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Autore: Lady Snape    24/05/2012    2 recensioni
Preston A. Lodge III, il banchiere, il direttore dell'albergo di Colorado Springs, ricco, bello, raffinato... eppure qualcosa non quadra a dovere. Dopo la bancarotta del 1873, bisogna riprendere in mano la situazione, far ripartire gli affari e, possibilmente, liberarsi dai debiti. Ma come? A voi la possibilità di scoprirlo leggendo questa Fanfiction!
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come si può giustificare un’assenza così lunga? Non ne ho idea, ma posso dire che l’ispirazione è un po’ andata a farsi friggere. E’ partita per le vacanze e non sapevo davvero come continuare o, meglio, un’idea ce l’ho, solo che ci sono un po’ di buchi da riempire e probabilmente cambierò il finale che ormai non mi piace più. Non è un lavoro scrivere fanfiction, quindi i tempi si dilatano.

Faccio qualche ringraziamento:

a ManuBach96 e minouche86 che seguono questa storia (spero lo facciate ancora)

a minouche86 (ancora!) e SellyLuna che l’hanno inserita tra i preferiti (allora un finale devo trovarlo!)

e a tutti coloro che seguono questa sezione ancora piccina.

Un capitolo di transizione, ma tranquilli Preston tornerà prima possibile!

 

Buona lettura!

 

7 capitolo – LA RICERCA

 

                Il risveglio di Eva nei giorni successivi al matrimonio fu sempre molto sereno. La mente della scrittrice, nei minuti che intercorrono tra il risveglio e il vestirsi per la colazione, corse spesso alla prima sera da moglie. Preston l’aveva presa in braccio per varcare la soglia della loro nuova casa, come accade per ogni matrimonio che si rispetti, forse per mantenere le apparenze davanti a uno dei facchini che lavoravano allo Springs Chateau che li aveva accompagnati fin lì.

Le mostrò ogni stanza, tradendo uno sguardo orgoglioso. La donna espresse complimenti che furono molto graditi dal banchiere: non sapeva perché, ma quella ragazza di città riusciva a farlo sentire apprezzato, cosa assolutamente non scontata. Le aveva mostrato la stanza che avrebbe occupato da sola, dato che per sé aveva riservato una delle stanze per gli ospiti. La stanza da letto comunicava con un salotto privato, adibito anche a studio per lei, per poter comporre i suoi racconti e i suoi romanzi. Eva aveva già apprezzato queste accortezze, quando aveva occupato una delle stanze del resort e anche questa volta notò l’attenzione che Preston le aveva dedicato.

                Il suo primo compito da padrona di casa fu quello di trovare qualcuno che si sarebbe occupato del giardino e della casa. Aveva sempre avuto una cameriera privata, anche quando viveva con la sua famiglia, di conseguenza non avere qualcuno che l’aiutasse la metteva un po’ a disagio. Non aveva potuto chiedere alla sua domestica di trasferirsi dall’altra parte del Continente: aveva famiglia e non avrebbe mai accettato; così le aveva trovato una sistemazione presso una conoscente.

Quello di cui avevano bisogno, secondo Preston, era una famiglia intera per occuparsi dei pochi animali che avevano nel cortile sul retro della casa, dei cavalli, del giardino, della cucina e delle stanze. A stupire la donna fu una casetta di piccole dimensioni che si trovava poco distante. Da quello che sapeva, era stata fatta costruire dal banchiere per ospitare chi avrebbe lavorato per loro. Era un bel posto,completamente nuovo, con tutto il necessario per vivere, modesto ma ben fornito, non molto grande, ma di certo più grande di molte case di Colorado Springs.

Il posto migliore per poter spargere la voce era mettere degli annunci all’ufficio del telegrafo, magari pubblicarlo anche sul Gazette.

