ah, il meraviglioso venticello dei colli toscani» si lamenta Tommaso, alle sette di mattina.
Siamo tutti in piedi, accaldati e stanchissimi, perché l’aria condizionata non funziona e le stanze da letto sono diventate camere della tortura.
Ben è accasciato su una sedia (persino il divano è inavvicinabile: la stoffa ti si appiccica addosso) con gli occhi socchiusi. Gli do un bacio su una spalla, passandogli accanto per andare a fare l’ennesima doccia.
Davanti allo specchio del bagno guardo la mia pelle sudata e le mie occhiaie e lego i capelli in cima alla testa, per scoprirmi il collo.
Francesca passa davanti alla porta e mi sorride.
«Doccia?»
«Sì, grazie» ansimo io.
Lei ride e, improvvisamente, entra e chiude la porta.
«Gin, senti… ma tu e Ben…ehm…?»
Abbasso la voce in un bisbiglio da cospiratrice.
«Ancora no. Voi?»
Le leggo in faccia la risposta ancor prima che parli.
«Fra!!!! Quando?»
«Shhhh! Stanotte» bisbiglia. «Insomma, faceva così caldo che io sono venuta a farmi una doccia. Solo che anche lui non riusciva a dormire. E quindi ha pensato bene di raggiungermi e…ehm..»
«E?»
Arrossisce furiosamente.
«E…tutto bene. Sono davvero felice»
«Non sai quanto sono contenta. Ti abbraccerei, se non facesse così caldo. È davvero un bravo ragazzo»
Lei annuisce e io aggiungo.
«Certo che bruciate le tappe. Io ero innamorata di Ben praticamente prima di conoscerlo…» scherzo «E invece guarda voi due! Altro che Arnaldo!»
Lei si fa subito seria.
«Gin, mi dispiace tantissimo per quello che è successo in Toscana. Con Arnaldo. Non avrei mai pensato che lui…»
«Ma mica è colpa tua!» la interrompo «Certo, non avrei mai pensato che, oltre a tutti i suoi difetti, fosse anche un maiale. O meglio, forse sì, ma non credevo certo che si comportasse così! Con me, poi!»
«Io invece ero sicura che gli piacevi. Bastava guardare come ti osservava, sempre»
«Cosa? Non me ne sono mai accorta!»
«Perché sei un’incantata! E da quando hai incontrato Ben, lo sei ancora di più» ride lei.
Non posso darle torto.
 
Dopo la doccia, abbandoniamo i ragazzi seduti per terra con le finestre aperte.
«Ditelo, che volete andare a fare shopping» dice Tommaso, accusatorio: «Quale motivo potete avere per uscire con questo caldo?»
«Se proprio vuoi saperlo» gli dice Francesca con grande dignità «Stiamo andando a prendervi la colazione»
«Sarà…» le dice lui, guardandola con gli occhi socchiusi. «Ma secondo me è il richiamo delle vetrine…»
Noi lo ignoriamo compassate e io do un bacio a fior di labbra a Ben.
«Lo vuoi un cappuccino?» gli chiedo, perché so che lo adora.
«Troppo caldo. The freddo, per favore»
Mi dà un bacio anche lui e mi dice:
«Dimmi la verità: non torni più perché andate a fare shopping?»
«Tranquillo, non dovrete chiamare “Chi l’ha visto?”»
«Guarda che non va bene raccontare bugie al tuo ragazzo…» interviene Tommaso.
«Ma che malfidato!» sbotta Francesca «Non solo andiamo a prendervi la colazione, ma sentiamo anche le lamentele!»
Ce ne andiamo con aria di grande dignità. E andiamo davvero al bar a prendere la colazione. Il fatto che, nel tragitto, riusciamo a fare una deviazione lampo da Tezenis dimostra soltanto che noi donne siamo capaci di fare più cose contemporaneamente.
E siamo anche veloci: ci gettiamo sugli scaffali al volo e tiriamo giù le cose a piene mani. Il vantaggio di Tezenis è che sai già che taglia porti e quindi vai sul sicuro.
Francesca aggancia tre completini in pizzo in colori sgargianti, mentre io assalto le sottovesti e i pigiamini a culotte.
Insomma, non si sa mai. Guarda Francesca e Tommaso. Quando una cosa deve succedere, succede. E la mia regola di vita è che è meglio farsi trovare pronti. Non si sa mai. Ecco. E poi, un pigiama in più serve sempre.
Oh, guarda quella delizia di camicia da notte a scacchettini …sarebbe un delitto lasciarla qui.
