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Autore: CapaFelpy    13/05/2012    2 recensioni
Un pomeriggio e troppe parole. Una persona con delle paure, dei sogni e delle speranze spezzate. La debolezza e la forza. Il coraggio e la paura.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto è esagerato. E' reso dal punto di vista di una persona estrema, che parla quasi a vanvera. Non condivido tutti i ragionamenti del personaggio principale, alcuni sono anche irrispettosi. Pregherei però chi legge di comprendere che io non sono il personaggio e io non devo per forza condividere le sue idee. Siate intelligenti, per piacere.
Per il resto, buona lettura.

L'orologio del cuore.

Non ho mai pensato a quanto i ticchettii dell’orologio fossero simili ai battiti del cuore. Stesso ritmo incessante, non è possibile fermare il battito di un cuore e nemmeno le lancette di un orologio… a meno che non si scarichino le batterie.
È solo lì che si dividevano: il primo perde  sangue fino allo stremo, l’altro si ferma con la delicatezza di una farfalla.
Sembrerò pazza e forse lo sono.
Magari è per questo che vado dallo strizzacervelli.
I miei non si spiegano ancora, dicono solo che starò meglio.
Ma meglio rispetto a quando? Io non sto meglio, scegliere di mettere fine alla propria vita è così sbagliato?
È solo ciò che volevo. Volevo la morte.
Altre ragazze vorrebbero tornare con quel tizio, vorrebbero riavere quell’amicizia o magari la pace nel mondo.
Io volevo solo la morte.
Me l’hanno tolta chiudendomi in casa, impedendo di scegliere.
Vogliono che torni ad amare la vita e a credere in Dio.
Mi vogliono come tutte le altre. Ma io non lo sono e non lo sarò mai.
Sento i rintocchi dell’orologio: sta arrivando. Lo riconosco, lo sento.
Ancora prima che mia madre lo saluti. Riconosco le sue scarpe con la suola liscia, i suoi passi calmi e delicati, i suoi modi educati.
Chiudo gli occhi aspettando il cigolio della porta, aspettando che entri e mi saluti sperando in una risposta che non arriva mai.
Eccolo. Apre la porta e si siede di fronte a me. 
Non lo vedo, ma so che è lì, sceglie sempre la stessa sedia.
<< Come stai, Anna? >>
Come sto io? Ingabbiata, stretta, costretta. Mi sento la protagonista di una vita di leggi, di camicie strette e pantaloni attillati.
<< Come ieri. Come se mi avessero impedito di buttarmi sotto quel camion passeggero. >>
Sospira. Ha una pazienza gigante quell’uomo. Sono mesi che parla con me, che parla con muro suicida, con una ragazza che alterna la forza alla stanchezza, l’indifferenza all’opposizione.
<< Anna, perché hai provato a suicidarti? >>
Mi piace quest’uomo. È diretto, ti dice le cose come stanno, non ha paura di pronunciare la parola “suicidio”, non ha paura di chiedermi ciò che vuole sapere, non si pone limiti di educazione, convenzione sociale.
<< Per lo stesso motivo per cui lei ha smesso di credere in Dio: perché la vita è una stronza e frega tutti. >>
Mi sta guardando stupito, immagino. Immagino perché non posso vederlo anche se è prevedibile. Non mi ha mai detto che non crede in Dio eppure lo so. Come? Lo so perché non è il primo psicologo con cui parlo. Quasi tutti mi hanno cercato di propinare le loro psico-cavolate sulla credenza nell’essere superiore. Lui invece mi chiede come sto, fa domande realiste. Lui è per la ragione, la scienza. Un po’ come me.
<< Non stiamo parlando di me, ora. >>
<< Davvero? E allora perché non iniziare? Siete sempre voi a fare le domande, ora voglio farle io. >>
<< Cosa vuoi sapere? >>
<< Voglio sapere se crede nel male. >>
O diavolo, a seconda dei punti di vista. Io credo nel diavolo. No, non sono un’eretica satanista, credo semplicemente nel male che fa. E non ho paura di pronunciare il suo nome. Un po’ come Harry Potter con Voldemort. Peccato che l’abbia sempre chiamato per nome finché non è stato catturato. Stupido ragazzino, non gli hanno mai detto che a tirare troppo la corda si finisce per spezzarla?