Dorothy fu molto contenta di vedere Eva serena, quando quella mattina entrò nella redazione. La sera precedente si era rigirata per un po’ nel suo letto, pensando allo stato in cui era la scrittrice, temendo e ricordando quello che era stato il suo passato che, grazie a Mr. Jennings, era stato un incubo ad occhi aperti. Vederla tranquilla l’aveva rasserenata e pubblicò l’annuncio nel numero che sarebbe uscito il giorno dopo.

                L’annuncio non ebbe molto successo all’inizio. Il lavoro e la paga che si prospettavano erano molto meglio di qualunque cosa di potesse trovare da fare laggiù, ma di certo era una cosa parecchio strana andare a servizio da qualcuno. Si sapeva che era una prerogativa di ricchi signori, quella di avere camerieri e governanti,  e che solo loro si permettevano di avere qualcuno che facesse cose che potevano essere svolte in autonomia. Pareva a tutti una follia, una cosa che non avesse senso alcuno. Eva non si aspettava questo insuccesso, ma si rese conto che bisognava solo aspettare. Preston aveva più o meno rinunciato a certe comodità. La sua casa era stata lasciata vuota e lui aveva preferito vivere al resort, perché assumere qualcuno per mantenerla per lui solo era uno spreco. Aveva, nel corso del tempo, mandato qualcuno per una manutenzione ordinaria di tanto in tanto, senza grande impegno.

Dopo qualche tempo, qualcuno cominciò a farsi avanti timidamente. Purtroppo non fu semplice trovare le persone adatte: tutti quelli che si presentavano lì non avevano bene in mente cosa dovesse fare una cameriera o una cuoca. Poteva sembrare strano o assurdo, ma era qualcosa oltre la loro immaginazione. Eva si rese conto che trovare qualcuno con un minimo di esperienza era particolarmente difficile.

I colloqui di lavoro si tenevano al “Grace’ Café”; la proprietaria versava da bere un po’ a tutti quelli che sedevano al tavolo con Mrs. Lodge e, lo ammetteva, origliava le sue domande e le risposte di chi cercava di essere assunto in quella casa da ricchi. Più ascoltava la descrizione delle mansioni, più faceva mente locale sulle persone di sua conoscenza. In effetti qualcuno forse c’era.

Eva era pensierosa. Non aveva trovato nessuno che facesse al caso suo e sorseggiò il caffè che aveva sul fondo della sua tazza. Grace le portò una fetta di torta di mele.

< Forse conosco qualcuno che farebbe al caso suo. > disse quasi senza pensare, in uno slancio derivato dalla possibilità di aiutare una delle famiglie di sua conoscenza che si trovava in pessime condizioni. Si trattava di una di quelle famiglie di neri che vivevano ancora nelle baracche, che erano andate via dagli Stati del Sud, dove la schiavitù non era sparita di fatto.

Grace si sentì un attimo maleducata, dato che si era praticamente intromessa nei suoi pensieri, ma il sorriso di Mrs. Lodge l’aveva rassicurata: era molto più malleabile di suo marito, anche se in alcune circostanze si comportavano in maniera molto simile. Si trovò a pensare che doveva essere l’aria di Boston o di una grande città in generale a conferire una simile comportamento.

< Di chi si tratta? > chiese con gentilezza la donna, invitando la proprietaria del caffè a sedersi.

< Di vecchie conoscenze. > rispose Grace, quasi volesse restare sul vago. Si era quasi subito pentita di essersi fatta avanti. E se il colore della pelle fosse un problema? Eva era in attesa di ulteriori informazioni che però non giungevano. Capì quale potesse essere il problema.

< Si tratta di gente di colore, immagino. >

Grace strinse gli occhi sulla difensiva, analizzando il tono che era stato utilizzato in quella affermazione; ci pensò su un po’, poi decise che non sembrava disgusto o qualcosa del genere e propose di andare a trovarli.

                Erano entrambe, la cuoca e la scrittrice, su un carro, diretti verso la comunità di afroamericani che si potevano considerare cittadini di Colorado Springs. Il paesaggio si era fatto più rude ed Eva non mancò di notarlo. Si era fidata cecamente della donna e, mentre si allontanavano sempre di più dal centro abitato, iniziò a pensare che forse sarebbe stato meglio se ci fosse andata con Preston. Il viaggio non durò molto, e iniziò a spuntare una baraccopoli dopo una collinetta.

