Stava
camminando per strada quando le venne voglia di fragole. Anzi no, più che una
voglia era un bisogno fisico, una questione di vita o di morte. Si fermò al
banco della frutta e ne chiese un cestino.
“Abbiamo solo quello da un chilo, va bene uguale?”
le domandò il commesso.
“Certamente, non c’è problema” rispose lei.
Le pagò
e tornò a camminare, mangiandole. “Buone” pensò.
Il
percorso durava circa cinque minuti, anche con tutte le borse della spesa che
aveva in braccio per il frigo del ristorante, ma già a metà strada le fragole
erano finite.
“Oh, cavolo.
Forse dovrei smettere di essere così affamata, sono diventata
compulsiva” esclamò.
Non
aveva perso l’abitudine di parlare da sola ad alta voce quando camminava, ma chi
la conosceva ormai non ci faceva più caso.
Grazie
al suo nuovo lavoro e al fatto che il ristorante era rinomato per i deliziosi
piatti preparati lei era diventata una specie di istituzione nei dintorni. Tutti
i giorni aveva decine di persone a pranzo e a cena ed era riuscita a racimolare
un bel gruzzoletto, messo da parte per un posto più grande e un altro impiegato.
Al
momento c’erano quattro persone a lavoro: lei e Nobu
stavano in sala e servivano, mentre Rin e Ukobach cucinavano.
Il
demone era andato da loro quando Yukio era diventato
un esorcista affermato e Mephisto lo aveva licenziato.
Rea era stata felice di prenderlo in casa con loro.
Quando
arrivò al lavoro sentì un profumo invitante provenire dalla cucina e si avvicinò
annusando l’aria.
“Cos’è questo buon odore?” chiese. Diede un bacio al
compagno e posò le buste.
“Stiamo preparando il sushi” le rispose. Ukobach annuì, felice.
“Buono! Posso prenderne un
pezzo?”
“Ti ho lasciato il sashimi sake, è
lì sul tavolo” le disse Rin.
“Ti adoro!” lo adulò lei, mandandogli un bacio con la
mano.
Si
avvicinò al pesce e lo guardò un attimo. Poi lo allontanò da sé, schifata dal
profumo.
“Forse più tardi” si disse. Iniziò a mettere la spesa
a posto e lo stomaco le brontolò. “Sì, però ho
fame” pensò.
Senza
ragionare prese il piatto di sushi e lo ingoiò senza metterci nessuna salsa,
come invece faceva di solito.
Le si
bloccò in gola, andando a strozzarla.
“Oddio” borbottò, correndo verso il bagno. Sputò il
cibo e si sciacquò la bocca.
“Se lo masticavo forse era meglio” si disse.
Nuovamente il suo stomaco brontolò, e le venne voglia di cioccolata e bistecca.
“Ma è normale?” si chiese. Sentì di nuovo il
rumore della fame. “Ma chi se ne frega!” pensò.
Corse in cucina.
“Ehi, Ukobach, mi puoi preparare un
po’ di carne con sopra del cioccolato?
Voglio provarlo per vedere se potrebbe essere messo nel
menù” gli propose.
Rin la
fissò, senza capire.
“Unire le proteine con gli zuccheri?
Rea ma ti senti bene?” le
chiese, preoccupato. Lei
sorrise.
“Certamente!”
Passò
una settimana senza che le venissero mai altre voglie. Se n’era quasi
dimenticata fino a che un pomeriggio, mentre stava spazzando con Nobu, desiderò altre fragole.
“Ho fame!” si lamentò con l’amica. Lei la
fissò.
“C’è rimasto del prosciutto in frigo” le
disse.
“No, ho bisogno di fragole”
“Che cosa? Ma non è
stagione!”
“Sì, ma ne ho voglia!” si arrabbiò, puntando i
piedi.
“Ci sono le banane, al massimo” la avvertì,
cercando in cucina. Rea scosse la testa con forza.
“Voglio le fragole!” urlò. La ragazza la fissò,
incredula.
“Ma che ti è preso?
Sei impazzita?” le
domandò.
“Voglio solo un cesto di fragole!” ripeté.
Adesso
stava per avere una crisi di nervi, sentiva già le lacrime salirle agli
occhi.
“Forse è meglio se mi siedo un attimo” disse,
recuperando un secondo il controllo. Aveva il cuore che batteva
forte.
