Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: CookieKay    24/05/2012    3 recensioni
Ci sono due cose a cui Hayley Doherty non rinuncerebbe mai: il caffè di Starbucks e New York. E allora perchè si è trasferita a Londra e beve caffè in una qualsiasi caffetteria piena zeppa di turisti?
Dal primo capitolo: “Adesso fumi pure?” mi chiese il mio odioso fratellastro, divertito. “E’ illegale per caso?” sputai velenosa. Lui rise “Fa un po’ come ti pare” sentenziò. Abbassai il finestrino e mi accesi una sigaretta. Non ero una fumatrice accanita, ma in quella situazione ne avevo abbastanza bisogno. “C’è uno Starbucks vicino casa?” chiesi aspirando del fumo. “Sì” rispose semplicemente. Questo voleva dire che me lo sarei dovuto trovare da sola. “Senti per la mia salute mentale, possiamo cercare di andare d’accordo?” ero disperata. Volevo almeno un alleato dalla mia parte. “Scordati di immischiarmi nei tuoi problemi con il tuo vecchio.” Era più perspicace di quello che mi ricordavo. “Per favore. Ho bisogno di un amico” buttai lì, tentando di risultare il più disperata possibile. “La smetti di rompermi i coglioni?” esclamò gelido, come al solito, piombando in un silenzio innaturale.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 5: Le ossessioni di Hayley Doherty

 

“Vuoi stare attenta?” la voce di Savannah mi riportò alla realtà. Mi aveva afferrata per il braccio, evitandomi di essere investita da un autobus a due piani. “Si può sapere dove hai la testa?” mi chiese mia sorella, dandomi un buffetto in fronte. Non risposi. Non potevo di certo dirle che pensavo notte e giorno al bacio con Adam. Sospirai, senza speranze. Ero uscita con lei perché mi aveva obbligata. Avrei preferito rimanere a casa. Non amavo molto fare shopping, al contrario di mia sorella che ne era ossessionata. Mi trascinava per negozi e mi faceva provare vestiti che mai avrei messo in vita mia. Non accettava obiezioni quando tirava fuori la carta di credito di papà e pagava montagne di indumenti. “Lo sai di avere un problema, vero?” le dissi, dopo essere uscite dall’ennesimo negozio di abiti alla moda. “Tanto paga papà” rispose sorridendo. Mio padre guadagnava vagonate di soldi. Sinceramente non sapevo nemmeno di cosa si occupasse nello specifico. Sapevo solo che lavorava in borsa. Ma che cosa facesse per portare a casa tutti quei soldi, era un mistero per me. “Non mi hai più raccontato come è finita con il tipo dell’aereo” mi disse, fermandosi di colpo. “Non è finita” risposi annoiata. “Come mai?” “Te l’ha mai detto nessuno che sei un’impicciona?” le dissi scherzando. “Tu invece sei troppo misteriosa! E dai, raccontami!” disse supplichevole. “Era noioso. Parlava solo di sé e dei suoi viaggi stupidi” dissi. Né io né lei aggiungemmo altro. “Devo comprare quelle scarpe!” gridò guardando una vetrina. “Savannah, ne hai appena prese un paio simili” ma la sua espressione mi sciolse e l’accompagnai all’interno di quel negozio. “Guarda se ne trovi anche tu un paio” disse, prima di cercare un commesso. Mi guardai intorno. Non avrei trovato niente. Ne ero sicura. Scarpe dai tacchi vertiginosi e dai prezzi spaventosamente alti. Infatti, come pensavo, uscii a mane vuote. Mia sorella invece si era ritrovata indecisa su due paia, e alla fine le aveva prese entrambe. “Hai il ragazzo?” le chiesi, immaginando lo avesse. La vidi arrossire vistosamente. “No” bisbigliò “Ma c’è un ragazzo che mi piace” “E qual è il