Capitolo
4: La
mia forza, il mio piacere, il mio dolore
Maledetto il mio cuore che non mi
voleva ascoltare. Più
cercavo di convincerlo a non battere convulsamente ogni volta che
vedevo Adam,
e più quello mi martellava nel petto, tentando di uscire.
Cercavo di evitare di
stare nella stessa stanza da sola con lui, ma era un ‘impresa
ardua, dato che
ogni santissima mattina rimanevamo solo noi due in casa. Sbuffai
guardando la
mia tazza di latte e cereali, che mi ero appena preparata.
“Che facciamo oggi?”
la sua voce mi raggiunse alle spalle. Sussultai, spaventata. Non
pensavo fosse
già sveglio. “Tu non lo so. Io penso che
passerò tutto il giorno al negozio di
CD” dissi, tornando ad osservare i cereali galleggianti nel
latte. “Ti
accompagno, allora” “Non ce ne è
bisogno” “Tanto non ho nulla da fare”
Sospirai
sconfitta. Non mi avrebbe dato tregua. Tentai l’ultima carta.
“Voglio stare da
sola” Lui mi guardò, alzando la sopracciglia e
strafottente mi rispose “E chi
se ne frega” Se già non avessi sperimentato, gli
avrei tirato un cazzotto in
faccia. “Fai un po’ come ti pare” dissi
alzandomi dalla sedia. Lui mi prese per
il braccio “Si può sapere che cazzo
hai?” I suoi occhi azzurri mi studiavano,
cercando di entrarmi nell’anima per tentare di decifrare il
mio strano
comportamento. “Niente” dissi, senza guardarlo in
faccia. “Rispondimi!” ecco
che tornava ad essere un irrimediabile stronzo. “Non sono
obbligata a
risponderti” “Io direi di si, invece”
“Adam, vuoi lasciarmi in pace?” non ce la
facevo più. Stavo iniziando a scocciarmi della sua
assillante insistenza. “No”
rispose semplicemente “Fino a che non mi rispondi”
finì, stringendomi il
braccio. “Mi fai male” mi lamentai, per la sua
stretta. “Non mi interessa” fu
la sua risposta gelida. Presa dall’esasperazione, gli
schiacciai il piede sotto
il mio tallone. Mi lasciò il braccio e corsi sulle scale
ridendo. Lui mi
rincorse, ridendo a sua volta. Mi acchiappò quando ero quasi
arrivata in cima
alle scale. Mi prese in braccio di peso, portandomi sulla sua spalla
come se
fossi un sacco di patate. “Adam, lasciami!”
continuavo a dirgli, tra le risate.
“Tu sei troppo violenta per i miei gusti! Prima mi tiri un
pugno in faccia, poi
una tallonata sul piede. Devo fermarti prima che tu mi faccia a
pezzi!” mi
portò di peso in camera sua e mi lanciò sul suo
letto. Avanzava verso di me,
con uno strano sorriso dipinto su quella faccia da schiaffi. Prima che
potesse
fare qualsiasi cosa avesse in mente, mi armai di cuscino e glielo tirai
in
faccia. L’espressione della sua faccia fu impagabile. Non se
l’aspettava.
Iniziai a ridere più forte. “Hai capito ora cosa
intendevo nel dire che sei
violenta?” disse, mettendosi a cavalcioni su di me. Mi
fermò le mani sotto le
sue e prese a fissarmi in un modo che iniziava a darmi fastidio.
“Perché mi
guardi a quel modo?” gli chiesi, scorbutica.
“Inizio a capire il perché il tuo
professore ha
mandato a puttane la sua
carriera” Mi colpì come uno schiaffo quella sua
affermazione. Per la prima
volta in vita mia, non sapevo cosa dire. Rimasi in silenzio, sotto il
suo
sguardo. “Non dici niente?” mi chiese, come se
fosse entrato nella mia testa. “Non
ho niente da dire” “Dov’è
finita la ragazza disinibita che ha tentato di
baciarmi al pub?” disse con ghigno malizioso.
