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Autore: Doe    22/05/2012    9 recensioni
DAL TESTO:
Ho continuato a sfiorarmi le labbra arrossate e il collo per interi minuti, dopo che è andato via. Quando il mio corpo è stato completamente sovrastato dal suo, mi sono sentita perduta. Avevo perso ogni speranza, mi ero quasi arresa senza lottare, credendo che questa volta non sarei riuscita a cavarmela. Non avevo però smesso di pregarlo di lasciarmi stare e, non so se sono riuscita a impietosirlo o se semplicemente qualcuno, lassù, mi vuole bene, ma lui ha indietreggiato all’improvviso, si è rassettato i vestiti ed è uscito dalla stanza, subito dopo avermi ricordato che, volente o nolente, prima o poi sarei stata sua.
Ho paura! Sto ancora piangendo da allora. Dice che vuole farmela pagare per essermi presa gioco di lui, ma non era davvero mia intenzione. Dice che dovrei essere lusingata dalle attenzioni che un nobile come lui ha nei confronti di una serva come me.
(Prologo - La bestia)
!SOSPESA! - La storia non viene più aggiornata dalla sua autrice
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon, Salvatore, Elena, Gilbert, Mikael, Rebekah, Mikaelson, Stefan, Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo III

La raffinata arte dell'inganno


Torino, 20 Settembre 1764

Mio Caro Diario,

Il viaggio è stato molto più stancante del previsto. La Marchesa non ha fatto altro che parlare e parlare, e credo – ma non ne sono poi così certa - che un paio di volte si sia resa conto che stavo solo fingendo di ascoltarla. Comunque, non si è lamentata. L’entusiasmo e l’impazienza che l’hanno caratterizzata in quest’ultima settimana, all’idea di andare a Torino dai suoi cugini, hanno avuto la meglio sul suo caratteraccio, penso. Meglio per me.

Si è zittita soltanto quando ci siamo ritrovate nei pressi della città – che al momento, comunque, non abbiamo ancora visitato. E non sono neanche sicura che lo faremo.

La tenuta dei Salvatore è davvero incredibile, persino più bella del palazzo dei Mikaelson. Sembra uno di quei castelli descritti nelle fiabe - e ancora ho visto solo la facciata anteriore e un paio di stanze!

La bellezza di questo luogo, comunque, è una magra consolazione al fatto di essere lontana da casa e soprattutto costretta a recitare un ruolo che non mi si addice quasi ventiquattro ore al giorno. La Marchesa mi ha dato altri vestiti da indossare, il che significa ancora corsetti. Poche ore dentro uno di questi e già non lo sopporto più. Ho la sensazione che i seni mi esploderanno da un momento all’altro.

I due fratelli, i Conti Salvatore, sono due giovani affascinanti come la cuoca mi aveva detto. Stefan Salvatore, il più giovane, è gentile e sembra anche modesto e affabile. Una persona buona, ecco. Vorrei poter dire lo stesso del fratello maggiore, ma se lo facessi mentirei. Il Conte Damon Salvatore mi mette i brividi – e ho trascorso cui lui appena mezz’ora. È difficile da definire, complicato da comprendere e del tutto impossibile non sentirsi in soggezione in sua presenza. Ogni singola volta che ha puntato quegli occhi chiarissimi nei miei mi si è mozzato il respiro. Ed è successo tante, troppe volte.

Ha insistito prima per mostrarmi le mie stanze, poi, quando ci siamo allontanati dalla Marchesa e dal Conte Stefan, mi ha domandato se ci fosse una stanza che desiderassi vedere. In biblioteca e poi in veranda, qualcosa di lui credo di averla capita. È dotato di un’ironia molto tagliente, per alcuni probabilmente irritante. Il suo sarcasmo raggiunge i limiti della scortesia, lui sembra esserne consapevole ma non gli importa. In un certo senso, credo di rientrare tra coloro che sono infastiditi dalla sua personalità. Ha esattamente l’aria del nobile pomposo, abituato ad ottenere tutto ciò che vuole, mista alla vanità dell’affascinante soldato.

