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Autore: Blue Drake    10/05/2012    1 recensioni
Questa è una storia senza futuro.
Questa è la storia di un passato senza coscienza.
Questa è la storia di un presente fra le ombre.
Questa è la mia storia.
Non sono sempre stato crudele. Non sono sempre stato freddo, cinico ed egoista. Un tempo non lo ero. Un tempo ero un bravo ragazzo, un ragazzo come tutti: normale.
Ma ci sono esperienze che cambiano la vita. Che ti strappano alla normalità, e ti privano di speranze e sentimenti.
Un tempo non era così. Un tempo io ero un uomo. Ed ora? Ora sono solo un'ombra...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dentro e Fuori dall'Agenzia'
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Capitolo 36

7 marzo 1965 – “La verità sulle tue labbra”

 

 

«Che cosa vuoi?»

Mi fissò. Nei suoi occhi c'era dolore.

«Che cosa ti hanno fatto?»

Ripeté per la seconda volta, come una litania.

«Va' via!»

Ringhiai, sperando di apparire abbastanza minaccioso. Così non fu, evidentemente, perché lui rimase fermo nel punto in cui si trovava, ed invece di allontanarsi, allungò nuovamente una mano, a scostare ciocche di capelli finitemi davanti agli occhi.

«Non volevo che succedesse tutto questo e... Mi dispiace. Mi dispiace così tanto, Jules. Se solo... sapessi come tirarti fuori da questo posto... Ma non so come»

«Non puoi. Tu non sei reale»

Spalancò gli occhi, fissandomi con un'espressione inorridita e sconvolta. Mi accarezzò una guancia, sfiorando uno dei tanti lividi e facendomi fremere. Ed infine si allungò, appoggiando piano le sue labbra alle mie. Quelle stesse labbra fredde che ricordavo così bene, ora erano di nuovo su di me. Sgranai gli occhi, incredulo.

«D-Derek...»

«Era ora che mi riconoscessi»

Bisbigliò, soffiando il suo alito tiepido sulla mia guancia.

«S-sei tu... Che cosa... Q-quando... ?»

«Calma, calma. Una cosa per volta»

«Stai bene?», chiesi, timidamente.

«Abbastanza...», mi osservò, ancora, facendomi vibrare, «Meglio di te, da quanto posso vedere»

«Loro... l-loro...»

«Lo so, lo vedo. Non parlare, ora. Rilassati»

La sua voce, che attraversava dolcemente il mio corpo, si mischiò al leggero tocco delle sue mani sulla mia schiena. Mi appoggiai a lui, lasciandomi cullare dal suo calore.

 

 

 

«Morirò qui, in questo posto»

Sussurrai appena, diverso tempo più tardi, sforzandomi di non rompere quella strana quiete appena creatasi con il suono della mia voce. Sentii ugualmente il suo corpo irrigidirsi sotto il mio. I suoi occhi di ghiaccio mi scrutarono, con rabbia e decisione.

«No. Non succederà. Troverò un modo per farti uscire. Non importa come, ma lo farò. E questa volta sarà per sempre. Te lo giuro»

Ancora una volta decisi di credere alle sue parole. VOLEVO credergli, anche se sembrava una cosa impossibile, in quel momento, desideravo con tutto me stesso che fosse la verità.

 

Fu costretto a scivolare via dalle mie braccia quando, uno dei tanti soldatini da guardia entrò - senza, ovviamente, chiedere il permesso - avvisando che un fantomatico tempo limite era appena scaduto, ed intimandogli bruscamente di uscire.

Mi guardò, a lungo. Quando i nostri occhi si incrociarono, ebbi d'un tratto paura.

Allora non seppi spiegare quella sensazione, apparentemente immotivata. Sapevo solo che se ne sarebbe andato, lasciandomi di nuovo da solo. Sentivo unicamente quel vuoto oscuro dentro di me, che si dilatava. Un'opprimente sensazione di abbandono.

Ciò nonostante, rimasi in silenzio. Non sapevo cosa dire, né come dirlo. Stetti ad osservarlo scomparire, oltre la porta grigia di quella che sentivo come la mia tomba.

Avrei dovuto fermarlo. Non lo feci. Per qualche assurdo motivo, non dissi nulla.

 

 

 

Quella fu l'ultima volta in cui lo vidi. L'ultima occasione di sentire la sua voce, di perdermi nei suoi occhi infiniti.

Non so nemmeno se sia ancora vivo. Se sia ancora a Londra. Se continui a svolgere, diligentemente, il suo lavoro. O se, invece... non esista più nessun Derek Marlow.

 

In alcuni momenti della mia esistenza, quando i dubbi si fanno più pressanti ed i ricordi più dolorosi, torna a bussare alla mia mente la sua figura, slanciata e misteriosa. Ma subito mi affretto a scacciarla, temendo di non avere più la forza di liberarmene ed andare avanti.

Avanti. Come posso anche solo pensare di andare avanti? Di guardare oltre? Se tutto quello che ho lasciato alle spalle sono i pezzi più importanti e tormentati della mia vita? Se ogni mattina mi sveglio, dilaniato dal pensiero che non sono niente, che da quasi sei anni a questa parte mento a me stesso, e non faccio che vivere all'ombra di ciò che è stato? Che forse, quel giorno di neri e rossi, sarebbe stato meglio se mi avessero lasciato a dissanguarmi fra le mani di quei folli?

 

La libertà non è un diritto. È un dovere.

A volte il suo peso diventa insostenibile. A volte è più facile vivere schiavi. Senza futuro. Ma sapendo di essere qualcosa, di appartenere a qualcuno, di avere uno scopo.

Io, quello scopo, non ce l'ho più. Non mi rimane più niente. Vivo, respirando aria che brucia i miei polmoni, rammentandomi che non dovrei esserci.

Non sono in grado di guardare al futuro. Il futuro appartiene a coloro che lo vogliono, a chi sa che un giorno raggiungerà i propri traguardi, a chi insegue i propri sogni, cercando un equilibrio, la serenità, a chi appartiene a questo mondo e crede che il mondo gli appartenga.

Io non appartengo a nessuno, neppure a me stesso. Lascio che la vita mi scorra fra le mani, senza mai provare ad afferrarla, a trattenerla. Ho smesso da tempo di rimanerle aggrappato. Da quel lontano mattino di quasi primavera...

 

   
 
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