To be on the
edge of breaking down,
And no one’s
there to save you.
No, you
don’t know what it’s like,
Welcome to
my life.
(“Welcome to my life”, Simple Plan)
Dormitorio femminile Tassorosso, quinto anno.
14 settembre 2022, mattina.
Sono tanti gli aggettivi che
potevano venir attribuiti alla persona di quella Tassorosso di quindici anni:
chiassosa, spesso rompiscatole, chiacchierona, pigra, rumorosa, irresponsabile
e tanti altri. Con la sua voluminosa chioma castano ramato e la voce forte e
squillante, Lucy Weasley poteva, più semplicemente, anche definirsi l’incubo
dei professori o la compagna di stanza che, se foste degli amanti del silenzio,
non vorreste per nessuna ragione al mondo.
Quando aprì gli occhi, quella
mattina, Lucy rimase sotto le coperte ancora a lungo, beandosi del calore che
esse emanavano e dal tepore solito della domenica mattina. Si girò e si rigirò
innumerevoli volte – urtando anche, di tanto in tanto, la testiera del letto
con la testa o una delle colonne del baldacchino con un piede –, finché non
decise che, forse, era meglio alzarsi definitivamente, se non voleva perdersi
la colazione – come, invece, spesso accadeva nei giorni della settimana, quando
si svegliava tardi e non riusciva a trovare abbastanza tempo.
Si tirò a sedere sul materasso,
sfilando un lembo di coperta da sotto il materasso e così scoprendosi un piede;
si strofinò gli occhi con le mani strette a pugno e poi se le passò
istintivamente tra i capelli, attorcigliati come non mai. Sbuffò sonoramente e
finalmente si girò per poi posare i piedi sul pavimento, rabbrividendo appena
al contatto con esso.
« Ben svegliata » si sentì dire da
una voce calma e dolce – Camille Lydon, a differenza sua, era una di quelle ragazze
che tutte vorrebbero come compagna di stanza: paziente, calma, abbastanza
sveglia da capire quando era il caso di stare in silenzio, gentile e
disponibile. Certo, quando si arrabbiava era vagamente terrificante, ma in
fondo non è che questo accadesse con tanta regolarità, perciò il problema non
si poneva più di tanto.
« ‘Giorno » ricambiò il saluto Lucy,
la voce ancora impastata dal sonno. « Sa’ly? » domandò poi, sbadigliando
sonoramente con una mano davanti alla bocca.
« In bagno » le sorrise Camille,
mentre l’altra si stiracchiava e legava i capelli con il primo elastico trovato
– probabilmente di Jane, una loro compagna di stanza, che disseminava la camera
di forcine, elastici ed altre cianfrusaglie da infilare nei capelli.
Lucy annuì e si avvicinò alla porta
del bagno: bussò energicamente e chiese: « Sei lì dentro? »
« No, Lucy, sono accanto a te, non
vedi? » le arrivò in risposta – Sally era proprio acida, di mattina. « Secondo
te dove posso essere? »
Lucy sbuffò sonoramente, seccata
come al solito la mattina presto, facendo sorride Camille, che, seduta a gambe
incrociate sul proprio letto, ascoltava le altre due leggendo nel frattempo il
giornale che il suo gufo le aveva recapitato proprio quella mattina a
colazione.
« Muoviti, ho fame » disse ancora
Lucy, ciondolando fuori la porta del bagno con aria da martire. « Quanto ti
manca? »
« Non tanto » rispose Sally,
sbuffando subito dopo. « Intanto preparati i vestiti ».
Lucy sbuffò ancora e si diresse
verso il proprio baule, borbottando qualcosa che assomigliava parecchio ad un:
« Ma sei mia madre sotto copertura? » mentre ne tirava fuori un paio di jeans,
una t-shirt verde comprata nella Londra Babbana ed una felpa bianca. Posò – lanciò – i vestiti sul letto e poi si
specchiò un attimo: fece una smorfia alla vista di quei capelli disastrosi e un
punto rosso un po’ sotto al mento.
