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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    14/05/2012    9 recensioni
Era quello che volevo, no? L’occasione giusta per mandare tutto all’aria e concedermi del tempo per me.
Avevo immaginato di mandare al diavolo il mio lavoro e la mia coinquilina tante di quelle volte che nemmeno ricordavo quando la mia insofferenza nei loro confronti fosse iniziata. Quello che non avevo immaginato, però, era di non intraprendere quel viaggio da sola; e che ad accompagnarmi sarebbe stata una delle persone da cui cercavo disperatamente di fuggire in quel momento: Edward Cullen.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Route 66

And this kind of pain, only time takes away,
That’s why it’s harder to let you go.
And nothing I can do without thinking of you,
That’s why it’s harder to let you go.
But if there’s a pill to help me forget, God knows I haven’t found it yet,
But I’m dying to, God I’m trying to,

‘Cause trying not to love you, only goes so far,
Trying not to need you, is tearing me apart.

Can’t see the silver lining from down here on the floor,
And I just keep on trying, but I don’t know what for.
‘Cause trying not to love you only makes me love you more.

Nickelback - Trying Not To Love You

13. Think about it, then do it

«Edward», sussurrai nel buio della stanza, e nel silenzio totale. «Chi è Lizzy?»

Rimasi in attesa, mentre il suo respiro mi accarezzava le labbra, leggero e tranquillo. Troppo tranquillo.

Sfiorai la sua spalla, chiamandolo sottovoce. Nessuna risposta. Il suo respiro continuava ad essere regolare, pesante. Era addormentato.

Lasciai cadere la mano sul materasso, trattenendo l’istinto di scuoterlo con forza per poterlo svegliare e ricevere finalmente una risposta. Ma non volevo farlo. Non volevo svegliarlo per costringerlo a parlare; del resto gli avevo detto che avrei aspettato che fosse stato lui a parlarmene, no? Dovevo mantenere la mia parola. E la verità era che anche se mi sentivo frustrata a non aver ricevuto ancora risposta ai miei dubbi, una piccola parte di me era sollevata, al pensiero di essermi risparmiata almeno per quella sera la verità su chi fosse quella donna che popolava i suoi sogni.

Rimasi ad ascoltare il rumore suo del suo respiro, tranquillo. Dopo l’esperienza della notte precedente avevo quasi paura di non sentirlo così rilassato e profondamente addormentato.

Chiusi gli occhi, concentrandomi solo sul suo respiro per cercare la pace che mi consentisse di addormentarmi, e dopo diversi minuti finalmente caddi a mia volta in un sonno profondo.

 

Quando il mattino seguente mi svegliai, miracolosamente nella stessa posizione in cui mi addormentai, non ebbi più il coraggio di porgli la domanda che tanto mi ossessionava. Aprire gli occhi e incontrare subito quelli di Edward, a breve distanza dai miei, fece crollare ogni buon proposito di schiarire i miei dubbi, nel timore di rovinare quel momento così perfetto. Osservavo i suoi occhi verdi, illuminati dal sole che filtrava dalla finestra, e improvvisamente tutte le paure e le incertezze si cancellavano, lasciando solo me ed Edward, immersi nella natura dove non c’erano ospedali né redazioni giornalistiche ad attentare alla nostra tranquillità.

Quando sollevò una mano per spostare una ciocca di capelli che mi era caduta sul viso durante la notte indugiò con i polpastrelli sul mio zigomo, infine lasciò che anche il palmo aderisse alla mia pelle, per accarezzare dolcemente la mia guancia. Socchiusi gli occhi, lasciandomi andare al suo tocco delicato.

«Dovremmo alzarci», sussurrò, diversi minuti dopo, senza terminare la sua carezza né mostrare segno di voler fare come aveva detto, «o non torneremo in tempo dalle cascate per prendere l’ultimo volo per tornare alla macchina».

Annuii, e lui mi lasciò andare, alzandosi dal letto e iniziando ufficialmente quella giornata.

