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Autore: SusanTheGentle    13/05/2012    3 recensioni
Ed ora era davanti a lui. Christine era lì, sulla soglia della casa di suo padre, con uno sguardo di assoluto smarrimento negli occhi castani, gli stessi della madre. Lo stesso colore l’avevano i lunghi capelli , molto mossi, che teneva sempre sciolti.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Severus Piton, Tom Riddle/Voldermort
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo 25:

Vite separate

 
Richard Thompson aveva ventuno anni, mago purosangue, figlio unico rimasto purtroppo orfano di genitori all’età di sette anni. Infanzia e adolescenza le aveva trascorse con la nonna materna che l’aveva viziato e coccolato come nessuno al mondo, la quale era mancata poco più di due anni prima. Rimpianto di Richard era di non averle mostrato di essere divenuto un cacciatore di maghi oscuri come suo padre prima di lui.
Di bell’aspetto, di statura superiore alla media, capelli biondi lunghi fino alle spalle, un sorriso accattivante, occhi di un limpido azzurro cielo. Era stato un Grifondoro a Hogwarts, dove aveva fatto strage di cuori, cosa che continuava a ripetere con orgoglio.
Poteva sembrare arrogante e vanesio al primo impatto, ma era anche un giovane uomo di grande coraggio. Brillante al corso di Auror così come lo era stato a scuola, un asso negli incantesimi di qualunque tipo, prometteva bene tra gli Auror poiché il suo spirito ardito lo  portavano a lanciarsi in missioni pericolose.
Un buon caposquadra, diceva Kingsley, suo grande amico e maestro, se non fosse stato troppo impulsivo.
L’unica pecca di Richard, secondo Shaklebolt, e il principale motivo delle discussioni che molto spesso nascevano tra i due e ragione per la quale Richard era stato rimandato due volte all’esame finale del corso.
Tendeva a non ubbidire agli ordini impartiti, spesso lanciandosi in azioni sconsiderate e inventate di testa propria. Era questo ciò che frenava Kingsley nel conferirgli l’incarico di caposquadra, ruolo che Richard anelava da quando aveva cominciato il suo apprendistato nel corpo speciale magico. E per tenerlo buono, Shaklebolt aveva partorito l’idea di affidargli l’incarico di guardia del corpo di Christine al suo ritorno a casa, compito che il giovane aveva accettato subito e senza remore per via soprattutto del grande interesse che provava per lei.
Chissà, forse avrebbe potuto prendersi il tempo di pensare un po’ di più alle ramanzine ricevute in passato o alle raccomandazioni che Kinglsey gli aveva ripetuto fino allo sfinimento prima della partenza per la Svezia. Ma l’Auror dalla pelle scura dubitava che Richard ci riflettesse sul serio.
Kinglsey non aveva avuto scelta, dunque. Il suggerimento non solo era venuto da Malocchio, ma era stato proposto come un ordine vero e proprio, sebbene celato dalla cortesia, dal capo degli Auror in carica: se Shaklebolt non voleva riportare Thompson al Dipartimento degli Auror in una di quelle piccole urne che si usano per contenere le ceneri di qualcuno dopo che lo si è cremato, allora, in quanto suo maestro, avrebbe dovuto prendere delle precauzioni, perché Richard aveva rischiato il collo già diverse volte.
Queste erano state le testuali parole, e così si era deciso sul da farsi.
Come già detto, Richard aveva accettato con estrema felicità, anche se non ne era stato felice per più di un paio d’ore.
Quando Dedalus Lux e Charlie Weasley, una volta accompagnate a destinazione Christine e sua zia si erano preparati per tornare in Inghilterra, a lui era stato detto di rimanere. Charlie gli aveva spiegato la situazione con un mezzo sorriso che al biondino non era piaciuto per niente. Si sentiva preso in giro, si sentiva escluso dalle attività dei cacciatori di maghi oscuri. Ormai quello era il suo lavoro, con che diritto Kingsley sceglieva per lui? Non era più un ragazzino! Non potevano tenerlo lì, si sarebbe smaterializzato e allora gliele avrebbe cantate!
