Come da programma, il
colloquio con Silente e la McGranitt non diede nemmeno lontanamente l’esito
sperato: il Preside si era limitato a sorridere, dichiarando che in fin dei
conti l’Ordine sospettava da tempo della effettiva lealtà del Sottosegretario
Anziano del Ministro della Magia; Minerva McGranitt aveva semplicemente
dichiarato che una strega dalle dubbie capacità come Dolores Umbridge avrebbe
potuto rinforzare le file dell’Oscuro Signore tanto quanto una mosca nel succo
di zucca sarebbe servita a migliorarne il sapore…
E fu così che, sommato
l’esito deludente del colloquio con le due massime autorità della Scuola e
dell’Ordine della Fenice alla notte insonne e inquietante appena conclusa,
Veritas McCoy tenne con gli alunni del 3° anno una delle peggiori lezioni della
sua vita, rompendo ben due tazze da tè e scheggiando una sfera: e per tutto il
giorno non ci fu verso che le cose girassero in maniera migliore.
La cena
poi fu disastrosa e pesante quanto la colazione, con l’unica — non trascurabile
— differenza che per la prima volta dall’orribile scenata del mattino lei e
Severus Piton si trovarono fianco a fianco. La McCoy mise ogni cura nell’evitare
ogni anche minimo contatto… Almeno finché non accadde, come naturale,
l’irreparabile.
« Ti ho chiesto il sale, McCoy! »
« Non avevo
sentito, scusami ».
La bocca di Severus Piton si contrasse in una smorfia
di pura disapprovazione, con una buona dose di sarcasmo Serpeverde.
«
Certo, è chiaro… Una Veggente non può occuparsi delle cose comuni!
»
« Non fa affatto ridere, professor Piton. E questo sarcasmo è
inutile, sai? Davvero non ti avevo sentito »
« Avevi la testa tra le
nuvole…» La rimbeccò lui «… come sempre, del resto ». Detto questo, e
lasciando accanto a sé Horace Lumacorno letteralmente sconvolto, Severus Piton
si alzò di scatto e si allontanò dal tavolo con passo tanto furente e marziale
che ad ogni metro il mantello si gonfiava come investito da raffiche di vento.
Veritas era mortificata: un trattamento del genere… davanti a tutti i
colleghi… Per non parlare degli studenti! Posò sul tavolo la saliera, che le era
rimasta nella mano ferma a mezz’aria, e desiderò ardentemente scomparire.»
« È più nervoso del solito, ultimamente, non prendertela. Credo stesse
solo aspettando un pretesto per andarsene…», le sussurrò la McGranitt, mentre il
Preside annuiva con convinzione.
« Non m’importa, Minerva; non ne posso
più di farmi trattare così… Credo che risolverò la situazione una volta per
tutte ». Terminata la cena, dunque, la giovane Veggente si decise a scendere nei
sotterranei. Bussò alla porta finché, dopo almeno due minuti, Piton non si vide
costretto ad aprire.
« Oh, sei tu ». Invece di farsi scoraggiare da
quella freddezza, Veritas contrattaccò.
« Perspicace! Ho bisogno di
parlarti »
« Io no ».
« La cosa non mi fa né caldo né freddo.
Significa che starai ad ascoltarmi ». Così dicendo infilò la porta, incurante
del fatto che lui non l’avesse invitata ad entrare, e si sedette sul piano del
suo tavolo da lavoro, esattamente di fronte alla scrivania. Domandandosi per la
milionesima volta come quell’uomo facesse a non stancarsi gli occhi con una luce
tanto fioca. « Lumos ». Si guardò intorno. Da studentessa aveva trovato
repellenti i vasi sulle mensole, quegli esseri tanto rivoltanti immersi in
pozioni dai colori più disparati… Ora doveva ammettere che un fascino, per
quanto macabro e sottilmente perverso, in fondo l’avevano. Si rivolse a Piton
con freddezza. « Pensi di darmi qualcosa su cui fissare la bacchetta, o devo
tenerla così per il resto della mia vita? » Lui la guardò obliquo, ma roteò la
propria e tutte le torce della stanza si accesero.
« Smetterai di
tormentarmi, adesso? »
« Naturalmente no. Te l’ho detto, devo parlarti
»
« Se si tratta di prima, non pensare che io abbia intenzione di
scusarmi. Era la quarta volta che ti chiamavo, per cui converrai anche tu che
avevo ragione ».
Di fronte alla calma con cui Piton si era appena
espresso Veritas rimase colpita, ma decise di rispondere allo stesso modo: che
riuscissero una volta tanto ad avere una conversazione civile?
«
D’accordo, è vero, ero distratta. Ma è stato umiliante. Essere trattata così da
tutti… Dopo stamattina, poi! »
« A differenza tua, non pretendo di essere
gradevole a tutti i costi ».
« Severus… »
« No, niente lezioni,
men che meno da te. Non sta a te dirmi cosa fare, chiaro? » Ecco, era
successo…
« Ma io non… »
« Basta. E ora, se vuoi andare, ho dei
compiti da correggere »
« No ».
« Ho detto fuori ». La voce di
Severus Piton si faceva sempre più baritonale. Un pessimo segno, ma Veritas era
stanca di scappare. Sentì montare un nodo in gola, ma strinse i denti e lo
ricacciò indietro.
