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Autore: La sposa di Ade    20/05/2012    3 recensioni
Volute di fumo si innalzavano dalla macerie di quella che una volta era stata la capitale più fiorente del mondo degli Umani, l’ immensa e sfarzosa Ethis era ora ridotta a un campo di battaglia per un’ ultima guerra.
Una figura, pallida e barcollante, affacciata alla finestra della sua stanza osservava con occhi di pece quello scenario troppo familiare, così poco era passato; quel breve periodo di dopoguerra in cui chiunque si trascinava in cerca di una luce, seppur effimera, era finito. Sostituito da ciò che di peggio si poteva immaginare.
Il suono della battaglia, cozzare di armi, schizzi di sangue e morte si era diffuso ovunque, un requiem caotico risvegliava una sete di sangue che da tempo sperava di aver abbandonato, sperava di averla lasciata in quella cella due anni prima insieme a tutto quel sangue che aveva versato solo per il desiderio di uccidere. Con una daga legata al polso e ciò che restava dell’ Ala d’ Argento avrebbe combattuto, gustandosi tutto il sangue che sarebbe riuscita a versare.
6° Classificata
al contest ‘Aboliamo gli Happy Endings!’ indetto da
WodkaEiffel
Genere: Angst, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dirty souls'
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Ci sono riuscita!!! :D Quindi, sinceramente non ho quasi nulla da dire, forse perchè sono troppo fusa per continuare a scrivere? Si può essere, sono solo le 23.52!
Come al solito ringrazio Homicidal Maniac (dove sarei senza di te?) e  tutti i lettori silenziosi. Ancora una volta sono stata costretta a dividere un capitolo perchè altrimenti sarebbe risultato troppo lungo, la prossima parte spiegherà e farà un po’ di luce sugli avvenimenti del passato e della futura continuazione della fic, ah! Sappiate che ormai manca poco alla fine! Non più di cinque capitoli in cui succederà di tutto, i nostri protagonisti saranno piuttosto impegnati (credo). :D

Buona lettura sonnambuli :)

 

 

Capitolo 16. Ala d’ Argento. Parte 1

“Non c’è via d’uscita, e adesso devi chiederti
Chi ti tirerà fuori quando sarai sei piedi sotto terra? *”

[Nickelback – This means War]

Strade affollate del tutto sgomberate in questa terra di finzione, morta e arida.
Sembrava un deja-vù camminare per le strade del mondo degli Umani e per quelle delle Creature Oscure, quasi la stessa desolazione e lo stesso silenzio, una delle poche cose che era davvero differente era il cielo lì plumbeo e grigio. Ora, non per rovinare tutto, ma Neah preferiva di gran lunga la pioggia, quando il cielo piangeva per lei, perché lei non si sarebbe mai permessa di versare inutili lacrime per qualcosa che non poteva essere cambiato.
Ed eccola, dopo poco, la grande reggia del re Eiron.
Davanti a lei un’ imponente struttura si stagliava contro il cielo cinereo, un numero esagerato di scale di roccia illuminate da pentacoli la precedeva.
Un senso di disgusto si fece largo dentro di lei facendole storcere la bocca e mettendo in risalto il viso sfregiato dalle cicatrici alla luce soffusa del giorno, stava scappando, lei che aveva sempre affrontato guerre con il sorriso sulle labbra stava andando ora a nascondersi con la testa china dagli Umani, quelli che fino a pochi anni prima si dilettava ad uccidere crudelmente.
Abbassò lo sguardo sulle sue mani, o meglio, su quello che ne rimaneva, -il moncherino sinistro continuava a dolerle anche se ormai si era cicatrizzato- mani sporche che innumerevoli volte si erano strette attorno ad else e gole, portò la mano destra al viso e la passò diverse volte davanti all’ occhio destro, stava guarendo lentamente, vedeva ancora nero ma riusciva a scorgere il cambiamento della luce quando le dita ci passavano davanti. Sospirò lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, scoraggiata.
Fece il primo passo sul primo scalino e subito un crampo aggredì il suo polpaccio facendole perdere l’ equilibrio, sbatté il ginocchio sulla roccia, altro dolore le fece credere di esserselo rotto, si lasciò scappare un gemito mentre appoggiava le mani sugli scalini per rimettersi in piedi immediatamente le sembrò di sentire lame conficcarsi nel palmo della mano e nel moncherino restante, era quelle l’ effetto degli incantesimi di indebolimento.
Ma alla fine non era stato così faticoso, a parte l’ impatto doloroso con il primo scalino il dolore iniziava a scemare e ad essere sopportabile. Giunse al primo spiazzo tra una scalinata e le due diramazioni, alzò lo sguardo e vide la scalinata di destra, più lunga e luminosa portare alla reggia sorvegliata e controllata da guardie appostate quasi ovunque, mentre la scalinata sinistra e meno luminosa sembrava portare a uno spiazzo verde.
 