Ma c’è qualcos’altro in lui, qualcosa che mi porta a pensarlo, a studiare i suoi modi di fare, a leggere tra le righe di ciò che dice, ad immaginare che quello che io ho visto sia solamente quello che lui ha voluto farmi vedere, che nasconda qualcosa dietro una facciata. E quando mi ha sfiorato la mano, per aiutarmi a scendere dalla carrozza, ho quasi avuto le vertigini. Per non parlare di quelle due volte che ha avvicinato il suo viso al mio, mi sono sentita come… Come...

Una stupida.

Ecco cosa sono. Ma che cosa sto scrivendo? Elena, ti è dato di volta il cervello?! Forse devo smetterla una volta per tutte di fantasticare. Probabilmente, non c’è assolutamente niente di speciale in lui, niente dietro quella facciata. Non esiste nemmeno questa facciata! È solo lui. Non è diverso dagli altri nobiluomini boriosi e viziati. E quello che ho provato, beh, è stata solo una reazione alla stanchezza e al caldo. Sarà sicuramente così.

Deve essere così.

 

Elena chiuse il suo diario di scatto, quando si rese conto che l’ultima frase suonava più come una preghiera che come una certezza. Fissò le viole dipinte ai bordi della parete a lei di fronte, immersa nei suoi nervosi pensieri.

Erano trascorse due ore, dal suo arrivo a Palazzo Veritas, e ancora non poteva dire di essersi davvero riposata. Da quando il Conte l’aveva condotta nelle sue stanze non era rimasta ferma un solo attimo. Aveva trovato facilmente una sistemazione per le sue poche cose. Troppo facilmente. Se non avesse trovato qualche altro impiego si sarebbe certamente messa a pensare, e la cosa la spaventava non poco.

Si era così diretta verso il suo bagno personale – doveva ancora abituarsi all’idea di averne uno – e aveva riflettuto a lungo sull’idea di ordinare ad una delle domestiche di far portare dell’acqua tiepida per fare un bagno rilassante. Ma se si fosse rilassata, la mente avrebbe sicuramente iniziato a vagare liberamente, inoltre provava troppa vergogna al pensiero di dare ordini a qualcuno della sua stessa classe sociale. No, non era proprio da lei, così come non lo era mentire. Eppure, lo stava facendo e avrebbe dovuto continuare ancora a lungo, aveva a malincuore intuito. Ma, per sentirsi più corretta e in pace con se stessa, decise che lo avrebbe fatto solo quando fosse stato estremamente necessario, mai per piacere personale.

Dopo un’ora circa, trascorsa a camminare come un’ossessa per le stanze, la Marchesa aveva bussato alla sua porta (i Conti Salvatore, sospettava Elena, dovevano essere nei paraggi, altrimenti Rebekah si sarebbe limitata ad abbassare la maniglia ed entrare senza aspettare il consenso della sua servetta) insieme ad un paio di servi, cui aveva ordinato di portare i bagagli che stavano sul letto di Elena nelle sue stanze, tutti tranne uno di modeste dimensioni. Quando i servi avevano lasciato la stanza, la Marchesa si era affrettata a chiudere la porta e aveva detto alla ragazza che all’interno di quel bagaglio c’erano altri vestiti che avrebbe dovuto indossare.

«Mai lo stesso abito due giorni di seguito!», l’aveva ammonita. Elena era stata attenta e aveva risposto «Sì, Signorina Marchesa» e «No, Signorina Marchesa» a seconda dei casi.

Quando l’aveva nuovamente lasciata sola – dopo averle raccomandato la massima puntualità per il pranzo, che si sarebbe tenuto alle dodici in punto – Elena aveva sentito il bisogno di scrivere il suo diario. Se c’era una cosa, nella sua attuale camera da letto, che la rendeva entusiasta era proprio la presenza di una scrivania, piccola ma in legno pregiato. Non aveva mai avuto un posto tutto suo dove dilettarsi a scrivere.