“Ma ti senti bene?
Hai bisogno di un po’ d’acqua? Un po’ di zucchero?” si preoccupò Nobu.
“No, ho solo bisogno di riposarmi un
secondo.
Mi passi la borsa? Dovrei avere una pasticca per il mal di
testa” le chiese.
Prontamente la ragazza la prese e gliela allungò, per poi mettersi seduta vicino
a lei. Lavoravano insieme da un anno e mezzo, e si era affezionata a Rea. Era
una specie di sorella maggiore, nonostante avessero entrambe ventitré
anni.
“Ecco, con questo dovrei…” si bloccò, stupita. Ingoiò
a vuoto.
“Che c’è?
Che succede?” s’informò
l’altra, allungando il collo per vedere.
“Q-questo!” esclamò tirando fuori dalla sacca un
assorbente.
“Cos’è?”
“Che non l’hai mai visto?
Sei una donna, no?” rispose
acida.
“Sì, ma dov’è il problema?” domandò Nobu, senza capire.
“Io non lo uso da…” si fermò un secondo per fare i
conti.
“Sette settimane” sussurrò. Aveva un ritardo di quasi
due mesi.
“Cioè potresti essere incinta?” chiese l’amica,
incredula. Eccitata fece un gridolino.
“Ma è splendido!” disse.
“No!
No che non lo è!” esclamò Rea,
alzandosi.
Si mise
una mano intorno alla testa, e iniziò a camminare in su
e giù davanti al tavolo.
“Perché? È una notizia
stupenda”
“Io non… un bambino è… oddio” non riusciva a
pensare.
“Ho bisogno di quel bicchiere d’acqua adesso”
“Avrei… avrei bisogno di un… test di gravidanza” disse
imbarazzata, parlando a voce bassa. La farmacista la fissò,
sorridente.
“Rea, siamo in dolce attesa?” le domandò,
solare.
“Non lo so... Ehm, senti Mikaru,
non parlarne troppo a voce alta.
Anzi, non parlarne con nessuno” la implorò. La
donna le passò la scatola.
“Stai tranquilla, il tuo segreto è al sicuro. Per
ora”
“Che significa?”
“Beh, se tu fossi incinta ci vorrebbe poco perché le
persone se ne rendano conto, la pancia cresce” le fece presente. A quello
non aveva pensato.
“Magari non sono in dolce attesa e tutto è un equivoco.
Grazie per il test, ci vediamo”
“Fammi sapere!” la salutò
Uscita
dalla farmacia, Rea entrò in macchina con Nobu.
“Andiamo a casa tua”
“Una… due… cazzo” esclamò la ragazza, cadendo sul
letto.
“Significa che sei incinta!” esultò l’amica.
Avevano già fatto due prove, entrambe positive. Non c’era
dubbio.
“Ma non posso aspettare un… un essere umano dentro di
me!”
“Ma perché no?
Mi dicevi che da piccola volevi diventare una madre fino a
ieri e adesso ti tiri indietro?” la sgridò Nobu. Lei
si prese la testa tra le mani.
“I-io sono una ristoratrice famosa, ho un posto sicuro, una
casa…”
“Quindi il problema qual è?”
“Non lo so” ammise. Già, perché un problema? Una
neonata era quella che aveva sempre voluto, no?
“Allora adesso calmati e respira.
Ti porto un bicchiere d’acqua?” le domandò l’amica.
“Sì, grazie” annuì. Dopo un paio di minuti aveva
ricominciato a respirare normalmente, adesso più lucida.
“Va bene, e adesso?” disse.
“Adesso lo dici a Rin!”
esclamò l’altra.
Oh, no.
Conoscendolo, sarebbe andato in paranoia. Si ricordava quando aveva deciso di
prendere con loro Ukobach: era stato due giorni ansioso, aveva tolto ogni cosa di giro per evitare
che il demone si facesse male e gli aveva fatto un piccolo posto letto accanto
alla cucina del ristorante, lavorandoci due giorni senza
dormire.
“No!” decise Rea.
“Che cosa?
Perché mai? Guarda che sei strana forte, oggi. Capisco
che è una notizia un po’ improvvisa, ma… una nuova vita? Avanti! Gioisci!” la
spronò.