 

Dopo una veloce colazione alla mensa, lasciammo il nostro borsone alla reception dell’albergo, e ci dirigemmo con un solo zaino con una coperta e poche cose al suo interno verso le cascate. L’unico problema era che nessuno di noi due aveva la più pallida idea di dove andare. La riserva in cui ci trovavamo non era compresa nell’itinerario di Edward, e avevamo provato chiedere informazioni al proprietario dell’albergo, ricevendo un’indicazione molto vaga riguardo il fiume.

Dopo una dozzina di minuti passati a cercare un cartello che potesse indicare il percorso da seguire ci arrendemmo a chiedere altre indicazioni agli abitanti del luogo. Ci fermammo accanto alla staccionata di una casetta, dove una donna sulla quarantina stava lavorando nell’orto.

«Mi scusi?», la chiamò Edward, facendole alzare la testa. «Ci saprebbe dire da che parte sono le cascate?»

La donna si mise dritta, e si asciugò il sudore dalla fronte. Poi indicò con la mano che teneva ancora una paletta verso un sentiero. «Dovete risalire lungo l’argine del fiume. Poi troverete un ponte che conduce a una strada in mezzo al bosco. È piuttosto lunga, impiegherete almeno un’ora ad arrivare là», rispose brevemente.

Edward sorrise. «La ringrazio molto».

«È in arrivo pioggia», disse ancora la donna, quando le avevamo già voltato le spalle. Ci girammo a guardarla, e lei indicò le nuvole in parte nascoste dietro il canyon. «Non vi consiglio di incamminarvi se non volete rischiare di beccarvi una bella lavata».

Poi si chinò nuovamente e tornò al suo orto, senza prestarci più attenzione.

Guardai Edward, perplessa. «Cosa facciamo?»

Lui scrollò le spalle. «Ormai siamo quaggiù, sarebbe un peccato non andare a vederle, non credi?»

«Ma hai sentito quello che ha detto…», mormorai, seguendolo verso il fiume. «Cosa facciamo se inizia a piovere?»

«Aspettiamo sotto un albero che smetta», rispose semplicemente.

Non dissi più niente, accettando la sua decisione. Del resto anche io ero davvero curiosa di vedere quelle cascate, e la nostra gita alla riserva sarebbe stata quasi inutile se non fossimo riusciti a vederle. Dovevamo almeno provarci.

Grazie alle indicazioni della donna trovammo facilmente il sentiero che percorreva la foresta, e dopo più di mezz’ora di cammino trovammo la prima cascata. Secondo quanto avevo letto c’erano quattro cascate di dimensioni diverse lungo il percorso, ma la più bella di tutte era ovviamente quella più lontana. Il sentiero era abbastanza largo da far passare una macchina, ma non trovammo nessuno lungo il nostro percorso, circondato da alberi enormi con le radici che spuntavano dal terreno secco e cespugli di erba alta ad altezza d’uomo.

Due cascate più tardi, e più di un’ora dopo la nostra partenza dal villaggio della riserva, giungemmo ai piedi della più bella cascata che avessi mai visto. Non era solo il modo delicato e perfetto in cui l’acqua cadeva verso il basso infrangendosi sulle pietre quasi a metà della sua caduta, ma anche la particolare forma delle rocce intorno ad essa, a rendere quel posto così spettacolare. Muschi e piante rampicanti si allungavano lungo la roccia nuda macchiando di verde il rosso-arancione del canyon, fondendosi poi con il bianco e il verde acqua cristallino della cascata e del piccolo laghetto che si formava ai suoi piedi, e che a sua volta creava tante piccole cascate simili a rapide che scivolavano verso il canale che si allungava lungo il percorso che io ed Edward avevamo appena compiuto. Una lingua di sabbia chiara giungeva fino all’acqua, quasi come un invito a entrare e farsi un bagno.

Non c’era nessuno in quel luogo, gli unici rumori erano quelli dello scrosciare dell’acqua e degli uccelli nascosti nelle fronde gli alberi.

Edward lasciò cadere lo zaino accanto al tronco di un albero, e si fermò ad osservare il panorama. La cascata era in ombra, e alzando il capo scoprii che le nuvole avevano coperto buona parte del cielo. Le previsioni di quella donna erano quasi sicuramente giuste.