Ma Charlie aveva saputo giocare la carta giusta coinvolgendo anche Christine.
“Sei qui per difendere lei” aveva detto il secondogenito dei Weasley con fare convincente. “Non è un castigo, Rich, è una missione vera e propria. Probabilmente la prima che affronti da solo. Ho ragione?”
Thompson aveva aperto la bocca un paio di volte per replicare, ma effettivamente le parole di Charlie erano vere. E poi c’era Christine.
“E’ cotto a puntino” aveva sussurrato Dedalus Lux all’orecchio di Charlie e così Richard aveva accettato di restare in Svezia almeno per un po’.
 
La Stazione Centrale di Stoccolma era un composto brulicare di gente, soprattutto turisti.
La Passaporta che li aveva portati laggiù era stata adibita da un mago Svedese, -neanche a dirlo, amico di Silente- con un nome davvero così impronunciabile che tutti si rivolsero a lui solo con l’appellativo di ‘signore’, dopo svariate figuracce. Solo Christine e Karin lo chiamavano in modo corretto. Il mago parlava l’inglese perfettamente, ma si intrattenne con la ragazza in una breve conversazione mentre scortava il gruppo fuori dal vicolo deserto che avevano usato come punto di arrivo.
Era la prima volta che Richard sentìivala gioane conversare nella sua lingua madre. La sua parlata era sciolta e si notava benissimo quanto fosse felice di poter di nuovo esprimersi come aveva fatto per tutta la vita. Il ragazzo si chiese all’improvviso come avesse imparato così bene l’inglese. Comunicare con lei non era mai stato un problema, a differenza della signora Anders, che con alcune terminologie aveva ancora difficoltà.
“E’ merito di mia madre” spiegò la ragazza, una volta che furono entrati nella stazione. “Mi ha sempre detto che dovevo imparare alla perfezione la lingua di mio padre, così quando l’avrei incontrato avrei potuto parlare con lui senza nessun tipo di problema”
“Che stupido. Era logico” rispose Richard. La osservò per qualche istante e si accorse che nonostante tutto sorrideva. Era incredibile come riuscisse ad affrontare ogni cosa con calma e serenità.
“Presto si sistemerà tutto. A Londra, dico. E tornerai a vivere con il professor Piton”
Lei continuò a fissare la strada davanti  a sé e rispose solo con un grazie. A lui bastò.
Camminarono sotto lo sguardo curioso dei passanti, che fissavano con tanto d’occhi il mantello viola acceso di Dedalus.
“Bene, noi vi lasciamo qui” disse Charlie. “Richard, affidiamo le signore  a te”
“Come? Ve ne andate di già?” chiese il giovane sperduto.
“Non mi dirai che ora ti tiri indietro?”
“Certo che no. Stavo solo pensando…insomma, credevo che le scortassimo tutti insieme fino a Uppsala”
“No, dobbiamo tornare indietro al più presto. E comunque, adesso non c’è più pericolo”
Fu il momento dei saluti e il mago Svedese ricondusse nuovamente Charlie e Dedalus fuori dall’edificio.
“Dì a mio padre che è andato tutto bene. E che mi manca già” disse Christine a Charlie.
“Non mancherò. A presto”
I tre uomini sparirono tra la folla e Christine, Karin e Richard si mossero immediatamente verso il loro treno. La signora Anders restò volontariamente un po’ più indietro rispetto alla nipote, prendendo Richard da braccetto e rivolgendosi a lui sussurrando.
“Sono felice che tu sia con noi. Devo ammettere che non mi sarei sentita troppo tranquilla a restar sola con Christine, specie dopo gli ultimi avvenimenti. Sei certo che qui non arriverà nessuno? Se la mia piccola dovesse sparire un’altra volta…”
“Non si preoccupi signora, ci sono io con voi” la rassicurò Richard, entrato perfettamente nella parte di guardia del corpo personale.