Pigiamo tutto per bene dentro le borse e andiamo al bar. Tornate a casa, io spingo con nochalance la mia borsa stracolma dietro il divano, mentre Francesca serve le brioches.
Dopo colazione, il tecnico dell’aria condizionata ancora non si vede e noi decidiamo di andare nella palestra che io e Fra frequentiamo, per passare la giornata nell’idromassaggio e sperare di arrivare a sera senza andare in ebollizione.
In spogliatoio, io mi cambio a velocità supersonica e sfreccio sui piedi di Francesca per salire di corsa le scale e fiondarmi nella vasca. Sono immersa fino al collo quando Fra mette dentro la testa e mi guarda stranita.
«Ti stai allenando per la maratona?»
«Spiritosa. Non ho intenzione di sfilare davanti a Ben in costume da bagno, grazie.»
«Ah, bè, certo. Quindi le cose che hai comprato oggi non gliele fai vedere? Gli dici che le hai addosso e che deve arrangiarsi a immaginarle a luce spenta? Perché se è così potevi risparmiarti la spesa»
«Mi sto attrezzando, sappilo» le rispondo, sostenuta.
Dopo poco arrivano Tommaso e Ben, in costume. Ben è davvero, davvero magro. Tommaso invece è abbastanza prestante. Gli lancio un’occhiata e intercetto lo sguardo di Francesca, che gli si accoccola addosso tutta felice e mi fa l’occhiolino.
Ben mi abbraccia e io gli poso la testa sulla spalla.
È martedì mattina e non c’è quasi nessuno, per cui possiamo tranquillamente occupare la vasca senza disturbare e senza rannicchiarci in un angolino. Quando andavamo io e Francesca, finivamo sempre pressate tra estranei sgarbati e musoni o ragazzi che urlavano, ridevano e si spruzzavano acqua addosso. Oggi che potremmo anche distenderci in acqua e schiamazzare a nostro piacimento, io e Ben ci sistemiamo in un angolo della vasca, mentre gli altri in quello opposto e siamo troppo presi per preoccuparci di quello che facciamo, a vicenda. Quando Tommaso e Francesca si alzano e dicono che vanno a farsi un paio di vasche in piscina (salutisti fino al midollo, questi due) io quasi non me ne accorgo.
Rimasti soli, io e Ben ci stringiamo ancora di più. Le sue mani corrono sulla mia schiena e io gli accarezzo il petto. Quando gli faccio una carezza sul ventre, lui sospira e sorride e mi prende con delicatezza la mano.
«Le pareti sono trasparenti…»
La vasca è in una stanza fatta praticamente di vetro, tranne che per il pavimento.
«Accidenti» sbotto io.
Lui si mette a ridere e poi, improvvisamente, inverte le nostre posizioni e si mette sopra di me, mentre io poggio la schiena contro il bordo della vasca.
Lui mi guarda e io mi sento…bene. Perché mi guarda con tenerezza, persino con ammirazione. Con un dito, traccia il contorno del mio zigomo e poi scende sul collo. Io chiudo gli occhi. Si arrotola attorno al dito una ciocca di capelli che mi è sfuggita dallo chignon.
«Da chi hai preso questi ricci?» mi chiede, baciandomi il collo.
Lo stringo più forte.
«Da mia mamma»
Lui sorride e mi scioglie i capelli e ci infila poi subito le mani.
«Li preferisco sciolti» mi dice, semplicemente.
Dopo altri dieci minuti di coccole e carezze, mi sembra chiaro che la situazione si sta scaldando. E poi, proprio quando Ben mi bacia in modo più febbrile e allunga la mano verso il pezzo di sopra del mio bikini, entrano tre signore.
Si piazzano nella vasca e si mettono a fissarci. Bisbigliano tra loro e ci guardano.
«Oggi ho visto la Mariella, dal macellaio» si mette a raccontare una, che intanto squadra per bene la schiena di Ben e alza un sopracciglio in direzione della sua compare.
«Ah, che cara!» dice un’altra, che mi fissa spudoratamente, fregandosene del fatto che io la guardo male in risposta.
Ben non le vede, perché è di spalle, ma sente che io mi sono irrigidita, per cui si ferma per guardarmi. E mi vede mentre tento di incenerire con lo sguardo le tre galline. Si volta e gli viene da ridere.
«Ehm…Gin…magari andiamo, che dici?»
Dico che le strozzerei, tutte e tre.