«Che facciamo adesso?», gli chiesi, sedendomi a terra per riposarmi un po’.

Edward sorrise. «Io direi che è il momento giusto per farsi un bagno», disse, sfilandosi la maglietta.

«Credo che stia per iniziare a piovere. Non sarebbe meglio riposare un attimo e poi tornare subito alla riserva?», mormorai, distogliendo lo sguardo dalla sua schiena nuda alle mie mani.

Lo sentii entrare in acqua e alzai gli occhi, vedendolo già per metà immerso.

«Dai, vieni anche tu. L’acqua non è fredda!», disse, mentre si spostava verso la cascata.

Alzai gli occhi al cielo. «Ma mi hai ascoltato? Sta per iniziare a piovere, dovremmo andarcene».

«Questo vuol dire che ti bagnerai in ogni caso. Tanto vale farlo in un posto come questo che sotto la pioggia», ribatté, alzando la voce per farsi sentire oltre il frastuono della cascata, dove era praticamente arrivato, ormai completamente immerso nell’acqua.

Mi morsi il labbro, e guardai un’altra volta le nuvole sopra di noi. Infine mi alzai in piedi, e in fretta e furia mi liberai della canottiera e dei pantaloncini, ritirandoli nello zaino e restando in costume. Lasciai le scarpe accanto a quelle di Edward, e provai a immergere i piedi nell’acqua verde, scoprendo con piacere che non era né troppo calda né troppo fredda. Raggiunsi Edward accanto alla cascata, quando lui riemerse da sotto il getto.

«Fa male?», gli chiesi, perplessa, provando a infilare una mano nell’acqua bianca.

Il getto era forte, ma non abbastanza da farmi ritirare il braccio.

Edward scosse il capo, e dopo un ultimo momento di esitazione passai a mia volta sotto il getto freddo, sentendo l’acqua premere contro la mia schiena con forza, tirandomi i capelli sul viso e spingendomi verso il basso. Riemersi poco distante, e spostai i capelli indietro.

Edward tornò sotto la cascata, ma io rimasi lontano, iniziando a nuotare avanti e indietro nel piccolo lago. Non era molto profondo, a parte nella zona della cascata, né ampio, ma si stava bene. Il profumo d’acqua dolce era piacevole, mischiato a quello delle piante e dei fiori selvatici che di tanto in tanto spuntavano fra il verde del fogliame.

Edward mi raggiunse, e rimanemmo in silenzio a nuotare per diversi minuti, fino a vedere le nuvole oscurare completamente il cielo. A quel punto Edward disse che era arrivato il momento di asciugarci un po’ per prepararci a tornare al villaggio.

Lo seguii fuori dall’acqua, e mi asciugai velocemente nella coperta che avevamo nello zaino, passandola poi a lui. Poi ci sedemmo sotto l’albero, aspettando che i costumi si asciugassero un po’ prima di rivestirci e rimetterci in viaggio.

Edward si passò la coperta sulle spalle, poi aprì un braccio per farmi avvicinare a lui, e coprì entrambi con essa, cercando di scaldarci. Un leggero vento stava iniziando a soffiare, e quasi subito alcune gocce di pioggia iniziarono a scendere dal cielo, andando a infrangersi sulla superficie del lago. In poco tempo si trasformò in un vero e proprio diluvio.

Posai la testa sulla sua spalla, sospirando. «Stasera fino dove arriviamo in auto?»

Edward posò la guancia contro la mia testa, respirando profondamente. «Non lo so. Immagino inizieremo dirigerci verso il confine con la California. Non manca più molto a Los Angeles».

Mi morsi il labbro inferiore. «Credi che fra una settimana saremo di nuovo a Chicago?»

«Può essere», sussurrò.

«Non ho voglia di tornare a casa», ammisi, stancamente.

«Neanch’io», disse lui, poi aggiunse, dopo una breve pausa: «Cos’altro potremmo fare, altrimenti?»

Rimasi in silenzio, pensando a una scusa che ci permettesse di ritardare ancora il ritorno verso Chicago. «Non ne ho idea», mormorai, infine.