“L’ho uccisa” dissi, ironica,
facendolo sorridere. “Possiamo provare con una seduta
spiritica, allora”. Che
diavolo voleva da me? “Si può sapere dove vuoi
arrivare?” gli chiesi, seria,
puntando i miei occhi nei suoi. “Voglio capire se hai provato
a baciarmi solo perché
eri ubriaca o..” “O?” “O se
c’è altro che dovrei sapere”
finì, avvicinandosi
pericolosamente a me. Averlo così vicino al mio viso, mi
aveva tolto tutte le
riserve di ossigeno che possedevo. Mi morsicai il labbro inferiore e
mentii
spudoratamente “Non c’è
nient’altro” ma lui non ne era convinto.
“Provamelo” “Che
dovrei fare?” “Baciami”. Se non fossi
stata già sdraiata, probabilmente sarei
caduta per terra. “Cosa?!” esclamai, sperando di
aver capito male. “Hai capito
bene” disse appoggiando la sua fronte sulla mia.
“Adam, non mi piace questo
gioco” dissi cercando di divincolarmi. Ma lui strinse di
più la presa sulle mie
mani “Io non sto giocando”. Guardai le sue labbra.
E se anche lo avessi
baciato? Infondo era stato lui a chiedermelo. Raffredda
i tuoi bollenti spiriti, depravata. E se mi avesse baciata
lui? Cosa avrei fatto? Me ne sarei rimasta ferma o avrei dato sfogo a
ciò che
realmente provavo? Siete fratelli, siete
fratelli, siete fratelli. Tentai di convincermi. Ma il mio
respiro era già
accelerato. Ormai ero in tachicardia. L’aria mi mancava. Lui
non stava
giocando. E stava aspettando una mia risposta, o quanto meno una mia
reazione.
Con uno sforzo disumano girai il viso a destra, in modo da non dover
sottostare
alle sue pretese. “Dovevo aspettarmelo” disse
amaramente, alzandosi in piedi e
liberandomi da quella morsa. Mi sentii una vigliacca. Ma non potevo
rovinare
tutto ancora una volta. “Adam” tentai un approccio.
“No, senti. Non devi dirmi
proprio un cazzo” rispose, arrabbiato. Non me lo disse
apertamente, ma sapevo
che dovevo uscire dalla sua stanza. Mi vestii lentamente. E tornai
nella sua
stanza “Vuoi venire al negozio di CD?” gli chiesi
dolcemente. Di tutta risposta
lui si alzò dal letto, mi spinse fuori dalla sua stanza e mi
chiuse la porta in
faccia. Come Jamie. Appoggiai una mano su quella porta che ci divideva.
Sospirai e mi diressi verso le scale. Poi mi bloccai di colpo. Adam non
era
Jamie. Adam non mi aveva chiuso fuori dalla sua vita. La rabbia prese
il
sopravvento sul mio corpo. Spalancai la porta della sua stanza. Lo vidi
in
piedi, vicino alla finestra. Mi guardava stupito. Mi avvicinai con
passo
rabbioso verso di lui. I battiti del mio cuore mi rimbombavano nel
cervello. Il
sangue mi ribolliva nelle vene. E sorprendendo entrambi lo presi con
forza per la
collottola della felpa. Lo guardai negli occhi e lo tirai verso di me.
Baciare
Adam fu una delle cose più strane che mi ritrovai a fare
fino a quel momento.
Non fu un bacio casto e puro. Ma un bacio rabbioso, di sfida. Non avrei
mai
pensato che ne sarei stata capace. Sentii il sapore delle sue labbra,
di energy
drink, incontrarsi con le mie, di cereali e latte. Fui pervasa dai
brividi
quando le nostre lingue si incontrarono. La stanza girava
vorticosamente
intorno a noi. Ma prima che potessi pentirmi delle mie azioni, mi
staccai dalle
sue labbra. Sbuffai capricciosa e uscii dalla sua stanza sbattendo la
porta.