Di là, Francesca e Tommaso si sfidano a stile libero. Ci chiamano perché li raggiungiamo, ma noi decliniamo e restiamo seduti sul bordo della vasca a guardarli (io rigorosamente avvolta nell’accappatoio, mentre sostengo che no, non ho per niente caldo. Accidenti.). Siamo entrambi un po’ scossi dalla brusca interruzione del nostro bagno… ma per quanto scossa e incavolata, mai nella vita - ma mai, mai, mai e poi mai - mi farei vedere da Ben con in testa la cuffia per fare nuoto.
 
Tornati a casa, scopriamo che il tecnico dell’aria condizionata è arrivato e che il portinaio l’ha fatto entrare, per cui passiamo in casa, al fresco, il resto della giornata. Non usciamo neppure per cena, ma ordiniamo la pizza.
La mattina dopo, però, tiro Ben giù dal letto per portarlo a fare colazione nel mio bar preferito, in zona Brera. Francesca e Tommaso promettono di raggiungerci a breve…sì, come no. Messaggio recepito. Vogliono stare soli.
Usciamo nell’aria del mattino e Milano mi sembra più bella che mai. Il cielo è miracolosamente azzurro e noi passeggiamo verso il Duomo e poi ci dirigiamo verso il Castello.
«Non puoi dirmi che questa città non è bella» mi dice Ben.
«Ma io ti sto facendo vedere il meglio» sorrido io.
«Probabilmente con te mi piacerebbe anche il peggio» mi sussurra e io ho un brivido.
Gli butto le braccia al collo per strada.
«Ridimmelo. Soprattutto ora che sto per dirti che devo assolutamente andare a comprarmi qualcosa da mettere perché non ho più niente in valigia»
«Lo shopping non mi piace in nessun modo» ma lo dice sorridendo «Ma, anche se preferirei vederti andare in giro per casa senza vestiti, mi sa che non posso dire di no in questo caso»
«Grazie! Prometto che non mi divertirò» rido io.
«Promettimi che facciamo presto, piuttosto. E che prima mangiamo qualcosa. Mi serve del caffè, se devo affrontare i negozi»
 
Il mio bar preferito mi è proprio mancato. Innanzitutto, conosco tutti quelli che ci lavorano e tutti mi chiamano per nome e sembra di essere tra amici. E poi fanno dei dolci buonissimi. Non a caso, è sempre pieno di gente. Io e Ben troviamo un tavolo e poi io vado al bancone per ordinare. I baristi mi salutano, mi chiedono com’è andata in Toscana (soprassediamo) e dov’è Francesca. Parlo un po’ con loro e poi torno al tavolo. Arriva quasi subito Michele, il cameriere, con la nostra colazione.
«Ecco qui, bellissima»
«Grazie, Michi»
«E di che! Certo, preferiamo Francesca a questo ragazzo…che è tuo fratello immagino…» mi guarda speranzoso e io scoppio a ridere.
«No»
«Tuo cugino?»
Ben lo guarda male.
«Nemmeno» gli sorrido e lui fa una smorfia esagerata.
«Con questa notizia mi hai rovinato la giornata, lo sai, vero?»
Io rido, ma mi affretto a prendere la mano di Ben.
«Peccato, perché io invece sono molto, molto felice»
Michele se ne va e Ben fa per parlare, quando vede un altro barista mandarmi un bacio da lontano.
«Per sapere, qui fanno tutti così?»
Io rido e gli faccio una carezza.
«No, tanto per capire. Quante volte vieni qui?»
«Due al giorno?»
«Due?»
«Almeno» sorrido, angelica.
Michele mi passa dietro e mi tira una ciocca di capelli. Ben si sporge dallo sgabello per guardarlo male, ma quello, tutto tranquillo, ride e lo saluta con la mano.
«Non ci veniamo più qui» mi dice, categorico.
«Geloso, Mr. Barnes?»
«No…io…un po’» ci pensa su «È solo che c’è così tanto di te che non so…e il pensiero che quando saremo lontani…»
Mi è rimasta l’ansia di vederlo cadere in preda ai dubbi, per cui mi affretto a interromperlo.
«Ah, quindi io sono gelosa delle modelle e tu dei baristi?» dico, cercando di buttarla sullo scherzo.
«Vedi delle modelle qua attorno? Perché io vedo solo i baristi»
«E io, invece, vedo solo te»
Lui fa un sorriso.
«Quand’è così…possiamo sempre fare colazione da un’altra parte»
«Lo dici perché non hai assaggiato le loro torte»
Con la forchetta prendo un pezzetto della mia torta e glielo avvicino alle labbra. Lui mastica piano e poi mi guarda male.
