Capitolo Primo
Ad Antiva, sai bene, ha sempre fatto un gran caldo. La
polvere della strada si attacca ai piedi infilati nei calzari e si annida tra i
capelli appiccicati sulla fronte, non appena varchi la soglia di casa.
Quel giorno, il giorno in cui sono nato, non fece eccezione. L’orizzonte colava
per via del sole bollente. Non era il vento a sollevare le foglie delle palme
ma il respiro dei cammelli legati ai loro tronchi. Si boccheggiava per l’alfa,
giù al mercato; le nobildonne sventolavano ventagli di legno profumato e i
servitori le scortavano affaticati, grati, però, di seguirle all’ombra dei
portici.
La calura, tuttavia, non raggiunse la fredda stanza in cui la mia venuta al
mondo era attesa con rammarico più che con gioia: nessuno si era mai augurato
avvenisse in un bordello, nei sobborghi più bassi dell’enclave, e si sapeva che
mia madre sarebbe morta subito dopo avermi visto negli occhi. I suoi,
nerissimi, erano stati già abbandonati dai sogni che li avevano illuminati,
prima di spegnersi per sempre.
Mio padre, infatti, era stato ucciso poco tempo prima da un manipolo di umani.
Non chiedermi il motivo. Sappi solo che persino il più giusto e nobile non
sarebbe stato abbastanza per una simile fine. Il suo corpo non era ancora
marcito che subito la sua sposa lo aveva raggiunto.
Ovviamente non conosco molto di mio padre, e lo stesso posso dire di mia madre,
che fu però una Dalish non abbastanza orgogliosa da restare nel suo clan,
invece di seguire un taglialegna e il suo effimero amore.
Mi autorizzo comunque a credere che lei mi avrebbe amato, seppur solo di quel
sentimento imposto dalla natura ad una madre. Giacché mi rendo conto che per
lei avrei impersonato soltanto il riflesso di un’esistenza lontana da quella in
realtà ottenuta. Inoltre, suppongo, sarebbe stata troppo giovane e inesperta
per cogliere la differenza tra l’odio per il suo fallimento e l’odio che le
avrebbe suscitato la vista del frutto di quel fallimento: mi avrebbe visto
infelice, orfano di padre, senza una vita degna di essere chiamata tale, così
tramite me avrebbe detestato se stessa.
Se mi sforzassi abbastanza, sarei in grado di ricordare quel suo primo e unico
abbraccio, traboccante di rabbia verso il destino che ci divideva. Tanto aveva
urlato di piacere durante il mio concepimento, così aveva urlato di dolore
mentre mi stringeva a sé, lavandomi con le sue lacrime.
Non dovevo essere stato nemmeno un gran bello spettacolo: un ragnetto d’elfo,
con ciuffi di capelli così biondi da sembrare bianchi e già sudici di sangue il
cui odore, insieme a quello del cuoio, avrebbe accompagnato per sempre la mia
vita.
Mia madre mi aveva già abbandonato, quando mi tolsero dal suo petto senza
respiro.
Da qui inizia la mia storia, che non ho raccontato mai ad anima viva e mi
chiedo se riuscirai a sentirla tutta, mia cara (Zevran, ancora nudo, lisciò una
ciocca bianca della nobildonna distesa al suo fianco).
Sansa, la più giovane tra le presenti, fu colei che per prima mi raccolse dal
grembo materno. E giacché aveva perso da poco il suo bastardo, il suo seno era
ancora pieno di latte e così mi nutrì da quello stesso seno elfico, leccato
dagli stessi umani che in seguito avrei imparato a considerare come la mano che
ci avrebbe sfamato tutti quanti.
Un servizio in cambio di un altro servizio, mi avrebbero insegnato altri in un
futuro non troppo distante; ma non farmi perdere il filo del discorso!
Dov’ero rimasto? (Si portò una mano al mento, roteando gli occhi castano chiaro
sul cuscino alla propria destra, ma rivolti a un mondo molto più lontano).
Sì, parlavo di Sansa. Ora ti dirò di lei e di come le altre mi allevarono, in
un luogo che, in altre circostanze, avrei conosciuto solo da adulto.
:)
Ecco a voi il secondo capitolo, anche se non è lungo come avrei voluto, ma è mi
è uscito così xD
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