Volevo solo uscire da quella casa. “Che diavolo
significava?” mi chiese
raggiungendomi, a pochi passi dalla porta d’ingresso.
“Volevi che ti baciassi?
L’ho fatto! Quindi non stare lì a lamentarti per
qualcosa che hai voluto tu!”
Se fossi stata un drago, probabilmente avrei sputato fuoco dalle fauci
e mi
sarebbe uscito fumo dal naso. “Fallo ancora”
bisbigliò a pochi centimetri da
me. Ma non l’accontentai. Gli diedi le spalle e uscii da casa
velocemente.
Arrivai al negozio di dischi correndo, col fiatone.
“Newyorkese! Sei tornata!”
il benvenuto del proprietario del negozio mi risvegliò dai
miei sensi di colpa.
“Già, ho avuto molto da fare” mentii,
sorridendo. Certo, eri troppo impegnata a
baciare tuo fratello. Mi lasciò sola,
e mi persi come la prima volta, tra gli scaffali. “Oggi fate
pausa?” chiesi ad
un giovane commesso. “No, oggi siamo aperti tutto il giorno,
non-stop” rispose
sorridendo. Meno male. Almeno non sarei dovuta tornare a casa e
affrontare
Adam. “Ehy, newyorkese! Questa è tutta per
te!” disse il proprietario
indicandomi, spostando l’attenzione dei suoi clienti su di
me. Kiss
from a rose.
There used to be a greying
tower
alone on the sea.
You became the light on the dark side of me.
Love remained a drug that's the high and not the pill.
But did you know,
That when it snows,
My eyes become large and,
The light that you shine can be seen.
Baby,
I compare you to a kiss from a rose on the grey.
kiss from a rose on the grey.
And now that your rose is is in bloom.
A light hits the gloom on the grey.
There is so much a man can tell you,
So much he can say.
There's so much inside.
You remain,
You...
My power, my pleasure, my pain, baby
To me you're like a growing addiction that i can't deny... yeah.
Won't you tell me is that healthy, baby?
But did you know,
That when it snows,
My eyes become large and the light that you shine can be seen.
Baby,
I've...
I compare you to a kiss from a rose on the grey.
Been...kissed from a rose on the grey.
Stranger it feels, yeah
Stranger it feels, yeah.
Now that your rose is in bloom.
A light hits the gloom on the grey,
I've been kissed by a rose on the grey,
I've been kissed by a rose
been kissed by a rose on the grey.
I've been kissed by a rose on the grey,
and if i should fall, at all
I've been kissed by a rose
been kissed by a rose on the grey.
There is so much a man can tell you,
So much he can say.
There's so much inside.
You remain
You...
My power, my pleasure, my pain.
To me you're like a growing addiction that i can't deny, yeah
Won't you tell me is that healthy, baby.
But did you know,
That when it snows,
My eyes become large and the light that you shine can be seen.
I compare you to a kiss from a rose on the grey.
Been...kissed from a rose on the grey.
Ooh, the more i get of you
Stranger it feels, yeah
Stranger it feels.
Now that your rose is in bloom,
A light hits the gloom on the grey.
Yes i compare you to a kiss from a rose on the grey
I've...been kissed from a rose on the grey.
Ooh, the more i get of you
Stranger it feels, yeah
Stranger it feels, yeah.
And now that your rose is in bloom
A light hits the gloom on the grey
Now that your rose is in bloom,
A light hits the gloom on the grey.
Amavo
quella
canzone. Non so come quell’uomo potesse saperlo, o anche solo
immaginarlo. Ho
sempre pensato che fosse la canzone più romantica che
qualcuno potesse cantare.
E non potei evitare di pensare ad Adam, mentre estasiata ascoltavo le
parole di
quella meravigliosa canzone. Soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti. My power, my pleasure, my pain. Sospirai
scuotendo la testa sconsolata. Perché alla fine il mio cuore
doveva vincere
sempre? L’aveva fatto con Jamie e ne ero uscita distrutta.