problema?” “Non penso mi possa ricambiare”. Fui io a quel punto a fermarmi di botto a bocca spalancata. “Che c’è?” mi chiese. “Come che c’è?! Sei una delle più belle ragazze che io abbia mai visto!” “Non è questo il problema” “E quale sarebbe?” La vidi pensarci su. Poi mi sputò in faccia la verità “Ha vent’anni in più di me!” Rimasi senza fiato. E’ proprio tua sorella. Iniziai a ridere senza contegno. “Smettila di ridere!” disse arrabbiata. “Non rido per te. Questa situazione mi è così familiare” Lei non capì. E come poteva? Non le avevo ancora parlato di Jamie. “Che dici se te ne trovassi uno della tua età?” le chiesi. “Sono tutti stupidi! Invece lui è così maturo, sensibile, elegante” disse con fare sognante. Le brillavano gli occhi. Sorrisi. “Fai quello che devi” le dissi solo. Lei mi guardò come se si aspettasse tutt’altra risposta. Quando tornammo a casa Jodi ci accolse con un enorme sorriso davanti alla porta. “Non mi piace quello sguardo” le disse mia sorella. “Abbiamo ospiti a cena, stasera. Quindi mi aspetto la massima collaborazione da parte vostra” “Dobbiamo pulire casa?” chiesi, abituata a quando a New York io e mia madre ricevevamo ospiti e ci toccava lustrare casa da cima a fondo. “No, mi bastano solo le vostre stanze” “Ma tanto nessuno ci entrerà!” si lagnò Savannah capricciosa. “Niente discussioni!” la ammonì sua madre indicandole le scale. “Puoi dire a tuo fratello di mettere a posto camera sua?” mi chiese Jodi, con sguardo supplichevole. Annuii non molto convinta. E così mi sarebbe toccato di parlare con lui dopo quel bacio. Sbuffai salendo le scale. Bussai alla sua porta. Ma non mi rispose. Aprii piano la porta e infilai la testa nella sua stanza. Lo vidi sdraiato sul letto, con un braccio sopra gli occhi. “Chiunque tu sia, sparisci” disse immobile. “Tua madre ha detto che devi pulire la tua stanza” Appena sentì la mia voce fece un salto sul letto, guardandomi ad occhi sgranati. “Potevi dirmelo che eri tu” mi disse, alzandosi dal letto e chiudendo la porta alle mie spalle. “Non vedo che differenza avrebbe fatto” dissi, perdendo un paio di battiti nel sentirlo e vederlo così vicino a me. Lui mi sorrise. Se solo fossi potuta uscire ed evitare quel contatto visivo con i suoi occhi azzurri. “Sarà meglio che inizi a pulire. La tua camera fa schifo” dissi, guardando al di là delle sue spalle. Lo vidi girarsi un attimo. Era il momento giusto. Con uno scatto felino riuscii ad uscire dalla sua stanza e a barricarmi nella mia. Chiusi a chiave e mi sentii più tranquilla. Per un altro paio di ore sarei rimasta lontana da Adam. Accesi lo stereo e alzai il volume sulle note dei Pumpink Punkerz. Pulii la stanza da cima a fondo. Svuotai e riempii più volte l’armadio, riponendo vestiti e scarpe in modo quasi maniacale. Il comodino era stato pulito così a fondo che la polvere veniva respinta da una barriera invisibile creata con i fumi dei detersivi spray. Dalla camera di Adam proveniva uno strano quanto sospetto silenzio. Infatti sentii qualcuno spalancare la porta della sua stanza. Jodi. Gli gridò come un’ossessa dato che lui non si era dimostrato per nulla collaborativo. A quanto sembrava, dalle urla della mia matrigna, mio fratello si era appisolato tralasciando le faccende domestiche. Jodi sbatté la porta e scese al piano di sotto, borbottando adirata. Poche ore dopo, constatando che la mia camera brillava ormai di luce propria, decisi di andare a farmi una