Io non ho paura di farlo, di rompere i limiti, quando non tieni alla vita, non hai paura di rovinarla.
<< Nel male? Be’, esiste, è innegabile. Ma esiste anche il bene per sovrastarlo, non credi? >>
Una smorfia si forma sulle mie labbra piene di tagli causati dal mio vizio continuo di morderle.
Bene, bene, bene. Tutti parlano di questo presunto bene, ma dov’è mentre affondi? L’unica cosa che mi ha aiutata è stata la musica.
Poi mio padre me l’ha tolta dicendo che mi distraeva dallo studio.
Forse ha contribuito pure lui al mio tentato suicidio.
<< Lei crede? E allora perché ho tentato il suicidio? >>
E’ una domanda retorica, ha già una risposta e lui la conosce.
A volte (raramente, solo quando non ha niente da fare) la gente si chiede il motivo del mio gesto. Non sono caratterialmente debole, volendo avrei potuto evitare, non è stato un gesto dettato dalla disperazione.
Allora perché l’ho fatto?
Perché ho mollato.
La gente ormai si divide in quattro categorie: chi cerca di capirmi, chi mi capisce, chi mi punta il dito contro perché ho mollato e chi non sa nemmeno il mio nome.
I terzi sono quelli che preferisco.
Perché sono le persone realiste, ciniche, vere, dirette.
Dicono ciò che pensano in faccia e questa ne è la prova.
Io ho mollato e sono una codarda.
Sono una codarda perché ho lasciato andare fatti e persone per cui altri lottano ogni giorno.
<< Perché non credi in Dio? >>
Cambia discorso, l’uomo, è abile con il cervello, ma questo lo sapevo già.
Peccato che io sia più abile. E modesta.
<< Per lo tesso motivo per cui a sei anni ho scoperto i miei regali di Natale in camera dei miei genitori. Per lo stesso motivo per cui non credo a Babbo Natale. >>
Dicono che la miglior difesa sia l’attacco.
E hanno dannatamente ragione.
L’avversario indietreggia e tu sferri il colpo finale, una parola che lo porta a stare zitto, a non sapere più rispondere.
Sono malata, complessata, pazza.  O geniale, a seconda dei punti di vista.
<< Però ti piaceva crederci… >>
L’insinuazione dello strizzacervelli è nascosta male. Probabilmente sorride furbo o magari ha un’aria stanca. Ma di certo non indietreggia.
<< Mi piaceva perché ero una bambina. Ora sono un’adulta. Ho altro a cui pensare. >>
Suona molto come: ho sei anni e voglio giocare a mamma e figlia. Ma non è così. Sono dovuta crescere in fretta.
<< Hai solo quindici anni, dovresti smetterla di cercare di essere un’adulta. >>
<< Hai cinquant’anni, sei troppo vecchio per capirmi. >>
So che ha appena sorriso divertito. Gli piace quando rispondo pungente, per lui vuol dire che sono ancora forte. E io ci casco ogni volta, finendo per essere la forte Anna, quale sono con sommo dispiacere di chi vuole compatirmi.
<< Vedi che sei forte? >>
<< Vedi che sei irritante?> >
Apro di colpo gli occhi fissandolo con odio, quell’odio attraversato dall’affetto.
E’ la prima volta che li apro durante i nostri discorsi, puntava a questo fin dal primo giorno. E’ la prima volta che lo vedo.
Ha gli occhi neri, i capelli castani che scendono sul collo. Non è né grasso né magro, ma piuttosto alto. L’uomo senza volto ha finalmente un volto.
Ma ho voluto e voglio bene a quella parte invisibile agli occhi.
Ma ho odiato e odio quella parte invisibile agli occhi.
Non sorrido, le mie labbra restano una linea immobile.