Il vagone su cui presero posto era piuttosto affollato. Karin amava viaggiare accanto al finestrino e Richard cedette volentieri il posto per accomodarsi a fianco a Christine.
 “Dovremo prendere un autobus quando scenderemo dal treno” ricordò Karin alla nipote.
“Non arriveremo direttamente nella vostra città?” chiese Richard.
“No” rispose Christine. Una volta scese alla stazione di Uppsala dovremo fare ancora un po’ di strada per arrivare a casa”
 Fu un viaggio piacevole, senza fermate intermedie. La luce del sole era ancora molto intensa anche se ormai dovesse essere tramontato. Quando avevano lasciato Londra, invece, il cielo era già color arancio. Richard si chiese se avrebbe effettivamente sopportato le quasi diciannove ore di luce dell’estate svedese, anche se questa ormai giungeva al termine. In compenso non faceva così freddo come aveva creduto. Sapeva che le temperature di solito non raggiungevano i venticinque gradi centigradi nemmeno ad agosto, probabilmente però, quell’anno il clima aveva fatto un’eccezione.
Con la scusa di saperne di più sul nuovo paese che lo avrebbe ospitato, Richard riuscì con sua somma soddisfazione ad intavolare una piacevole conversazione con Christine, la quale si profuse in complimenti per la terra natia.
“Quando scenderemo potrai vederlo con i tuoi occhi” disse.
Il treno arrestò la sua corsa con un grande stridore di freni. La Karin era assai ansiosa di perdere l’ultimo bus e fece a tutti una gran fretta. La donna era davvero grata alla provvidenza per aver fatto si che con lei e la nipote ci fosse il giovane Auror.
“Di questi tempi, una ragazzina e una donna della mia età non sono tranquille se viaggiano sole”
“Sciocchezze” esclamò Richard. “Siete tutte e due molto in gamba. E Christine non è poi così piccola”
“Lo è abbastanza per me” rincarò la zia.
Quella in autobus si rivelò essere una sorta di gita turistica, dove Christine faceva da guida e Richard da visitatore. Karin osservava i due ragazzi con aria vigile.
Attraversarono il centro di Uppsala, passando di fronte alla Cattedrale in stile gotico, le cui alte guglie svettavano contro il cielo.
“Guarda! Ecco il fiume laggiù. Lo vedi?” esclamò Christine affacciata al finestrino.  L’autobus curvò a destra e la valle del fiume Fyris. Sulla pianura Fyris Wolds sorgeva Gamla Uppsala, ovvero la città vecchia, a quattro chilometri dalla nuova.
“E’ uno dei luoghi storici più importanti dell’intera Scandinavia” spiegò la fanciulla. “E’ ricca di scavi archeologici. I ricercatori hanno ritrovato tumuli reali risalenti al VI-VII secolo. E’ davvero affascinante”.
Videro da lontano il Gamla Uppsala Museum, e poco lontano un bellissimo parco.
Un’altra chiesa apparve di fronte a loro, la Old Chuch, dove Christine cantava nel coro e che frequentava abitualmente.Dietro di essa si trovava il cimitero con i tre grandi tumuli funerari degli antichi re, chiamate anche le ‘colline dei vichinghi’ , o ancora ‘alture dei re’ , ricoperti di erba di un verde brillante.
La vallata era immersa nella quiete di campagna. I comodi sentieri e la vegetazione erano come un invito per un turista come Richard, perché in fondo si sentiva tale: si stava quasi dimenticando del perché era lì.
La campagna svedese era il luogo più tranquillo che Richard avesse mai visitato. Interi chilometri di strade, sentieri e viottoli circondati da migliaia di ettari di boschi, dai quali provenivano i canti degli uccelli. Sembravano più forti che in Inghilterra, più allegri, e i fiori più colorati, il celo più azzurro, l’erba più verde e lucente. Ad ogni angolo, nascosto tra la vegetazione, si trovava uno splendido lago dove i turisti si bagnavano nelle giornate troppo calde. Era un luogo incantevole. Sembra di essere in un’altra epoca.
