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Autore: Angel666    18/05/2012    5 recensioni
“E’ solo un gioco per te?” chiese lei.
“Esatto. Non è nient’altro che una partita; e io sono disposto a tutto pur di vincerla.”
Il caso del Serial Killer di Los Angeles raccontato dal punto di vista di un ostaggio molto speciale. Cosa lega la ragazza all'assassino? Quali piani ha in mente per lei? Quando giochi in nome della giustizia si trovano sempre pedine sacrificabili, l'importante è conoscere le regole del gioco e non venire eliminati. Please R&R!
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, Beyond Birthday, L
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Era ancora notte fonda.
Rumer era sicura di non aver chiuso occhio per più di mezz’ora, quando sentì Ryuzaki prenderla in braccio. Il ragazzo la portò nella vecchia stanza con la telecamera e la ammanettò al centro con le braccia sopra la testa.
Le manette erano ancora sporche del suo sangue secco, e risaltavano ancora di più sui suoi polsi fasciati.
“Apri la bocca.” Ordinò.
Rumer lo guardò confusa senza reagire, così lui le afferrò la mascella facendogliela aprire a forza.
La ragazza si lasciò sfuggire un mugolio di dolore, il quale venne prontamente soffocato da uno straccio che le fu ficcato in bocca senza tante cerimonie, fermato con del nastro adesivo.
Armeggiando al buio Ryuzaki le legò qualcosa di pesante addosso.
Con orrore Rumer si accorse che era un gilet imbottito di candelotti di esplosivo, legati tra loro da vari fili colorati, collegati ad un timer. Era un bomba rudimentale, fatta con materiali facilmente reperibili in casa, ma non per questo meno pericolosa.
“Ti piace? Ci ho messo un giorno intero per farla. Ma non preoccuparti, io sono un mago con gli esplosivi e questo giocattolino è assolutamente sicuro. Non esploderà prima delle 18:50 di questo pomeriggio.” Affermò soddisfatto.
La ragazza cercò di urlare, strattonando le manette, assolutamente in preda al panico; ma tutto quello che le uscì furono dei mugolii appena udibili.
“Fossi in te cercherei di muovermi il meno possibile, non sia mai che lo spostamento repentino d’aria possa creare una scintilla a contatto con l’esplosivo.” Le suggerì il ragazzo.
Rumer si arrestò di colpo.
“Non guardarmi in quel modo, ti ho spiegato che non c’è nulla di personale in questo.” Sussurrò piano, accarezzandole dolcemente i capelli. “Sei stata davvero una buona compagnia, a parte qualche piccola incomprensione. Probabilmente, in un’altra vita saremmo anche andati d’accordo. Non penso che ci rivedremo ancora; se mai dovesse accadere sarà per l’ultima volta.” Disse, mentre i suoi occhi cremisi si posarono sulla sua testa.
La ragazza tremava incontrollabilmente, mentre fissava il suo aguzzino con occhi spalancati dal terrore, in una muta preghiera.
Ryuzaki la fissò per un lungo istante: sembrava morisse dalla voglia di dirle qualcosa; invece si limitò ad avvinare le sue labbra sottili e screpolate alla sua fronte, poggiandole in un casto bacio paterno.
Senza aggiungere altro si voltò e uscì da quella stanza per l’ultima volta, lasciando la ragazza sola in compagnia della telecamera accesa.
 
Il battito furioso del suo cuore era più inquietante del ticchettio dell’orologio a cui era collegato l’esplosivo.
Aveva perso completamente la cognizione del tempo. L’impressione di trovarsi in un incubo non era mai stata forte come in quel momento; si sentiva come in uno di quei film d’azione che tanto detestava: imprigionata in un magazzino deserto, con una bomba legata al petto.
Non voleva morire, non in quel modo. Avrebbe preferito qualsiasi altro metodo, ma la sola idea di saltare per aria le faceva stringere lo stomaco in una morsa di terrore.
Perché le altre vittime erano state addormentate mentre lei era stata lasciata cosciente e sola per tutto quel tempo? Avrebbe dato qualunque cosa pur di perdere i sensi.