Non mi viene da sorridere, resto l’immagine di un pallido fantasma, i lineamenti induriti da un passato più forte di me.
Quest’uomo ha cambiato la mia vita. No, non nel senso che lo amo e che non vivo senza di lui. Non sono quel tipo di ragazza, non sono devota ai sentimentalismi. Semplicemente è vero.
Ero niente prima, ero pronta al suicidio. Ma lui mi ha sempre riportata con i piedi per terra.  E forse è vero che ora sto meglio, anche se non credo comunque in Dio, non vedo il motivo di annullarmi per una bugia umana.
<< Hai aperto gli occhi. Vedi? E’ facile risalire. >>
Sorride, dopo mesi, perseverando giorno dopo giorno è riuscito nel suo intento, è riuscito a farmi aprire gli occhi.
Ma non gli basta. Lui vuole entrare nel mio mondo, nei miei pensieri contorti, vuole conoscere quell’universo che mi ha spinta al suicidio, quello che mi sono creata da sola.
<< E’ facile giocare sporco. Gli inganni non fanno per lei, Dottor Rengo. >>
Non gli ho mai dato del lei. Me l’ha chiesto il primo giorno di non farlo, voleva che mi sentissi sul suo stesso piano.
Come se avessi complessi d’inferiorità.
<< Ma con te sembrano funzionare alla grande. Forse perché non esistono nel tuo mondo..? >>
A-4: colpita e affondata. Come a battaglia navale. 
Ma qui ci si scontra a parole, qui chi perde è fregato.
Sa che non vivo nel suo stesso mondo, sa che non è quello ad avermi spinta ad un atto così “egocentrico e inutile” come direbbe la mia vicina.
E’ stata la prima a dire quello che pensava su ciò che era successo.
“Un atto da egocentrica, molto inutile, tentava solo di attirare l’attenzione. A dir poco patetico. “
Testuali parole.
Mi ha fatta star male? No, affatto. Non mi interessa il parere di una donna che parla per dar fiato e che vive con milioni di canarini.
Tanto prima o poi se li mangia Black, il mio gatto.
<< Che ne sai tu del mio mondo? Sei un uomo qualsiasi, un psicologo con la mente chiusa, troppo attaccato al realismo classico per scorgere quello oltre mondo. >>
Il mio realismo non si è mai fermato al tipo classico, è andato oltre, oltre il realismo dell’uomo comune.
<< Potrei conoscerlo. >>
<< Non lo capiresti. >>
<< Mettimi alla prova. >>
Mi provoca. Vuol dimostrarmi che può essere come me, che può capirmi, che può entrare nella mia testa. Stupido illuso.
Gli lancio uno sguardo affilato, carico di sufficienza.
Uno sguardo di disprezzo che non esiste, una maschera di odio così falso.
Siamo uguali, non posso negarlo.
Siamo figli della stessa isola abbandonata, della stessa amarezza repressa, dello stesso mondo bugiardo ed egoista.
Lo odio per essere così simile a me, per avermi legata a lui involontariamente.
Non posso non legarmi a qualcuno che vive il mio stesso inferno, che affonda nel mio stesso odio.
<< Nel mio mondo la gente cammina sulle ginocchia. I potenti camminano in piedi e sputano su di loro, senza dannarsi oltre. Nel mio mondo non esistono le favole. Nel mio mondo il principe azzurro è gay, ma se la fa con la strega di Biancaneve che in verità è una figa dell’alta moda per nascondere la sua omosessualità, è pericoloso essere diversi.
Cenerentola ha avvelenato il cibo per le sorellastre e la matrigna, s’è fottuta la casa e finge di vivere con loro personificandole con vestiti e abiti cuciti dai topi che sfrutta. Ha ucciso il gatto e l’ha cucinato con la zucca.
Raperonzolo è sì uscita dalla torre, ma solo perché s’è buttata giù. Le fatine in verità si odiano e fingono di amarsi perché sono semplici ipocrite.
Nel mio mondo Dio non esiste e il Diavolo lo incontri alla fermata dell’autobus.