Eva non aveva mai visto niente di simile, nonostante avesse viaggiato parecchio, solcando anche l’Oceano. Era una strana visione che la metteva a disagio: essere vissuta in modo completamente differente la faceva sentire sbagliata e si era resa conto che il suo vissuto apparteneva davvero a poche persone in quella parte degli Stati Uniti. Lei era stata una privilegiata, così come Preston e poche altre persone in città. Il resto della popolazione aveva vissuto in alcuni momenti di stenti, in altri in carovane, privi di qualunque tipo di rifornimento e non voleva nemmeno pensare a come doveva essere stata Colorado Springs quando la ferrovia era lontana. Ma quello che stava osservando ora era davvero oltre ogni immaginazione.

Baracche fatiscenti che al primo colpo di vento si sarebbero sgretolate come se fossero state un castello di carte. Gente seduta sulla soglia di quelle catapecchie che non vedeva una tinozza d’acqua da molto, molto tempo. Un certo timore si impadronì di lei e temeva quasi a scendere dal carro. Non credeva di essere così schizzinosa, eppure era la definizione migliore che riusciva a darsi: nonostante conoscesse perfettamente la Storia Americana, non aveva la minima idea di quale fosse la realtà. Aveva anche letto “La capanna dello Zio Tom”, confidando nelle recensioni letterarie dei giornali che consideravano il romanzo un documento affidabile di certi avvenimenti, ma quello che stava vedendo probabilmente era il seguito del romanzo mai scritto da nessuno, quello che è sorto dall’abolizione della schiavitù: una schiavitù diversa, quella della fame e della miseria.

Grace si accorse del cambiamento di umore della sua accompagnatrice, ma non riuscì a biasimarla. Per una ragazza cresciuta tra i merletti quello che vedeva doveva essere ripugnante.

< Venga con me. > disse, invitando Eva a seguirla.

                Si fermarono davanti a una catapecchia dal quale spuntò immediatamente un ragazzino vestito di stracci con i capelli arruffati.

< Ciao, Samuel. La mamma è in casa? > chiese Grace.

Il bambino scomparve nel buio della baracca e ne riemerse poco dopo seguito da una donna alta, dalle spalle possenti, probabilmente a causa del duro lavoro. La proposta fu fatta dalla proprietaria del “Grace’ Café”: Eva pensò che fosse meglio lasciarla fare. La situazione era davvero imbarazzante. Non avrebbe saputo come parlare ad una persona che l’aveva guardata con il fuoco negli occhi, squadrando il suo vestito di mussola leggera.

Grace parlò alla donna nel tentativo di convincerla ad accettare il lavoro per sé e la propria famiglia, prospettando un guadagno eccellente, un futuro migliore, una vita più tranquilla. L’idea di vivere isolata dalla propria comunità, che era anche la propria forza, non sembrava allettarla, ma ancora meno l’idea di finire a servizio di bianchi. Sembrava che ci fossero antichi rancori e, probabilmente, era la pura verità.

                Purtroppo quello che Grace ed Eva ricevettero come risposta fu una porta sbattuta loro in faccia. La reazione eccessivamente energica da parte della donna e tutta quella strada fu un buco nell’acqua. Grace raccontò che in passato era stata una schiava e aveva una pessima visione dei bianchi, che tutti i neri d’America avessero un qualche rancore e una profonda diffidenza: era stato seminato odio in loro ed era difficile estirparlo. In un certo senso era una sorta di istinto di protezione che si innescava automaticamente e che molti avrebbero preferito morire di fame piuttosto che finire di nuovo alle dipendenze di un bianco. Grace si scusò della situazione, ma Eva aveva imparato una lezione importante: la dignità a volte è tutto quello che ti resta.

 

 

   
 
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