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Autore: Rin Hisegawa    14/05/2012    3 recensioni
Lui non vorrebbe vederla piangere in quel modo. La guarderebbe con quell'aria di fastidio misto a dispiacere, incerto se abbracciarla o prenderla in giro, e magari alla fine farebbe entrambe le cose. Eppure l'ha scacciata, e lei non può fare a meno di disperarsi, perchè le principesse delle storie si sposano col Principe Azzurro e lei invece si è innamorata del Mago cattivo. [GOLD / BELLE]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il mattino successivo, Emily si sveglia di buon'ora. Non è mai stata una gran dormigliona, soprattutto perché il suo letto nel reparto psichiatrico dell'ospedale era decisamente scomodo, ma anche adesso che potrebbe permettersi di riposare non riesce a farlo per più di sei ore alla volta. Per questo motivo si sente sempre stanca, stordita, come se vivesse la vita attraverso gli occhi di qualcun altro. Come se fosse intrappolata nel proprio corpo... ma naturalmente questo non è possibile, vero?
Cercando di non far rumore, scende la rampa di scale che la conduce al piano terra di quella insolita abitazione. Tutto è ordinato e silenzioso come in un museo, antico ed eterno e senza tempo. Sono appena le sei di mattina, e nessuno è ancora per strada; nemmeno gli alberi del giardino sembrano muoversi, ed il cielo terso promette un'altra giornata di caldo asfissiante.
Emily si guarda attorno con reverenza, sfiora appena un soprammobile di fattura indiana che sembra fissarla con occhi spiritati e, agile e leggera come uno scoiattolo, scivola fuori dalla porta principale. I raggi del sole nascente solleticano la pelle chiara delle sue braccia, e l'erba fresca di rugiada fruscia dolcemente sotto i piedi nudi. Ed allora Emily si siede fra gli steli nuovi, respirando l'odore umido e fresco della terra, cercando di ricordare quando (tanto tempo fa) ha provato una simile sensazione.
Non può essere stato nella triste camera-prigione dell'ospedale. Non può essere stato (come effettivamente le sembra) in un bosco illuminato a chiazze dai raggi del sole che filtravano fra gli alberi altissimi, le chiome immobili, i tronchi secolari. Un bosco intriso di magia come non ne esistono su questa Terra, percorso dai draghi sinuosi e dagli orchi sgraziati, dalle bellissime dame e dai coraggiosi cavalieri.
Probabilmente, decide infine, tutti quei ricordi derivano dai sogni folli che le capita di fare, e devono essere causati da tutte le strane medicine che si ostinano a somministrarle. Del resto, a quanto ha capito, suo padre fa il fioraio, e lei deve aver vissuto con lui per un breve periodo della sua vita: niente di strano, dunque, se l'odore dell'erba bagnata crea in lei un senso di nostalgia e di dolore.
Emily se ne resta seduta per un periodo indefinibile di tempo, talmente immersa nei propri pensieri da dimenticare persino dove si trova. I primi rumori della città che si sveglia la riportano alla realtà, la piccola strada trafficata di Storybrooke, la villa in stile vittoriano, l'uomo ancora addormentato a cui ha promesso di aver cura d sé.
Saluta con un cenno del capo il panettiere che si avvia verso il proprio negozio, sbirciandola dal sotto in su e forse chiedendosi perché se ne sta seduta in mezzo alle primule coi pantaloni appena messi tutti sporchi di terra. Non ci vuole niente, in quella cittadina, perché una voce si sparga; e, dal momento che tutti sono certi della sua follia, Emily dovrebbe evitare di fare cose all'apparenza insensate. Per questo motivo si alza, spolvera i jeans ormai macchiati e torna in casa, sospirando, giurando a se stessa di cercare di essere più prevedibile, d'ora in poi.
Mr. Gold si alza ogni mattina alle sette e un quarto precise, si veste con uno dei suoi soliti completi eleganti (pantaloni, camicia, giacca e cravatta, con qualsiasi stagione) e alle sette e quarantacinque scende in cucina dove si prepara distrattamente un caffè. Poi esce, alle otto in punto, e cammina da solo fino al suo negozio di antiquariato, dove aspetta (senza sperarci troppo) che qualcosa di insolito giunga a movimentare la vita monotona di quella stanca cittadina.
Quella mattina, Mr. Gold sente che c'è qualcosa di diverso nell'aria. Lo percepisce alzandosi, quando vede il cielo privo di nuvole distendersi infinito verso l'orizzonte; mentre si veste, avvicinandosi allo specchio scorge nei suoi occhi uno strano bagliore: è un po' più vicino al vecchio se stesso, questa mattina, e anche se tenta di non pensarci e fa finta di non capire sa benissimo che tutto questo è dovuto soltanto a lei.