Nel mio mondo devi girare armato o ti uccideranno. Nel mio mondo nelle scuole insegnano la difesa e l’attacco. Nel mio mondo se lavori sei un perdente. Nel mio mondo la musica è vietata. Nel mio mondo i genitori picchiano i figli. Nel mio mondo le donne vengono stuprate appena girano l’angolo. Nel mo mondo niente funziona. >>
Ho pronunciato queste parole in tutta freddezza, come se non mi importasse. Senza tradire il minimo segno di dolore, di sofferenza.
Non provo niente, o almeno fingo di non provare nulla.
Tanto a pochi interessa, tutti gli altri sono solo curiosi.
Lui non muove un muscolo. Conosce quel mondo, conosce quella realtà, magari l’ha vissuta. Mi scruta attentamente prima di parlare.
<< Anna, perché il tuo mondo è così nero? Che è successo? >>
Il mio mondo non è nero. Il mio mondo è reale. Il mio mondo è pieno di tutto ciò contro cui sbatto ogni giorno.
“Menti”
Una voce nella mia testa dice la verità, io mento, mento, mento.
Io sono la feccia, io sono gonfia di errori, io sono quella con gli scheletri nell’armadio e la chiave sciolta nell’acido.
Io sono quella che si tormenta, che si ripete i suoi errori come una lezione da imparare a memoria, che si tiene la testa fra le mani a causa degli sbagli di un passato mai passato. Di quelle cazzate fra ragazzi, delle sigarette fumate in spiaggia.
Mi alzo di colpo con gli occhi pieni di una rabbia rivolta solo a me stessa.
<< Cosa ne sa lei? Parla con la tranquillità di un morto, parla come se andasse tutto bene! Non sa nemmeno cosa vuol dire sentirsi sporchi, aver fatto degli errori che ti tormentano, che tornano a farti visita. 
Quelle cazzate fatte con gli amici che vorresti dimenticare, ma che incontri ogni giorno! Quelle parole dette per rabbia che ti hanno rovinato la vita, errori che tu avresti perdonato se fossero stati di altri. Ma non lo sono e puoi solo sentirli tornare a farti visita, ripeterti che sei stata un’idiota, che sei stata una merda. Vorresti solo tornare indietro e fare la cosa giusta, vivere la tua vita veramente, senza quella gabbia di rimorsi in cui sei rinchiusa.
Ti senti ripetere che hai sbagliato e lo sai, ma non puoi cambiare ciò che è successo. Lo senti la sera quando poggi la testa sul cuscino, quando non riesci a dormire. E allora comincia a farti schifo il mondo, quel mondo che tormenta i buoni e applaude i cattivi.
E ti ritrovi a tentare il suicidio e a parlare con un psicologo che probabilmente nemmeno ti capisce. >>
Ho il fiato corto. Ho detto queste parole velocemente, quasi senza prendere fiato dalla rabbia. E’ la prima volta che mi escono fuori queste cose. Non le avevi mai dette a nessuno. Ero convinta che non si potesse capirmi. Ne sono convinta ancora ora, ma voglio dargli una possibilità.
Lo vedo sospirare, di nuovo, e poi guardarmi.
<< Avevo 17 anni quando lasciai che i miei “amici” picchiassero un ragazzo perché era gay. Il loro piano era solo spaventarlo. Qualche livido e poi basta.
Poi è degenerato. Un pugno più forte e il ragazzo ha sbattuto la testa cominciando a perdere sangue. E’ quasi morto. Ho lasciato che succedesse e non me lo perdonerò mai. Mi tormenta ancora il suo viso.
Rivedo ancora lui che sanguina, rivedo ancora i suoi occhi sbarrati, rivedo ancora io che sto zitto. Non sei l’unica ad aver fatto degli errori e a starli pagando, Anna. >>
Non ha gli occhi lucidi. Un qualunque uomo di fronte a certi ricordi avrebbe fatto cadere una lacrima, lascito gli occhi inumidirsi, ma lui no.
Ha coraggio e forza da vendere. Un po’ come me.