« Non finché non mi avrai detto perché mi tratti così
».
Piton si decise ad alzare gli occhi dalla pergamena su cui la sua
piuma continuava ad infierire. La guardò, e mentre sentì il proprio cuore
stringersi modulò la risposta cercando di ferire la ragazza il più
possibile.
« Perché ti comporti come una ragazzina, professoressa
McCoy ». E perché non vuoi capire che posso solo farti del
male…
Veritas comprese che l’unico modo di non scoppiare
nuovamente in lacrime davanti a lui sarebbe stato andarsene, ma non ne ebbe la
forza. Fissò le ampie maniche del vestito color rubino, sforzandosi di mantenere
il controllo di sé nonostante la mortificazione che sentiva nel cuore.
«
Non è vero, e lo sai… E se ti degnassi di guardarmi, una volta tanto, ti
accorgeresti anche che non lo sono, una ragazzina! » Si morse le labbra ma ormai
era troppo tardi: perso ogni proposito di lucidità, due grosse lacrime
scivolarono dagli angoli dei suoi occhi blu. Severus Piton, l’inavvicinabile
Severus Piton, per la prima volta nella vita si sentì un mostro. Aveva
tradito, torturato, ucciso… E l’unica cosa che faceva fremere il suo cuore erano
le lacrime di quella donna?
Sì, dovette rispondersi; perché
quella splendida donna era la cosa più bella che la vita gli avesse mai offerto,
la sua possibilità di tornare un uomo normale… Lui, che normale non lo era mai
stato. La guardò piangere: era distrutta, eppure non se ne era andata… E i
propositi di ostilità che aveva coscientemente coltivato andarono in frantumi in
un solo istante.
Si alzò di scatto, si avvicinò alla ragazza e le porse
un fazzoletto inamidato. Lei alzò gli occhi, smarrita, e Severus per la prima
volta riuscì a leggere senza la magia il dolore di un’altra persona. E, cosa
ancor più sconvolgente, a condividerlo.
Una lacrima rotolò fino alle
labbra di Veritas e lì si fermò. Il mago, immobile, non riuscì a staccare lo
sguardo da quel piccolo diamante che brillava nella luce tremula delle torce; si
ritrovò così ad osservare la propria mano salire fino al viso della ragazza e
farla aderire alla sua guancia con un tremito d’emozione completamente nuovo. E
i suoi occhi adesso non potevano allontanarsi da quella lacrima, né la sua mente
dal desiderio di asciugarla…
« Veritas… Credi che potrei… » Lei gli
rispose con meno di un soffio, il cuore impazzito.
« Ti prego
».
Severus Piton si avvicinò a lei lentamente, quasi temendo di
essere respinto. Abbassò il proprio volto fino a quello di Veritas, e dopo
secondi infiniti le loro labbra si incontrarono. In un solo istante,
all’unisono, il fuoco dei loro corpi si fuse in quel contatto tanto insperato
quanto a lungo desiderato…
Veritas sentiva il cuore finalmente
leggero, come se tutto ciò che l’opprimeva si fosse sciolto: le loro bocche si
cercavano, si stuzzicavano, si regalavano quella gioia che avevano pensato per
mesi di non poter neppure sperare… Piton l’attirò a sé, facendola alzare dal
tavolo dov’era seduta, lasciò scivolare le proprie mani sui suoi fianchi e sulla
schiena in carezze fino ad allora soltanto sognate. Ma il fremito della donna lo
riportò bruscamente in sé.
La afferrò per le braccia, stringendo con
molta più forza di quanta ne fosse necessaria, e la spinse via violentemente. Lo
sguardo disorientato che brillava sul volto arrossato della ragazza gli trapassò
il cuore, ma gli ricordò anche chi era. Un Mangiamorte non aveva diritto
d’amare, e neppure una spia l’aveva: e lui, con il suo passato, aveva
definitivamente perso ogni speranza di poterlo avere. Si sforzò di ricordare che
lo faceva per lei, che non poteva fare diversamente, ma essere odioso e crudele
in quel momento fu la decisione più difficile che avesse mai dovuto
prendere.
« Vattene ».
« Ma Severus… Cosa… »
« Va’ via. Hai
avuto ciò che volevi, no? Ora puoi anche andartene ».
« Ma cosa stai…
Non… »
« Vattene, ho detto! Non intendo sopportare oltre la tua presenza!
» Veritas McCoy lo guardò negli occhi, terrorizzata, e vide soltanto odio dove
poco prima aveva scorto la passione più assoluta. Capì che era tutto finito.
Sentì le proprie lacrime asciugarsi, e, nonostante si sentisse a pezzi, si
impegnò a colpirlo facendogli quanto più male poteva. L’ira le bruciava il
cuore, animandole un infinito desiderio di vendetta.
« Ho avuto ciò che
volevo, hai ragione, e ti dirò… Dubito che me ne ricorderò a lungo
».
Così detto uscì, il lungo abito rubino che sfiorava appena il
pavimento, e il rumore della porta sbattuta risuonò per l’intera scuola. Severus
Piton si passò una mano tra i capelli, distrutto, poi spense le torce
lasciandone accesa solo una, debole, sulla scrivania: e riprese a correggere i
compiti del Sesto Anno, infierendo con sadismo sulle pergamene e insanguinandole
di inchiostro rosso.