“Ma lui andrebbe nel panico più totale!” si
giustificò.
“Anche tu sei nel panico più totale!” le fece
presente.
“Dettagli” minimizzò. Nobu
le prese le mani e la fissò negli occhi.
“Adesso tu vai a casa e glielo dici, va bene?” le
ordinò. Rea annuì, sconsolata.
Entrò
nella sala del ristorante esitando. Si sentiva le gambe
cedere.
“Ciao, amore!
Tutto bene con Nobu?” la accolse Rin,
baciandola.
“Come no?” rispose lei.
Il
sarcasmo stava per prendere il sopravvento e si riscosse un
secondo.
“Ci sono problemi?”
“No, figurati!
Qui? Tutto a posto?”
s’informò.
“Sì, Ukobach ha fatto un piatto a
base di verdure. Vuoi?”
“No, passo grazie” disse.
Lo
seguì in cucina, stando attenta a non far trapelare l’emozione. Come glielo
diceva?
“Senti, Rin, se… parlando
ipoteticamente… ci fosse la possibilità di… ehm… allargare la famiglia, diciamo.
Che ne pensi?”
“Tipo prendere qualcun altro a
lavorare?
Ma non eravamo d’accordo di aspettare di trovare un posto più grande dove
trasferirci? Qui stiamo stretti” le rispose.
“No, parlavo di altro.
Tipo… di un figlio”
spiegò.
Il
ragazzo quasi si tagliò con il coltello della carne.
“Che cosa? Ma siamo ancora
piccoli!”
“Abbiamo ventitré anni” gli fece presente
lei.
“Esatto. Non mi piace l’idea,
no”
“Bene, questo mi fa… felicissima” rispose la ragazza.
Si girò e fece per salire le scale.
“Perché questa domanda?” s’incuriosì Rin, seguendola.
“Non importa, era un’idea che mi aveva messo in testa Nobu, ma fa niente” disse vaga.
“Se ne sei sicura” sussurrò lui, guardandola entrare
in casa.
Lei si
stese sul letto con un braccio in faccia. “Diglielo, dice lei, capirà, dice lei. È una notizia meravigliosa, un bambino! Certo, proprio splendida”
pensò. Iniziò a battersi un pugno sulla fronte. “Idiota! Eppure lo sai come si fanno queste cose,
perché non sei stata attenta?” si
sgridò.
“Vuoi un po’ di takoyaki?
Li ho appena fatti” la tentò
il ragazzo, quella sera a cena.
L’odore di quella roba le fece venire la nausea.
“No, non ho molta fame” si scusò. La mano andò alla
pancia senza che se ne rendesse conto.
“Sei sicura che vada tutto bene?
Sei strana da oggi pomeriggio”
le disse.
“Sì, mi sento un po’ debole, sarà un po’
d’influenza”
“Vuoi che domani passi a prenderti
un’aspirina?” le chiese preoccupato.
“NO!” esclamò lei, saltando su come una molla. Lui la
fissò, sbalordito.
“V-volevo dire… no, figurati, domani starò meglio”
spiegò.
“Come vuoi, però sappi che puoi chiedermi
tutto.
Non voglio che tu ti ammali”
la rassicurò.
“Non preoccuparti, lo so già” rispose.
Continuava
a pensare ad un ipotetico figlio.
Avrebbe
avuto bisogno di Laura in quel momento, ma era troppo tempo che non si
sentivano, chiamarla in quel momento era inutile. Si coricò molto presto, con un
mal di testa da far addormentare un cavallo.
“Ukobach, io esco, vado un attimo in farmacia a prendere
l’aspirina.
Ci pensi tu qui?” lo avvertì
Rin, togliendosi il
grembiule. Il
demone rispose di sì.
“Allora a tra poco” lo
salutò.
Uscì
dal ristorante e si diresse al negozio sorridente. Avrebbe curato Rea con tanto
amore e l’avrebbe ricoperta di attenzioni.
Entrò
dentro, felice.
“Buongiorno!” esclamò salutando l’impiegata. Lei
sorrise a sua volta.
“Allora?
Come sta la nostra amica?” gli
chiese.
Sapeva che era influenzata?
“Bene, sono passato a prendere qualcosa per farla stare
meglio” rispose lui.
“Per queste cose si deve solo
aspettare.
