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Autore: Blue Drake    18/05/2012    1 recensioni
Questa è una storia senza futuro.
Questa è la storia di un passato senza coscienza.
Questa è la storia di un presente fra le ombre.
Questa è la mia storia.
Non sono sempre stato crudele. Non sono sempre stato freddo, cinico ed egoista. Un tempo non lo ero. Un tempo ero un bravo ragazzo, un ragazzo come tutti: normale.
Ma ci sono esperienze che cambiano la vita. Che ti strappano alla normalità, e ti privano di speranze e sentimenti.
Un tempo non era così. Un tempo io ero un uomo. Ed ora? Ora sono solo un'ombra...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dentro e Fuori dall'Agenzia'
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Capitolo 37

12 marzo 1965 - "Incomprensibili cambiamenti"

 

 

Comprensione.

No, decisamente non rientrava nel mio abituale vocabolario. Ho sempre avuto immani difficoltà nel comprendere i ragionamenti dei grandi capi dell'Agenzia. Non riuscivo - e tutt'ora non riesco - a concepire i loro piani. Sono sempre stati qualcosa di oscuro, intangibile, superiore alle mie possibilità. Di sicuro mi sfuggiva qualcosa. Magari un minuscolo particolare, la chiave che avrebbe potuto aprirmi le porte della verità - e di tanti altri piccoli e grandi segreti. Ma intanto loro, imperterriti, seguitavano ad agire indisturbati, seguendo vie note unicamente ai vertici - si spera -

 

 

Attesi. Attesi per giorni, lunghissimi, pallidi, noiosi e senza motivo. Attesi che quella porta grigia si riaprisse, portandomi notizie, facendo entrare esseri umani, persone reali. Sarebbero andati bene, a quel punto, anche i soldatini, che si divertivano a picchiarmi. Invece non venne nessuno. Rimasi da solo, in quella piccola e triste stanzetta, fissando ossessivamente quell'unico scorcio di mondo esterno di cui disponevo.

L'unica prova dell'esistenza di vita, oltre quelle quattro mura, era costituita da brevi passaggi, due volte al giorno, e da una mano anonima che faceva scivolare all'interno un piatto con del cibo dentro.

Non toccai mai nulla. Mi limitavo ad osservarlo, stancamente e senza particolari emozioni, per pochi secondi, tornando poi a rivolgere la mia attenzione all'esterno. In fondo, perché mangiare, se comunque sarei dovuto morire? Non aveva senso. Tanto valeva risparmiarmi inutile peso sullo stomaco ed occupare il poco tempo rimastomi assorbendo più luce possibile, proprio come una pianta avida di sole.

 

 

Non ci riuscivo. Non riuscivo a respirare. La dolorosa consapevolezza di essere stato abbandonato, mi toglieva perfino la forza di raccogliere l'aria sufficiente a sopravvivere.

In fondo non era una novità. Già in altre occasioni mi era capitato. Perché mai, questa volta, avrebbe dovuto essere differente? Perché mai avrebbe dovuto importarmene davvero qualcosa? Forse perché, in questo caso, avevo deciso di fidarmi, di credere a delle semplici parole, prive di qualunque sostanza. Forse perché, assieme a quella sensazione di abbandono, si sommava la vivida impressione di essere stato, in qualche modo, tradito. Forse, ancora una volta, la colpa era solo ed unicamente mia. Io avevo riposto la mia fiducia in qualcosa che non aveva valore, in qualcosa che non esisteva. Perché dovevo essere sempre così stupido? Così sciocco ed ottuso da non vedere?

 

 

Eppure qualcosa, alla fine, accadde.

Un bel giorno - è, naturalmente, un modo di dire. In realtà fu un giorno orribile, o per lo meno nella media dell'ultimo periodo - mi ritrovai, mezzo rimbambito e confuso, a penzolare dalla spalla di un tipo enorme, che mi issò come un sacco di patate, portandomi fuori. Anche volendo, non avrei avuto la forza di opporre resistenza. Mi sentivo troppo debole e stanco. Ed in ogni caso, non era davvero mia intenzione oppormi, per quanto venissi sballottato in modo ben poco gentile e delicato.

Pensai, irragionevolmente, che mi avrebbero gettato via, come semplice spazzatura, per evitare che iniziassi a puzzare. Ed effettivamente, quella sera, venni gettato. Ma non in un cassonetto, come era nelle mie idee. Direttamente in mezzo ad una strada.

Impreparato, sgranai gli occhi, ritrovandomi, ammaccato e dolorante, con il culo spiaccicato in fondo alle scale, su di un umido marciapiedi. Il tempo di raccapezzarmi, guardarmi intorno, socchiudere la bocca per provare a chiedere spiegazioni, e dalla porticina dalla quale ero stato gettato, spuntò il mio "caro" signor Thompson che, con una delle sue occhiatacce raggelanti, mi fissò, dall'alto al basso. Infine scosse la testa e mi informò;

«Il Consiglio ti diffida dal tornare in questi luoghi. Sarebbe opportuno che tu sparissi ed evitassi di aprire bocca a sproposito. Uhm... Personalmente ti suggerisco di non lasciare la città. Potrebbe rappresentare un problema».

Dopo un'ultima occhiata derisoria, scomparve oltre la porticina, lasciandomi solo con me stesso, in balia di mille pensieri, in uno stato d'animo sconvolto e senza la più vaga idea di cosa fosse capitato.

Rimasi fermo per qualche minuto, incapace di qualsiasi processo mentale. Troppo confuso, sorpreso e scombussolato, anche solo per trovare la forza di alzarmi da quello scomodo marciapiedi. Avevo la testa totalmente nel pallone. Continuavo a fissare, attonito e senza una precisa ragione, quella piccola porta ed il punto in cui i due uomini erano scomparsi. Non capivo. O forse sarebbe più appropriato dire che non volevo capire, poiché quella volta la spiegazione non era poi così complessa.

Ero stato appena scaricato. Buttato - letteralmente - fuori dall'Agenzia. Per motivi, ancora adesso, ignoti, avevano preso la decisione di togliersi dalle palle il mio scomodo ed inutile peso. Ciò che non comprendevo era il perché. Perché, d'un tratto, ero diventato inutile ed irrilevante? Ma soprattutto: perché, alla luce di ciò, mi avevano comunque permesso di continuare a vivere? No, questo era troppo difficile da capire. Un concetto troppo complesso, ben superiore alle mie esigue possibilità.

 

Li avevo lasciati fare. Mi sentivo talmente inerme di fronte alle loro decisioni. Privo di voce in capitolo. Privo di una volontà mia. Non avrei comunque saputo come reagire. Ero costretto ad accettare tutto questo, passivamente, poiché di fatto non mi rimaneva altra scelta.

Ed ero nuovamente solo. Ed in mezzo ad una strada. A malapena in possesso della forza necessaria per sopravvivere. Per non lasciarmi andare alla deriva. Per impedire al mio corpo ed alla mia mente di soccombere ad un baratro di distruzione.

Di nuovo solo, perso nel vuoto di questa città aliena...

 

   
 
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