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Autore: avalon9    12/12/2006    1 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

CHI SEI?

 

 

“Dove…dove sono?”.

 

Stropicciandosi gli occhi, Rin si mise a sedere. Piano, i contorni delle cose assunsero spessore e la bambina riuscì a definire il luogo dove si trovava. Una grotta. Come ci era arrivata? L’ultima cosa che ricordava era il freddo. Si era allontanata per rincorrere un coniglietto, e si era persa. Così, si era raggomitolata ai piedi di un albero, e aveva iniziato a pregare perché il suo signore arrivasse presto a prenderla. Non le piaceva quel posto. Era buio, e faceva tanto freddo. La neve cadeva a larghe falde e soffiava un vento gelido, simile all’ululare del lupo. Aveva paura.

 

Rin si guardò intorno curiosa. Non vedeva Jacken da nessuna parte e neanche il suo signore. Che si fossero arrabbiati e l’avessero lasciata lì sola? A quel pensiero, gli occhi della bimba si velarono di lacrime, che però ricacciò subito indietro. Non era possibile. Non l’avrebbero cercata se poi avessero voluto abbandonarla.

 

Abbandonarmi…Non lo devo pensare! Il signor Sesshomaru non lo farebbe. Si arrabbierà perché mi sono allontanata, ma nulla di più. Al massimo mi proibirà di muovermi per un po’…Forse è qui fuori con Jacken e Ah-Un che mi sta aspettando!

 

Si alzò in fretta dirigendosi verso l’apertura della grotta, ma vi si appiattì contro scoraggiata. Fuori nevicava ancora con forza, e non c’era traccia dei suoi compagni di viaggio. Mosse qualche passo oltre l’apertura, cercando di vedere oltre la neve. Nulla. Si rannicchiò a terra e iniziò a piangere piano. Era sola. Di nuovo.

 

“Non devi uscire con questo tempo. Rischi di ammalarti”.

 

La voce che sentì alle sue spalle era nuova per lei, ma non sembrava minacciosa. E poi aveva quel vuoto dentro che le faceva male. Molto male. Girò un po’ il viso, ma non riuscì a vere in faccia la persona che la sovrastava, perché la luce del fuoco alle sue spalle ne oscurava le fattezza. Non le importò. Si alzò di scatto, gettandosi contro di lei, artigliando con le mani rattrappite dal freddo il suo vestito. Non voleva che sparisse anche lei. Non lo voleva.

Continuò a piangere anche quando si sentì prendere in braccio e riportare verso il fuoco.

 

“Basta piangere”.

 

Un ordine. Come quegli del suo padrone. Ma pronunciato con una voce tanto gentile che sembrava più una supplica. Rin si impose di trattenere le lacrime. Chissà perché, non le piaceva l’idea che potesse dispiacere a chi la teneva in braccio vederla piangere. Si sentiva protetta da quelle braccia. Come quando era vicina a Sesshomaru.

Alzò timidamente gli occhioni luccicati e si trovò a fissare il volto di una ragazza.

 

“Chi sei?”

 

La ragazza sorrise. Un sorriso dolce, ma anche malinconico.

 

“Alessandra”.

 

Non aggiunse altro. Solo, riprese da terra quella strana coperta colorata e ci avvolse la bimba, portandola poi vicino al fuoco. La vicinanza col fuoco destò completamente Rin, che si mise ad osservare curiosa la ragazza che le sedeva accanto. Era alta (almeno rispetto a lei), forse come il signor Sesshomaru, e portava degli strani vestiti. Pantaloni scuri e una grande casacca nera senza bottoni. I capelli, lunghi e raccolti in uno shignone, incorniciavano un viso dove, sotto una frangia un po’ ribelle, brillavano due occhi del colore del mare in tempesta. Non riusciva a capire il colore dei capelli: neri dietro, perché in ombra, davanti passavano da tonalità ramate a bagliori dorati. Colpa del fuoco.

 

Rin non ne aveva paura. Restava in silenzio, come assorta nei suoi pensieri, ma non le faceva paura. Allora decise di parlare lei. Non le piaceva il silenzio. Ecco, quello la spaventava. Non quella sconosciuta un po’ fredda e silenziosa.

 

“Senti…io mi chiamo Rin. Piacere. Da dove vieni? Sei stata tu a trovarmi? Quanti anni hai? Io ne ho sette, quasi otto. E poi…”.Un sommesso gorgoglio salì dallo stomaco di Rin, che si interruppe, abbracciandosi un po’ imbarazzata la pancia.

 

“Vuoi un biscotto al cioccolato?”. Alessandra aveva iniziato a frugare nel suo zaino per poi porgere a Rin un pacchetto di biscotti. La bimba li guardò sorpresa. Non aveva mai visto biscotti di quel colore, se non quando si bruciavano. Ma aveva troppa fame per pensare ed assaggiò. Anche se bruciati, erano comunque qualcosa da mangiare.

 

Buoooni!!! Li hai fatti tu?”