Dapprima, aveva deciso di nascondere il diario sotto il materasso, un nascondiglio banale forse, ma tanto nessuno la conosceva in quel posto, almeno non abbastanza da desiderare di invadere la sua privacy di proposito. Ma il pensiero che le cameriere, rifacendo il letto, avrebbero potuto trovarlo per caso la allarmò, e così il suo sguardo prese a correre per la stanza, alla ricerca di un nascondiglio migliore.

Una sottile apertura nel legno della scrivania, catturò la sua attenzione. Elena corrugò la fronte, incuriosita, e vi passò sopra le dita per capire di che si trattasse. Si rese conto di aver già visto, in passato, qualcosa del genere. Suo padre aveva una scrivania come quella, una volta - solo che la sua non era in mogano e non aveva tarsie.

La ragazza fece per sollevare il piano della scrivania e questo venne su davvero, scoprendo al suo interno una toletta.* Lo specchio rotondo era incastrato nel legno di quella specie di coperchio, mentre sul fondo stavano spazzola, pettine, una mezza dozzina di nastri per acconciare i capelli, un piccolo portagioie e della farina di riso** con un piumino. Anche all’interno la scrivania di mio padre era diversa, si ritrovò a pensare Elena fissando il suo riflesso.

La maggior parte delle cose contenute in quella scrivania-toletta sarebbe rimasta inutilizzata – almeno finché lei avesse abitato quelle stanze. Elena era abituata a tenere i suoi riccioli ribelli e spettinati, anche se forse, date le circostanze, era il caso di iniziare a dar loro una spazzolata e acconciarli più spesso. Per quanto riguardava il trucco, non ne aveva mai fatto uso e non intendeva iniziare adesso – anche perché non aveva la più pallida idea di come ci si truccasse – e la farina di riso era troppo chiara per la sua carnagione.

Tuttavia, il portagioie faceva al suo caso.

La giovane non possedeva certo gioielli. Le cose più preziose che aveva erano la mantellina nera della madre – già riposta con cura nell’armadio – e il suo diario, che era piccolo e Elena si compiacque nello scoprire che stava perfettamente tra i cuscinetti di velluto di quella graziosa scatola rettangolare.

Quando richiuse la scrivania, uno sguardo all’orologio a muro le ricordò che mancavano pochi minuti a mezzogiorno e che avrebbe fatto meglio a sbrigarsi. Si catapultò in bagno, cercando di ricordare dove avesse visto quel piccolo catino con l’acqua e, una volta trovatolo, si lavò il viso. Fece ritorno nella camera da letto e si accomodò nuovamente sulla sedia di fronte la scrivania, aprendola ancora una volta, disfacendo la morbida pettinatura che aveva tenuto fino a quel momento e spazzolando alla bell’e meglio le lunghe spirali brune, districando la maggior parte dei nodi. I riccioli divennero boccoli morbidi e vaporosi. Questa volta li raccolse sulla nuca in una crocchia ordinata.

Nell’alzarsi dalla sedia si rese conto di avere ancora indosso l’abito del viaggio, ma non le restava più tempo per cambiarsi. Fece il respiro più profondo della storia, dopodiché aprì la porta della sua stanza, ritrovandosi in un corridoio deserto. Non sapeva bene perché, si era aspettata di trovare qualcuno ad attenderla, fuori dalla porta, invece non vi era l’ombra neanche di una serva. Dopo i primi secondi di confusione, concluse che era meglio così.

Si avvicinò con calma alla porta della stanza di Rebekah e bussò timidamente.

«Signorina Marchesa? Sono io. Elena.» Dall’altra parte non si udì alcun suono e la cosa mise Elena a disagio. Che fosse già scesa e avesse lasciato a lei l’ardua impresa di muoversi per il palazzo, alla ricerca della sala da pranzo, completamente sola? Trattandosi di Rebekah Mikaelson, non ci sarebbe stato da meravigliarsi.