Il giovane si soffermò a riflettere a come era naturale che Christine fosse cresciuta così com’era, con l’anima pura di una sognatrice e forse anche un po’ ingenua. Ma non poteva essere diversamente i se nascevi in un luogo dove era difficile trovare più di una mezza dozzina di automobili, ma molto più probabile incontrare una lepre o un cervo selvatico, che la ragazza chiamava ‘i suoi piccoli amici’.
“Preparatevi. Siamo arrivati” annunciò infine Karin.
Christine scese per prima dal bus e percorsero ancora un tratto a piedi prima di arrivare a casa Anders.
Era un’antica fattoria risalente all’inizio del novecento, un tempo abitata da una famiglia di contadini, ma che il nonno di Christine aveva ristrutturato dopo la prima guerra mondiale, quando si era sposato. Nonostante ciò, manteneva il suo aspetto antico e dal quale traspariva un certo fascino.
Le facciate erano in calce bianca e il tetto rosso, e facevano un bellissimo effetto contro il verde circostante.
L’interno era rustico e accogliente. La casa presentava quattro stanze da letto, salotto e cucina molto spaziosi, due bagni e un’altra stanza per gli ospiti. La cura e l’amore con cui era stata restaurata e arredata si notavano in ogni particolare anche all’interno: dai mobili d’epoca in legno ai letti in fero battuto, all’abbinamento dei colori, ai riquadri di mattoni vecchi in contorno alle finestre, al grande camino di pietra, fino alla cucina, dove c’erano vecchi mobili e molti utensili tipici delle attività contadine del tempo passato.   
“Mi piace qui” disse Richard guardandosi attentamente intorno.
“Vieni, ti faccio vedere dove dormirai” disse Christine conducendolo al piano di sopra.
“Porto io le sue valigie, signora” disse ancora il giovane rivolto alla signora Anders.
Karin lo ringraziò e lo lasciò fare.
La casa era luminosa per via delle finestre alte e grandi.
“La mia camera è questa, ora posso fare da sola, ti ringrazio”. Karin aprì la porta appena alla loro destra.
“La tua è quella in fondo al corridoio” disse Christine andandovi.
Richard sbirciò qua e là e poi chiese: “Le altre di chi erano?”
“Dopo quella della zia c’è la stanza della mamma, e in fondo di qua c’era quella dei miei nonni”
“Avete sempre abitato tutti insieme?”
“No, la zia Karin si è trasferita qui da quando sono nata io, sai, per aiutare mamma e il nonno…Eccoci” .La ragazza entrò per prima. “Era la camera degli ospiti. E’ un po’ più piccola delle altre, spero che non ti dispiaccia”
“No, no, andrà più che bene. Ma tu dove dormi?”
“Di sopra. La mansarda è la mia stanza”
“Vuoi che aiuti anche te con le valigie?”
Christine gli sorrise gentilmente ma fece cenno di no col capo. “Ce la faccio da sola, grazie”
“Ah…ok”. Thompson era abbastanza deluso.
“Senti Richard, io ti sono riconoscente per aver preso così a cuore la mia protezione, ma ti assicuro che non ci sarà nessun bisogno di proteggermi da nulla”
Lui assunse un’espressione severa. “Non scherzare, la situazione è molto più grave di quanto credi. Tu non sai ancora bene che cosa succede nel nostro mondo”
Christine non disse nulla e abbassò gli occhi al pavimento. “Si, lo so. Non fate altro che ripetermelo”
“Scusa, non volevo farti star male”
“E’ che è un po’ frustrante a volte. Non sapere che cosa davvero accade attorno a me. Insomma, sono consapevole ormai che dietro alle città del mondo, di tutto il mondo, si cela un altro luogo che nessuno conosce al di fuori di chi vi abita. Non pretendo di conoscere tutti i segreti di maghi e streghe, probabilmente è un modo di vivere che non comprenderò mai fino in fondo perché non vi sono cresciuta in mezzo, però sarei felice se mi spiegaste una volta per tutte l’intera storia”
“Non so se sono la persona più giusta per farlo”
Christine sospirò. “Si, sapevo che avresti detto così. Avrei voluto chiedere a mio padre, ma lui mi tiene in disparte ormai”
“No, non è vero. Ha solo paura per te. Sta cercando di proteggerti”
“Mi pare invece che non si fidi id me se ti ha mandato a sorvegliarmi” disse lei risentita nei confronti del genitore, e pensando ciò provò anche un lieve senso di colpa. Suo padre doveva sapere cosa era meglio per lei, o no?