«Sono sempre dell’idea di cambiare bar»
Io reprimo un sorriso e gli do ancora torta. Lui impercettibilmente si rasserena e mi prende la mano. Facciamo colazione imboccandoci a vicenda e Ben chiede addirittura un’altra fetta. Io mi alzo e vado ad appoggiarmi a lui. Circondata dalle sue braccia, gli do un bacio sui capelli e lui si stringe a me, affondando il viso nella mia spalla.
Gli accarezzo la schiena.
«Gelosone» gli sussurro. Lui non dice niente, ma mi stringe più forte.
Ma so che quello del futuro è un discorso che fa capolino tra noi, nei nostri pensieri, più spesso di quanto vorremmo.
Infatti più tardi, mentre camminiamo per strada in cerca di vestiti per la sottoscritta (non posso credere di essermi ridotta a non avere vestiti, proprio io! Ecco cosa si intende parlando di pena per contrappasso: potrei scrivere su un saggio su come spiegare l’Inferno di Dante con questa metafora), Ben dice esitando:
«Ieri mi ha chiamato il mio agente. Voleva sapere quando torno, perché vuole propormi dei copioni»
Io cerco di mantenere un tono di voce tranquillo, quando chiedo:
«Oh, bene. Che tipo di copioni?»
«Film. Per ora il teatro è un po’ da parte…»
Si ferma e mi abbraccia.
«Lo sai che prima o poi devo tornare a Londra»
«Sì, lo so» sussurro, stretta a lui «Ma va bene. Lo sapevo. Non c’è problema. E poi Londra non è così lontana. Insomma, un’ora d’aereo. Se volessi andare a Bergamo ci impiegherei lo stesso tempo! Diciamocelo, ormai con i voli si arriva dovunque e…»
Mi interrompo per prendere fiato.
«La mia piccola coraggiosa» mi sussurra lui.
Io all’improvviso lo stringo forte.
«Ben, dimmi solo se è un addio o no»
«Certo che no» mi dice, accarezzandomi la schiena, come se volesse tranquillizzarmi.
«No, davvero. Io ho bisogno di sapere solo questo: se quando partirai tu vorrai ancora vedermi e stare con me o se finisce tutto così e io resterò qui a chiedermi cosa fai e se mi stai pensando mentre tu sarai al Polo Nord per lanciare qualche super film…»
«Al Polo Nord e circondato da modelle. Tutte bionde.»
Io faccio un mezzo sorriso.
«Scusa, mi ero ripromessa di non angosciarti…»
«Non scusarti. È normale avere questi dubbi. Mi sembravi fin troppo serena, in effetti. Avere una storia a distanza è difficile»
«Tu ne hai avute?»
«Sì…con la mia ex eravamo spesso lontani. Però anche lei viaggiava molto per lavoro e cercava di raggiungermi appena poteva»
«Questo posso farlo anche io» certo, se escludiamo il problema soldi e il fatto che sono senza lavoro, ma affrontiamo una cosa per volta. «È finita per la lontananza?»
«No. Però lei mi accusava sempre di essere troppo impegnato, distante… non voglio che succeda anche con te»
«Non succederà, Ben»
«Non puoi saperlo, Gin. Non ci siamo ancora salutati e già ti rendo triste»
«No, tu mi rendi felice. Per questo non voglio che finisca. Io sono solo spaventata che tu ti stanchi, che non abbia voglia di aggiungere ai tuoi impegni anche…me»
«Ma Gin, io ero sicuro di non voler avere una storia prima di conoscere te. E da quanti giorni ci conosciamo? Quattro? Mi sembra che sia chiaro che io voglio stare con te, se tu hai cambiato le carte in tavola così velocemente»
«Sì, ma tu…tu sei Ben Barnes e io invece…» lo sto ancora stringendo e non lo guardo, ma lui si allontana di un passo e mi prende il viso tra le mani. E quando io evito di incontrare i suoi occhi, resta in silenzio e mi accarezza lo zigomo con il pollice.
Alzo lo sguardo.
«Io non sono Ben Barnes, ma semplicemente Ben. E questo sia chiaro da subito, ok? Tu e io e basta»
«Ok» dico esitando.
«Gin, davvero a me la vita da jet set non interessa. Ma se tu non ti fidi, io non so come fare a costringerti a credermi. Se mi dai fiducia, vedrai che è vero. Ma devi anche sapere che a volte è inevitabile che io vada alle feste e incontri persone. Lo faccio per lavoro»
«Ma io mi fido di te! È solo che, rispetto a te, io sono così…»
«Cosa?»
