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Autore: Nyss    13/05/2012    0 recensioni
Ellen ha una vita difficile: una famiglia assente, assorbita dagli impegni, lunghe permanenze in collegio, da settembre a giugno, e gli studi e i duri allenamenti per diventre cacciatrice come tutti i suoi parenti le rendono la vita un inferno. La scuola è orami diventata la sua casa ed è il suo porto sicuro, ne è sicura. Ma le sue convinzioni vengono stravolte quando inizia a cadere una strana neve che in breve forma muri tanto alti da isolare la scuola. Contemporaneamente comincia una lunga serie di misteriose sparizioni ed Ellen è costretta a prendere in mano la situzione per far tornare tutto nella norma.
Una brevissima storia di soli tre capitoli per nulla impegnativa. Leggete e divertitevi!
Genere: Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Secondo capitolo

§
 

Quello di cui non mi capacitavo era come un piccolo appunto scritto su carta spiegazzata e lercia potesse cambiare dalle fondamenta un piano ben radicato nella mia mente.
Ma se prima brancolavo nel buio, con solo una minuscola possibilità di portare a termine la missione, ora avevo almeno un indizio. Non dovevo più cercare di attirare l’attenzione su di me, potevo essere io a trovare loro.
Ellen invece in quella situazione c’era capitata suo malgrado. Non l’aveva cercata. Non importava il suo grado d’addestramento o la sua determinazione, era inesperta e allo sbaraglio, forse la prima volta che affrontava un pericolo da sola e non era preparata.
Quando le avevo proposto di stabilire una base e di organizzarci per difenderci a vicenda mi era sembrata estremamente sollevata. Quando poi mi ero offerto di fare il primo turno di guardia era stata più che contenta, riuscendo a trattenere a stento un largo sorriso. Era crollata sul letto come una bimba dopo un pomeriggio al parco giochi. Sembrava non dormisse da giorni.
L’idea che mi ero fatta di lei, di una ragazzina capitata li per caso era stata smentita il giorno dopo, quando avevamo seppellito il cadavere della donna. Non si era fatta problemi ad infilarla in un sacco e scavarle una buca tra il ghiaccio –seppellirla nella terra sarebbe stato impossibile. D’altronde, perché avrebbe dovuto mostrare pietà quando quella donna l’aveva assalita?
Erano passati giorni dalla sera in cui le avevo medicato la ferita, tutti all’insegna dello studio e della ricerca per decifrare quello stupido codice. La sera, prima di andare a dormire, facevamo qualche esercizio per tenerci in allenamento e scaricare la tensione dei muscoli costretti all’immobilità per interminabili ore. Non ci crederete, ma i codici inventati sono migliaia, semplici, complessi, strambi… veramente difficile vagliarli tutti.
Avevamo sprecato un sacco di tempo per poi scoprire il trucco. Un trucco semplice e vecchio come il mondo, per l’appunto, un trucco. Un errore fatale è quello di sottovalutare i nemici, ma si corrono pericoli anche nel sopravvalutarli.
Non avevamo perso tempo dopo aver scoperto l’ubicazione dell’entrata. Di che cosa non ci era dato sapere. C’eravamo trovati davanti ad una grande bocca buia. Da una parte fuoco, candele e lampade, dall’altra oscurità umidiccia e pericolo mortale. Ma noi siamo cacciatori e come tali dobbiamo compiere scelte nette. Come ora, o bianco o nero, non si può sostare sul limbo ancora per molto. Il grigio non è fatto per noi.
Non ero certo di potermi fidare ciecamente di Ellen. Era brava, sveglia e agile, ma era pur sempre una novellina.  Non le avrei affidato la mia vita se ci fossimo trovati in condizioni normali. Ma eravamo io e lei, senza alcuna possibilità di scelta.
Legammo l’estremità di un filo alla gamba di un tavolo. L’altra l’avremmo tenuta con noi per non perderci. Credo che qualcuno una volta abbia detto che se non dai troppo peso alle cose la paura non ti assale. Probabilmente quello era uno topo di biblioteca mai uscito dal suo studio. Sorpassai l’entrata, risoluto nel portare a termine il mio compito il prima possibile. Sentii i passi di Ellen che mi seguiva.
Per qualche tempo dovemmo avanzare affidandoci solo al nostro tatto. Il buio era fitto, più nero dell’inchiostro, perché non c’era nemmeno una torcia a rischiararlo. Non ci azzardavamo ad usare un accendino per paura d’essere scoperti.
Poi cominciammo a scorgere delle lampade ad olio qua e la, messe come a casaccio, alcune troppo vicine, altre troppo lontane. Meglio di niente comunque.
Il corridoio che stavamo seguendo proseguiva dritto per decine di metri. Le pareti di pietra grezza erano fredde come ghiaccioli e non si potevano appoggiare le mani per più di una manciata di secondi. Il nostro alito si condensava appena fuori dalle nostre labbra.
Andammo avanti così per quelle che sembrarono ore, anche se probabilmente non furono che dieci minuti. Scendemmo molti scalini sdrucciolevoli per poi imboccare altri corridoi infiniti come i precedenti. Se qualcuno fosse passato di li avremmo dovuto ucciderlo prima che lanciasse l’allarme. Ma sembrava che non ci fosse nessuno. Non so se fosse una fortuna.
Stavo cominciando a preoccuparmi per il filo in esaurimento quando udii una voce di donna. Entrambi ci pietrificammo sul posto, ghiacciati dalla vicinanza al pericolo. L’adrenalina cominciò a scorrerci nelle vene.
 Ci accostammo alla minuscola porta dalla quale sembrava provenire il suono.
Sbirciammo all’interno, lei con il viso quasi al livello del pavimento, io poco sopra la sua testa.
La stanza alla quale eravamo affacciati altro non era che una modesta cripta scavata nella pietra viva. Lo spazio centrale era occupato da panche di legno grezzo, sulle quali sedevano un sacco di persone, una cinquantina, forse più. Accalcati in uno spazio così stretto sembravano il doppio. All’altro capo della sala una rientranza occupava tutta la parete. Questa era rifinita meglio, levigata con cura e incisa con recisione. Il pavimento in quel punto era rialzato, come l’altare di una normale chiesa..
La donna che parlava si trovava li, dietro ad un leggio che, per quanto imponente, non poteva nascondere l’autorità della signora, come se fosse fisica. Lei era l’unica che mostrava il viso. Non l’avevo mai vista aggirarsi per la scuola: il suo caschetto corvino e le labbra rosso fuoco erano impossibili da non notare.
A distinguerla da quelli che, sicuramente, erano i suoi sottoposti, c’era anche un complesso disegno scarlatto cucito sul petto della tunica.
La donna parlava ed era impossibile non starla ad ascoltare.
-L’Adepto numero 7-5-0 ci ha portato un regalo. Facciamo un applauso d’incoraggiamento. Grazie Adepto 7-5-0, hai servito bene il tuo Signore e Padrone- così dicendo si avvicinò al ragazzo –o ragazza?- e gli appuntò una spilletta rossa sul bavero. La folla esplose in un fragoroso applauso. Il ragazzo che l’Adepto teneva legato ad una corda sussultò, ma rimase fermo al suo posto, rannicchiato contro le gambe del suo padrone. Probabilmente quello era il regalo, Justin Finnigan, terzo anno. Sembrava impaurito e sperduto, assoggettato completamente alla volontà di quell’Adepto 7-5-0, nonostante fosse molto più grosso di lui.
-Nonostante ciò- fece la donna, sedando l’entusiasmo della folla -siamo in ritardo con il programma… Non abbiamo ancora raggiunto il numero ottimale di offerte e il rito è tra cinque giorni. Non vorremmo mai deludere il nostro Maestro… Diamoci da fare per renderlo orgoglioso dei suoi Figli- fece una pausa ad effetto, dove la sua dolce espressione zuccherosa trasmutò, diventando improvvisamente sibillina e, puntando gli occhi su particolari soggetti, sibilò: -Se questo non dovesse essere sufficiente, ecco un incentivo: la punizione sarà esemplare- non aveva detto niente di particolarmente minaccioso, ma la calca sembrò arretrare alla sue parole.
-E ora, preghiamo!- esclamò, di nuovo di zucchero filato.
 