Ma all’improvviso la maniglia d’oro scattò verso il basso e la porta si aprì, mostrando un’impeccabile figura femminile in un abito bianco antico, tutto pizzi e ricami. Rebekah aveva truccato le guance piuttosto vistosamente e, come Elena, anche lei aveva cambiato pettinatura, raccogliendo i capelli dorati in un intreccio dietro la testa – sicuramente opera di una delle serve – e lasciando ricadere un grosso boccolo su una spalla. Aveva stretto il suo corpetto talmente tanto che i seni le arrivavano quasi in gola e Elena si chiese come facesse a respirare.

La brunetta, nel solito abito blu, si ritrovò a provare compassione per lei, perché sapeva che erano le sue insicurezze miste alla disperazione e alla paura di non trovare marito che portavano la giovane Marchesa all’esagerazione. Ma qualcuno avrebbe dovuto spiegarle che il troppo stroppia. Lo avrebbe fatto lei se non fosse stata oltremodo certa del ceffone in pieno viso che si sarebbe beccata, se avesse osato trovare da ridire sull’aspetto della permalosa Marchesina. Aggrappandosi al suo istinto di sopravvivenza, Elena optò per stare zitta e farsi gli affari suoi.

Rebekah squadrò Elena dalla testa ai piedi con astio, nel notare che indossava lo stesso abito di prima. Quella ragazzina non aveva davvero idea di quale fosse il comportamento di una nobildonna, avrebbe dovuto insegnarle tutto, pensava scocciata.

«Porgimi il braccio e accompagnami giù per le scale fino alla sala da pranzo», le ordinò.

«Signorina, io veramente non saprei dove…»

«Porgimi il braccio, ho detto!»

Sussultando, Elena si affrettò a obbedire. La pallida mano della Marchesa si arpionò al suo avambraccio.

Scesero la lunga scalinata e fortunatamente fu Rebekah stessa, ansiosa di vedere i cugini, a guidare Elena nella più grande e lussuosa sala da pranzo che avesse mai visto. Quando fecero il loro ingresso, i fratelli Salvatore stavano placidamente accomodati e sorseggiavano del vino. Nel notare la presenza delle due donne, però, si affrettarono ad alzarsi e andar loro incontro.

Dopo il cortese inchino di rito, le invitarono ad accomodarsi. Elena e Rebekah presero posto vicine e lo stesso fu per Stefan e Damon, di fronte ad esse.

Per tutta la durata del pranzo, Rebekah non la smise un secondo di chiacchierare e ridere con i cugini, mentre Elena, nonostante i propositi di comportarsi da nobildonna sicura di sé, rimase muta come un pesce. Regnava talmente tanto caos nella sua testa, il suo cuore batteva ad una velocità così forsennata, che ogni singola volta che si era imposta di fare conversazione non aveva trovato nulla da dire. Per di più, lo stomaco in subbuglio le aveva consentito di toccare ben poco delle appetitose pietanze che stavano, fumanti e profumate, di fronte a lei.

Sperò ugualmente che nessuno avesse fatto caso a quei comportamenti, ma fu del tutto vano, anche se con l’arrivo del dolce – segno che il pranzo era quasi concluso – Elena ritrovò un po’ di speranza. Speranza destinata a morire poco dopo.

Il Conte Damon, infatti, l’aveva scrutata con la coda dell’occhio tutto il tempo e un paio di volte lei se n’era resa conto ed era arrossita. Le spudorate attenzioni che quell’uomo le aveva rivolto dal momento in cui era scesa dalla carrozza non la mettevano a disagio, però, quanto le sue reazioni alla cosa.

«Signorina Elena, avete a mala pena toccato cibo e non avete proferito parola», osservò, riuscendo a zittire persino Rebekah. «Ho tre diverse teorie: o non vi sentite bene, o non avete gradito il pranzo e la cosa vi ha messo di cattivo umore, oppure considerate me e mio fratello una compagnia piuttosto noiosa», sorrise con malizia. Di nuovo quel sorriso.