«Troveremo qualche contrattempo, vedrai».

Alzai la testa dalla sua spalla, cercando il suo sguardo. «Non si preoccuperanno a casa vedendo che non torniamo?»

Inarcò un sopracciglio. «Hai paura che Jessica vada a denunciare la tua scomparsa alla polizia?»

Feci una smorfia. «Figurati, quella si sarà a mala pena accorta della mia scomparsa», sbottai. «Mi riferivo ad Esme, Carlisle, Rosalie ed Alice. Ed Emmett, ovviamente. Penserà che gli hai distrutto la jeep e non hai il coraggio di ripresentarti a casa. Non che le cose siano poi così diverse in realtà», aggiunsi, scherzando.

Un angolo della sua bocca si piegò verso l’alto, divertito. «Tecnicamente, l’auto ha iniziato a dare problemi da quando l’hai guidata tu. Sono sicuro che Emmett non si arrabbierà quando gli diremo che abbiamo ritardato il rientro a casa perché tu gli hai rotto un tubo dell’aria condizionata», disse, ridendo.

«Ehy, io non ho fatto niente di male! Se verrà a saperlo come minimo mi costringerà a convincere Rosalie a fare chissà cosa!», esclamai, preoccupata, ricordando quali fossero le richieste di Emmett quando perdevo una scommessa contro di lui; non volevo immaginare cosa poteva inventarsi nel caso in cui fosse venuto a conoscenza che potevo essere una delle cause della rottura di un tubo della sua automobile.

Edward fece una smorfia. «Sempre meglio di tutte le richieste che farebbe a me. Una volta mi ha costretto a fingermi gay per vedere se riuscivo ad avere il numero di un tizio perché gli avevo scheggiato una cover dell’iPhone».

Risi di gusto, immaginandomi le scenate che doveva aver fatto Emmett per far leva sul senso di colpa di Edward e convincerlo a fare una cosa simile. «Ti prego, dimmi che Emmett ha filmato tutto con il cellulare, vorrei proprio vederti», dissi fra le risate.

«Assolutamente no», rispose, stizzito. «Ci sono già Emmett e Jasper che tirano fuori questa storia ogni volta che possono. Credo che mio fratello abbia ancora quel maledetto numero di telefono nel portafogli addirittura».

Risi più forte, arrivando a sentire male alla pancia per le troppe risate. «Quindi hai pure fatto colpo con quel tipo».

Edward si passò una mano sul viso e fra i capelli, esasperato.

Cercai di calmare le mie risate, ma era difficile rimanere seria mentre nella mia mente cercavo di immaginare la scena. Emmett certe volte era davvero perfido, ma anche incredibilmente divertente - sempre che le sue “punizioni” non fossero rivolte a te, ovviamente.

La pioggia aumentò visibilmente, sospinta dal vento, che gettava le gocce fin sotto la fronda dell’albero, fino a pochi centimetri dai nostri piedi. Alcune di esse cadevano dalle foglie sopra di noi, colpendoci, ma fortunatamente non erano abbastanza da bagnarci troppo.

Mi strinsi meglio nell’abbraccio di Edward, rabbrividendo per il vento freddo che sferzava la mia pelle umida. Lui cercò di coprirmi meglio con la coperta, e scostò una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio. «Ti verrà la febbre di questo passo», mormorò preoccupato e contrariato.

«Non essere così pessimista. Era solo un brivido», dissi, ma raccolsi le gambe al petto, stringendole con entrambe le braccia per trattenere il calore, mentre la pelle d’oca iniziava a comparire sia sulle braccia che le gambe.

«Appena torniamo alla riserva prendi qualcosa. Solo per precauzione, nient’altro», aggiunse, vedendo l’occhiata torva che gli avevo rivolto appena udito le sue parole.

«Ti preoccupi troppo», bofonchiai. «Immagino sia colpa del DNA da medico».

I suoi occhi mi fissarono cupi. «Prevenire è meglio che curare, no?»

«Sì, ma non bisogna neanche fasciarsi la testa prima di essersela rotta», ribattei, pacata.

Sorrise, alzando un angolo della bocca. «Non ero io quello che te lo diceva sempre?»