Pregò intensamente per tutto il giorno, come non aveva mai fatto in vita sua. Non avrebbe mai più toccato un solo goccio d’alcool se fosse sopravvissuta.
Pensò a suo fratello: dove si trovava in quel momento? L’avrebbe trovata in tempo? Sarebbe bastato tagliare un dannato filo rosso per salvarle la vita?
Si era perfino stancata di piangere e urlare. Tutto quello che poteva fare era vedere l’arco del sole diminuire fuori dalla finestra.
Più il tempo avanzava, meno riusciva a rimanere lucida. Ryuzaki le aveva assicurato che la bomba non sarebbe esplosa prima delle 18:50, ma come faceva a fidarsi davvero delle sue parole? In fondo lui voleva che lei morisse per farla pagare ad L.
Abbassò lo sguardo sull’orologio legato al petto: le 16:54.
Mancavano meno di due ore.
Fu presa da un attacco di panico: il fiato si bloccò nei polmoni, mentre la testa iniziò a girare vorticosamente.
All’improvviso sentì un rumore.
Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, per attirare l’attenzione di chiunque fosse entrato nell’appartamento; ma appena vide quella persona affacciarsi alla porta perse il minimo di lucidità che le era rimasta.
Capelli neri spettinati, postura ingobbita, carnagione pallida.
-Se mai dovessimo rivederci, sarà per l’ultima volta.- aveva detto.
Chiuse gli occhi, tremando incontrollabilmente. Era lui, ed era venuto ad ucciderla; stavolta per davvero.
Magari farle credere che si sarebbe suicidato faceva parte del suo piano per torturarla.
Sentì una mano strapparle il nastro adesivo, liberandole la bocca per permetterle di respirare meglio.
“Rumer…” non fece in tempo a farlo parlare che prese ad urlare come una pazza.
“No! Vattene via, non mi toccare!” strillò completamente fuori di sé. Scuoteva la testa ad occhi chiusi, rifiutandosi di aprirli.
“Rumer, ti prego calmati!” Il suo cervello finalmente registrò che qualcosa stava andando storto.
Perché Ryuzaki sembrava sinceramente in ansia per lei?
Perché sentiva le sue mani armeggiare con il giubbotto esplosivo?
“Ho bisogno che tu stia ferma.” Ordinò.
Lei non riusciva a smettere di tremare. “Perché…perché sei tornato? Mi vuoi uccidere? Allora fallo una volta per tutte! Ti prego uccidimi…non ce la faccio più. Hai vinto tu, ma basta.” Singhiozzò al limite.
Il ragazzo non disse nulla; ma presto Rumer sentì uno strappo inquietante, e subito dopo un peso levarsi dal suo petto.
Il giubbotto con l’esplosivo.
E lei era ancora viva.
Non capiva cosa stesse succedendo. Forse era impazzita definitivamente.
“Rumer, guardami.” La voce incolore del ragazzo stavolta aveva una nota di preoccupazione che la rendeva in qualche modo stonata, diversa dal solito.
Si sentì scuotere piano per le spalle, così decise di aprire gli occhi.
“Non voglio farti alcun male. Ti prego guardami, sono io.”
Sul viso del ragazzo, sotto la folta chioma spettinata di capelli scuri, spuntavano due occhi contornati dalle solite occhiaie. Ma stavolta erano neri, profondi come la notte. Non erano rossi e malvagi; quelli erano i suoi occhi.
“Law…Lawliet?” sussurrò senza fiato.
La sua mente non riusciva ad assimilare il fatto che l’immagine di suo fratello e quella del suo aguzzino combaciassero alla perfezione; eppure quegli occhi li avrebbe riconosciuti tra mille.
“Sei proprio tu?”
Il ragazzo le accarezzò dolcemente una guancia “E’ tutto finito adesso. Il Serial Killer chiamato Beyond Birthday è stato arrestato due ore fa nei pressi di Pasadena con l’accusa di omicidio plurimo e sequestro di persona. In questo momento si trova nel reparto medico del California State Prison LAC con ustioni di terzo grado. Sinceramente non sappiamo se ce la farà.” Spiegò L in fretta per tranquillizzarla.