Quindi, perché ancora?
Sbuffai per l’ennesima volta e ripresi a guardare quella
moltitudine di dischi
sotto i miei occhi. Dopo più di quattro ore di
full-immersion nei CD, non avevo
trovato ancora nulla che valesse davvero la pena di comprare.
“Tieni” davanti
al mio naso c’era un fumante hot-dog. “Grazie
mille” dissi, quasi sbavando, verso
il proprietario del negozio che brandiva il panino come un trofeo verso
di me. “ Ho pensato
stessi morendo di fame” ammise,
guardandomi mentre sbranavo letteralmente l’hot-dog
“E avevo ragione” finì
ridendo, constatando quanto fossi affamata. “Ti vedo un
po’ spenta oggi” mi
disse, appoggiandomi una mano sulla spalla. Perché dovevo
essere così
dannatamente trasparente con gli estranei? Perché non
riuscivo a fingere come
tutte le persone? “Mi sono svegliata male” mentii,
sperando non mi chiedesse
altro. “Problemi con qualche ragazzo?” chiese,
subito scoppiando a ridere vedendomi
arrossire visibilmente. “Come non detto.” E
sparì dietro il bancone lasciandomi
sola con i miei pensieri. Dovevo organizzarmi la giornata in modo da
evitare di
incontrare Adam. Ma come potevo? Vivevamo sotto lo stesso tetto, e solo
un muro
sottile separava le nostre camere. Lasciai cadere la testa
all’indietro,
sbattendo contro uno scaffale e facendo cadere sulla mia fronte un CD
che era
in bilico. Bestemmiai in cinque lingue diverse, massaggiandomi la
fronte
dolorante. Raccolsi il CD. Pink. Non ero una sua grande fan, ma quello
era un
segno del destino. Che probabilità c’erano che
solo quel CD fosse messo in
bilico e che colpisse proprio me in piena fronte? Mi decisi a
comprarlo,
notando subito che era scontato. Dodici sterline. Non sapevo nemmeno a
quanti
dollari corrispondessero. Ma di sicuro non mi avrebbero mandato sul
lastrico.
Mentre pagavo, pensai a cosa mi sarebbe aspettato a casa.
“Che posso fare per
passare il tempo qui?” chiesi al proprietario del negozio con
cui ormai mi sentivo
in piena confidenza. “Se mai stata ai Kensington
Gardens?” mi chiese. Scossi la
testa. “Non sono molto lontani da qui. Un paio di minuti a
piedi. E’ un parco
rilassante” concluse strizzandomi l’occhio. Gli
sorrisi e uscii dal negozio.
Al
contrario
delle mie aspettative, riuscii a non perdermi. Entrando ai Kensington,
non
potei non notare la moltitudine di scoiattoli che correvano
sull’erba o
saltavano da un albero all’altro. Fu come tornare a New York,
a Central Park
dove amavo oziare sorseggiando caffè macchiato con panna.
New York mi mancava,
più di quanto pensassi. Mi mancavano il caos newyorkese, le
mie uscite
pomeridiane senza meta tra la folla e i turisti. Mia madre, i miei
amici, Jamie.
Camminai continuando a guardarmi intorno, curiosa. Arrivai davanti ad
una
piccola statua, dove molti si facevano le foto. Aspettai che nessuno si
mettesse in posa per avvicinarmi e capire di chi si trattasse. Sembrava
un
mezzo folletto che suonava un flauto. Pensai immediatamente alle
leggende
celtiche. “Scusi, chi è?” chiesi a una
signora, indicandogli la statua. Mi
guardò come se fossi un alieno. “E’ la
statua di Peter Pan” mi rispose. “Ah,
grazie” risposi, riportando il mio sguardo su Peter. Da
piccola amavo il
cartone della Disney su questo personaggio. Lo guardavo quaranta volte
al
giorno, fino a sapere tutte le battute dei personaggi a memoria.
