Capitolo
6
Possibilità dell'amore
Il
nostro bacio con il passare del tempo cambiò, diventando
meno dolce e più
selvaggio.
Potevo
quasi sentire il lupo uscire dalle catene che Jake gli aveva costruito
intorno
e prendere il sopravento.
Le
sue mani sembrarono danzare sul mio corpo. Imparai, in quel bacio, che
cosa
volesse dire il possesso. Il possesso vero, perché Jake, lo
percepivo, mi
voleva come un uomo vuole una donna. Mi voleva con la certezza di stare
finalmente arrivando a qualcosa che avrebbe dovuto da sempre essere sua
ed io
volevo lui con la stessa disperata intensità. Quel contatto
sembrò essere
divenuto improvvisamente troppo misero.
Senza
interrompere il nostro bacio spinsi il suo petto fino a farlo sdraiare
sulla
sabbia. Mi spostai sopra di lui, andando a intrecciare le mie gambe ai
suoi
fianchi. Era come se non avessi più bisogno di respirare.
Jake era il mio
ossigeno. Sentii sempre più caldo, irradiarsi dal mio ventre
in tutto il corpo.
Il mio bacino aderiva perfettamente al suo, i nostri respiri oramai
erano
gemiti rochi. Era la mia voce quella che pronunciava il nome di Jake
distorta
dal piacere?
Percepii
l’eccitazione crescente di Jake
attraverso la stoffa dei nostri jeans e fu come essere colpita da una
doccia
gelida.
Mi alzai di scatto da lui,
inciampando e
ritrovandomi di nuovo seduta sulla sabbia. Che stavo facendo? Sentii
l’anello
di fidanzamento scottarmi la pelle dell’anulare.
Edward.
Ero
indegna di lui.
Guardai
Jake. Era tornato anche lui a sedersi. Fissava l’orizzonte,
con il sole ormai
alto nel cielo e il suo viso non riusciva a celare la confusione ed il
dolore.
L’avevo ferito. Ancora. L’avevo cercato,
l’avevo provocato e lo avevo
rifiutato. Di nuovo. Quanto ancora avrebbe sopportato?
Chiusi
gli occhi ed iniziai a piangere, vergognandomi di me stessa.
Che
razza di mostro ero diventata? Sentii la sua mano accarezzarmi la
schiena. Non
si avvicinò. Si allungò solo sfiorandomi appena.
“Non
piangere, Bells. Mi spiace. È tutta colpa mia.”
Presi
a singhiozzare più forte udendo quelle parole e lui
fraintese le mie lacrime,
continuando a cercare parole di conforto.
“Non
dovevo…è stato…non ti
toccherò più, Bells. Nemmeno per sbaglio, ma
smettila di
piangere.”
E
ora lei piangeva. Cercai di consolarla, ma non volevo toccarla troppo.
Ero
convinto che mi odiasse ormai. Che mi era saltato in mente? Come hai
potuto
pensare, stupido lupo, che lei fosse tua fino a quel punto?
Dannati,
dannati ormoni. Scommetto che il succhiasangue non abbia mai avuto di
questi
problemi. Lui non la spaventa, lui non ha un corpo che…
diamine! Certo che no,
lui è morto!
Sospirai
affranto, alzandomi in piedi:
“Ti
riporto a casa.” Cercai di aiutarla a rialzarsi, allungando
la mia mano ma lei
la rifiutò continuando a piangere.
Ci
dirigemmo a casa mia. La Golf era posteggiata in garage ed entrarci con
lei fu
come riportare a galla frammenti di una vita ormai morta. Le ombre del
passato,
di quello che eravamo stati, sembrarono riempire la stanza e Bella
piangeva
ancora. Non sapevo cosa dire, non sapevo cosa fare per farla smettere.
Dovevo
solo restare a distanza di sicurezza. Non dovevo sfiorarla.
“Perché
non può tornare tutto come allora, Jake?” Lo
sussurrò appena fra i singhiozzi,
ma sapeva che io potevo udirla.
“Perché
ti amo.” A che serviva mentirle? A che serviva dirle che, se
lo avesse voluto,
avrei dimenticato quello che era successo? Che sarei stato solo il suo
migliore
amico? Non avevo mai voluto essere solo un amico per lei. La
verità era che,
anche quando aggiustavamo quelle moto, ero innamorato di lei. La
verità era
che, già allora, la sognavo tutte le notti e volevo sentire
il gusto delle sue
labbra che immaginavo sapessero di ciliegia. La verità era
che, ora ne ero
certo, non mi sarei mai e poi mai pentito di quello che era successo in
quella
spiaggia. Forse era stato improvviso, esagerato, eccessivo. Avevo
lasciato che
il mio istinto prendesse il sopravento, ma anche lei voleva me. Ne ero
certo.
