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Autore: ccharlotts    20/05/2012    2 recensioni
-- momentaneamente sospesa, riprenderà a breve :)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Sofia scese dalla bicicletta e subito cercò le chiavi del lucchetto all’interno della borsa. Una volta trovate si chinò per potere legare la catena alla ruota e al portabici, poi si incamminò per quella via del centro che ormai stava imparando a conoscere.
Il giorno prima aveva visto un bar che faceva angolo in una traversa che le aveva ricordato il suo.
Il suo bar si trovava a Parigi, in una via non troppo lontana dalla Tour Eiffel. Non era famoso, non era grande, non era chic e dentro non c’era nessuno di speciale. Ma era il suo bar. All’esterno del suo bar l’edera copriva tutte le pareti e all’interno c’era sempre odore di the. Al piano terra c’erano dei tavolini e il bancone dove spesso Julie l’aveva intrattenuta parlandole di tutti i libri sconosciuti che il padre le portava dai suoi viaggi in Africa e in India. Al piano superiore c’erano una marea di divanetti e poltroncine, tra queste quella di Sofia. Si trovava in un angolino, da sola, quasi isolata dalle altre. Davanti a questa un tavolino e accanto una grande vetrata da cui la prima cosa che si notava era sicuramente la Tour Eiffel. Quante volte Julie aveva tenuto il bar aperto fino a tardi perché sapeva che a Sofia piaceva rimanere là, quante volte l’aveva quasi spiata con un sorriso mentre la ragazza era immersa nei suoi pensieri o scriveva, o semplicemente guardava la sua Parigi illuminata durante la sera.
Sofia aveva capito che quello sarebbe stato il suo nuovo bar quando, guardando dentro, aveva visto che era interamente costruito in legno e anche qui erano presenti diversi divanetti sparsi qua e là. Questo non aveva due piani, non era ricoperto da edera all’esterno, ma Sofia aveva sentito di avere ritrovato un luogo familiare.
Entrò spingendo la pesante porta di legno lentamente e una volta dentro la prima cosa che fece fu annusare. Come aveva immaginato e sperato, anche qui l’odore di the era presente e inoltre sentì qualcosa di dolce provenire dal bancone. Si stupì vedendo decine di piattini ripieni di biscottini dall’aria deliziosa e si chiese immediatamente come mai potesse essere vuoto un posto così carino e accogliente.
Si diede uno sguardo tutt’intorno e nel giro di pochi secondi aveva già individuato la sua nuova poltroncina. Anche questa si trovava in un angolo, ma questa volta di fronte, oltre al solito tavolino, c’era un’altra poltroncina, uguale. Si avvicinò a queste e appoggiò la borsa.
Al bancone c’era un ragazzo che doveva avere circa la sua età. Alto, capelli neri e occhi scuri. Sembrava saperci fare, non era uno di quei baristi che solamente dopo uno sguardo capisci che lo stanno facendo solo per lo stipendio. Aveva qualcosa negli occhi di diverso, qualcosa che Sofia volle intendere come passione per quello che stava facendo.
“Cosa posso servirle?”
“Un thè verde, grazie.”
“Te lo porto subito.”
“Grazie!”
La ragazza si riavvicinò alla sua nuova poltroncina e si sedette. Anche qui c’era una vetrata, ma essendo al piano terra questa non dava una vista sulla città come accadeva a Parigi. Poco importava, si sarebbe accontentata. Le piaceva osservare e anche solamente guardare la gente indaffarata di Torino mentre attraversava la strada sarebbe stato interessante. Appoggiò il cellulare sul tavolino dopo averlo messo in silenzioso, voleva dedicare un po’ di tempo a sé stessa quel pomeriggio.
“Ecco il tuo thè.”
Il ragazzo del bancone appoggiò una tazza fumante sul tavolino e sorrise a Sofia che ricambiò. Poi si allontanò e tornò alle stoviglie. La ragazza estrasse dalla borsa un quadernino e lo aprì quasi a metà, la pagina era scritta per metà. Poi prese una matita e dopo avere bevuto un sorso dalla tazza iniziò a scrivere. Quel semplice gesto, quella matita su quel quadernino, non era ancora riuscito a ripeterlo da quando aveva lasciato il suo precedente bar e ora si sentiva come se un guizzo si felicità si stesse addentrando per tutto il suo corpo.