Damon era consapevole di aver appena messo la ragazza in imbarazzo. Aveva capito quanto fosse timida e che, chissà per quale motivo, stare lì le creava una sorta di disagio, ma non riusciva a frenarsi dallo stuzzicarla.

Come previsto, nello sguardo scuro di lei si dipinse l’espressione di chi casca dalle nuvole.

«Come? No. Io… Voi non… Credo di essere ancora stanca per via del viaggio.»

«Non avete riposato abbastanza?», domandò il Conte Stefan, apprensivo.

Elena scosse timidamente il capo.

«Deve avervi davvero spossato molto», insistette il fratello maggiore, nascondendo l’irritante sorriso si scherno dietro un bicchiere ricolmo di vino.

«Damon», lo rimproverò fraternamente Stefan. «Abbi un po’ più di tatto.»

«Ah, ma nessuno ha più tatto di me, fratellino», fece lui sornione.

Stefan scosse la testa, ma divertito. «Vogliate scusare mio fratello, Signorina Elena. Lui scherza sempre. Se avete bisogno di ritornare alle vostre stanze e stendervi un po’ non preoccupatevi. Sono certa che mia cugina non avrà nulla in contrario, avendo noi a tenerle compagnia.» Lo sguardo color muschio di Stefan Salvatore incontrò quello blu della Marchesina, che sorrise per la prima volta da quando l’attenzione si era spostata sulla servetta al suo fianco. Parve lieta di avere un’altra occasione per mettere in mostra il suo cuore d’oro.

«Oh, ma certo che siete libera di andare, cara. Anzi, insisto. Non voglio che vi ammaliate a causa mia», cinguettò.

«Davvero, sto bene», si affrettò però a chiarire Elena. «Non è necessario…»

«Insisto», ripeté nuovamente la Marchesa con tono gelido, dimostrando di essere una pessima attrice almeno quanto lo era Elena.

«…Vi prego, cara. Non vorrete farmi stare in pensiero per voi durante tutto il soggiorno a Torino.» Tentò di riassumere il tono di voce mieloso di poco prima, ma i risultati lasciarono a desiderare.

Si creò un silenzio carico di tensione e incomprensione nella stanza. Gli occhi blu come lapislazzuli della Marchesa gelarono l’intero corpo di Elena, quando quest’ultima lì incontro con i propri.

«Assolutamente no», mormorò Elena. «Vogliate quindi perdonarmi, signorina Marchesa. Conti Salvatore.» Si affrettò a fare il suo inchino di congedo e a lasciare la stanza.

Mentre le sue nuove scarpette di velluto ticchettavano su per le scale, si scoprì piuttosto stizzita.

Ma chi si credeva di essere quel Damon Salvatore? E come si permetteva di metterla in imbarazzo in quel modo? Lei era solo una serva, quello era vero, ma non agli occhi di lui. Se lui la credeva nobile, perché non la trattava con tutti i modi e i riguardi dovuti? O quello era semplicemente il modo in cui il Conte trattava tutti? Ed era sbagliato che lei pretendesse un trattamento alla pari, da lui?

Elena riuscì a rispondere solo a quell’ultima domanda, tra quelle che il suo inconscio aveva scatenato forsennatamente. , lo era. Aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai approfittato dell’inganno messo in scena dalla Marchesa per soddisfazione personale. E il fastidio che provava, era indubbiamente qualcosa di personale.

Non riusciva a concepire perché la irritavano molto di più i giochetti del Conte Salvatore, che altro non erano che i dispetti di un bambino viziato e capriccioso, rispetto al ricordo dei modi utilizzati dagli uomini nella locanda. Non aveva alcun senso.

Entrò nella sua stanza, richiudendosi la porta alle spalle, e in poche falcate tolse la distanza tra lei e la finestra. Spalancò i vetri, percependo un soffio sottile di frescura insinuarsi nel suo abito, facendola quasi rabbrividire. Il caldo afoso di quel mattino stava, via via, scemando. Quel venticello fresco era esattamente ciò in cui aveva sperato quando si era precipitata ad aprire la finestra.