Arrossii, ricordando quante volte proprio lui mi rimproverava di essere troppo paranoica e di preoccuparmi di cose che ancora non erano successe. Era sempre stato lui a dirmi di mantenere la calma e di restare lucida per non iniziare a pensare a mille eventualità che potevano realizzarsi in futuro, e spesso le sue parole mi avevano aiutato a non impazzire completamente. Forse avrei dovuto iniziare a ripetermele anche in quel momento, con tutta la faccenda di Lizzy in pieno caos.

«Già», mormorai.

Una goccia di pioggia scivolò dalle foglie sopra di noi sul mio viso, bagnandomi una guancia. Alzai il capo, guardando la fronda che ci copriva, scossa dal vento che regolarmente soffiava nel canyon.

«Quando credi che smetterà di piovere?», chiesi ad Edward, preoccupata. In cielo le nuvole erano ancora fitte, e sembravano non essere disposte a diradarsi per lasciar filtrare il sole.

«Non penso che pioverà ancora per molto», rispose. «In questo periodo è raro che piova per più di un’ora di seguito».

Annuii, e tornai a posare lo sguardo su Edward, che teneva gli occhi fissi su di me. Con il viso inclinato verso di lui potevo sentire il suo respiro sfiorarmi la pelle e le labbra, e rabbrividii. Sentii il suo braccio stringersi maggiormente intorno alle mie spalle, e non sapevo se avesse scambiato la mia reazione per un brivido dovuto al freddo.

Abbassai lo sguardo sulle sue labbra, rosee e carnose, e avvicinai il viso al suo, come un ferro attratto dal magnete.

Stavo già socchiudendo gli occhi, quando vidi Edward arretrare bruscamente, e voltare il capo di nuovo verso il lago. La sua mascella era serrata, e l’espressione era indecifrabile.

«Dobbiamo tornare alla riserva», disse secco, alzandosi da terra e lasciandomi la coperta sulle spalle.

Lo guardai, cercando di nascondere la delusione e lo smarrimento per quel brusco cambio d’umore e atmosfera. Eppure anche due giorni prima, al lago, ero sicura che fosse stato sul punto di baciarmi; cosa l’aveva fatto desistere? Nella mia mente fece capolino una sola risposta: Lizzy. Quella stessa notte Edward aveva sognato quella donna, e non riuscivo a fare a meno di pensare che anche in quel momento, quando stava per baciarmi, aveva pensato a lei. Il pensiero mi fece sentire quasi male. Cercai di nascondere la mia espressione e i miei sentimenti dietro una maschera d’indifferenza, senza sapere se ci fossi riuscita davvero.

Lo guardai inespressiva. «Non aspettiamo che smetta almeno un po’ di piovere?»

Lui scosse il capo, infilandosi la maglietta e passandomi la mia canotta e i miei pantaloncini di jeans. «Non abbiamo tempo. Se restiamo ancora qui rischiamo di non prendere più l’elicottero», disse, chinandosi per allacciare le scarpe da ginnastica.

Piegai la coperta, rivestendomi a mia volta. «Ma tanto se piove il volo viene cancellato», ribattei. Volevo che mi dicesse la verità, che ammettesse che la sua era stata solo una scusa per terminare quel momento fra di noi. Odiavo le sue bugie, odiavo il fatto che si fosse tirato indietro quando finalmente avevo deciso io di fare quel passo avanti.

Lui ritirò la coperta, e si sistemò lo zaino sulle spalle. «Se siamo fortunati quando arriveremo alla riserva avrà smesso di piovere. Ma se restiamo qui ad aspettare è sicuro che dovremo passare un’altra notte quaggiù, e le camere potrebbero essere tutte prenotate all’albergo».

Sbuffai, seguendolo mio malgrado sotto la pioggia scrosciante, ripercorrendo a ritroso il percorso di quella mattina. Tirai i capelli indietro con un gesto nervoso della mano, sentendo la canottiera appiccicarsi come una seconda pelle alla pancia e la schiena, infastidendomi. Edward procedeva con passo spedito, lanciando di tanto in tanto occhiate alle sue spalle per controllare che lo stessi seguendo, ma senza più dire una parola.