La casa intera è invasa dal profumo di qualcosa che sta cuocendo in forno. Mr. Gold scende le scale in silenzio, un po' curioso ed un po' preoccupato, e sempre in silenzio osserva la scena dalla porta della cucina: Emily è di spalle, i pantaloni sporchi d'erba sulle ginocchia e sul sedere, i capelli mossi che ondeggiano ad ogni suo movimento, le braccia esili che si ingegnano ad estrarre una meravigliosa crostata di more dal forno aperto.
Mr. Gold si lascia scappare un sorriso, ma non dice niente; non vuole interromperla, né rovinare quel momento magico e stranissimo in cui lei è lì, nella sua cucina, che canticchia felice come se non se ne fosse mai andata. Come se lui non l'avesse mai costretta ad andare.
- Oh! - Emily si volta, ed arrossisce trovandoselo davanti all'improvviso come una bambina colta in fallo a rubare i dolci dalla dispensa - credevo che stesse ancora dormendo! Ho fatto troppa confusione?
Lui scuote la testa, ridacchiando fra sé.
- Al contrario. Se avesse fatto confusione sarei sceso molto tempo fa, ed avrei preteso di darle una mano, cosa che certamente avrebbe rovinato la sua bellissima torta.
Ridono entrambi. E' strano essere così formali, tutto ad un tratto, di nuovo. Molto tempo prima, in un altro mondo, probabilmente lui avrebbe semplicemente lanciato un incantesimo sulla crostata perché corresse via ogni volta che qualcuno tentava di tagliarne una fetta, e Belle si sarebbe arrabbiata come una matta nel vedere la marmellata gocciolare su tutti i mobili appena spolverati.
Qui, invece, non c'è bisogno della magia per avere tutti i mobili cosparsi di marmellata. Mr. Gold osserva le dita di Emily, bruciacchiate e tagliate, e la pila di recipienti da lavare ammassata nel lavandino. Ancora, scuote la testa e sorride.
- Sono convinto che il risultato sia ottimo, ma è sicura che valga tutte quelle scottature?
Lei si stringe nelle spalle. Appoggia la crostata sul tavolo, e inizia a tagliarla con un coltello pulito; l'odore è delizioso, esattamente come quello dei dolci che Belle preparava tanto tempo fa...
- Mi sono alzata troppo presto e non sapevo cosa fare. Ma il suo sarcasmo non mi tocca, è normale che faccia qualche danno, all'inizio visto che mi sento come se fosse la prima cosa che cucino da secoli!
E probabilmente è così, almeno in questa vita. Ma Mr. Gold questo non lo dice. Si limita a sedere in silenzio, finire la sua fetta di torta e ringraziare. Oggi non sa veramente come sentirsi, diviso fra ciò che è diventato (un uomo che vorrebbe dire ad Emily di uscire, di farsi dei nuovi amici, di non affezionarsi troppo a lui) e ciò che era (un mostro che la terrebbe con sé, solo per sé, mostrando i denti a chiunque osasse avvicinarsi alla sua preziosa ragazza).
- Devo portarla da Mr. Hopper per il suo ciclo di sedute, - dice infine, cercando un appiglio nella sua vita di ora che lo costringa a prendere la giusta decisione. Emily gli lancia un'occhiata tetra e carica di delusione, che lo fa sentire colpevole come se l'avesse ingannata. - Mi dispiace, ma è per il suo bene.
Lo studio del Dottor Hopper non sembra affatto uno studio; l'arredamento ricorda più un salotto senza pretese, e non esiste un'anticamera. I pazienti si limitano ad aspettare il proprio turno davanti alla porta, in piedi, ed è lo stesso Archie a chiamarli uno dopo l'altro, perché non può permettersi una segretaria: non sono molti i pazienti in una cittadina piccola come quella, ma dopotutto a lui va bene così.
Emily si lascia accompagnare docilmente fino al portone, saluta Mr. Gold con un cenno nervoso del capo e bussa timidamente contro il legno chiaro. Quasi subito le viene aperto, e un uomo sorridente coi capelli rossi spettinati la invita ad entrare.
- Lei deve essere Emily Fisher, - sorride allegro, porgendole la mano. - Io sono il Dottor Hopper, ma preferirei che mi chiamasse Archie se non le dispiace. Si accomodi!
La giovane risponde al saluto, annuisce, siede ubbidiente sul divano malridotto. Si sente frastornata da quel fiume di parole, da tutta quella gentilezza, dal modo spontaneo del Dottore di relazionarsi ai suoi clienti: poco professionale, direbbero alcuni, uno psicologo non dovrebbe curare i propri amici, o diventare amico dei propri pazienti, non è normale.