Lei mi amava. Come era già successo, prima della battaglia,
il suo corpo aveva
parlato e molto più chiaramente di quanto facesse lei
stessa. Non si era ancora
sposata con Edward. Dopo la morte di Renèe ne avevamo
parlato, si era confidata
con me e sapevo che non si sentiva ancora pronta . Voleva
aspettare… ma io ero
sicuro ci fosse dell’altro e che, qualche granitica certezza
dentro di lei, si
fosse sgretolata. Era il mio momento. Era l’ultima chance per
Jacob.
Ci
mettemmo in macchina. Bella puntò lo sguardo sulla strada,
ben attenta a non
incrociarlo con il mio, finché non sentii quel famigliare
odore di morte giungermi
alle narici. Appena fuori dal confine, infatti, era posteggiata
l’auto di
Edward.
Fermai
la Golf e imponendomi di restare calmo, le aprii la portiera.
Supplicarla di
restare lì con me non avrebbe portato a niente, come
l’ultima volta. Così la
lasciai andare, osservandola salire sulla macchina del mio nemico e
sperando,
con tutto me stesso, in un finale diverso.
Ci
fermammo nel vialetto di casa mia. La macchina di Charlie non vi era
ancora
posteggiata, probabilmente era stato trattenuto a lavoro. Misi mano
alla
maniglia per aprire la portiera quando, con la coda
dell’occhio, lo vidi
rimanere immobile al posto di guida. Corrugai un sopracciglio incerta.
“Non
vieni?” Lo sentii raccogliere l’aria e riempirsene
i polmoni. Il mio cuore
accelerò i battiti mentre lo stomaco iniziava a contorcersi
per l’ansia. Se un
vampiro, che non ha bisogno d’ossigeno, inspira in quel modo
è per forza un
brutto segno. E infatti, con evidente fatica, iniziò a
parlare.
“Sei
sparita dalle visioni di Alice. Mi trovavo al confine per questo. Ero
preoccupato. Ma… hai il suo odore addosso Bella. E non
è come le altre volte.
E’ più forte.”
La
mia mano era ancora appoggiata alla maniglia. Tornai seduta,
sprofondato con la
testa sul sedile. Avevo paura di che significato avessero quelle parole
per
lui, per noi. Il senso di colpa era insopportabile.
Il
magone mi assalì, ma cercai di controllarlo ed Edward
continuò.
“A
volte vorrei davvero riuscire a leggerti nel pensiero, per capirti bene
come
invece sembra fare lui. Sarebbe tutto più semplice. Forse
avrei compreso prima
che il rimandare il matrimonio non è stato solo per tua
madre.” Provai a
ribattere ma lui mi bloccò, posando il suo dito gelido sulle
mie labbra
dischiuse.
“No,
Bella. Non voglio che tu dica che non è vero. Sappiamo
entrambi che sarebbe una
bugia. Avrei dovuto prestare più attenzione alle tue lacrime
dopo la battaglia.
In quel pianto era la tua anima ha parlare ed io, invece, sono voluto
restare
sordo. Devi essere libera di vivere la vita che vuoi davvero, Isabella.
Io devo
lasciarti libera. Ho l’eternità davanti per
aspettarti ma tu pensaci bene, solo
questo ti chiedo: sei proprio sicura di aver fatto la scelta
giusta?”
Le
sue braccia forti si strinsero al mio fragile corpo con disperazione.
Sentii il
dolore fuoriuscire come veleno da tutte le parole che a fatica aveva
pronunciato e non potevo fare nulla per alleviarlo.
Che
avrei potuto dirgli? Che si sbagliava? Che non aveva capito niente? Che
amavo
solo lui?
Come
potevo urlargli il mio bisogno disperato di lui, se in quei mesi mi ero
aggrappata, con la poca forza che mi restava, a Jake? Se in quella
spiaggia,
insieme a lui, era stato come ritrovare ossigeno e vita?
Così rimasi in
silenzio. Gli strinsi solamente
la mano mentre lui mi lasciava davanti alla porta di casa, posando
sulle mie
labbra un bacio che sapeva di un sogno che forse non si sarebbe mai
più
realizzato.
A
Lunedi prossimo.
Noemi.
Ps:
ho pubblicato una storia su Embry la trovate qua: Father's
Day