Rischiai di inciampare nella radice di un albero che spuntava in mezzo al sentiero, e mi infuriai. «Si può sapere cos’è tutta questa fretta?!», sbottai, alzando la voce per farmi sentire da lui diversi metri più avanti, sopra lo sciaguattare delle scarpe nelle pozzanghere e della pioggia contro il terreno.

Lui si voltò a malapena. «Non è esattamente consigliabile rimanere sotto la pioggia. A meno che tu voglia prenderti la febbre, cosa che io preferirei evitare».

«Io direi piuttosto che stai cercando di arrivare in mezzo ad altra gente. Guarda che non ho intenzione di stuprarti!», strillai, ignorando il rossore sulle guance una volta terminata la frase. Ma dopotutto era quella la verità: Edward sembrava terrorizzato che potessi provare a baciarlo di nuovo, o peggio, e stesse cercando a tutti i costi di raggiungere un luogo il più possibile frequentato pur di evitare che mi avvicinassi troppo a lui.

Finalmente si fermò, e si voltò a guardarmi. Mi fermai a qualche metro di distanza, mentre la pioggia continuava a scendere imperterrita su di noi.

«Credi che abbia paura che tu possa stuprarmi?», ribatté, perplesso.

Scrollai le spalle, stringendo le braccia intorno al busto. «Per quale altro motivo avresti iniziato a scappare quando stavo per baciarti?»

Edward respirò profondamente, aggrottando le sopracciglia. «Mi sono allontanato perché stavo per perdere il controllo e baciarti, Bella, non per qualche altro motivo», disse, forse intuendo che nella mia mente si stavano già profilando un’infinità di motivi per cui lui avesse potuto respingermi.

Feci un altro passo avanti, esasperata. «Ma perché l’hai fatto? Hai visto che sono stata io a farmi avanti. Se non avessi voluto non l’avrei fatto».

Lui strinse le labbra. «Non voglio influenzarti a fare qualcosa di cui non sei sicura. Se prima mi avessi baciato senza pensarci probabilmente adesso ti staresti chiedendo se avevi fatto la cosa giusta e ci troveremmo in una situazione insopportabile. Quindi è molto meglio così».

Si voltò, riprendendo a camminare verso la riserva, senza aggiungere nulla.

Lo seguii pochi secondi dopo, rimanendo in silenzio, riflettendo sulle sue parole. Non avevo dubbio che avesse ragione, del resto aveva agito nell’interesse di entrambi allontanandosi prima che complicassi le cose fra di noi: sicuramente a quest’ora una volta soddisfatto il desiderio prepotente di baciarlo mi sarei chiesta se avessi fatto bene a farlo, e forse avrei perfino realizzato che non ero ancora pronta a cambiare le carte in tavola con lui.

Ripensai ai giorni passati con lui, a come la nostra relazione si fosse evoluta in così poco tempo attraversando crisi e momenti di sconforto. Avevo perfino pensato di tornare a Chicago pur di non stare con lui, ma avevo resistito, ed ero giunta a sperare addirittura di non tornare più a casa per continuare a girovagare per l’America con lui. Avevamo gioito e sofferto in quei pochi giorni, avevamo rivangato vecchi ricordi e ferite e cercato di ricucirne alcune insieme. Sapevo che c’era qualcosa che non andava in Edward, che c’era qualcosa che mi teneva nascosto e non voleva o riusciva a dirmi, che anche lui aveva delle ferite ancora sanguinanti, ma in quel momento, mentre ripensavo al modo in cui mi guardava e trattava, non riuscivo a vedere le sue bugie, ma solo l’amore che per tanti anni mi aveva consolata e protetta dal resto del mondo. E fu allora che capii che tutte le mie paure e i miei tormenti erano vani: non era Lizzy ciò che mi teneva separata da Edward, ma ero io stessa; ero io con le ferite del passato ancora fresche a costringermi a stare lontana da lui e a non vedere chiaramente ciò che avevo davanti agli occhi. Da quando l’avevo incontrato al bancone del bar, Edward non aveva fatto altro che essere la stessa persona di cui ero innamorata fin dai tempi del college, mi aveva trattata con la stessa cura e amore che mi rivolgeva prima che ci lasciassimo, ma anche se l’avevo notato avevo rifiutato quell’idea con tutta me stessa, terrorizzata al pensiero di lasciarmi andare e di soffrire ancora.