« Poi ti ci metti del fondotinta »
le disse Sally, uscita in quel momento dal bagno, vedendo l’amica guardarsi e
toccarsi il puntino rosso con aria omicida.
« Mmh-mh » mugugnò in risposta Lucy,
abbassando le mani e catapultandosi in bagno, mentre l’amica sospirava e si
sfilava la maglietta del pigiama per infilarsi una camicetta azzurro chiaro.
Lucy si tolse rapidamente la larga
maglietta – fregata dal cassetto di suo padre all’età di undici anni e mai
restituita – che ancora usava come pigiama, preparò l’asciugamano e si infilò
sotto la doccia; girò i pomelli e regolò l’acqua, lasciandosi sfuggire un
sospiro non appena l’acqua tiepida iniziò a scorrerle addosso. Stette sotto il
getto caldo della doccia per una decina di minuti, prima di chiudere l’acqua e
stringersi immediatamente con l’asciugamano; restò dentro il cubicolo della
doccia finché non si fu asciugata bene gambe e braccia – fuori sarebbe morta di
freddo, ne era sicura – ed infine uscì.
Tornata in camera, lanciò appena uno
sguardo alla propria migliore amica già vestita e pettinata che si stava
mettendo matita e mascara ed uno a Camille, che invece continuava a leggere il
proprio giornale con aria assorta.
Si infilò nel proprio letto e chiuse
le tendine; si tolse di dosso l’asciugamano, indossò la biancheria e poi i
vestiti che si era preparata precedentemente. Dopodiché, uscì di nuovo e si
avvicinò all’amica.
« Fondotinta? » le chiese quindi,
afferrando poi la scatoletta circolare che Sally le stava porgendo. « Grazie ».
Si posizionò davanti allo specchio, accanto all’amica, e cercò di nascondere il
più possibile il puntino rosso avvistato prima ed altri eventuali difetti della
pelle.
« Fatto? » le chiese dopo un po’
Sally, mettendo i trucchi a posto nelle loro custodie.
« Sì » rispose lei, con un ultimo
tocco di fondotinta, prima di chiudere la scatoletta e restituirla all’amica. «
Vogliamo scendere? »
« Direi proprio di sì » disse Sally,
dopo aver lanciato un’occhiata all’orologio che aveva al polso. « Sono le nove
».
« Mica è tardi, comunque » obiettò
Lucy, salutando Camille e uscendo poi dalla stanza. Scese le scale che
portavano alla Sala Comune con dietro Sally, che intanto aveva alzato gli occhi
al cielo e scosso la testa, rassegnata.
« Muoviti e basta ».
« Ehi, non usare quel tono con me,
Finnigan! » sbottò Lucy, girandosi appena col busto verso di lei e guardandola
trucemente. « Non ho cinque anni » aggiunse poi, tornando a camminare un po’
più rapidamente – di mattina le dava fastidio essere contraddetta o ripresa:
già alzarsi preso dal letto era una tortura, anche i rimproveri?
« Va’, va’ » sbuffò Sally,
superandola proprio nei pressi della Sala Grande. La precedette nell’entrare in
Sala, ma l’aspettò per dirigersi al proprio tavolo assieme a lei. Si sedettero
in mezzo, vicino al fratello di Sally e agli amici di quest’ultimo, servendosi
subito dopo – nel caso di Lucy – la colazione.
« Incantesimi la facciamo stamattina
o dopo pranzo? » le chiese poi Sally, versandosi nel frattempo del latte e
prendendo dei biscotti dal vassoio al centro del tavolo. Ne morse uno e poi
alzò gli occhi sull’amica.
« Boh » si strinse nelle spalle
quella. « Dopo » rispose infine, come era prevedibile, bevendo un po’ di tè,
gli occhi posati sul giornale del proprio vicino.
Quando alzò lo sguardo, vide una
persona alzarsi dal tavolo dei Serpeverde. Capelli castani ed occhi dello
stesso colore della piscina comunale appena aperta d’estate: Lucy trattenne il
respiro senza rendersene conto.