Ryuzaki era stato arrestato e stava per morire. Allora era davvero tutto finito?
Guardò il ragazzo di fronte a lei: il grande detective L. Suo fratello.
“Mi dispiace Rumer. Se non mi perdonerai mai per quello che è successo io lo capirò, ma da questo momento in poi ti giurò che mi occuperò personalmente di te, come non ho mai fatto fino ad ora.”
Non poteva crederci, troppe emozioni tutte insieme. Sentì che le manette venivano aperte, lasciandole cadere le braccia a peso morto.
Prontamente venne afferrata da suo fratello.
Si gettò tra le sue braccia, sciogliendosi in un pianto disperato e liberatorio. Lo strinse con tutta la forza che le era rimasta, come se temesse che potesse sfuggirle da un momento all’altro.
Ora che finalmente erano di nuovo insieme nessuno li avrebbe separati, ma più.
Riusciva a percepire il suo tormento, mentre la sosteneva con braccia tremanti, e le sue mani si aggrappavano alla sua schiena ingobbita. Avrebbe voluto dirgli che non ce l’aveva con lui, che non lo odiava per quello che le era stato fatto, ma non riusciva a parlare.
Per le parole ci sarebbe stato tanto tempo in futuro.
“Andiamo via.” Sussurrò il detective dolcemente non appena si fu calmata un poco.
Rumer si staccò da lui e annuì, asciugandosi gli occhi.
Non pensava che sarebbe mai uscita da quel magazzino dalla porta principale camminando sulle proprie gambe. Viva soprattutto.
Fece un respiro profondo e oltrepassò la pesante porta di ferro.
Per la prima volta dopo tanti giorni si ritrovò a camminare per strada.
Il sole era ancora alto su Los Angeles e la vita continuava a scorrere tra quei casermoni grigi, senza curarsi delle due persone che stavano uscendo da quel magazzino abbandonato.
Rumer, che si era aspettata di trovare un’ambulanza, o quanto meno una volante della polizia, restò sorpresa di fronte all’elegante limousine nera parcheggiata davanti all’ingresso del palazzo.
Un uomo distino, con dei bei baffi bianchi, le stava tenendo aperta la portiera.
“Sono felice di vederla, signorina.” Disse con accento impeccabile, sorridendo gentilmente.
Fu come rivivere un dejà vù: stessa macchina e stesso signore di quel giorno, solo che adesso anche a lei era permesso di andare via con loro.
Rumer gli fece un cenno di saluto con la testa e salì in macchina, senza voltarsi a guardare indietro neppure una volta, lasciandosi alle spalle quella prigione di orrori per sempre.
 
Aveva passato le ultime tre ore in un’elegante suite dell’Hilton Hotel, contesa da quattro importanti medici specialisti. Quando avevano appurato che si, il suo fisico era terribilmente provato per via della lunga prigionia, ma che no, non era in pericolo di vita, finalmente l’avevano lasciata sola. Ci sarebbe voluto del tempo per permettere al suo corpo di recuperare le forze, ma quello che sembrava davvero preoccuparli era l’imminente crollo psicologico che avrebbe subito. A detta di un luminare al momento il suo cervello era ancora sotto shock e avrebbe impiegato più o meno una settimana di tempo ad assimilare la situazione, prima di crollare definitivamente.
Parlavano di lei come una menomata mentale, in sua presenza per giunta! Aveva provato a dire che si sentiva bene, nonostante avesse pienamente capito la situazione; ma nessuno sembrava averla presa davvero sul serio.
In quel momento si trovava nell’immenso bagno di marmo rosa della suite che condivideva con Lawliet e il vecchietto di prima ( il quale aveva scoperto essere niente meno che Watari).
Aveva fatto un lungo bagno rilassante, e adesso si trovava di fronte allo specchio posto sul lavandino, completamente appannato per via del vapore acqueo che si era venuto a creare nella stanza.
Era in piedi da almeno cinque minuti, troppo spaventata per decidersi a pulirlo.
Non si era mai riconosciuta davvero nel suo riflesso; che cosa avrebbe pensato guardandosi adesso? Che cosa aveva creato Ryuzaki col suo corpo?