Lizzy forse era importante per Edward, ma non allo stesso modo in cui lo ero io per lui. Ero importante per lui così come lui era importante per me, e questo pensiero mi bastò per iniziare a correre sotto la pioggia, verso di lui.

Sentendo il rumore dei miei passi veloci attraverso lo sciaguattare nelle pozzanghere si girò, e prima che potesse reagire arrivai fino a lui, allacciando una mano sulla sua nuca e spingendolo a chinare il capo verso di me. E finalmente lo baciai, intrecciando le dita ai suoi capelli bagnati e alzandomi sulle punte dei piedi, saggiando con tocchi lenti la morbidezza delle sue labbra. Prima di quel momento non avevo realizzato quanto mi fosse mancato non poterlo baciare.

Edward posò una mano sulla mia guancia, e mi allontanai il necessario per guardarlo negli occhi. In essi lessi indecisione e paura.

«Ci ho pensato bene, prima di farlo», gli dissi, per tranquillizzarlo. «Voglio ricominciare, Edward. Sono stanca di trattenermi e di avere paura», sussurrai. «Voglio stare con te così, e non voglio che tu ti trattenga o ti costringa ad allontanarti da me».

Edward respirò profondamente, premendo la fronte contro la mia. «Sei sicura?», mi chiese, in un soffio.

Annuii, dimenticandomi per un istante della pioggia che continuava scendere dal cielo e che scivolava lungo i nostri visi, e inzuppava i nostri vestiti. Poi lui chinò il viso, e le nostre labbra si toccarono di nuovo, questa volta incerte e lente, intente a riscoprire una morbidezza e un sapore che in realtà nessuno di noi aveva mai dimenticato.

Con la punta della lingua disegnò il mio labbro inferiore, mentre allacciava un braccio intorno alla mia vita, stringendomi a lui. Dischiusi la bocca, sentendo sulla lingua il gusto della pioggia, fuso a quello di Edward, che come una droga iniziò a circolare nelle mie vene, aumentando a dismisura il mio battito cardiaco, già elevato.

Sentii la sua lingua scivolare sulla mia, accarezzandola e lambendola. Sentivo le sue mani sulla vita, sul collo, sulle spalle, fra i capelli; le sentivo cercare, accarezzare e stringere. Il suo calore contro il mio petto mi scaldava, mentre sentivo il vento contro la schiena, freddo e impetuoso.

Rabbrividii, ed Edward si allontanò da me, con il fiato corto. Il suo respiro accelerato era eco del mio, e nei suoi occhi lessi la stessa eccitazione che c’era nei miei. Premette ancora la fronte contro la mia, cercando di riprendere un ritmo respiratorio normale.

«Dobbiamo tornare alla riserva, stai tremando», sussurrò, sfregando le mani lungo le mie braccia, cercando di scacciare la pelle d’oca che non mi ero resa conto fosse spuntata su tutto il mio corpo. Solo dopo che si fu allontanato mi resi conto di stare realmente tremando, e che quello non era affatto un effetto del bacio, ma proprio del vento gelido che soffiava nel canyon.

Edward sfilò dallo zaino la coperta, passandomela sulle spalle. Poi mi tese una mano, che afferrai prontamente, ed insieme tornammo verso la riserva, sotto la pioggia scrosciante.

 

Raggiungemmo il villaggio della riserva impiegando quasi la metà del tempo dell’andata, grazie anche al nostro passo spedito e alle brevi corse che ci concedevamo per percorrere zone per nulla riparate dagli alberi. La mia mano rimase per tutto il tempo stretta in quella di Edward, e lo rimase anche quando, dopo essere arrivati all’albergo ed esserci cambiati, salimmo a bordo dell’elicottero che ci avrebbe riportato al furgoncino.