Riprese a respirare normalmente solo
quando la figura fu uscita dalla Sala Grande.
Merda – pensò per l’ennesima volta.
*
Albus sistemò i fogli che si era portato appresso a colazione
– Skandar stava ancora dormendo, Noah era già tornato in Dormitorio –, diede un
ultimo morso al proprio plumcake ed infine si alzò dalla panca, inciampandovi
quasi.
Sospirò ed uscì dalla Sala Grande camminando lentamente,
poiché tanto quella mattina non sarebbe dovuto andare a lezione o da qualche
altra parte, perciò aveva tutto il tempo che voleva. Fuori s’imbatté in sua
cugina Dominique, che aveva i capelli un po’ arruffati a sinistra ed il segno
del cuscino ancora sulla guancia destra: faceva tenerezza, Domi, soprattutto
appena sveglia, con quell’aria da pulcino spennacchiato.
« Ehi, Albie » lo salutò, un sorriso
raggiante sulle labbra velate di burro di cacao e gli occhi limpidi e allegri
come sempre. « Finito di mangiare? »
« Già » sorrise di rimando lui,
reprimendo una smorfia al sentirsi chiamare Albie – solo sua madre lo chiamava
ancora così, e James quando voleva prenderlo in giro. « Tu, invece? Stai
andando ora? »
« Oh, sì » rispose Dominique,
cercando di pettinarsi i capelli con le dita, facendo ridacchiare Albus. « Hai
qualcosa da fare, ora? » chiese poi la ragazza, avendo abbandonato l’idea di
darsi una sistemata ai capelli.
« No, perché? »
« Ti va di farmi un po’ di
compagnia? »
« Perché no? » disse Al, piegando
l’angolo destro della bocca verso l’alto. Dominique ricambiò quel sorriso
sbilenco e lo condusse con lei al tavolo dei Tassorosso – ad Al fece un po’
strano effettivamente: di solito, quando mangiavano assieme, era lei ad andare
a quello dei Serpeverde.
Si sedettero all’inizio del tavolo, non
avendo voglia di procedere per la Sala alla ricerca di qualche altro posto più
conveniente – lì, infatti, si sentiva e si vedeva tutto.
« Allora, che mi racconti? » gli
domandò quindi Dominique, versandosi del tè nel calice e bevendone poi un
sorso.
« Niente » si strinse nelle spalle
Albus, sorridendo. « I compiti li ho fatti ieri, oggi ho tutta la giornata
libera ».
« E quindi ti sei messo già a
lavorare su quei fogli » stimò Dominique, adocchiando le carte che gli aveva
dato lei qualche giorno prima, alla riunione dei Prefetti iniziale, dove
avevano deciso i turni delle prime ronde e iniziato a lavorare su alcuni
particolari del Torneo Tremaghi che la preside aveva lasciato loro – come gli
orari di quelli di Beaux-Batons, che più o meno avevano le loro stesse materia,
ed altre cose del genere.
« Già » annuì lui, prendendo un
biscotto al volo dal vassoio al centro del tavolo.
« Merlino, Al » ridacchiò la
ragazza, in risposta, bevendo un altro po’ di tè. « Sono passate solo due
settimane dall’inizio della scuola, eh, non devi sovraccaricarti già da ora ».
Lo stava prendendo in giro con affetto, lo sapeva, e niente gli impedì di
arrossire appena in zona orecchie – sulle guance era già più raro.
« Skandar dorme, Noah probabilmente
è in biblioteca… Non avevo niente da fare… » si difese lui, sentendosi una
specie di pulcino piccolo e un po’ spennacchiato. Dominique gli sorrise
teneramente, inclinando appena la testa di lato.
« Oooh, il piccolo Albie » sospirò
lei, sinceramente divertita, scuotendo impercettibilmente la testa e allungando
una mano verso il cugino per dargli un buffetto sulla guancia, facendogli fare
una smorfia buffa.