Dicono che al quarto mese le nausee passino” lo informò. Rin la fissò senza capire.
“Quarto mese?”
“So che è tanto, ma devi aspettare. In fondo un bambino è
sempre un bambino”
“BAMBINO?” esclamò, saltando due passi indietro.
Mikaru si
accorse della gaffe e si tappò la bocca.
“Pensavo che te l’avesse
detto!”
“Ma chi?”
“Rea!”
“No!
Non so niente di bambini!”
urlò.
Corse
fuori dalla farmacia e andò a passo di carica verso casa.
Spalancò
la porta con forza inaudita, scardinandola. La ragazza aprì un occhio con
fatica.
“UN FIGLIO?
Credevi di dirmelo prima o poi?” la aggredì subito. Rea
si svegliò subito.
“Da chi l’hai saputo?” domandò,
imbarazzata.
“Dalla farmacista!
Ma ti rendi conto? Sei impazzita?” continuò a infierire. La
ragazza iniziò a girarsi le mani, nervosa.
“Volevo dirtelo, ma nel momento giusto!” si
scusò.
“Quando? Dopo aver partorito,
forse?”
“No di certo! Smettila di fare così e ragiona, per
favore!”
“Ragionare?
C’è il mio bambino dentro di te e tu lo dici a Mikaru,
che è la più pettegola del quartiere. Bel colpo!” si complimentò.
La
nausea assalì Rea, che si portò una mano alla bocca e corse in bagno a
vomitare.
“E’ per questo che ieri mi hai fatto tutte quelle domande
idiote?”
“Non erano idiote!
Sei tu l’idiota che non vuoi un figlio” si difese.
“Perché, tu si?”
“Certo!
È pur sempre mio!” esclamò,
fronteggiandolo. Era
vero, l’avrebbe tenuto.
“Tu sei matta! È un demone, come me. Mia madre è morta,
dandomi alla luce”
“E’ demone solo per un quarto, e non è sicuro che io
muoia.
Il bambino resta”
decise.
“No, lui non resta” la minacciò Rin, infiammandosi. Quando succedeva questo era il momento
di ritirarsi.
“Allora me ne vado io” lo sfidò Rea. Si voltò e corse
giù per le scale.
Si mise
a piangere in strada e chiamò Nobu.
“Pronto,
neomamma! Che succede?”
“N-Nobu… vieni a prendermi” la implorò
“Puoi stare da me quanto vuoi, non
preoccuparti.
E non andare al lavoro: farò io per te”la rassicurò l’amica.
“Grazie, sei troppo buona.
Farò in modo che sia una sistemazione temporanea e troverò un
appartamento da sola” le
promise.
“No, tu resti qui. Sei in una condizione troppo delicata,
non puoi avere shock. Rin è un
idiota”
“Lo so” ammise.
“Forza, tirati su.
Io adesso devo andare, ma tu riposati. Ci vediamo dopo” le disse.
Quando fu sola, Rea si mise a piangere di nuovo.
Incinta,
senza casa e senza compagno. Complimenti.
Sette
mesi e mezzo dopo.
“Nobu, posso parlarti?” le chiese Rin, fermandola dopo il lavoro.
“Con te non ci parlo.
Lavoro qui perché Rea è mia amica, ma non ti devo niente” gli rispose. Lui e
la ragazza non si erano mai chiariti o parlati da quando lei era
fuggita.
“Voglio che lei torni!” le
disse.
“Lo ripeti da mesi ma sei venuto anche solo una a vedere
come sta o se il bambino è vivo?
Ci sei venuto? No! Quindi sta’ zitto e fatti gli affari
tuoi” lo aggredì.
“Mi vergogno” ammise lui, stringendo i
denti.
“In questi casi l’orgoglio va messo da parte” gli
disse lei.
Lasciò
la scopa e se ne andò, facendolo rimanere triste e solo nel ristorante di
Rea.
“Piccolo, certo che sei grosso.
Quando ti decidi a uscire?”
domandò la ragazza, parlando al pancione. Le
capitava sempre più spesso, ormai.
Dall’interno
sentì un piccolo calcio.
“E ti muovi anche!
Ma guarda tu”
esclamò.
Era
ormai alla fine del tempo, era questione di giorni.
Bussarono
alla porta.
“Arrivo, Nobu!” rispose.