Si appoggiò delicatamente al cornicione di pietra, scrutando dapprima in lontananza, ancora persa nei suoi pensieri. Poi, delle voci provenienti dal basso, la ridestarono e la fecero voltare. Matt, il ragazzo biondo che aveva portato i bagagli nella sua stanza, teneva per le briglie un bellissimo cavallo dal lucido manto nero, e lo conduceva alle stalle mentre chiacchierava con un ragazzo bruno.

Elena rimase combattuta per un po’, poi si fece coraggio e uscì dalla stanza. Non sono certo stata io a dire che ero stanca, si giustificò mentalmente. Scese le scale cercando, comunque, di fare il meno rumore possibile, poi, superando un paio di domestiche, cui rivolse un timido sorrido, e arrossendo al loro inchino, uscì dal palazzo. Scese l’ampia scalinata centrale e fu vicina alle veneri di pietra, sopra le quali posò ancora una volta lo sguardo, incantata.

Svoltò a destra due volte e finalmente trovò la stalla intravista dalla sua finestra. Fece il suo ingresso titubante e lasciando di stucco ogni essere umano al suo interno. I chiacchierii cessarono all’istante, gli occhi di tutti furono su di lei.

«Ehm… Io…» Controllati, Elena, si rimproverò. Sei una nobildonna. Cerca di non dimenticarlo e comportati come tale.

Si schiarì la gola. «Io volevo presentarmi a… Tutti voi, ecco. Sono Elena Gilbert. La…»

«…Dama di compagnia della Marchesa Michaelson. Lo sappiamo», terminò una ragazza dai capelli biondo cenere per lei. Il suo tono lasciava intendere tutto tranne che gentilezza o simpatia.

Matt le lanciò un’occhiataccia, poi si rivolse a Elena, ancora una volta in evidente disagio. «Siamo onorati di fare la vostra conoscenza, Signorina Elena. Io sono Matthew Donovan, lo stalliere, al vostro servizio.»

Matt fece un inchino, poi indicò alle sue spalle il ragazzo bruno scorto dalla finestra poco prima. «Lui è Tyler Lockwood.» Tyler imitò il gesto di Matt. «Lei è Rose, la cuoca», una ragazza carina con grandi occhi chiari si inchinò e le sorrise amichevolmente, rincuorandola. «Jenna, Bonnie, Anna e la scorbutica di poco prima è mia sorella Vickie.»

«Victoria», corresse lei puntigliosa.

«Vic, nessuno ti ha mai chiamata Victoria», alzò gli occhi al cielo Matt.

«La Signorina dovrà farlo, se avrà bisogno dei miei servigi.»

«Smettila di fare la serpe», le sibilò Rose.

Elena, a disagio e senza riuscire a capacitarsi del perché quella ragazza ce l’avesse tanto con lei, visto che si erano appena conosciute, assistette all’intera scena in silenzio.

Quando le ragazze ritornarono alle loro occupazioni e alcune si diressero in cucina, Matt tentò di rompere il ghiaccio. «Allora… Volete che vi mostri i nostri cavalli?»

«Io… . Perché no. Mi farebbe davvero molto piacere, Matt.»

Il giovane sorrise. «Da questa parte.»

Elena seguì Matt infondo alla stalla, dove vide da vicino la giumenta nera di poco prima, insieme ad altri due bellissimi esemplari maschi, uno dal manto bianco e l’altro color sabbia.

«Questi due sono Amleto e Romeo. Il primo appartiene al Conte Stefan», spiegò riferendosi al cavallo bianco. «Il secondo, invece, apparteneva alla Contessa Odette***, quand’era ancora tra noi.»

E Elena non ebbe più dubbi su a chi appartenesse la giumenta.

«La giumenta nera è del Conte Damon. Si chiama Mezzanotte****.»