A quanto ha capito, invece, Archie è considerato il consigliere di tutti e in alcune occasioni evita persino di farsi pagare. Non c'è da meravigliarsi se il suo studio sembra un po' troppo antiquato, un po' troppo spelacchiato, e non può nemmeno permettersi una vera e propria sala d'attesa.
- Bene, signorina French, - esordisce lui, sistemandosi gli occhiali sul naso, - come va in questi giorni?
Emily sorride. Qualcosa nello psicologo, nel suo semplice essere uno psicologo piuttosto che un panettiere, o un insegnante, o un tassista, la terrorizza, ma non vuole darlo troppo a vedere.
- Molto meglio, - mormora, sforzandosi di non distogliere lo sguardo.
Davvero, Archie è un amico, non la farà rinchiudere. Lui solleva un angolo della bocca in una specie di sorrisetto, mentre scrive chissà cosa sul foglio che tiene in grembo. La parola scrivania non deve mai essere stata nemmeno pronunciata in quella stanza, ma lui non sembra far caso alla scomodità della situazione.
- Continua a prendere le sue medicine?
Emily annuisce, seria. Sa bene dove vuole arrivare il Dottore; tanto vale agevolargli il lavoro.
- Non ho intenzione di uccidermi, Dottor Hopper. Non so cosa mi sia preso, quella sera.
Con sua grande sorpresa, Archie sorride. Le crede. Fruga fra i documenti che tiene sul tavolino basso che si estende fra loro, ed estrae un disegno un po' sgualcito. Lo porge ad Emily, che lo osserva come se avesse appena visto un fantasma.
- Potrebbe avere qualcosa a che fare con questo? - le dice, sereno.
E' il disegno che la ragazza ha scarabocchiato la sera dell'incidente, e che aveva praticamente dimenticato. Il castello la fissa con finestre simili ad occhi indagatori, mentre le stelle si affacciano fra le nuvole immense ed illuminano le guglie aguzze come denti famelici. Ed Emily sa di sapere, ma non riesce a ricordare.
- Una ragazza, - cerca di spiegare, arrancando per trovare le giuste parole, che sembrano appartenere ad un'altra lingua o ad un altro tempo. - Ho sognato una ragazza. E' stata lei a dirmi che cosa fare.
Adesso, Archie la prenderà per pazza. Emily Fisher, che sente le voci. Emily Fisher, che tenta il suicidio perché le hanno detto di farlo. La rinchiuderanno di nuovo, e questa volta per sempre, e non ci sarà nessun Mr. Gold a salvarla, perché anche lui non potrà far altro che dare ragione all'evidenza. Spaventata, alza gli occhi per incontrare quelli seri e preoccupati del Dottor Hopper.
- Mi farà tornare in quel posto terribile? - domanda a voce bassa, troppo spaventata persino per ribellarsi.
Archie sembra stupito dapprima, poi scoppia in una fragorosa risata.
- Oh, ma certo che no cara! - le dà un leggero colpetto sulla mano, che anziché rassicurarla la fa sussultare. - E' perfettamente normale avere incubi di questo genere, quando si è subito un trauma come il tuo. Però, è necessario ricordarsi che si tratta soltanto di sogni, okay?
Emily annuisce vigorosamente. Qualunque cosa, qualunque pur di non dover tornare in manicomio. Archie annuisce soddisfatto, poi si alza in piedi e si mette a cercare qualcosa in un vecchio mobile stracolmo di libri. Torna indietro tenendo in mano un quadernetto di pelle dall'aspetto sgualcito, la copertina nera priva di qualsiasi decorazione.
- Facciamo un esperimento, - esclama, porgendolo ad Emily, - le prossime volte che sogni la ragazza, prova a scrivere qui dentro quello che succede e quello che lei ti dice. Puoi anche scrivere quello che hai fatto durante il giorno, quello che ti spaventa o ti rende felice. Poi, quando torni da me, ne discutiamo insieme. E' molto importante che cerchi di esternare i tuoi sentimenti, che tu non tenga niente dentro, perché siamo in una fase molto delicata e hai bisogno di una mano per uscirne. Che ne pensi?
Per l'ennesima volta, la ragazza si limita ad annuire. Prende il quaderno, se lo rigira fra le mani. E' ruvido e più pesante di quello che pensava; Emily non sa se ha mai tenuto un diario prima di allora, ma si ritrova a pensare che ci sono troppe pagine da riempire, per una persona che non ricorda una sola cosa del proprio passato.
- Spero di aver qualcosa da raccontare, - mormora, più a se stessa che al dottore.
Archie sorride benevolo, dandole una leggera pacca sulla spalla.
- Non preoccuparti, cara, tutti hanno qualcosa da raccontare.
  
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