« E dai, ho solo un anno in meno di
te » le ricordò Albus, toccato sul suo punto debole. Perché le persone lo
consideravano ancora il piccolo Albus
Severus Potter? Era cresciuto, diamine, perché nessuno se ne accorgeva? Non
aveva più undici anni, sulle sue guance c’era già qualche peletto – o almeno
così andava dicendo – e la sua voce si era già fatta un po’ più profonda e
matura.
Non sono piccolo, ho sedici anni – pensò, come
se i sedici anni fossero l’età più veneranda e rispettabile al mondo.
« Sì, hai ragione » convenne
Dominique, fregandogli il biscotto dalle mani – Al la guardò oltraggiato. « Su,
quest’anno niente Quidditch: non vorrai ingrassare, cuginetto? »
Lui fece una smorfia, piegando verso
il basso un angolo delle labbra sottili, e ribatté sarcastico: « Be’, almeno io
non sono già ingrassato ».
« Ed è in questi momenti che capisco
perché tu sia finito a Serpeverde » ridacchiò Dominique, per nulla toccata
dalla provocazione del cugino: una delle poche cose che le piacevano
dell’essere un ottavo Veela era l’avere un bel corpo.
Albus masticò un’imprecazione,
sconsolato, prima di abbandonarsi sul tavolo borbottando qualcosa come: « Tu e
la tua pazienza inumana… ».
« Ehi, stai parlando con una
Tassorosso! »
« Sì, okay, Tassorosso e tante cose.
Anche Lucy è una Tassorosso, ma mica è così— ». Non riuscì a finire la frase,
perché qualcuno, da dietro, gli aveva dato una potente e ben caricata botta in
testa, che lo fece imprecare nuovamente, stavolta a voce più alta.
« Attento a quello che dici, cugino
» lo minacciò Lucy, prima di trotterellare via dalla Sala Grande assieme alla
sua amica.
« Visto? » domandò retoricamente Al
a Dominique, quando Lucy fu definitivamente lontana. Lei ridacchiò ancora e
bevve un altro po’ di tè.
*
Dormitorio maschile
Grifondoro, settimo anno.
14 settembre 2022,
pomeriggio.
La sua voce giunse soffocata alle
orecchie dell’amico, che annuì gravemente, fermandosi un attimo prima di
tornare a scrivere il proprio tema e convenire: « Senza Quidditch, che vita è?
»
« Una che non vale la pena di essere
vissuta » brontolò ancora James, con un gemito. « Già mi ci vedevo: con la
spilla da Capitano e la Coppa del Quidditch tra le mani e… »
« Come sai che, se non ci fosse
stato il Torneo, saresti stato proprio tu
il Capitano? » gli chiese allora Logan, scettico. « Sono più bravo io. E poi un
Portiere vale più di un Cacciatore: sono io
che mi preoccupo di non far fare punti agli avversari ».
« Ed io di alzare il punteggio della
mia squadra » ribatté James, con aria
di superiorità.
« Senti, » iniziò Logan con il tono
di un adulto che sta parlando con qualcuno di molto, molto stupido, « puoi dire
quello che vuoi, ma resta il fatto: il Portiere è più importante del Cacciatore
».
« Perfettamente d’accordo con Logan
» convenne Scorpius Malfoy, che aveva appena aperto la porta del dormitorio.
Paul Summers – uno dei loro compagni di stanza – lo superò ed entrò in camera
brontolando qualcosa sul fatto che lui era un Corvonero e blablabla.
« Taci ». James lo guardò truce,
alzando appena il viso dal cuscino solo per farlo.
« Jasmine carissima, ormai
dovresti aver capito che tu non vali niente » sorrise Scorpius, mellifluo – era
in quei momenti che sì, i ragazzi che avevano frequentato Hogwarts negli anni
novanta avrebbero potuto dire “Questo è il figlio di Draco Malfoy” senza
nemmeno pensarci più di tanto. « Niente di personale, ovviamente » aggiunse
poi, stringendosi nelle spalle.