Non era sicura di volerlo sapere, ma non poteva scappare per sempre. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare la realtà. E adesso non era neppure più sola.
Passò una mano decisa sulla superficie fredda dello specchio, rivelando dietro al velo opaco un volto che stentò quasi a riconoscere.
La carnagione bianca era interamente coperta da piccoli e grandi tagli, oltre che alcuni ematomi violacei e altri in via di guarigione.
I segni più evidenti erano il setto nasale leggermente deviato e il labbro inferiore con una grossa crosta al centro. Dove lui l’aveva baciata. Per un secondo le parve di risentire il sapore delle fragole in bocca, ma scacciò via quella sensazione e tornò a concentrarsi sulla persona nello specchio.
La pelle del viso era tirata per via della magrezza, rivelando spigoli sporgenti e una fronte alta. Le occhiaie ancor più accentuate la facevano assomigliare ad un teschio.
Quella persona non aveva nulla di umano, eccetto gli occhi. C’era una luce nuova, che non aveva mai visto prima in fondo al suo sguardo. Che cos’era, speranza? Determinazione?
Quel solo piccolo segno le diede più forza di tutto l’orrore circostante. Se in quel momento non si sentiva una persona lo sarebbe tornata presto.
Era arrivata ad un soffio dal perdere tutto per davvero; adesso sapeva che voleva combattere.
Adesso aveva un motivo: era di nuovo con lui.
Si vestì e raggiunse suo fratello in salotto.
Lo vide appollaiato sulla poltrona accanto alla grande finestra, intento a guardare fuori le luci notturne di Los Angeles. Riusciva a scorgere la sua espressione vuota attraverso il riflesso del vetro.
Represse un brivido di paura; sapeva che ci sarebbe voluto del tempo per permettere alla figura di Lawliet di sovrapporsi a quella di Ryuzaki.
Si accomodò nella poltrona davanti alla sua.
“Non ho intenzione di chiederti di raccontarmi come sono andate le cose, dal momento che ho quasi consumato tutti i nastri che B mi ha mandato.” Un moto di gratitudine le esplose nel petto. “Probabilmente ti starai chiedendo perché non sono intervenuto prima per salvarti.” Continuò con calma.
“No.” Rispose lei decisa.
Lawliet si voltò a guardarla, sinceramente sorpreso.
“So perché lo hai fatto. Ho avuto molto tempo per pensare in questi giorni ed ho capito che in realtà Ryuzaki non ha mai puntato ad uccidermi veramente. Sperava che la mia presenza in qualche modo ti avrebbe distratto dal caso e ti avrebbe indotto a commettere qualche passo falso per via del nostro legame; ma la mia durata vitale non è mai stata alterata realmente e tu sapevi che non ero in pericolo di vita attraverso i suoi video. Inoltre se avessi provato a salvarmi lui sarebbe riuscito a fuggire e con molta probabilità avrebbe ucciso più persone di quelle che aveva inizialmente progettato, con il solo scopo di vendicarsi, e questa era una cosa che non potevi permetterti. So che la tua non è una posizione facile, che quando devi prendere una decisione non lo fai mai pensando a te stesso ma ad un numero di persone sempre maggiore, per un bene più grande. Ho capito di essere stata usata come semplice pedina, anche se non è stato facile accettarlo. Ho provato ad imputarti la colpa di tutto questo credimi, ma non ci sono riuscita per davvero, perché so che anche se in tutti questi anni siamo stati lontani, in realtà tu hai mantenuto la tua promessa. Tutto quello che conta adesso è che siamo insieme, il passato è passato e non potrà più farci del male.” spiegò, con una maturità che non credeva di avere.
“Quindi…non mi odi?” sussurrò suo fratello incerto.
Lei per tutta risposta scosse la testa. “C’è una cosa però che voglio sapere, e credo che questo tu me lo debba.”
“Chiedimi pure tutto quello che vuoi.” Se sembrava agitato non lo diede a vedere.
“Voglio sapere che cosa è successo da quando ci hanno separati; come è nato L e che fine ha fatto Lawliet. Voglio che mi racconti ogni aspetto della tua vita, senza tralasciare nulla, dal momento che tu sai tutto della mia. Voglio provare a capire.”