Io resto zitta.
«Gin! Così cosa?»
«…insignificante»
Lui sospira.
«Scusa, ma questa è la cosa più stupida che potevi dire e non sono abituato a sentirti dire cose stupide. Ma perché, cosa ho fatto per farti pensare che sono così presuntuoso?»
«Niente, io non lo penso!» sono scandalizzata.
«Invece sì, perché se io penso che tu sei una ragazza bellissima e intelligente e tu sei convinta che io invece ti considero insignificante, allora io sbaglio qualcosa, ma so cosa, quindi dimmelo tu!»
L’ho fatto arrabbiare. Mannaggia a me. Detta così, sembro anche una stronza.
«Ben, non sei tu, sono io! È solo che io…io non me lo so spiegare com’è possibile che io sia stata così fortunata da incontrarti e da essere qui con te, ora» dico d’un fiato.
«Ma perché?»
«Ma come perché? Ma perché è…impensabile! Ancora mi chiedo se sogno o se è vero»
Lui scuote la testa.
«Scusa, ma io potrei dire lo stesso. Anzi, io te l’ho detto per primo, se proprio dobbiamo essere precisi. Che mi considero fortunato per averti trovata. Pensi che io non sono sincero? Pensi che mi reputo superiore a te?»
Sto per ripetergli che lui è…bè, è lui, ma mi mordo il labbro appena in tempo. Ma capisce lo stesso.
«E non dirmi di nuovo che io sono Ben Barnes, per favore. Per me non significa niente. È il mio lavoro. E basta. Ma tu sei nella mia vita privata, ora» poi esita «Sempre se lo vuoi, almeno»
«Ma certo che lo voglio!» entro in panico «Come fai a pensare di no?»
«Perché tu ne esci con queste idee assurde. Scusa, cosa dovrei pensare? Noi stiamo insieme o no? Dimmelo.»
Ah, devo dirlo io?
«Certo!!» esclamo precipitosamente.
«Allora basta. Niente Ben Barnes. Ben e Gin. E basta»
Annuisco.
«E guai se te lo sento dire di nuovo. Non lo devi nemmeno pensare» mi ammonisce.
«È solo che sembra troppo bello per essere vero»
«Ma perché siamo io e te, o perché io sono famoso?»
«Perché siamo io e te! Insomma, a me non importa se sei famoso. Anzi! Solo che tu lo sei e quindi per me è ancora più strano! Primo che io sia fortunata, secondo che tu sia tu! Ok, ok, non lo dico più» concludo precipitosamente, vedendo la sua espressione.
 «Gin…a volte dici cosa con poco senso, sai?»
«Lo so» mi mordo un labbro «Scusa»
«Vieni qui» mi abbraccia di nuovo e io mi rilasso.
Sono un’emerita idiota e se rovino questa storia a suon di paranoie non so cosa mi faccio.
«Dopo che ti ho fatto arrabbiare, vieni lo stesso con me a fare shopping?»
«Non sono arrabbiato. Volevo solo che le cose fossero chiare. Lo shopping è proprio, proprio necessario?»
«Sì, se non vuoi che io giri nuda»
«Fantastico, allora non serve!»
«Molto bene, ma te ne pentirai quando domani andremo a fare colazione al bar»
«Se la metti così, non vale» sospira in modo esagerato. «Va bene, hai vinto tu»
 
Alla fine, sono davvero brava: faccio tutto velocissimamente e mi fermo a sbavare solo davanti a un vestito nero, drappeggiato, lungo fino al ginocchio, monospalla con manica ricamata in pizzo, meraviglioso, fantastico, incredibile, che costa la modica cifra di 490 Euro e che quindi resterà un mio sogno proibito. Torniamo a casa e reclutiamo Francesca e Tommaso per andare nel mio vecchio appartamento, di cui ho ancora le chiavi.
Normalmente, io non inviterei nel mio minuscolo ex appartamento Ben, chiaramente abituato a ville megagalattiche e a loft in pieno centro, ma pazienza. Mi ripeto che vuole stare con me – me l’ha detto lui – e di darmi una calmata mentre entriamo come ladri nella mia ex stanza.
Lui si guarda attorno e scoppia a ridere quando vede una suo foto che campeggia nella bacheca appesa al muro.
«Carino, vero?» dico io, disinvolta «È il mio ragazzo, sai…»
«Molto carino, sì» sorride lui.