Si muoveva con sicurezza nel palazzo, con una meta precisa, doveva chiarire un paio di cose con il padre.

“Che cosa sta succedendo di preciso?”
“Guerra Rhies, pura e semplice guerra.” Si era girato per sorridergli appena, eccitato dall’ idea della vendetta. “È il momento di prepararsi.”

La vista della porta in ebano nero interruppe i suoi pensieri, bussò un paio di volte e non ottenendo risposta decise di entrare; la stanza sfarzosa di suo padre era vuota.
Uscì e fermò un’ ancella che stava passando chiedendogli dove si trovasse il padre, venne a sapere che era in giardino con l’ ospite che era arrivato da poco, capì che si trattava di Azue.
 

“Sicuro di volerlo fare?” Chiese il Generatore ad Eiron, ancora si divertiva a trattare il re come un suo pari. Si guardarono per un breve istante, nel quale Azue sistemò meglio la vanga sulla spalla. Erano nel retro del castello, nella zona in cui si trovava il cimitero della reggia, sulle lapidi erano incisi i nomi di numerosi guerrieri feriti in guerra e successivamente morti una volta tornati a casa subito dopo la guerra; le Creature Oscure facevano spesso quell’ effetto, non uccidevano subito, ma lasciavano che la morte ti perseguitasse, e una volta tornati al sicuro a casa, così anche se la guerra veniva vinta dagli Umani le loro perdite potevano essere associate ad una sconfitta.
“I vostri soldati sono piuttosto bravi, seri, abili, forti…” Allungò l’ elenco con una mare di aggettivi simili e del tutto casuali, naturalmente solo i primi due aggettivi erano stati pensati davvero, fino a che il re non lo interruppe.
“Non basta la bravura per vincere la guerra, non basta essere delle persone serie che non farebbero del male a qualcuno di indifeso. Bisogna volerla la vittoria, ed essere furbi, subdoli e non dispiacersi per l'avversario. I vivi non bastano per questa guerra.” Il generatore si bloccò, piacevolmente sorpreso.
“Capisco.” Disse solamente, infilzando la vanga nel terreno morbido e umido come se dovesse trafiggere un corpo riverso lì a terra, senza pietà. “Del resto la vendetta non ha alcun prezzo.” Disse sommessamente, ma non abbastanza per non farsi sentire.
“Come, scusa?” Solo suo figlio sapeva della vendetta che aveva intenzione di compiere. Il Generatore sollevò gli occhi d’ oro dalla buca che stava scavando puntandoli in quelli scuri del re.
“Non credere che non l’ abbia capito.” Disse guardandolo di sottecchi, con la schiena piegata sulla vanga. “L’ Ala d’ Argento è un’ arma potente, niente di meglio per una vendetta ben fatta. Ora…” Raddrizzò il corpo reggendosi con un braccio sulla pala conficcata nel terreno scuro con una posa fredda e rigida, come per voler chiarire che non avrebbe portato avanti il lavoro se non avesse ottenuto una risposta . “Di chi vuoi vendicarti?” le labbra del re si stesero leggermente.
“Potrei mentirti.” Ripetè la risposta che gli aveva dato poco prima.
“Di nuovo? Oh, andiamo, scoprirei la verità in poco tempo.” Disse beffardo il Generatore sistemandosi meglio sulla vanga.
“Voglio vendicarmi dell’ Ala d’ Argento.” Ancora, il Generatore rimase sorpreso, non si aspettava che gli Umani fossero così pieni di sorprese, e in parte anche stupidi, come si poteva anche solo sperare di uccidere una leggenda senza rimetterci la vita? Si mise ritto e sfilò la vanga dal terreno rimettendosi a scavare.
Questa è un’ idea originale.” Il re sbuffò stizzito dicendo che si sarebbe ritirato nelle proprie stanze, lasciando ovviamente il lavoro da fare ad Azue.
“Dimenticavo, la fossa comune è lì.” Disse Eiron indicando la parte più limitare del cimitero, vide gli occhi ambrati di Azue illuminarsi ancora di più e le sue labbra allungarsi in un sorriso sghembo.
Dopotutto per il Generatore quella era una bella giornata.
Ma si stufò dopo pochissimo di scavare, quando gli venne in mente quello che gli aveva detto Eiron.