 

Alessandra la guardò mentre finiva il pacchetto di biscotti e riprendeva a tempestarla di domande. Ma come fa una bambina appena scampata all’assideramento ad avere tanta energia? Si rassegnò a rispondere alle sue curiosità, anche se in modo un po’ evasivo. Non era ancora pronta a parlare. Non se la sentiva ancora. Tuttavia, dovette ammettere a se stessa che era piacevole dopo tanto tempo avere accanto una persona che le parlasse sinceramente, senza compassione, pietismi o doppi fini.

 

*****

 

Un kimono. Quella bambina indossava un kimono.

Lo aveva notato, ma non ci aveva dato molto peso. Sapeva che in Giappone le persone, di tutte le età, indossavano abbastanza di frequente il loro abito tradizionale. Non come in Europa. Non come faceva lei, che si vestiva del costume tipico della sua terra solo in occasioni particolari. Oppure c’era una festa. E Rin si era allontanata attratta da chissà cosa e persa.

 

Si rigirò rincorrendo il sonno che scappava. Non riusciva ad addormentarsi ed alla fine si alzò. Accanto a lei, Rin dormiva tranquillamente, gli occhi ancora un po’ gonfi per il pianto. Quando le aveva promesso che l’avrebbe portata in paese, la piccola si era fatta prendere da un vera crisi isterica. Aveva iniziato a piangere, spaventata. L’aveva supplicata di non farlo, di non portarla in un villaggio. Perché lui non l’avrebbe più trovata o avrebbe deciso di lasciarla lì. E lei non lo voleva. Voleva stare con lui. Sempre.

 

Alla fine, Alessandra si era dovuta arrendere. Le aveva promesso che l’avrebbe aiutata a ritrovare questa persona e che non l’avrebbe condotta in nessun paese. Rin, esausta per il pianto, si era addormentata tranquillamente.

 

Alessandra invece non riusciva proprio a dormire. Fuori dal riparo, la neve cadeva ancora, ma ormai era rada e il cielo iniziava a schiarirsi. Il giorno dopo sarebbe stata una bella giornata di sole. Sospirò. Sapeva che avrebbe dovuto scendere completamente a valle e rivolgersi alla prima stazione di polizia, ma non ne aveva il coraggio. Anche perché le sembrava che per Rin la cosa più importante fosse ritrovare questo signore. Non gli aveva detto il nome, ma lo aveva chiamato in un modo strano: yankii. In realtà la bimba aveva usato un altro nome…YekaiYounkiy…Un termine che non aveva mai sentito. Ma aveva ipotizzato che lo avesse storpiato perché ancora troppo piccola.

 

Yanki…americano…ma cosa ci faceva un americano in Giappone, con una bimba al seguito, sulle montagne in piena tempesta di neve? E soprattutto, come aveva potuto lasciarla andare in giro così? Rabbia, nostalgia, frustrazione…Mille emozioni le si agitavano dentro, fra la gola e lo stomaco, ma il suo volto era rimasto una maschera di cera. Aveva imparato col tempo, e a sue spese, che per andare avanti doveva fingersi indifferente. Perché la gente è sempre pronta ad approfittare delle debolezze altrui. E lei non poteva permettere che accadesse. Perché era sola. Ed aveva già sofferto troppo.

 

*****

 

L’odore era scomparso, confuso con la neve che era caduta. Aveva perso la pista. Ma non poteva essere andata lontana. In fondo, era solo una bambina.

Saltando agilmente di ramo in ramo, Sesshomaru arrivò sulle rive di un piccolo torrente, in parte ghiacciato. Si fermò su di un ramo, in alto. Aveva percepito qualcosa…Odore umano.

 

Alessandra si avvicinò al torrente e lanciò un sasso un po’ pesante sul ghiaccio, rompendolo quel tanto necessario per riempire la borraccia. L’alba era vicina, e alle prime luci del crepuscolo, il demone la potè osservare senza essere visto. Era un’umana di certo. Lo capiva dal suo odore, in mezzo al quale distingueva anche quello di Rin. Doveva averla incontrata. E toccata. Tuttavia, qualcosa lo infastidiva: il colore dei capelli. Ramati. Rossi. Non aveva mai visto umani con i capelli di quel colore. Quello era un colore da demoni. Eppure, era umana. Di questo era certo.

 

“Ti avevo detto di non…”.

 

Alessandra, avvertendo un leggero fruscio alle sue spalle, si era voltata. Ma invece di Rin, come si aspettava, aveva di fronte un ragazzo, che la sovrastava. Sesshomaru era infatti sceso dall’albero e le si era avvicinato. Voleva sapere dove fosse Rin. E accertarsi che la ragazza che aveva di fronte non fosse un fantoccio demoniaco.

 

“Dov’è Rin?”.

 

Una voce fredda, incolore, ma al tempo stesso molto suadente. Come una malìa, ti restava nelle orecchie, ti ipnotizzava. Alessandra aveva capito perfettamente la domanda, ma non riusciva ad articolare risposta. Si sentiva vulnerabile sotto lo sguardo tagliente di quel ragazzo. E odiava sentirsi così. Indifesa.

 

“Perché lo vuoi sapere?”.