« Ovviamente, Scorpina » sbottò James, indignato sia dal suo nome
storpiato in tale maniera sia dall’essere considerato una nullità. Logan fece
una smorfia fintamente dispiaciuta, scoppiando poi a ridere quando un cuscino
prese proprio in faccia il gentil Corvonero.
*
Don’t be
afraid,
it’s only
love.
(“Don’t be afraid, you’re already dead”,
Akron/Family)
L’amore, lei, non l’aveva mai capito. I romanzi rosa di sua
madre, poi, mai l’avevano aiutata in ciò: se in un libro chi veniva tradito
alla fine trovava il vero amore, in un altro rimaneva da solo finché la morte
non andava a stringerlo tra le braccia. Oppure gli amici, che se andavano a
letto assieme una volta o si innamoravano l’uno dell’altra, o si innamorava
solo uno dei due, oppure entrambi iniziavano a trovarsi a disagio quando c’era
anche l’altro.
Alla fine, era giunta alla triste conclusione che l’amore era
solo un casino, che in fin dei conti non serviva a molto – se non, stando a sua
madre, ad essere felice –, che era difficile da trovare e ancora di più da
gestire.
La cosa più interessante, però, l’aveva imparata da uno dei
tanti film che aveva visto in televisione – lo mettevano sempre, per Merlino!
–: mai innamorarsi di un amico, entrambi si complicano la vita e alla fine
niente torna come prima. Per questo, dopo la colossale sbronza dell’anno
precedente, aveva deciso che sì, stare senza impegno e di nascosto con qualcuno
poteva rivelarsi piacevole e semplice.
Che poi l’impegno in questione fosse condiviso con Scorpius
Malfoy era un dettaglio di poco conto; lui non era mai stato un suo amico, al
massimo l’aveva considerato un conoscente – anche se di solito si limitava a
chiamarlo “l’intruso a casa Potter” quando andava a soggiornare per qualche
giorno dai suoi cugini –, e se per caso si fossero mollati non sarebbe stato
certo un problema.
Dopo tutti i libri e gli articoli di giornale letti e i film
visti, Rose aveva capito che era proprio così e che era stata proprio una
stupida a non pensarci prima. E per quanto le costasse ammetterlo, Scorpius era
un’impegno-non-impegno perfetto: non era possessivo, non faceva sospettare
niente e nessuno, la prendeva in giro come faceva anche prima e si comportava
in maniera completamente normale quando c’era lei – anche se a volte, a suo
modesto parere, faceva troppo lo scocciato.
Dire che era iniziato tutto dopo aver bevuto litri e litri di
vari tipi di alcol è un cliché di esorbitanti dimensioni, ma per loro due era
anche fottutamente vero. Alla festa di James si erano entrambi ubriacati
talmente tanto da confondere i capelli di Paul Summers con un procione – o
almeno così andava millantando Logan Hopkins – e il giorno dopo si erano
ritrovati nello stesso letto. C’è davvero bisogno di dire che erano anche nudi?
All’inizio era stato strano. Quella mattina Rose non aveva
urlato solo perché ancora un pochino scossa,
mentre Scorpius, dopo aver aperto gli occhi, aveva iniziato a ridere
istericamente, provando di tanto in tanto a soffocarsi con il cuscino –
probabilmente era quello di Harry o di Ginny, che, dopo innumerevoli preghiere
da parte del figlio, avevano acconsentito a lasciar loro casa libera.
Erano rimasti, poi, sdraiati nel letto per quasi un quarto
d’ora, l’uno accanto all’altra, gli occhi fissi sul soffitto. Alla fine, Rose,
dopo aver pensato seriamente a tutto quanto – da quello che era accaduto la
sera prima a tutti i propri soliloqui sul suo essere single e blablabla –,
aveva spezzato quel silenzio con un: « Ti va di,
uhm, riprovarci? Senza impegno, intendo » davvero poco Rose Weasley. Scorpius
era rimasto in silenzio un altro po’, prima di stringersi nelle spalle e
scoppiare poi a ridere di nuovo.