Non c’è praticamente più nulla di mio qui. Sara ha davvero portato via tutto. Stacco la bacheca dal muro e me la porto via.
 
La sera, mentre siamo a cena, Livia chiama Ben al cellulare. Lui si scusa e si alza e, quando torna, dice che ha un annuncio da fare.
«Allora è deciso, ho accettato. Recito nel film di Livia»
Tommaso esulta e gli dà il cinque.
«Ma avevo capito che il tuo agente ti sconsigliava di accettare…»
«Infatti è così. Ma io ho deciso che invece accetto. E accetto più volentieri se tu, Gin» e qui mi prende la mano «Verrai a lavorare con me, al film»
Momento di attonito silenzio.
«Cosa?»
«Voleva dirtelo Livia, ma te lo preannuncio io. Ti offrirà un lavoro nella crew del film. L’hai molto colpita con la tua conoscenza dei libri e le tue idee»
Francesca batte le mani. Tommaso fa un fischio.
«Ben, è un’idea meravigliosa! Ma perché non ci ho pensato io?» esclama
Io sono senza parole.
«Gin? Che ne dici?» ben mi sorride dolcemente.
Che ne dico? Se riuscissi a parlare, magari…
«Io…non lo so» lo guardo stranita «Non sono capace»
«Di fare cosa?»
«Di fare…quello che dovrei fare. E che cosa sarebbe a proposito?»
Tommaso scoppia a ridere, Francesca scuote la testa invece:
«Gin, sarai bravissima. Non preoccuparti. È un’idea fantastica: potrete stare insieme»
Potremo stare insieme! È vero! Oddio, non ci avevo pensato. Mi si illuminano gli occhi.
Ben mi stringe la mano.
«Gin, ascolta. Voglio che decidi sulla base di quello che vuoi tu. E egoisticamente anche sul fatto che sì, potremo vederci di più. Ma tieni conto che dovrei girare un altro film prima che siamo pronti per questo. Che dovrò viaggiare molto, comunque. Che per te significa lasciare casa tua, la famiglia…»
«Ben, la stai spaventando!» dice Francesca, scandalizzata.
«Sto dicendo la verità» sospira lui «Gin, io vorrei che tu dicessi di sì. Ma per prima cosa voglio che ci pensi bene, perché è una decisione importante. Noi due ce la faremo comunque, anche se scegli di dire no»
 
Io sono seriamente, seriamente a rischio di innamorarmi di questo ragazzo. Oltre la razionalità, la prudenza, oltre qualsiasi cosa.
 
«Ok, dimmi i pro» lo guardo negli occhi, quegli occhi scuri in cui potrei perdermi, e li vedo addolcirsi.
«Ci vedremmo di più. Potresti già venire a Londra con me, tra qualche giorno: Livia ci raggiungerebbe presto. Quindi non dovremmo salutarci, per ora. Londra è stupenda. Livia è una professionista, so che ti troveresti bene. Non ti proporrei mai di lavorare con qualcuno che non sia bravo, serio e professionale come lei»
«Potresti viaggiare molto e conoscere tante persone nuove» mi dice Tommaso.
«E sarebbe una nuova esperienza, che fa sempre curriculum» aggiunge Francesca.
Ci guardiamo e lei sorride:
«Non osare dire di no perché ti ho detto che volevo che cercassimo lavoro insieme»
Tommaso le passa un braccio attorno alla vita.
«Non preoccuparti per lei» aggiunge.
E io incontro di nuovo gli occhi di Ben. Mi guarda attento e premuroso.
«Gin, pensaci. Senza fretta, davvero…»
Io lo voglio. Voglio che funzioni davvero, con lui.
Qui non ho più il lavoro, né l’appartamento.
Sarebbe così tremendo accettare?
Io di solito sono una persona che riflette cento volte sulle cose e poi ricomincia da capo. Ma stavolta… cosa ho da perdere? Non ho idea di cosa sia questo lavoro, ma ci sarebbe Livia. E, cosa più importante, ci sarebbe Ben. Anche se si trattasse di portargli il caffè, sarebbe così male? Potrei vederlo sempre. Non dovrei salutarlo a breve. Vedrei Londra, con lui. casa sua, i suoi amici…la vita che ha lontano da me.
Anche se tutto questo non significasse un nuovo lavoro, sarebbe così tremendo?
Vorrei dire che non lo so, ma lo so. Da quando l’ho incontrato, lo so cosa voglio.
 
Così lo guardo negli occhi e dico semplicemente:
«Sì»

   
 
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