L’idea di scrivere un libro le era balzata in testa circa un anno prima, non lo faceva con l’intento di pubblicarlo, non si sentiva neanche minimamente all’altezza. Le piaceva mettere per iscritto una vita che assomigliava alla sua e allo stesso tempo era tutto il contrario. Le piaceva scrivere di una ragazza con i suoi sogni, le sue gioie, le sue sofferenze e le sue ferite. Le piaceva immedesimarsi nella vita di questa ragazza, farla parlare, farla agire, farla innamorare.
“Posso sapere cosa scrivi?”
Sofia alzò di scatto la testa e notò che il ragazzo del bancone si era appoggiato con entrambe le mani allo schienale della poltroncina davanti a lei. La ragazza si sentì per un attimo in imbarazzo e chiuse il quadernino tenendolo stretto tra le mani.
“Scusa, non volevo infastidirti. E’ che non mi capita spesso di avere clienti giovani e soprattutto mai mi è successo che qualcuno si sedesse e iniziasse a scrivere, e la verità è che questo sarebbe lo scopo di questo bar.”
L’imbarazzo svanì nel giro di pochi istanti e Sofia si rese conto di non avere affatto sbagliato idea sul ragazzo del bancone, era proprio come lo aveva pensato.
“Non mi hai assolutamente dato fastidio, solo non mi ero accorta che ti eri avvicinato.”
“Questi li offre la casa, alla mia prima cliente seria. E per seria intendo che tu hai perfettamente capito quale vuole essere lo scopo di questo posto!”
Appoggiò un piattino con dei biscottini sul tavolino e sorrise alla ragazza.
“Grazie, che gentile. Però come minimo ora mi dai una mano a finirli perché saranno sicuramente squisiti, ma non posso mangiarli tutti.”
Il ragazzo del bancone non se lo fece ripetere due volte e si sedette di fronte a Sofia.
“Sofia, piacere.”
“Darren, piacere mio.”
Doveva avere notato l’espressione stranita della ragazza, gli capitava spesso ormai da quando si era trasferito in Italia.
“Mia madre è inglese e fino a due anni fa abitavo a Londra con i miei genitori, poi ci siamo trasferiti qui per questione di lavoro di mio padre e io ho ereditato il vecchio bar di mio nonno. L’ho ristrutturato a modo mio, come piaceva a me, ed eccomi qui.”
“Abbiamo qualcosa in comune allora.”
“Anche tu sei londinese?”
“Parigina, mia madre è francese, mio padre italiano e ora siamo qui per il suo lavoro. Io però non ho un bar, anche se ammetto che per lavorare in un posto del genere farei di tutto. Complimenti, è davvero carino e accogliente.”
“Non tutti la pensano come te a quanto pare. L’ho ideato come uno dei tanti bar che puoi trovare se sai dove cercare a Londra. Volevo creare un posto comodo dove chiunque potesse venire a rilassarsi, ma in questi mesi non ho visto altro che adulti in carriera che entrano, prendono un caffè e se ne vanno.”
“Ed è un peccato, sul serio. Sono entrata qui perché mi ricordava molto il bar dove trascorrevo parecchio tempo libero a Parigi e l’ideale là era esattamente uguale al tuo, anche se eravamo in pochi a seguirlo. A Parigi ero diventata una cliente fissa e la proprietaria a volte era addirittura costretta a tenere il bar aperto fino a tardi di sera perché io non mi scollavo dalla mia poltroncina.”
“Sarà un piacere potere fare lo stesso, soprattutto se i tuoi passaggi da qui saranno pieni di queste piacevoli chiacchiere.”
“Volentieri. E, dato che mi sembra da maleducata non risponderti, sto scrivendo un libro.”
“Un libro?”
“Sì, un libro. Tranquillo, non sono una scrittrice, molto semplicemente mi piace usare la matita su queste pagine banche davanti ad una fumante tazza di thè caldo e, perché no, anche un piattino pieno di deliziosi biscottini come questi.”
 
“ALESSANDRO!”
Il ragazzo si voltò e Leonardo gli andò in contro. Era da qualche giorno che sperava di riuscire ad incontrarlo a fine allenamento e quando accadde si sentì quasi sollevato.
“Senti, ma tua sorella? Che fine ha fatto?”
“Perché non lo chiedi a lei? Siete amici ora, giusto?”
“Ehm, non proprio.”
Leonardo era convinto del fatto che Alessandro in realtà sapesse tutto, ma non proferì parola.
“Ma se hai qualche problema con lei, perché non lo risolvi con lei? A cosa ti servo io?”