“In realtà” spiegò Richard, risentito a sua volta, “l’idea di mandarmi qui è stata di Kingsley per tenermi buono. Dice che ne combino troppe e che sono troppo impulsivo. Sono stanco però di sentirmelo ripetere. Io sono così! Che posso farci? Amo il pericolo e l’avventura”
“Si, ma non penso che tu debba strafare”
“Strafare? Strafare?! Christine, io faccio il mio lavoro! Sono un cacciatore di maghi oscuri!”
“Appena laureato, mi è sembrato di capire”
Richard mugugnò qualcosa e si voltò dandole le spalle. “Va bene, sarà meglio che metta a posto la mia roba”
“Non ti fermerai molto” disse la ragazza facendo per uscire.
“Eh?” Richard si voltò.
“Vedrai, Kingsley ti dirà presto di tornare in Inghilterra”
“Si, come no”
Christine gli sorrise, ma lui non la vide perché aveva ricominciato ad armeggiare con i bagagli. Estrasse la bacchetta e la ragazza lo fermò.
“Ah, no! No, non puoi!”
Richard la guardò stranito. “Che cosa? Non posso fare magie?”
“Ecco…si. Esattamente. Charlie mi ha raccomandato di dirti che è meglio se ne usi il meno possibile visto che sei in mezzo ai babbani. Restrizione della sicurezza di…non mi ricordo bene”
Thompson strinse nel pugno la bacchetta e poi la gettò sul materasso. Era furente.
“Perfetto…perfetto. Va bene. Trattatemi come un maghetto minorenne!”
Christine rimase ferma un attimo sulla soglia della camera, la mano sulla maniglia della porta semi aperta. Non seppe cosa dire vedendo il ragazzo così arrabbiato.
“Christine!” chiamò la voce della zia Karin.
“Si?”
“Non è meglio che tu vada ad avvertire Meg che sei tornata?”
Un sorriso radioso si aprì sul volto della ragazza.
 
Meg Larsen lanciò un urlo stratosferico e si precipitò ad abbracciare la sua migliore amica non appena si affacciò alla porta di casa per vedere chi aveva suonato il campanello.
Era bionda, i capelli lunghissimi e lisci, gli occhi di un azzurro intenso. Era diversa da Christine ma nello stesso tempo era uguale a lei.
La stessa voglia di sognare, lo stesso spirito ottimista, con però meno giudizio, un po’ più frivola, meno matura e tranquilla. Christine era sempre sorridente, ma era anche timida e riservata, Meg invece era un treno in corsa. Non stava ferma un secondo e parlava a raffica.
“Oh mio dio! Oh mio dio! Non sapevo che arrivassi oggi? Quando sei partita? E’ andato tutto bene? Tuo padre? Oh, Chris, devi raccontarmi tutto!”
Non appena entrò in casa dei Larsen, Christine si sedette sul divano con Meg e non si mossero finché non fu ora di cena.
“Vi prego, fermatevi da noi” disse Meg. “Sono certa che i mei genitori non diranno di no”
“Va bene. Vado a dirlo alla zia e a Richard”. Christine si alzò in piedi e anche Meg schizzò come una molla.
“Chi è Richard?!”
“Oh, ecco, è una storia lunga”.
Meg fece un sorrisetto furbo e diede una lieve gomitata all’amica.
“Ma guarda! E io che credevo andassi a Londra a conoscere tuo padre! E invece sei andata a fare conquiste!”
“Ma no, che dici! Sei sempre la solita. Non ho fatto nessuna conquista”
“Bè, lascia giudicare a me. E poi perché allora ti sei portata a casa un ragazzo?”