Quando la spalancò si trovò davanti Rin.
“No!” esclamò, richiudendola. Il ragazzo iniziò a
picchiare insistentemente sul legno.
“Aprimi!” le disse.
“No!
Vai via!” gli
ordinò.
“Voglio parlarti!
Ti prego” la
implorò. Era
disperato.
“Puoi dirmelo così!”
“Ho bisogno di vederti” ammise. Iniziò a
piangere.
Lei lo
sentì attraverso la parete. Gli era mancato così tanto che si sentiva male a
mandarlo via di nuovo. Deglutì.
“Ti prego, vai via” gli chiese.
“No, ho bisogno di sapere che tu e mio figlio… nostro figlio…
state bene.
Per favore” la
pregò. Il
suo tono di voce la fece cedere. Girò la chiave e si
affacciò.
“Non prenderai fuoco?”
“Giuro”
“Allora entra” concesse. Gli aprì la porta e lo fece
sedere a tavola.
“Cosa c’è?”
“Voglio che tu… voi… torniate a casa, con me” le
spiegò.
Si
vedeva che non doveva aver passato gli ultimi mesi in maniera ottimale: aveva le
occhiaie ed era dimagrito. Qualcosa si mosse dentro la pancia di
Rea.
“Perché? Tu non lo vuoi il mio
bambino”
“Sì che lo voglio!”
“E perché vieni adesso? Dopo sette mesi e
mezzo?”
“Perché mi vergognavo! Sono stato un idiota, un deficiente,
un…”
“Uno stronzo” lo aiutò lei. Lui
sorrise.
“Esatto.
Non potevo avere il coraggio di tornare da te dopo averti
buttata via” ammise.
Un’altra sensazione di vuoto allo stomaco. Era dolorosa.
“Sì, ma se fosse tardi?”
“Dimmi che non lo è” la pregò.
Fitta
forte e spezza fiato. Rea si piegò in due, emettendo un suono strozzato. Rin le fu accanto.
“Che c’è?” chiese
preoccupato.
“Il bambino… qualcosa non va”
rispose.
“Ti porto in ospedale”
Due ore
dopo camminava come un animale in gabbia in sala d’aspetto.
I
dottori avevano detto che si era rotto qualcosa o che qualcos’altro era rimasto
attaccato intorno al bambino, non aveva capito, fatto sta che adesso Rea era in
terapia intensiva sotto sedativi. Un’infermiera uscì dalla
stanza.
“Signor Okumura, c’è suo figlio
che vuole vederla” gli disse, gentilmente.
Lui si
sentì mille chili più leggero mentre entrava. Vide una
piccola culla con un bambino ancora più piccolo all’interno. Il suo cuore si
sciolse.
“Mio figlio” sussurrò.
Aveva i
suoi stessi occhi celesti e le classiche fiamme blu di
Satana.
“E Rea?” chiese, preoccupato vedendo che non era nei
dintorni. Un dottore gli si avvicinò sospirando.
“Sua moglie… ci sono stati problemi col parto…”
“Che cosa sta dicendo? Dov’è Rea!” gridò, disperato. “Ti prego, non
morire”
“E’ sedata, nella stanza accanto.
Abbiamo dovuto farle un cesareo per non farla sforzare troppo,
ma è debole e dovrà rimanere qui per un po’” gli
spiegò.
Rin cadde
a terra, sollevato.
“Quando posso vederla?”
“Domattina”
Quando
aprì gli occhi vide il compagno accanto al suo letto che dormiva.
Sorrise.
“Ehi, sono io quella ricoverata” lo svegliò. Al suo
tocco lui aprì gli occhi e sorrise.
“Rea… finalmente” esclamò. Lei si
addolcì.
“Senti, scusa per questi mesi, mi dispiace
io…”
“Shh… non importa. Come sta il
bambino?”
“Dorme molto, come me. Come vuoi
chiamarlo?”
“In realtà in questi mesi ci ho pensato parecchio e c’è un
solo nome possibile”
“E sarebbe?”
“Che te ne pare di Shiro?”
gli propose. Lui era incredulo.
“Sei seria? Come mio padre?”
“Certo. Ti va bene?”
“Sì che mi va bene!” le disse,
baciandola.
“Ne sono felice” rispose Rea,
sorridendo.