Io sono colpita, invece. Colpita da parole che sono frecce avvelenate, parole che rivelano i pregiudizi che mi tappano l’anima.
<< Io non sapevo… Non pensavo. >>
Sospira. Quei sospiri così stanchi.
<< Già, Anna, tu non sai niente. Non sai niente di me, del mio passato, di ciò che ho provato. Però sono troppo chiuso per capirti, troppo vecchio per sapere cosa provi e troppo psicologo per avere il diritto di conoscere il tuo mondo. Non sono le persone a giudicarti o a non fidarsi: sei tu a farlo. >>
Rimango paralizzata. Quell’uomo dice la verità. E la verità è che sono io a sbagliare. Non volevo sentirmelo dire, volevo far finta di niente, far finta di essere diversa.
‘La miglior difesa è l’attacco, ricordalo, Anna.’
Tiro fuori le unghie fissandolo.
<< Forse hai ragione, sai? Ma tutti parlano di fidarsi, ma nessuno dice quant’è difficile. Nessuno ti dice “Impegnati, ma sappi che sarà dura, che soffrirai”. Tutti ti dicono quanto l’amore, la famiglia e l’amicizia siano belli e importanti. Ma chi parla della violenza di un padre? Chi parla dei cuori spezzati? Chi parla delle amicizie finite con un ciao? Sono tutti ipocriti, falsi. Sanno cosa vuol dire essere piene di lividi? Sanno cosa vuol dire non poter amare il proprio padre? Sanno cosa vuol dire quando ti spezzano il cuore persone in cui credevi?E’ tutto uno schifo qui. >>
L’ho sempre pensato. Ho sempre creduto che questo mondo andasse male, che fosse tutto tremendamente sbagliato.
Non ho le lacrime, ma piango dentro. I ricordi sono delle valanghe dell’anima. Forti, pensanti e dolorose. E io le odio.
<< Non ti hanno mai detto che sarebbe stato facile. Ti dicono solo che la vera amicizia, il vero amore e la famiglia sono belli, non che sia facile raggiungerli. Dovresti capire che niente arriverà pronto e perfetto. >>
Lo sapevo, ma facevo finta di niente, fingevo che non facesse male da quanto bruciava. Perché brucia aver sbagliato, brucia ammetterlo.
Io e lui siamo uguali.
Io voglio essere adulta e lui me lo insegnerà.
Quella che ha mollato e quello che lotta.
Suona bene.
Suona come se per una volta tutto potesse andare bene davvero.
Perché io lo invidio. Per quanto possa dire che lo disprezzo: non è così. Invidio la sua forza. 
Io ho tentato il suicidio perché volevo, ma ho odiato il momento in cui ho scelto di farlo. E’ stata una cazzata.
<< Lei… lei non capisce. Io voglio un mondo perfetto e non posso averlo. Per questo cerco l’estremo: un mondo orrendo. >>
Estrema in ogni cosa. Lo sono sempre stata.
<< Non è necessario. Prova ad amare come se non fossi mai stata ferita, ridi come se non avessi mai gioito e piangi come se fosse la prima volta. So che sembra banale, ma in verità è basilare se vuoi sopravvivere. Vivere sugli errori è inutile e deludente. >>
Sorrido alle sue parole.
Era vero, bisognava ricominciare da capo, vivere di nuovo.
Un sorriso poteva essere un inizio, il mio inizio.
<< Hai ragione. >>
<< A volte. E a volte penso che non dovrei dilungarmi troppo. Ci vediamo presto, Anna. >>
Si alza ed esce. Sono di nuovo sola.
Mi alzo e prendo il cellulare scrivendo un messaggio a cinque persone: i miei migliori amici. 
Non so se lo leggeranno subito, se stanno studiando, o se sono a fare sport. L’importante sarà per me il loro sorriso quando vedranno.
Perché “Ragazzi, l’orologio del mio cuore torna a misurare il tempo. Domani piazza?” è come ridargli speranza.
Sorrido. Anche la persona più forte a volte ha bisogno di un paio di pile nuove.
  
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