Dimenticavo, la fossa comune è lì.
Buttando a terra la vanga e uscendo dalla buca che stava scavando con l’ entusiasmo di un bambino si diresse nella parte più lontana del cimitero, una nebbia umida era scesa tutt’ intorno, dando al quel luogo un senso di abbandono ancora più forte di prima, strano che non fosse già finito nel dimenticatoio, lui detestava quei posti; costruire lapidi e monumenti commemorativi solo per soffrire e versare inutili lacrime per una persona che ormai non può più sentirti era inutile e angoscioso, secondo lui.
Senza esitazione si buttò nella fossa comune atterrando miracolosamente in piedi sulla schiena di un cadavere, allargò un attimo le braccia per mantenere l’ equilibrio e quando fu sicuro di riuscire a stare in piedi inspirò con il naso il puzzo di putrefazione che i corpi esalavano, un mezzo sorriso si allungò sulle sue labbra. Iniziò a guardarsi intorno in cerca di un cadavere in condizioni decenti da poter riportare in vita.
Le mosche gli ronzavano intorno e forse furono quelle a fare in modo che non si accorgesse della presenza seduta sulla lapide lì vicino.
“Credevo che il lavoro di un Generatore fosse più divertente.” Sollevò lo sguardo e quello che vide fu una giovane donna fasciata da abiti scuri come i suoi capelli, raccolti in una lunga treccia che si posava sul suo petto, il viso sfregiato da pallide cicatrici risaltavano sul volto nonostante il suo pallore andasse vicino a quello del Generatore, i polsi incrociati sopra le ginocchia accavallate, un moncherino lasciato lì in bella vista come se non le importasse niente. A sua volta lei fissò il Generatore in piedi sui cadaveri, la fossa comune non era abbastanza profonda da raggiungere l’ altezza di Azue ma dalla posizione in cui si trovava Neah spuntava solo la testa, e per un momento immaginò di seppellirlo così.
“Vuoi divertirti con me?” Chiese lui allargando le braccia e avvicinandosi al bordo della fossa continuando a calpestare i cadaveri, ogni tanto sentendo lo scricchiolio di qualche osso che si rompeva sotto il suo peso.
“Esci.” Disse lei alzandosi dalla lapide.
“È un ordine?” Chiese Azue trattenendo una lieve risata.
“È un invito.” Rispose lei in un soffio, l’ occhio buono aveva un colore del tutto innaturale, era di un verde purissimo, senza alcuna striatura, era dello stesso colore dell’ erba dei campi aperti, l’ altro semplicemente, era vitreo, come quello di un pesce.
“Accettato.” Il Generatore sorrise appoggiando i palmi delle mani sul bordo della fossa e issandosi su, pezzi di terra e polvere caddero sui cadaveri calpestati con un suono triste.
Si mise in piedi e si guardò intorno spolverandosi con le mani gli abiti scuri e impolverati, la nebbia era scesa ancora e a malapena riusciva a vedere la lapide lì vicino –ma non c’era anche un salice lì?- gli venne quasi automatico portare una mano sulla linea delle sopracciglia come per proteggersi dal sole in una giornata estiva troppo assolata, inutilmente, ma comunque non vedeva più l’ Ala d’ Argento. Si guardò un attimo intorno sentendo il peso di quell’ atmosfera nella gola e scuotendo lievemente la testa, una sensazione di fastidio si appostò sotto il suo sterno dandogli l’ impressione di essere stato preso in giro, le sua labbra si stirarono in un ghigno mente meditava vendetta, e vedeva una sagoma alta e scura poco lontano in contrasto contro la nebbia.
Lasciò fluire l’ energia nelle sue mani e si vi si avvicinò con passo svelto, era troppo concentrato sulla preda per accorgersi che in realtà la persona che voleva colpire era dietro di lui. Se ne rese conto solo quando constatò che davanti a lui c’ era solo quel vecchio salice bitorzoluto e quando si sentì spingere con forza da dietro.
Andò a sbattere contro la corteccia ruvida, imprecò sottovoce e si sentì afferrare per la spalla con forza, si ritrovò con la schiena contro l’ albero e con uno stiletto conficcato nella sua mano contro il tronco, il tutto accadde in pochissimi istanti, troppo velocemente perché potesse reagire.
“Rivoglio la mia mano, o giuro che mi prendo la tua.” Le sue parole giunsero lontane, attutite ancora dal dolore che lo aveva momentaneamente stordito, probabilmente doveva aver sbattuto con forza anche la testa contro il tronco.
“Sapevo che saresti venuta qui.” Sorrise lui riducendo gli occhi a due fessure.
La guardò negli occhi e per la prima volta si accorse di quanto repentinamente il colore delle iridi potesse cambiare, quel verde acceso che aveva intravisto poco prima nella nebbia stava ora cambiando velocemente in un rabbioso rosso.
“Azue hai finito?” Sentirono una voce provenire da poco lontano, era la voce del re che sembrava arrivato proprio al momento giusto, entrambi si voltarono cercando di intravederlo fra la nebbia.
“Mi hai dato da fare un lavoro lungo e faticoso.” Rispose il Generatore spostando velocemente lo sguardo su Neah e sullo stiletto ancora conficcato nella sua mano.
“Ma…” Continuò a parlare aggiungendo suspense al monosillabo, mentre tentava di raggiungere con la mano sana l’ arma, ma la vampira se ne accorse e con uno scatto fulmineo appoggiò il palmo della sua mano sull’ elsa del pugnale, conficcandolo ancora di più nel legno, il sangue scuro –forse troppo scuro- sgorgava copioso e colava sulla sua pelle pallidissima creando un lugubre contrasto
“Nonostante un piccolo imprevisto,” Sussurrò volgendosi verso la vampira che lo fissava con rabbia, mentre lui tentava contro la sua forza di liberare la sua mano dal tronco e di non lamentarsi per il dolore.
“Sono a buon punto.” Voltò la testa verso la fossa comune dalla quale si era appena levato un lieve rantolo.
 

