CAPITOLO 2
PREOCCUPAZIONI
La palla di neve volò veloce
nell’aria e finì in faccia ad Inuyasha,
colto di sorpresa. Il giovane mezzo-demone ignorò la cosa, facendo appello a
tutta la sua poca pazienza e tornò a guardare il pozzo, con aria spazientita.
Shippo
sospirò, tornando a concentrarsi sul suo gioco con Kirara. Decisamente, quel giorno Inuyasha non era di buon umore, e il fatto che non
rispondesse alle provocazioni, cosa peraltro rara se non praticamente
inimmaginabile, era segno evidente della sua preoccupazione.
“Inutile che tu stia lì ad
aspettare, Inuyasha. La
divina Kagome ha detto che
non sarebbe ritornata prima di un paio di giorni”.
Un giovane monaco gli si
avvicinò, posandogli una mano sulla spalla, scuotendolo dai suoi pensieri.
“Miroku…hai detto qualcosa?”. Il giovane sospirò;
decisamente c’era qualcosa che non andava e alla fine si decise a chiedere
spiegazioni all’amico. Il mezzo-demone, gli fece semplicemente cenno di
seguirlo e si allontanò dal pozzo in direzione del villaggio.
“L’hai avvertita anche tu, non è
vero? Un’aura demoniaca immensa, più grande anche di quella di Naraku. E in mezzo il fetore di
quel maledetto…”
Erano orami passati due giorni da quando un’aura di incredibile
potenza era esplosa in direzione del monte Fuji, e il fatto che l’odore del suo acerrimo nemico
vi fosse mescolato, rendeva Inuyasha
quanto mai preoccupato.
“Temi che stia preparando
qualcosa?”
“Non ne ho idea. Il bonzo sei tu.
Prova a vedere se percepisci qualcosa con i tuoi poteri. Il mio fiuto fa
cilecca in questo momento. Troppa neve”.
“Sono un monaco. Non un bonzo; e
tanto meno un veggente. E comunque neanch’io
percepisco qualcosa. L’aura dell’altro giorno era fortissima, ma si è esaurita
in fretta. Non credo che ce ne dovremo preoccupare”.
Inuyasha
annuì, ma con poca convinzione. Non era tranquillo. Era come se avvertisse una
minaccia, ma il senso di paura e di allarme che piano piano gli si stava formando nel cuore non lo aveva
mai provato prima. Ed era soprattutto questo a spaventarlo.
*****
Due giorni. Era da due
maledettissimi giorni che camminava con la neve alle ginocchia, arrancando. Non
riusciva a orientarsi. Albero, albero, roccia, muschio, Nord…Lei s doveva
dirigere a Est…Albero, albero, precipizio…Punto a capo. Gettò scoraggiata lo
zaino a terra e si sedette ai piedi di un albero che sembrava aver voluto
ritagliare per lei uno spazio verde in tutto quel bianco. Non ci capiva più
niente. Quella montagna era un vero e proprio labirinto.
Maledisse Ginta per l’ennesima volta. Come
diavolo gli era passato per la testa l’idea di andare a pattinare a un laghetto
del monte?
“Conosco perfettamente la strada”
aveva detto, “ci divertiremo e faremo anche una bella escursione.”
Sospirò. La colpa non era di Ginta. Certo, lui era stato un
incosciente; ma la colpa vera ce l’aveva
lei. Per essersi lasciata convincere. Per aver voluto fidarsi di nuovo. Perché
aveva voluto provare a crederci, in quei ragazzi. E adesso si trovava nei guai.
E non sperava più neanche in un aiuto. Diamine, dopo due giorni i soccorsi
sarebbero dovuti arrivare e anche se lei si era mossa aveva lasciato dei
segnali ben visibili.
E invece nulla. Silenzio
assoluto.
Si rimise in spalla lo zaino e si
rincamminò. Sicuramente non sarebbe arrivata ad un qualche villaggio, ma un
riparo per la notte lo doveva trovare. Anche perché il cielo non minacciava
nulla di buono.
*****
“Mi dispiace, padrone. Non so
come sia potuto accadere. Mi devo essere distratto un attimo, e lei ne ha
approfittato per allontanarsi. Quello
ragazzina…Lo sa che non deve farlo…Non è stata colpa mia, lo
sapete come è fatta…se vede qualcosa che le interessa…”.
Il piccolo demone verde era
inginocchiato a terra, nella neve fresca. Prostrato. E continuava a blaterare
parole di scusa che il suo signore non ascoltava nemmeno. Gli davano, anzi, un
profondo fastidio. Più del solito.
“Smettila”.
“Ma…mio signore…”. L’occhiata
gelida che ricevette fu più eloquente di
qualunque parola, e il piccolo demone si allontanò strisciando.
Sesshomaru
socchiuse gli occhi, respirando mentalmente. Odiava il vociare concitato, il
rumore insistente e continuo, le parole vuote. E odiava le scuse. Soprattutto
quelle di Jacken. Questa
volta gliela avrebbe fatta pagare. Gli aveva affidato un compito, e lui aveva
fallito. Lo avrebbe punito. Sicuramente. Ma dopo.
Ora un’altra cosa gli premeva.
Ritrovarla. Perchè gli mancavano le sue risate. L’unica voce che non gli
risultasse sgradevole.
Non gli sarebbe stato difficile,
ritrovarla. Il suo odore lo conosceva bene e lo avvertiva ovunque intorno a sé,
e poi nella neve si vedevano
chiare le sue impronte. No, non sarebbe stato difficile per lui.
Una folata di vento gli
scompigliò i lunghi capelli argentati. Un vento freddo. Bagnato. Un vento che
sapeva di neve. Alzò gli occhi al cielo, assottigliandoli impercettibilmente.
Il cielo si stava rannuvolando e dense nubi si avvicendavano veloci
all’orizzonte. Doveva sbrigarsi. O l’avrebbe persa. La neve avrebbe cancellato ogni traccia, e confuso ogni odore.
L’avrebbe persa. Iniziò a correre, tendendo al massimo i sensi acuti.
*****
“Vi fidate di lui, mio signore?”.
Il demone riaprì gli occhi, e
spostò la sua attenzione sulla bambina che gli sedeva accanto, bianca e
perfetta come una statua di porcellana. Occhi neri e vuoti in occhi rossi.
Nonostante il sua aspetto infantile,
Kanna possedeva
un’intelligenza sveglia e pronta. Una capacità di prevedere le possibili
complicazioni e di valutare le situazioni
tale che, se l’avesse potuta esercitare liberamente, l’avrebbe
avvantaggiata non poco su qualunque altro demone vivente.
“Per il momento, lo lascerò agire
come preferisce. I tempi non sono ancora maturi ed è bene non affrettare le
cose”.
Naraku
richiuse gli occhi poggiandosi stancamente alla parete che lo sorreggeva. Era
debole. Molto debole. Lo sforzo che aveva dovuto compiere due giorni addietro
lo aveva sfinito. Ma forse gli aveva anche
valso l’occasione per sistemare definitivamente tutti i conti in
sospeso e recuperare tutti i frammenti della Sfera dei quattro spiriti. Poco
importava, dunque, che adesso si dovesse aspettare. Forse, per lui era
addirittura meglio.
L’esplosione dell’aura demoniaca
che aveva provocato doveva esser stata avvertita molto lontano, e non sarebbe
stato prudente muoversi in quel momento, quando tutti erano in allarme. No.
Avrebbe aspettato. In fondo, anche il suo alleato avrebbe impiegato del tempo
per organizzare e traghettare l’esercito.
“E poi, l’ultimo atto…prima della
battaglia finale che mi vedrà vincitore”