Sorrisi. E
così ero davanti alla statua del mio idolo da bambina. Il
ragazzo che non
cresce mai, proprio davanti a me. Se solo potesse essere vero. Se solo
potessimo rimanere per sempre piccoli e non crescere mai. Sospirai,
allontanandomi dalla statua e sedendomi su una panchina. Chiusi gli
occhi. Il
rumore del vento sugli alberi era rilassante. Sentivo ogni foglia
muoversi,
ogni passerotto svolazzare libero. L’unica cosa che mi
infastidiva
terribilmente era il vociare delle persone intorno a me. Se solo avessi
potuto
volare all’Isola-che-non-c’è e stare
tranquilla. Iniziò a piovere. Una pioggia
leggera. La gente intorno a me correva per trovare riparo sotto agli
alberi. Mi
alzai dalla panchina, sapendo che il destino mi voleva a casa, con Adam
ad
affrontare quella situazione. Tutto era contro di me. Tornai a passo
lento a
casa, sotto quella fastidiosa pioggerellina. Aprii la porta e dopo un
minuto
entrai in casa. Salii al piano di sopra. La porta della camera di Adam
era
stranamente aperta. Sbirciai all’interno, ma lui non
c’era. Sospirai sollevata.
Pericolo scampato. Era uscito. Poi fui presa dall’ansia. E se
fosse stato con
Lauren? Mi diedi uno schiaffo. Poi mi misi a ridere. Ero patetica.
Stavo
impazzendo. E aveva ragione mio fratello: ero troppo violenta. Mi
sdraiai sul
mio letto e chiusi gli occhi. Almeno se avessi dormito, Adam non mi
avrebbe
raggiunta. Ma contro ogni mia aspettativa non riuscii a dormire. Rimasi
ferma
immobile nel letto, ad occhi chiusi. Sentii la porta
d’ingresso sbattere e come
se avessi fatto un incubo mi alzai di scatto, ad occhi spalancati. Il
cuore mi
batteva a mille. Sentii dei passi pesanti sulle scale. Era lui. Ormai
avevo
imparato a riconoscere il suo modo di camminare e di salire le scale.
Rimasi
ferma, senza fare nessun rumore, sperando che non si accorgesse della
mia
presenza. La porta, cazzo! Pensai,
notando che avevo lasciato la porta aperta. Merda.
Infatti, come se fosse stato attratto dai miei pensieri, lo vidi
infilare la
testa in camera mia. Dalla sua espressione, non si aspettava di
trovarmi lì,
seduta sul letto con la faccia di chi ha visto un fantasma.
“Sei tornata”
constatò. “Già” risposi
telegrafica. “Sono andato al negozio di CD, ma non ti
ho trovata” “Sono andata a vedere la statua di
Peter Pan” risposi, senza
guardarlo in faccia. “Hai fame?” mi chiese.
“Ho mangiato un hot dog” risposi
robotica. Imbarazzo. Vergogna. Imbarazzo. Vergogna. Non provavo
nient’altro. Lui
se ne stava lì a guardarmi, a fissarmi. “Piantala
di fissarmi” gli dissi
gelida, dopo un interminabile minuto di silenzio. “Dio, sei
la ragazza più
strana che io conosca” disse ridendo. “Io non sono
strana” lo rimbeccai. “Invece
lo sei” si avvicinò a me, serio “ Sei la
prima che dopo avermi baciato,
preferisce parlare di hot dog e Peter Pan”
“Rispondevo solo alle tue domande”
risposi rossa in viso. “Piuttosto che affrontare
l’argomento” continuò lui,
come se non avessi detto nulla. “Cristo santo, io e te siamo
fratelli” dissi
per la millesima volta. “Ciò non toglie che ci
siamo baciati” “E non dovrà
più
succedere!” esclamai isterica. “Non ti è
piaciuto?” chiese, con quell’odioso
ghigno dipinto sulla faccia. Mi stava mettendo in
difficoltà. “No” risposi,
mentendo. Lui rise “Lee, sei una pessima bugiarda” Cazzo. “Dico sul
serio!” dissi alzandomi in piedi, tentando di
convincerlo. “Quindi se ti baciassi in questo momento, mi
respingeresti?” No, ti bacerei
tutto il giorno per tutti i
giorni della mia miserabile vita.