In realtà, ciò che preoccupava di più Christine non era cosa potesse pensare Meg o i suoi genitori sul fatto che un sconosciuto fosse arrivato dall’Inghilterra e si fosse fermato a casa Anders, ma che non scoprissero che era un mago. Per la prima volta si ritrovò a dover fare i conti con il segreto che suo padre e i suoi amici di Grimmauld Place dovevano costantemente stare attenti a non rivelare. E si rivelò davvero difficile.
Cominciò anche a capire meglio il perché di tante restrizioni tra i maghi e del perché suo padre aveva esitato tanto nel dirle la verità sulla sua vita, tralasciando il fatto che fosse una spia dell’Ordine della Fenica e tutto il resto.
ritrovò a pensare che se Richard si fosse messo a sparare incantesimi a casa di Meg (non che lo volesse fare davvero), probabilmente lei avrebbe urlato, la signora Larsen sarebbe svenuta e il signor Larsen sarebbe corso a prendere il fucile.
Ok, forse quest’ultimo era un pensiero fin troppo esagerato, ma non si poteva mai sapere. Insomma, cosa mai avrebbero potuto fare? E se l’avessero raccontato in giro? Richard si sarebbe trovato nei guai.
Fortunatamente la cena andò più che bene, Richard parlò poco e lasciò che fosse Christine a raccontare di Londra. Lui intanto si teneva occupato con la fantastica cucina della madre di Meg. Ere però difficile raccontare all’amica la sua vacanza tralasciando ogni particolare che riguardasse la magia. Doveva reinventarsi intere giornate, specie le ultime, e non le piaceva mentire, soprattutto se si trattava di Meg. Ma c’aera poco da fere e lei doveva accettarle che per la prima volta nella vita avrebbe avuto dei segreti con la sua migliore amica.
Si sentì di nuovo in colpa, tremendamente stavolta, per aver litigato con suo padre a causa dei segreti di lui. Era più che logico che le avesse tenuto nascosto la sua reale identità (tralasciando il fatto che fosse una spia e tutto il resto). Severus avuto paura che lei non capisse, che non lo accettasse. Non doveva essere stato facile sembrare di essere naturale anche quando si raccontavano bugie per paura di ferire le persone che amavi, e proprio perché volevi bene a queste persone era ancora più difficile e doloroso.
Gli avrebbe scritto, immediatamente. Si sarebbe scusata con lui. Forse scrivere si sarebbe rivelato più facile che parlare.
 
 
Era di nuovo davanti a Silente. Ormai vi si recava più volte di quante avesse voluto e ritenuto necessarie.
La scuola era cominciata da un paio di giorni e Severus Piton era rientrato pienamente nel suo ruolo di insegnate di Pozioni, freddi, distaccato e terrificante specialmente per gli alunni del primo anno.
“Credevo di essere stato chiaro quando ti ho scritto che non avremmo dovuto parlarne ad alta voce” disse il preside dando le spalle a Severus, e guardando fuori dalla grande finestra.
La sera era calata da tempo. Piton aveva atteso che la scuola fosse addormentata prima di recarsi lassù.
“Non puoi continuare a ignorarmi Albus. Non lo tollero”.
Piton era irremovibile. Non batteva ciglio e se ne stava immobile, in attesa.
Il vecchio mago sospirò. “Siamo arrivati al punto cruciale. Voldemort sa della profezia e sa a che dove poterla trovare ovviamente”. Silente si voltò e fronteggiò Piton, immobile in piedi davanti a lui, solo la scrivania a dividerli.
“Non è di questo che voglio parlare”.
Nella lettera che Albus Silente gli aveva fatto recapitare erano scritte tre ose fondamentali che sarebbero potute accadere nei prossimi mesi: la ricerca della profezia riguardante Il Signore Oscuro e Harry Potter, la cacia a gli Horcrux, dei quali Piton doveva scoprire il più possibile e ovviamente la salvaguardia di Christine. Decine e decine di raccomandazioni che assumevano un tono paterno alquanto irritante per Severus, che aveva sempre tirato avanti da solo, senza mai l’aiuto di nessuno, tantomeno di suo padre.