Nonostante ciò, però, Rose ci teneva
a ricordare sempre – e a tutti – quanto lui fosse insopportabile, stupido,
antipatico e chi più ne ha più ne metta. Dee, ormai, l’ascoltava, la guardava
ed inarcava le sopracciglia – sempre –
come ad intendere della malizia sotto tutti quegli insulti.
Anche in quel momento, seduta sul
gradino dell’ala nord del castello – proprio vicino all’aula di Divinazione, in
quel momento vuota, essendo domenica, ma comunque anche di norma molto meno
trafficata delle altre –, Rose continuava a ripetersi quanto fosse stata
geniale. Scorpius Malfoy era talmente impensabile, secondo lei, che era
perfetto.
« Rose ». La testa bionda di
Scorpius apparve nella sua visuale non appena il ragazzo mise il piede
sull’ennesimo gradino; aveva l’aria stanca, e ne aveva anche tutto il diritto,
essendosi fatto come minimo un centinaio e passa di scalini per giungere da
lei, ma Rose sogghignò, impietosa:
« Che succede, batti la fiacca,
Malfoy? » domandò quindi, canzonatoria, e Scorpius la guardò con la fronte
aggrottata sia per la solita battutina che per il costante uso del suo cognome.
« Rose, come puoi dirmi questo? » sorrise allora, anche se un tantino
infastidito, salendo gli ultimi gradini e sedendosi poi accanto a lei. « Io,
che ti faccio sorridere e sempre ti soddisf— » s’interruppe, ghignando, quando
la ragazza gli arpionò il braccio e lo guardò con aria truce.
« Taci, okay? » ordinò, perentoria.
Scorpius però sorrise ancora e si avvicinò al suo volto, un’espressione
sarcastica stampata sul viso affilato.
« Sennò che mi fai, Rose? Inizierai
ad evitarmi? Non potresti mai vivere senza la mia regale presenza, suvvia, vile
plebea! ». Se c’era una – una sola –
cosa che a Rose Weasley piaceva di Scorpius Malfoy, era quella sua ironia
divertente e mai banale: la divertita e, purtroppo, come diceva lui, il più
delle volta la faceva sorridere.
« Posso vivere benissimo, non sei
così impo… non sei importante » sputò lei, forse un po’ troppo acida.
Ma Scorpius rise forte – facendola
trasalire dalla paura di venire scoperti – e con la propria mano accarezzò
tutto il braccio destro di Rose, fermandosi poi alla base del collo. « Meglio,
no? Senza impegno, hai detto » le ricordò, catturando le labbra di Rose in un
bacio che, lo sapevano entrambi, sarebbe stato seguito da tanti altri, e
chiudendo gli occhi prima che lei potesse scorgere il breve lampo di tristezza
che li aveva attraversati.
Ma Rose, gli occhi, li aveva già
chiudi. Forse li aveva sempre tenuti chiusi, forse. Scorpius non lo sapeva, ma
per ora gli andava bene anche così, anche quello.
Scorpius, in piedi due gradini sotto
a quello della ragazza, la osservava, sorridendo come sempre. Mentre
l’aspettava, si passò una mano sui jeans, come se dovesse spolverarli. Rose lo
affiancò poco dopo, afferrandogli un braccio e trascinandolo di corsa per le
scale assieme a lei.
Era strana, Rose. La parola
lunatica, probabilmente, era quella che più le si confaceva. Era in grado di
cambiare umore così, in base a come tirava il vento: un secondo prima felice
come una Pasqua, quello subito dopo triste e piangente come una fontana rotta.
Aveva anche voluto trovare un loro saluto
personale: Scorpius non ne vedeva l’utilità, non l’aveva mai vista, ma,
quando gliel’aveva detto, Rose era così felice e bella che non se l’era sentita di smontarla.