“E’ così che si trattano dei vecchi compagni di calcetto? Non mi sembra di starti chiedendo qualcosa di assurdo?”
“Scusa Leo, hai perfettamente ragione. E’ che so che hai discusso con mia sorella e a me queste cose non piacciono, non la voglio vedere giù di morale o qualcosa del genere.”
“E’ giù di morale per colpa mia?”
“Assolutamente no, ma non vorrei mai che accadesse né per colpa tua, né per colpa di altri. Quindi, se devi chiedermi qualcosa riguardo a lei, è meglio che tu vada direttamente da Sofia. Non ti sbatterà nessuna porta in faccia, la conosco e so che se fa la dura la maggior parte delle volte lo fa solo per apparenza.”
“Il fatto è che non so se avrà voglia di parlarmi, in fin dei conti io volevo solo chiarire con lei e spiegarle il perché delle mie parole.”
“Vuoi un consiglio? Quando parli con lei, che tu lo faccia da conoscente, da amico, o da qualsiasi altra cosa, beh, impara a dosare le parole. Sofia è la persona più sensibile sulla faccia della terra e anche il minimo scherzo, detto nel momento sbagliato, rischia di provocarle nervosismo al punto da chiudere i rapporti con una persona per molto tempo.”
“Grazie.”
Leonardo gli era davvero grato, nonostante il suo problema non fosse il come rivolgersi a lei, ma come approcciare nuovamente un discorso con Sofia.
In quei giorni aveva cercato più volte di convincersi che se quell’amicizia era durata poco avrebbe anche potuto fare finta che non fosse mai accaduta, ma c’era qualcosa in Sofia che aveva catturato la sua attenzione e questo non poteva negarlo a sé stesso.
“Ma ti interessa mia sorella?”
Il ragazzo si sorprese di quella domanda così inaspettata. Pensava che Alessandro una volta voltate le spalle se ne stesse andando sul serio, e invece si era girato e nuovamente aveva ripreso a parlare con lui.
“No, perché?”
“Sicuro?”
“Certo. Ci ho parlato a malapena per un paio di ore, intendo parlarci senza insultarla come al mare o senza litigarci come è accaduto l’altro giorno, quindi come potrebbe interessarmi?”
“Ma niente. Era una domanda così. Giusto perché nel caso volevo informarti del fatto che saresti il primo calciatore che lei non ha criticato. Anzi, non ti ha criticato all’inizio. Ora sono un paio di giorni che non fa altro che insultarti. L’altro giorno l’ho trovata a parlare con Charlotte, le diceva di non fidarsi mai dei ragazzi e roba del genere. Sofia è matta a volte, ma forse questo non avrei dovuto dirtelo.”
Alessandro questa volta se ne andò sul serio e Leonardo rimase per un attimo a sorridere tra sé e sé pensando a Sofia che parlava con la sorellina cercando di darle consigli che la piccola Charlotte non avrebbe ancora potuto capire.
 
“Ale quando torna il babbo?”
“Se non lo sai tu vuoi che lo sappia io?”
“Poteva averti inviato un sms, che ne posso sapere? Potresti essere più gentile però, quando torni da allenamento sei sempre insopportabile ultimamente.”
Alessandro era sulla porta del bagno con addosso l’asciugamano legato al ventre e i capelli ancora bagnati per la doccia appena fatta. Chissà per quale assurdo motivo si lavava sia negli spogliatoi che a casa, Sofia non l’aveva mai capito.
“Scusa Sofi, è che sono stanco. Non voglio risultare scorbutico, sul serio.”
“Ti capisco Ale, ma i problemi che non riguardano la nostra famiglia lasciali fuori, okay? Con me puoi sfogarti, lo sai, ma non voglio che papà ti veda nervoso.”
Sofia si avvicinò e lasciò un breve braccio sulla guancia del fratello.
“Film e pop corn stasera? E’ un po’ che non passi una serata con le tue sorelline, me la devi!”
“Come potrei dire di no?”
La ragazza scese le scale giusto in tempo per sentire il campanello suonare. Convinta che fosse suo padre arrivò alla porta con calma. Aprì.
“Tu? Tu cosa ci fai qua?”
“Non mi avresti dato un’occasione per chiederti scusa se te l’avessi chiesta.”
“E presentarti a casa mia così, dal nulla, credi che sia un’occasione?”
“Ci sto provando…”
“Interessante.”