“Perché mi hai mandato questa lettera, Albus? Non ho bisogno dei tuoi consigli” esclamò Piton.
“Devi rimanere saldo, Severus”
“Lo so”
“Non sei solo”
Aveva sbuffato e si era mosso a disagio, prendendo un po’ le distanze dal preside.
“Voldemort sta cominciando a muovere le sue fila. Devi essere pronto a ogni sua richiesta. Sei il suo braccio destro, si fida di te ciecamente. Devi rimanere concentrato”
“Non c’è niente che mi turbi”
“Davvero?”
Il tono calmo del preside lo irritava. Cosa credeva di sapere lui di quello che provava? Nessuno sapeva niente. Non avevano la minima idea di cosa volesse dire svegliarsi nel cuore della notte con il respiro affannoso, con l’immagine di sua figlia torturata nel peggiore die modi da Voldemort e i suoi Mangiamorte, o rapita, o morta, per poi ricordarsi, un attimo dopo, che era in salvo, a casa. Lontano da lui, ma almeno sarebbe stata bene. Era un incubo ormai ricorrente.
Le mancava terribilmente, ma non era solo questo.
Non l’aveva più accanto, non sapeva cosa faceva, dove andava. Christine era giovane e libera, e tornare in Svezia era la cosa più giusta che avesse fatto per lei. A Londra avrebbe dovuto tenerla chiusa in casa, come un uccello in gabbia. Lei non voleva questo. Lui nemmeno. Il saperla lontana dal pericolo costante a cui era stata sottoposta nei due mesi precedenti era di estremo conforto, ma la preoccupazione, il terrore e l’ansia rimanevano.
Gli erano già arrivate due lettere cariche di notizie. Christine aveva a cuore di scrivergli ogni singola azione compiuta durante le sue giornate, le ultime prima dell’inizio della scuola.
Era come stare lì con lei a volte e allora Severus si concedeva un momento di serenità e un breve sorriso.
 “Non la porterò mai al suo cospetto” disse infine Severus in tono duro e deciso.
“Ecco perché ti ho mandato quella lettera, Severus”
“Non mi serve il tuo aiuto”
“Forse non serve a te, ma sappiamo tutti e due che Voldemort ha interesse per tua figlia”
“Non dirlo nemmeno per scherzo!” sbottò Piton con gli occhi ridotti a due fessure.
“Lo sappiamo entrambe che Christine è stata vittima di un qualche sortilegio messo a punto da Voldemort per attirarti in una trappola, o chissà per che cos’altro. Non sappiamo esattamente cos’abbia un mente, ma è per tenerla lontano da lui…”
“E da me” aggiunse Severus a bassa voce.
“…che l’hai rimandata a casa” terminò il vecchi mago senza dar segno di averlo sentito. “Ma riportala qui, Severus, e avrà tutta la protezione di cui questa scuola dispone”
“Non posso. Non voglio rivoluzionare la sua vita più di così”
“Perché?!” esclamò il preside. “Sai bene che laggiù non è più al sicuro che se fosse ancora con te. Se lui vuole, la troverà comunque”
“No, ormai ho deciso. Christine e io avremo una vita diversa. Non sarà più costretta a sopportare tutti i segreti e le bugie di suo padre” disse risoluto Piton.
Silente abbassò il capo sospirando, fissando lo sguardo in un punto imprecisato della scrivania. “Non posso intromettermi allora. Ma se mai cambiassi idea…”
“Si, ho capito. Grazie” furono le ultime parole frettolose di Severus prima che si apprestasse a raggiungere l’uscita, ma Silente lo fermò.
“C’è una cosa che ti devo mostrare Severus”
Piton si rivotò piano verso il mago.
“Severus, quando il Rito avverrà sai cosa accadrà vero?”