« Ci lasciamo qui, come al solito? »
le chiese, una volta giunti davanti al ritratto di Barnaba il Bardo.
« Uhm » Rose si esibì in una faccia
pensosa piuttosto divertente. « Direi di sì, Malfoy ».
« Bene » annuì Scorpius, facendo per
andarsene. Invece, si fermò dopo appena due passi e si guardò attorno con aria
circospetta: appurato che non ci fosse nessuno, tornò rapidamente sui suoi
passi e le scoccò l’ennesimo bacio sulle labbra già arrossate.
« Potevano vederci… » mugugnò lei,
girandosi mentre lo faceva anche lui e andandosene verso la Sala Comune dei
Grifondoro.
« Potevi provare a vederci tu » sospirò appena Scorpius, a voce
talmente bassa che nessuno lo sentì. « Tu ».
Maldetta Rose – pensò, avvicinandosi poi
all’amica, un sorriso a trentadue denti sul viso affilato.
« Lyns! » optò anche per il
nomignolo che le aveva affibbiato al primo anno, quando erano diventati amici,
e che ormai usava praticamente solo quando aveva qualcosa da farsi perdonare. «
Meravigliosa creatura, cosa ci fai qui tutta da sola? »
Lynda inarcò talmente tanto le
sopracciglia che esse minacciarono di scomparire all’attaccatura dei capelli.
Poi rispose, ironica: « Stavo aspettando un coglione ».
« Se non fossi al corrente del tuo profondissimo amore nei miei confronti e
della tua enorme stima di me e della
mia intelligenza, potrei pensare si tratti di me » sorrise sfacciatamente,
prima di sedersi sul bracciolo della poltrona dove stava la ragazza – la quale,
come al solito, dovette spostarsi un
po’ verso l’altro per permettere all’amico di sedersi con lei. « Grazie, Lyns
».
« Muori » borbottò lei, socchiudendo
le palpebre e stendendo le labbra rosee in un’espressione calma.
« Ti voglio bene anche io ».
« Mmh ».
« Lyns? » la chiamò ancora lui, dopo
qualche secondo di assoluto silenzio – da parte loro, ovviamente: il resto
della Sala Comune, quel pomeriggio, era più in fermento del solito. Lei girò
parzialmente il collo, voltandosi così con il viso verso di lui e abbozzando un
sorriso sbilenco.
« Sì, Scorpius? »
« Ti sei mai innamorata di qualcuno?
Davvero, dico » le chiese, cercando di non mostrarsi troppo serio o
demoralizzato – e ci riuscì bene: dopotutto era Scorpius Malfoy, no?
Lynda si portò una mano al lato
della testa, il gomito affondato nel morbido tessuto della poltrona. Scorpius
la guardò, trattenendosi dall’insistere e metterle fretta. « Non credo. Perché?
» domandò poi, inquisitoria.
Lui sviò: « Pensi che faccia male? »
« Sinceramente? Sì ».
*
Non ero morta, vedete? Okay, so che magari molti di voi volevano già vedermi
stecchita, ma ehi, facciamo le corna :P Ora, seriamente, buonasera (o
buongiorno, buonanotte, buon pranzo, buon quel che vi pare).
Capitolo per niente pieno ma al contempo pieno. Sta a voi
decidere! Qui non siamo ancora nel vivo della storia – mi duole dirvelo, ma se
cercate rose e fiori avete sbagliato finestra XD –, anche perché non ho idea,
sinceramente, di quanto dovrebbe essere lunga.
Be’, se dura tanto peggio per voi! ;P
No, dai. Ringrazio un saccaccio, comunque, le 28 persone che
seguono questa storia e le 8 che la preferiscono. Mi fate sentire amata, non
avete idea ç__ç
Tanto amore,
Eralery-che-ora-va-a-guardari-Glee-perché-tanto-domani-non-la-interrogano-in-Scienze-perché-la-volta-scorsa-ha-preso-8+
*Si fomenta ed evapora – davvero*