Improvvisamente suo fratello le apparve molto stanco. La guardò per un lungo istante, prima di lasciarsi andare in un sospiro profondo e alzare la cornetta del telefono. “Questo è un discorso davvero molto lungo. Avremo bisogno di parecchi dolci.”
 
 
Due anni dopo
 
 
 
Il corridoio bianco, illuminato da accecanti luci al neon per la totale assenza di finestre, sembrava interminabile.
Rumer camminava in silenzio, con lo sguardo fisso sulla schiena scura della guardia carceriera davanti a lei.
Ogni tanto l’occhio le cadeva sul manganello di ferro che penzolava al suo fianco destro.
Non si erano scambiati neppure una parola da quando era arrivata al carcere di massima sicurezza LAC poco prima; tutto quello che aveva dovuto fare era stato mostrare il pass con il numero di identificazione per una visita nella sezione speciale.
Lo aveva rubato a Watari quella mattina, ed era quasi del tutto certa che il vecchietto se ne fosse accorto nel giro di qualche minuto; eppure sperava che le reggesse il gioco non dicendolo a suo fratello.
Strinse le mani a pugno per scaricare la tensione, rilasciando piano il respiro.
Da quando era atterrata a Los Angeles, una settimana prima, non era riuscita a pensare ad altro.
Lawliet aveva fatto finta di niente, e lei aveva cercato di apparire il più calma possibile; ma dentro di sé aveva architettato un piano per ritagliarsi un’ora di tempo e andare al California State Prison.
Non sapeva perché sentiva il bisogno di farlo, eppure sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima occasione per rivederlo; così tramite il contatto di Watari aveva fissato un’incontro con il prigioniero 1304 per quella mattina.
La guardia si fermò improvvisamente davanti ad un’anonima porta di metallo, tanto che Rumer quasi gli andò a sbattere contro. Digitò velocemente un codice di sicurezza e si voltò verso la ragazza.
“La cella è protetta da un vetro infrangibile e il prigioniero è stato legato e sedato. Ho il dovere di dirle che sarete comunque monitorati da telecamere e io vi aspetterò qui fuori. Avete 15 minuti.” Concluse.
Lei annuì ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
Il cambiamento illuminazione la disorientò per qualche secondo: l’interno della stanza era molto più buio rispetto al corridoio; l’unica fonte di luce proveniva da una lampada posta sul soffitto della cella, al di là del vetro.
Lui era accovacciato sulla branda nella sua solita posizione, con le gambe piegate verso il petto e la schiena poggiata al muro. Indossava una camicia di forza sulla divisa da carcerato, completamente bianca.
Rumer stentò quasi a riconoscerlo. Restò ad osservarlo nel buio per qualche secondo.
I capelli, un tempo neri e folti, ricadevano in rade ciocche stoppacciose sul suo viso, nascondendolo in parte. La poca pelle visibile era completamente ricoperta da bruciature rossastre, che alteravano la sua fisionomia come piaghe di cera colorata.
Aveva gli occhi chiusi e il mento poggiato sul petto. Sicuramente si era accorto che era entro qualcuno, ma lei aveva espressamente chiesto che non gli venisse rivelata l’identità del visitatore.
Avanzò con passo incerto nel cono di luce, poggiando le mani sul vetro freddo che li separava.
“Beyond Birthday.”
Era la prima volta che pronunciava il suo nome ad alta voce. Il suono le bruciò sulla lingua come veleno.
Il ragazzo aprì gli occhi rossi di scatto e alzò la testa.
Non una virgola mutò la sua espressione neutra. Era cambiata dall’ultima volta che si erano visti: aveva ripreso qualche chilo, e adesso portava i capelli più corti; ma i segni sui suoi polsi c’erano ancora, ed era certa che lui l’avesse riconosciuta.
“Non credevo che ci saremmo più rivisti, Rumer. Trovo quasi ironico che le parti si siano invertite; adesso sono io quello in manette.” Perfino la sua voce risultava diversa, più roca.
Si era preparata un lungo discorso, ma improvvisamente le giuste parole non le venivano in mente.