Come aveva previsto Edward, quando arrivammo al villaggio la pioggia stava già diminuendo, e nel giro di pochi minuti svanì completamente, e le nuvole iniziarono a diradarsi, facendo spuntare finalmente il sole. Il nostro volo non fu cancellato, e potemmo tornare tranquillamente alla macchina, dove ci aspettava il nostro itinerario.

Quel giorno, però, nessuno di noi due aveva voglia di viaggiare molto. Oltre al fatto che erano già le cinque e mezza del pomeriggio, il discorso di quando eravamo alle cascate era ancora ben chiaro nella mente di entrambi. Per quel motivo dopo solo un’ora di auto ci fermammo a Kingman, dove si trovava un motel segnalato sull’itinerario come qualcosa di caratteristico della Route 66. Quando entrammo nella lobby, infatti, trovammo diversi cartelli della Strada Madre appesi ai muri, insieme alla tipica cartina da Chicago a Los Angeles. Prendemmo una stanza, e trascinammo le nostre valigie su per la collinetta in cui si trovava il motel, fino a raggiungere la nostra camera.

Non appena la porta si richiuse alle nostre spalle Edward lasciò cadere il suo borsone a terra, e prese il mio viso fra le mani, facendo aderire le nostre fronti. «Dimmi che non sono l’unico ad essere stanco morto», mormorò sulle mie labbra, chiudendo gli occhi.

Accarezzai i suoi capelli, morbidissimi. «Anch’io sono stanca», sussurrai. Sfiorai le sue labbra con le mie. «Potremmo prendere qualcosa in un take-away e mangiare in camera», proposi.

Edward prese il mio labbro inferiore fra i denti, tirandolo leggermente. «C’era un ristorante cinese sulla strada», mormorò.

«Va benissimo», dissi, prima che le sue labbra catturassero le mie.

Quando si allontanò lo lasciai andare controvoglia. «Il solito?», mi chiese, aprendo già la porta per uscire.

Annuii, sorridendo al pensiero che si ricordasse ancora cos’ero solita ordinare al ristorante cinese.

Non appena se ne andò corsi in bagno e accesi l’acqua calda della doccia, decisa a darmi una lavata prima che lui rientrasse e soprattutto a cercare di scacciare la sensazione di freddo che non mi aveva abbandonato neanche dopo che mi ero asciugata e cambiata dopo la corsa sotto la pioggia. Presi tutto il necessario dalla valigia, e proprio in quel momento sentii il rumore della vibrazione di un cellulare.

Raggiunsi la mia borsa sul letto, e trovai il cellulare nella tasca laterale. Nel frattempo aveva smesso di suonare. Era da quella mattina che non lo controllavo, e mi stupii nel constatare che c’erano ben tre chiamate perse; ero sorpresa, perché da quando ero partita non avevo ricevuto molte telefonate, e spesso ero io a chiamare Alice e Rosalie, perché entrambe non volevano rischiare di disturbarmi durante il viaggio. Ma ciò che mi sorprese ancora di più fu leggere proprio quel nome sullo schermo.

Stavo ancora osservando le lettere, cercando di trovare un significato a ciò, quando il cellulare riprese a vibrare nella mia mano, e lo stesso nome apparve sotto il segnale di chiamata in arrivo.

Ignorai l’acqua che in bagno continuava a scorrere, e accettai la chiamata.

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Il Diario di Bella - blog dove potete vedere immagini dei luoghi visitati nel corso della storia.

'Giorno! :D

Oggi sono un po' di fretta, ma prometto che entro sera risponderò alle recensioni dello scorso capitolo!

Come avrete capitolo è un capitolo di svolta, e come qualcuno aveva immaginato (FunnyPink) non si ha una risposta alla domanda 'Chi è Lizzy?' perché Edward era già addormentato... non preoccupatevi che la risposta verrà fuori moooolto presto. Adesso un'altra domanda è quella su chi ha telefonato a Bella: qualche ipotesi? :D

Grazie per continuare a seguire questa storia, e benvenuto a tutti i nuovi lettori!

Alla prossima settimana! :***

   
 
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