Alle spalle della ragazza Alessandro strava scendendo le scale. Vide Leonardo e gli sorrise. Sofia non avrebbe mai saputo che dopo avere salutato il –collega- quest’ultimo l’aveva quasi rincorso per chiedergli l’indirizzo di casa chiedendogli poi se la sorella sarebbe stata a casa quella sera stessa.
“Senti, quello che ho detto non lo volevo dire sul serio.”
“Dunque, voglio essere buona, ti do esattamente due minuti per dirmi tutto ciò che vuoi dirmi, dopo di che se non sentirai uscire nulla dalla mia bocca vuol dire che dovrai andartene, in caso contrario dipende da cosa dirò.”
“Grazie. Meglio che niente. Allora, è vero, ho nuovamente usato parole non troppo carine per riferirmi a te, ma c’è un motivo. Mi fa innervosire in una maniera pazzesca la curiosità dei miei amici. Sono una persona piuttosto riservata e già convivere con i paparazzi che mi inseguono dappertutto non è facile. Ti starai chiedendo cosa possa fregartene, ma se oltre ai paparazzi ci metti anche gli amici che ti riempiono di domande scomode, beh, fidati, probabilmente ti innervosiresti anche tu. Non ho un briciolo di privacy e l’altro giorno quando, dopo avere passato un piacevole pomeriggio con te, mi ha chiamato un mio caro amico che non si sa come sapeva già tutto e mi ha chiesto di raccontargli, beh, sono andato su tutte le furie e non ho capito più nulla. Non mi sto giustificando anche perché non ho valide motivazioni, ma ti chiedo di scusarmi, se riesci.”
“Wow, meno di due minuti. Assurdo. Mi sorprende quasi il fatto che tu sia riuscito a mettere così tante parole una dopo l’altra senza fare nemmeno un errore.”
“Quindi? Scusato?”
“Non mi sembra di averti perdonato. Perché ci tieni così tanto alle mie scuse?”
“Perché non ho mai avuto modo di conoscerti, e ora che posso farlo non vorrei mandare tutto a puttane per colpa di un mio momento di assoluto nervosismo.”
“Ti avevo già dato un’altra possibilità.”
“E io l’ho sprecata, lo so, ma ti sto chiedendo scusa.”
Sofia rimase in silenzio per alcuni istanti senza sapere cosa fare o dire. Non voleva dargliela vinta così facilmente e in suo soccorso arrivò proprio in quel momento una telefonata a Leonardo che le consentì di pensare per ancora qualche istante.
“…dammi solo un attimo mamma, il tempo di avvisare il mister e chi di dovere e parto.”
La ragazza alzò di scatto la testa e notò che l’espressione del ragazzo era opposta a quella di pochi secondi prima. Il sorriso si era trasformato in ansia e sembrava decisamente allarmato.
“Che succede?”
“Hanno ricoverato d’urgenza mio nonno, ma mia mamma aveva la voce rotta dal pianto e non è riuscita a dirmi altro. E’ ancora vivo, questo l’ho capito, ma non so per quanto ancora lo sarà. Devo correre.”
Ma non si spostò di un centimetro, la notizia doveva starsi facendo spazio nella sua mente.
“No, il nonno no. Non può andarsene.”
A quelle parole di Leonardo Sofia per un attimo ebbe come la certezza che il panico si stesse impossessando di lei, certi ricordi erano ancora troppo vivi in lei e sentiva l’ansia pulsarle nelle vene. L’espressione affranta del ragazzo non l’aiutava affatto.
“Vengo con te.”
Esclamò poi prendendo delicatamente il polso del ragazzo e stringendolo nella sua mano.
“Cosa?”
“Dammi solamente un minuto, il tempo di avvisare mio padre e di dire ad Alessandro di mettere a dormire Charlotte.”
“Non ce n’è bisogno…”
“Ne avrai bisogno, fidati!” 

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bene ragazze mie, eccovi il quinto capitolo (con un po' di ritardo, scusatemi). che ne pensate? come al solito voglio che siate sincere, mi raccomando.
ah, per chi volesse saperlo, Darren è ispirato fisicamente al vero Darren Criss (Blaine Anderson in Glee) e spero possa diventare un personaggio importante nella FF. dico "spero" perchè non avevo pensato a lui nella mia trama, ma oggi mentre scrivevo del bar ho voluto infilarlo con l'intento di renderlo partecipe all'interno della trama della storia. spero sarà di vostro gradimento.
un abbraccio, Eli.
  
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