A quel punto, fiondarci fuori dalla tana di quei pazzi ci era sembrato abbastanza intelligente. Avevamo corso e corso, fino ad essere vomitati fuori dall’imboccatura del covo. Cademmo a terra entrambi, stremati dallo sforzo di correre per tutto quel tempo.
Tra una settimana una dozzina di persone sarebbero state assassinate per qualche strano rito. L’unica notizia positiva era che forse, e solo forse, avremmo avuto una minuscola possibilità di riuscire a liberare i prigionieri.
Ero ancora carponi sul pavimento  riprendere fiato quando vidi con la coda dell’occhio un repentino movimento. Ellen si era alzata di scatto e stava uscendo dalla biblioteca correndo come non mai.
La seguii standole alle calcagna fino a che non entrò in camera.
Si fiondò sulle ante dell’armadio non ascoltando ciò che le dicevo. Sembrava una folle con quegli occhi sbarrati dall’euforia. Aprì l’armadio e tirò fuori un bozzolo scuro. Il vestito della donna. Quello che avevamo conservato prima di seppellirla.
Lo girò e rigirò tra le mani guardando in tutte le pieghe e tutti gli anfratti, cercando qualcosa forse.
Poi si girò con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
-Ho un piano!- esclamò.

Nd
a - Note d'autrice:
Bhè, prima di tutto voglio scusarmi per il ritardo -devo imparare ad essere più vaga sugli aggiornamenti -.- non riesco mai a rispettarli.
In questo penultimo capitolo si scopre la minaccia che giganteggia sulla scuola. E che cosa c'è di più minaccioso di una setta di pazzi visionari?! Ma Ellen ha un piano...
Ringrazio coloro che hanno letto il capitolo precedente e quelli che hanno letto anche questo. Un bacio ragazzi
                                                                                                                                                                                                                                                           
                                                                                                                                                                                                                                                          Elenoire Tempesta

  
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