“Su, su tranquilla!” Esclamò l’ elfo appoggiando le mani sul muso della giumenta ramata mentre tentava di calmarla, si strofinò gli occhi assonnato e stanco, mentre la cavalla continuava imperterrita ad agitarsi.
Non riusciva a capire cosa potesse averle preso, il morbo della cavalla pazza forse? Le andò accanto, raccogliendo da terra una bottiglia di birra e bevendone un sorso, per controllare che briglie e sella fossero messi bene, probabilmente c’ era qualcosa che le dava fastidio quando all’ improvviso la giumenta si calmò, senza un apparente motivo, lasciando Zephit non poco perplesso.
“Ti sei decisa?” Accarezzò un paio di volte la criniera scura, ma staccò subito la mano quando sentì un dolore lancinante sul palmo della mano, la strinse al petto lasciando cadere la bottiglia –sperando che non andasse in frantumi- per stringere la mano dolorante che ora aveva preso a sanguinare, un taglio verticale profondo dal palmo fino al dorso della mano si era aperto nella sua pelle pallida.
“Che stai combinando, Azue?!” Imprecò, chiedendosi perché quel dannato Generatore non potesse starsene un po’ tranquillo a bere birra scadente come faceva lui piuttosto che andare in giro a istigare la gente e a farsi ferire, e di conseguenza a far ferire anche Zephit.

* Sei piedi sotto terra: ovvero la profondità a cui vengono sepolte le bare. Nel testo della canzone: Six feet under

  
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