QUASI UN GIOCO
Ricordava le partite giocate. Ricordava Terriermon dentro lo schermo, i nemici virtuali che avevano sconfitto. Ricordava la confusione, lo sconcerto, la gioia unita alla preoccupazione quando si era ritrovato tra le braccia il piccolo Digimon stanco e ferito. Ricordava la consapevolezza che le ferite di Terriermon fossero colpa sua, perché l’aveva spronato a combattere, perché l’aveva considerato solo un programma per computer.
Aveva imparato a comprendere la sua ironia, aveva provato a tenerlo al sicuro da quei mostri digitali tanto più grandi e spaventosi di lui, aveva cercato di evitare i guai temendo che qualcosa, in quelle battaglie, lo avrebbe cambiato, e che avrebbe perso il controllo come nel videogioco.
Voleva anche evitare di provare ancora una volta quell’angoscia, che sarebbe stata ancora più grande nel sapere che a farsi male era stato un amico.
E per un po’, quando Terriermon era digievoluto, aveva visto tutti i suoi incubi avverarsi ed aveva temuto di perderlo. Ma poi Terriermon era tornato in sé, e le battaglie erano continuate, inevitabili e sempre più violente. Ma Terriermon le faceva sembrare quasi un gioco.