“Lui non sa che sono qui.” Che cosa stupida di dire, la faceva sembrare una bambina che aveva disubbidito agli ordini della mamma.
Infatti Beyond rise. “Questa cella è munita di una telecamera che registra ogni mio singolo movimento 24 ore al giorno, diciamo che mi sta rendendo il favore. Se anche non lo avesse capito, cosa che dubito, lo ha saputo nel momento in cui sei entrata qui dentro.”
Rumer si sedette a terra di fronte al vetro incrociando le gambe.
“Perché sei qui? Vuoi sbattermi in faccia il mio fallimento nei confronti di L? Oppure farmi vedere che adesso stai bene e sei di nuovo felice?” chiese senza interesse.
“Sono venuta a salutarti.” Disse lei semplicemente. “Tra un paio di giorni partirò per il Giappone, per seguire L in un indagine. Forse non ti importerà molto saperlo, ma adesso gli do una mano. Non sono sveglia come lui, ma avevi ragione tu quando dicevi che ho buone capacità di osservazione. Sempre meglio che fare la cameriera in qualche locale ambiguo. Mi fa sentire utile se non altro.
Sai che ha adottato il nome Ryuzaki come uno dei suoi tanti pseudonimi? Fossi in te mi sentirei onorato. Di solito prende solo i nomi degli avversari sconfitti che ritiene vicini al suo livello.” Lo informò.
“Sono lusingato, davvero. E così adesso giochi anche tu alla piccola investigatrice? Ho sempre pensato che avessi del talento Rumer, mi fa piacere. Ti trovo bene, nonostante tutto.”
Stavano lì a chiacchierare come fossero vecchi amici. La recita stava durando fin troppo.
“Non è affatto facile doverlo guardare ogni singolo giorno e chiamarlo come te. E’ come se mi sbattesse in faccia il passato in ogni momento.” Disse lei ad un tratto seria.
“Ad L non importa nulla degli altri, te lo avevo detto.”
“Non si tratta di questo. E’ che non può fare altrimenti. Sono le regole del gioco: nessuna vita normale, nessuna identità, nessun legame. Alla fine non è poi così diverso da come vivevo prima, anche se speravo di cambiare e costruirmi una vita vera. Mi ha fatto rimanere con sé perché temeva un crollo psicologico dopo la liberazione, ma sono passati due anni e non è ancora successo nulla di significativo.” Confessò.
“Sei più forte di quello che sembri. Sapevo che non ti sarebbe successo nulla alla fine.”
“Perché tu sai sempre tutto vero? Credi che conoscere la data di morte di qualcuno ti dia il diritto di affermare di sapere tutto anche sulla sua vita? Sei solo un ingenuo.” Affermò con sicurezza. Sentiva la rabbia montarle nel petto; non sapeva perché vederlo in quella condizione, legato e sconfitto, totalmente sfigurato dalla sua stessa follia, le facesse quell’effetto. Era quasi delusa.
“Il tuo problema è la presunzione B. Credevi di essere tanto geniale da poter superare L, e invece ti sei fatto fregare dalla tua stessa rabbia, che ti ha trasformato in una brutta copia del tuo idolo.
Credevi di aver attuato un caso irrisolvibile, e invece hai commesso l’errore di sottovalutare l’unica persona dalla quale avresti dovuto guardarti: Naomi Misora. Perfino io mi ero accorta che il tuo piano aveva un punto debole. E adesso dimmi, che cosa ci hai guadagnato? Eri tanto convinto di battere L che non hai preso neppure in considerazione l’idea del fallimento.” Beyond la fissava in silenzio, come se quel vetro infrangibile non avesse fatto passare le sue parole. Oramai non era più il terribile assassino dagli occhi rossi che tormentava i suoi incubi, il ragazzo incredibilmente dotato che la sua mente ricordava; sembrava solo un fantoccio rotto a cui non era rimasto un singolo motivo per vivere. Genio e follia avevano convissuto a fianco per anni, fino a che l’una non aveva preso il sopravvento sull’altro.
B non era altro che il frutto di un esperimento sbagliato.
Restarono a guardarsi in silenzio per un lungo istante, poi la ragazza si alzò finalmente in piedi.