“Tornerà finalmente in possesso dei suoi poteri e gliene verranno donati di nuovi” disse Piton automaticamente. “Diventerà l’essere più potente della terra”
“E con l’aggiunta degli Horcrux” proseguì Silente con una nota di panico nella voce che Piton mai gli aveva sentito, “con quegli oggetti oscuri, si assicurerà di non venire spazzato via anche se il Rito dovesse fallire. Si è salvaguardato da un possibile fallimento, che lui sa potrebbe avvenire. Ha sette tentativi a disposizione”
“Sette?” gli fece eco Piton guardando il preside confuso. “Credevo che il diario fosse stato distrutto e che tu fossi già sulle tracce di un certo anello”
Silente assunse un’aria molto grave. “No, sono ancora lontano dal ritrovamento di quell’anello. Non ho ancora abbastanza informazioni. Credevo di esserci vicino, dannazione” esclamò il preside con frustrazione. Aprì un cassetto chiuso a chiave della scrivania, ne estrasse il diario di Riddle e lo mostrò a Severus.
Quest’ultimo lo riconobbe subito e l'afferrò in fretta con espressione assi confusa.
“Cosa…? Lo squarcio…lo squarcio che Potter gli ha inflitto con la zanna di Basilisco si sta…”
“Rimarginando, si”
“Non è possibile” Piton fissò sbalordito gli occhi azzurri di Silente, poi li posò di nuovo sul libricino “Nella tua lettera credevo che non intendessi davvero questo. Credevo solo che il diario avesse ripreso in un qualche modo i suoi poteri perché l’Oscuro Signore si appresta fortificare i suoi oggetti oscuri prima del Rito, a credevo che sarebbero rimasto danneggiato per sempre”
“Si, lo credevo anch’io” ammise il preside. “Ma a quanto pare mi sono sbagliato”
“Perché non ne hai informato tutto l’Ordine?”
“Perché se Harry sapesse quello che sta succedendo- e credimi, avrebbe trovato il modo per farlo, lui e i suoi amici sano già fin troppo- credo che si precipiterebbe a cercare Voldemort, e questo non deve succedere. Il tuo compito si sta facendo troppo gravoso Severus. Ora hai due ragazzi da difendere, non più uno”
“So quello che devo fare. E sarò anche in prima fila quando il Signore Oscuro mi chiamerà. Ho la situazione sotto controllo”
“Non riuscirai a tenergliela nascosta” disse Silente in tono più grave che mai.
“Si, so anche questo” sibilò Piton guardandolo in faccia.
I due uomini si guardarono per qualche istante. Gli occhi di Piton dardeggiavano.
“Non vuoi sapere come il diario ha ripreso possesso dei suoi poteri? Non l’hai capito, Severus?”
Silente lo guardava con occhi tristi. Ma quella tristezza non era per lui.
  
E dopo milioni di secoli, cari lettori, eccomi ritornata su quese pagine! Sono spiacente di essermi assentata così a lungo, ma ho avuto gravi problemi col lavoro e non avevo tempo per pensare ad altro. In tempi di crisi le cose non sono facili per nessuno. Oltretutto mi si è pure rotto il pc per cola di un virus e ho dovuto aspettare per poterne prendere uno nuovo (se poi non ti danno lo stipendio...). Per fortuna le cose sembrano essere tornate a girare per il verso giusto e quindi sono felice di annuncairvi che da questo mese posterò regolarmente ogni due settimane, anche se vorrei farlo ogni settimana, ma non so se riesco...sigh.
Voi tiratemi pure tutte le maledizioni senza perdono che volete, comprenderò. Chiedo venia!!!! >.<
Ok, che dire? Spero che il capitolo vi sddisfi. Non ho riletto, non ne ho avuto il tempo, per cui troverete di sicuro un mucchio di errori. Lo ricontrollerò al più presto e correggerò quello che devo.
Ho penato non poco perchè volevo che Christine e Riley si incontrassero in questo capitolo, ma ho preferito rimandare la prossimo.
A voi piacendo, aspetto recensioni.
Un bacio a tutti
vostra Usagi^^
   
 
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