“Ovviamente” risposi sicura, allontanando
i miei pensieri. Ma quei suoi occhi azzurri mi fecero perdere un paio
di
battiti cardiaci. E non riuscii più a capire nulla, quando
per la seconda volta
ci baciammo. Il tocco delicato delle sue mani sul mio viso, mi fecero
andare
fuori di testa. Con una mano gli stringevo la felpa, l’altra
navigava tra i
suoi capelli castani. Mi alzò di peso e io automaticamente
gli avvinghiai le
gambe intorno alla vita. Mi mise con la schiena contro al muro mentre
continuavamo a baciarci. Un bagliore di lucidità mi
attraversò il cervello. Mi
allontanai leggermente dal suo viso e bisbigliai un
“Adam” come per fermare
quella follia che stavamo facendo, ma lui mi bloccò
“Stai zitta, cazzo” e
riprese a baciarmi. Quel bacio fu molto diverso dal primo che ci
eravamo dati
poche ore prima. Non era di sfida, dato con rabbia. Era voluto,
sentito,
passionale. Le sua labbra si spostarono lentamente dalle mie al mio
collo. Amavo
i baci sul collo in generale, ma i suoi erano paradisiaci. Respiravo
affannosamente, mentre mi mordevo il labbro inferiore sperando di non
emettere
qualche suono imbarazzate per dei semplici baci sul collo. Ma avrei
voluto
urlagli di non smettere per nessuna ragione, di continuare fino a che
non gli
si fossero consumate le labbra, fino a quando non mi avesse scavato un
solco
sul collo. Maledetto lui e i suoi baci. Poi si fermò. Aprii
gli occhi e lo
trovai a fissarmi con un sorriso divertito. “Sei una pessima
bugiarda” Gli
tappai la bocca prima che potesse aggiungere altro. Più ci
baciavamo e più mi
sentivo schiacciare contro il muro. Sentivo il suo corpo sul mio.
Sentivo il
suo respiro sulla mia pelle. Riuscii anche a sentire chiaramente la
porta di
casa chiudersi e delle voci distinte provenire dal piano di sotto.
Lasciai la
presa salda delle mie gambe sulla sua vita, cadendo rovinosamente a
terra. Lui
iniziò a ridere senza contegno, senza capire che diavolo
fosse successo. Poi
dalla sua espressione capii che aveva sentito le stesse voci che avevo
sentito
anche io. Mio padre, sua madre e nostra sorella. Mi alzai da terra e
gli
bisbigliai “Ora capisci perché tutto questo
è sbagliato?” Lui non rispose,
volgendo il suo sguardo fuori dalla mia stanza. Mi baciò
sulla fronte e mi
bisbigliò “Non me ne frega niente” e
uscì dalla mia stanza lasciandomi sola con
una faccia da completa idiota e il suo odore impresso addosso.
Capitolo
4
terminatooooo!!! Ho notato che siete sempre più ad
aggiungere la storia ai
preferiti, alle seguite e alle ricordate e oltre a ringraziarvi per la
millesima volta non so assolutamente che fare :D Grazie mille!!
Bene,
ci
siamo arrivati finalmente! SI SONO BACIAAATIII!!! UUhh che tenerezza
che mi
fanno!! Sono abbastanza in alto mare nel pensare a che diavolo far
succedere
nel prossimo capitolo muhauhauahuah vedrò cosa posso fare
per soddisfare voi e
me :D Benissimo, continuate a seguire la mia storia e a recensire per
farmi
sapere che ne pensate perché per me i vostri pareri sono oro
colato, siano essi
positivi o negativi :D
Baci,
Kiki