 

Aveva capito chi fosse. Quello era il signore che Rin voleva ritrovare. Ma non era un americano. Di questo Alessandra ne era assolutamente convinta. Era in ombra, perché il sole che stava sorgendo alle sue spalle le impediva di vederlo bene; di certo il suo incedere era affascinate, quasi regale.

 

Sesshomaru le si fermò a pochi centimetri di distanza, assottigliando impercettibilmente gli occhi e lei si alzò con calma, arrivando quasi alla sua altezza. Ora lo poteva vedere in viso. Le iridi ambrate percorse da sottili striature dorate che zizzagavano attorno alla pupilla. Uno sguardo austero, penetrante. Lo sguardo di chi è abituato a comandare. Ma anche un’ombra più scura, che non riusciva a definire. Poi, alcuni segni sul volto, graffi rosati, forse tatuaggi, e una mezzaluna in fronte, seminascosta da una frangia del colore della luna.

 

“Perché mi appartiene”. Di nuovo quella voce. Quella voce dannatamente inebriante. Ma la risposta non le piacque.

 

“Ti appartiene?”. Alessandra fremeva di rabbia, di sdegno. “E chi lo ha deciso? Tu?”

 

Sesshomaru ne fu sorpreso, anche se non lo diede a vedere. Non solo quella ragazza lo guardava negli occhi senza paura, ma gli rispondeva a tono anche. Se escludeva Rin, finora tutte le persone che aveva incontrato o erano morte per avergli mancato di rispetto o si erano gettate strisciando e implorando pietà ai suoi piedi. O lo avevano riverito, prostrate a terra. Quella ragazza, invece, non aveva intenzione né di piegarsi né di portargli rispetto. E la cosa lo irritava parecchio.

 

“E se anche fosse?” lo sibilò appena, avvicinandosi pericolosamente ad Alessandra che dovette reclinare un po’ la testa per poter continuare a guardarlo in viso.

 

“Non ne hai alcun diritto”.

 

Una mano artigliata chiusa intorno alla sua gola, il peso di quel ragazzo pronto a soffocarla e un tronco a immobilizzarla. Era successo tutto in una frazione di secondo. E adesso, Alessandra si trovava nei guai. Ma non lo aveva ancora capito. L’unico pensiero che la sua mente riusciva a formulare era che quel ragazzo non era umano. Non lo era.

 

Si ricordò in un lampo della parola con cui Rin lo aveva definito. L’elaborò nella sua mente, la ricostruì e ne riesumò il significato da un luogo nascosto della memoria.

 

Youkai…Demone…Questo ragazzo è un demone…non è possibile…

 

Sesshomaru intanto continuava a guardarla negli occhi. Occhi spenti, vuoti, tristi, ma che non avevano la minima paura. Anche adesso che la sua vita era in pericolo, che gli sarebbe bastata una leggera pressione delle dita per staccarle la testa. Non aveva paura.

 

Perché?

 

Un rumore di passi lo costrinse a voltarsi verso la boscaglia, da cui uscì la piccola Rin, per poi correre ad abbracciare Sesshomaru. Il demone la guardò, inespressivo, e la bambina gli regalò uno dei suoi soliti splendidi sorrisi, capaci di intenerire anche lui. Sospirò mentalmente. Stava bene. Ma una piccola punizione non l’avrebbe evitata. Doveva imparare che poteva essere pericoloso andarsene in giro da sola.

 

“Preparati” le aveva detto calmo, e mentre Rin si era allontanata per andare a prendere qualcosa nella caverna dove aveva dormito, Sesshomaru si era girato nuovamente verso Alessandra, avvicinando pericolosamente i loro visi.

 

“Per questa volta, vivrai. Ma la prossima…”.

 

Le sussurrò all’orecchio, lasciando volutamente la frase in sospeso e ritrasse la mano. Libera da quella morsa, Alessandra si accasciò a terra, nella neve fresca, senza un gemito. Sembrava che la sua anima si fosse staccata da lei. Sesshomaru la guardò ancora per un istante, poi si voltò facendo frusciare la veste e sparì veloce e lieve come era venuto.

 

Un demone…Quello era un demone…Com’è possibile?...

 

Allo stupore si sostituì la rabbia per la minaccia fattale, ma poi, ripensando al suo volto e i suoi occhi lo sguardo di Alessandra si addolcì, senza che neanche lei se ne accorgesse. Le avevano sempre detto che gli occhi sono lo specchio dell’anima. E gli occhi di quel ragazzo nascondevano qualcosa. E lei si sorprese a desiderare si sapere cosa. Scosse la testa. Doveva essere impazzita. Conseguenza dello shock.

 

Tuttavia, Alessandra sapeva una cosa. Nonostante tutto, non le avevano fatto paura. Sembravano piuttosto gridare aiuto. Un grido che però era soffocato. Pensò di essersi sbagliata. Un essere simile non avrebbe mai potuto gridare aiuto. Anzi, essere triste.

 

Eppure…Anche se la sua mente le diceva di non pensarci più, nel profondo del suo cuore voleva crederci…Perché, anche se non lo avrebbe mai ammesso, sperava di aver trovato qualcuno capace di capire anche il suo dolore.

 

  
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