Tra tutti, Elena non sapeva dire quale fosse il cavallo più bello – forse la giumenta, forse Amleto col suo manto candido – ma il modo di fare giocherellone e affettuoso di Romeo la intenerì al punto da preferirlo agli altri. Non soddisfatto dalla leggera pacca sul muso che Elena gli aveva dato, infatti, Romeo l’aveva incitata, toccandole la mano col muso dorato, ad accarezzarlo ancora. Elena, divertita, non se l’era fatto ripetere due volte.

«Però!», fece Matt. «Dovete piacergli davvero molto, Signorina. Non ricordo di aver mai visto Romeo così a suo agio con qualcuno che non fosse la sua precedente padrona.»

Elena sorrise al cavallo. «Ah, sì? Sei scontroso, eh, Romeo?»

Matt ridacchiò, vedendola parlare col cavallo. Era affascinato da quella ragazza. A parte l’evidente bellezza fisica, sembrava speciale. Diversa dagli altri nobili. Non era da tutti scomodarsi per venire a presentarsi alla servitù.

«Sapete andare a cavallo?», le chiese. Lei annuì. «Se volete posso sellare Romeo per voi. Non ha ancora sgranchito le gambe, oggi. Ne avrà un gran bisogno.»

A Elena luccicarono gli occhi. Andare a cavallo le risultava persino più piacevole e divertente di leggere uno dei suoi adorati romanzi. «Magari», sorrise.

Ma le sue aspettative per il pomeriggio andarono in fumo un attimo dopo. Mentre Matt sellava il cavallo, una voce ben nota li fece trasalire entrambi. Forse, Elena di più.

«Che sta succedendo qui

 



*Giuro che non ho inventato una scrivania del genere. Vi scrivo appoggiata su una di queste! xD Solo che la mia è decisamente meno bella di quella della nuova stanza di Elena, perché ha uno stile più sobrio e troppo moderno per i miei gusti. Vi ho mai detto che ho una passione per l'antiquariato? 

**All’epoca era molto di moda, tra le nobildonne, fare un uso (spesso anche pesante) di trucco. La polvere di riso dei nostri giorni (molto simile alla cipria e utilizzata principalmente dai truccatori professionisti perché garantisce ottimi risultati) si rifà proprio alla farina di riso utilizzata allora. Nel Settecento, il trucco più raffinato per impallidire l’incarnato (e a mio parere anche il più rivoltante) era un composto di pasta di mandorle, grasso di montone e biacca.

*** Ho inventato il nome della madre di Damon e Stefan, facendo riferimento a ‘I diari di Stefan’ in cui veniamo a conoscenza delle sue origini francesi ma non del nome. Ho semplicemente utilizzato uno dei miei nomi francesi preferiti.

****Sì, lo so che ne ‘I diari di Stefan’ Mezzanotte è il cavallo di Stefan, ma qui scrivo io, Lisa e basta, non Lisa Jane, e a me quel cavallo e il suo nome piacevano troppo. Inoltre, non è un nome scelto a caso. Approfondirò nell’Angolo dell’Autrice.


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Angolo di un'Autrice un po' ritardataria


Mi reputo soddisfatta del capitolo. Nonostante il tempo che ci ho messo, è venuto su bene.

I nomi dei cavalli non sono un caso. Romeo e Amleto sono, come penso sappiate, personaggi Shakespeariani. E Mezzanotte, allora? Non è un nome scelto a caso e ha persino una sorta di inerenza con gli altri due. Il tutto sarà approfondito, comunque, nel prossimo capitolo.

Ho anche presentato la servitù di Palazzo Veritas :3 E sono fiera di aver dato un ruolo sufficientemente importante a Rose.

E Caroline? Vi chiederete. Ci sarà. Più in la, ma ci sarà. Non potevo certo inserirla tra la servitù! Ma ce la vedete?! No. Lei sarà una nobildonna. E pure più importante di Rebekah. MUAHAHAHAHAHAHAHAH.

Ringrazio infinitamente tutte coloro che mi seguono/preferiscono/ricordano e in modo particolare chi recensisce!

Lisa

   
 
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