“Una volta mi hai detto che la tua data di morte è l’unica che non riesci a vedere, assieme a quella del mondo. Bè, io non possiedo il tuo dono, ma ti dirò una cosa: c’è qualcuno che sta uccidendo tutti i criminali che ci sono in giro. Nessuno sa come faccia, c’è addirittura chi pensa che sia una sorta di castigo divino. L ha accettato il caso e domani partiremo per indagare. Non ti posso dire una data precisa, ma sono sicura che la tua morte non è poi così lontana. In fondo su una cosa hai avuto ragione: questa è l’ultima volta che ci vediamo.”
Molto tempo dopo, quando la ragazza se ne fu andata senza degnare il prigioniero di un ultimo sguardo, un sorriso divertito brillò nel buio.
 
Il 21 Gennaio 2004 Beyond Birthday morì per un misterioso attacco di cuore, mentre scontava l’ergastolo nel carcere LAC della California.
 
 
 
 
 
A/N: Come avrete notato la frase finale della storia coincide con quella del romanzo. Il sorriso di B lo lascio interpretare a voi. Questa è la prima volta in assoluto che scrivo una nota di chiusura per una mia storia. Sono felice, soddisfatta ed emozionata. Magari per qualcuno sembrerà una stupidaggine, ma davvero mi ha reso molto contenta condividere tutto questo con voi. Ho iniziato APV un po’ per gioco, senza avere la minima idea di come farla finire. Ho comprato il romanzo, l’ho letto in due giorni e mi sono messa a scrivere di getto. Era quasi un anno che non scrivevo nulla, ma in meno di un mese, scrivendo tutti i giorni, è uscito fuori questo.
Sono partita dalla semplice idea di mostrare i casi dal punto di vista dell’assassino e non da quello del detective. Volevo scavare nella psicologia di un personaggio che mi ha molto colpito e inserire anche un po’ più d’azione rispetto al romanzo. Non è stato facile: l’intera storia si svolge in una singola stanza con solo due persone come unici personaggi del racconto. Avevo paura che potesse risultare noiosa, ma la voglia di riempire quei buchi lasciati dal libro era troppo forte.
Ho inserito il personaggio di Rumer (ora che la storia è conclusa posso dirvi che mi sono ispirata all’attrice Zooey Deschanel, che adoro, per la sua fisionomia, ma non volevo influenzarvi in alcun modo) perché mi ha reso più facile raccontare lo svolgersi degli eventi; mi ci sono affezionata parecchio e sono felice che anche voi l’abbiate apprezzata e che sia risultata credibile. B è stato difficile da centrare, ma alla fine sono soddisfatta di quello che uscito fuori. Per me non sarà mai una copia smorta di L, ma un folle che è stato distrutto dalla sua stessa genialità, costretto a convivere con la sua rabbia.
Come promesso non è uscita fuori una storia romantica (anche se ad un certo punto mi sarebbe piaciuto) per il semplice fatto che non sarebbe stata credibile, e anche perché non volevo alterare un singolo evento del romanzo. Spero di non aver toppato con L, che è stato il personaggio più difficile da scrivere, per ovvi motivi. Ho cercato di rendere verosimile il suo rapporto con la sorella, e soprattutto di far capire che lui ci tiene molto a lei, ma oramai è abituato a non pensare a se stesso, ma a mettere sempre la giustizia al primo posto.
In conclusione voglio ringraziare veramente di cuore tutti coloro che hanno semplicemente letto, chi l’ha messa in preferite e seguite, ma soprattutto chi ha trovato il tempo di commentare, lasciandomi ogni volta il proprio parere e scambiando opinioni con me, che è stata la cosa che ho amato di più!
Grazie: Luce Lawliet, Harmony394, Lord_Trancy, Sony22, MikuSama e Mihael11.
Non so quando tornerò a scrivere qualcosa di mio nel fandom (traduzioni a parte), anche se ho un paio di shot in lavorazione. Di certo continuerete a vedermi nei commenti delle vostra storie perché amo troppo Death Note!
Grazie ancora di tutto, alla prossima!
Angel

   
 
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