doccia. Nel momento in cui mi tolsi la maglietta, la porta del bagno si spalancò. I suoi occhi, il suo sguardo, la sua bocca semiaperta. Fu imbarazzante. Non dicemmo nulla, entrambi. Lo spinsi fuori dal bagno e chiusi la porta a chiave. “La prossima volta bussa, depravato!” gridai, imbarazzata. Lo sentii ridere. La tipica risata da idiota di Adam. Mi buttai sotto la doccia per lavarmi via il suo sguardo di dosso. Il mio cuore batteva così forte che per un momento pensai di morire. Esagerata. Quando uscii da sotto la doccia, mi ero calmata. Più o meno. Mi asciugai i capelli e li legai in una treccia laterale. Corsi in camera mia per evitare di incrociare mio fratello nel tragitto. Mi misi un paio di jeans e una maglietta a maniche corte che avevo comprato con Savannah quel pomeriggio. E scesi al piano di sotto. Entrai in cucina, dove un’isterica Jodi armeggiava tra i fornelli insieme alla domestica. “Oh, Hayley! Assaggia” disse prima di schiaffarmi in bocca un cucchiaio ustionante di non so bene cosa. “Buono” dissi, con la bocca in fiamme. “Sicura? Non pensi che ci manchi un po’ di sale?” “Penso sia perfetto” risposi, tentando di tranquillizzarla. “Chi viene a cena?” le chiesi, notando la sua ansia. “Un paio di colleghi di tuo padre. E voglio che sia tutto perfetto” “Lo vedo” dissi ridendo. La domestica, la signora Travis, era più agitata della mia matrigna. Era una signora di circa sessant’anni, bassa quanto me, con una crocchia di capelli grigi sistemati ordinatamente. I suoi compiti erano cucinare e pulire la casa. Ma data la follia generale che stava circondando casa nostra, Jodi le aveva ordinato di concentrarsi sulle portate, mentre noi avremmo pulito la casa. “Camera tua è in ordine?” mi chiese, aprendo più antine della credenza, la mia ansiosa matrigna. “Lustra come uno specchio” le dissi, prendendo una carota in miniatura da un piatto. “Posala immediatamente Hayley Doherty!” ululò Jodi, minacciandomi con un mestolo. Feci come ordinato e uscii dalla cucina. Mi buttai sul divano con un tonfo e misi nella posizione in cui poco prima avevo visto mio fratello. Era rilassante stare in quella posa. “Non mi avevi detto che avevi un tatuaggio” la sua voce, tagliente come una lama, mi risvegliò da quello stato di pace assoluta, trascinandomi nel mio inferno personale. “L’ho fatto un paio di anni fa” dissi, sapendo che si stava riferendo al tatuaggio sulla mia spalla sinistra. “Non ho fatto in tempo a vedere cos’era” disse, con quel suo ghigno malizioso avvicinandosi al divano. “Una chiave” dissi semplicemente. Alzò le sopracciglia e si buttò sul divano, di fianco a me. Eravamo così vicini. E anche sua madre era così vicina a noi. Nella stanza di fianco. “Spostati” sibilai. “Spostami” disse divertito. Poi la sua espressione diventò seria. Lo vidi avvicinarsi a me, troppo. Istintivamente gli tirai un calcio, dritta sullo stinco. “Cazzo! La vuoi smettere di picchiarmi?” disse massaggiandosi la gamba. “Non è colpa mia se mi ispiri violenza” dissi ridendo. “Adam!” lo voce di Jodi ci fece voltare entrambi. Come se ci avesse colto in fragrante. Sui nostri visi una sola espressione: colpevolezza. Anche se non stavamo facendo nulla. “Hai sistemato la tua stanza?” finì sua madre. Lo vidi annuire e abbassare lo sguardo. Probabilmente stava pensando ciò che pensavo io. Era sbagliato. Non potevamo continuare così. Si scompigliò i capelli castani e appoggiò la sua testa sulla mia pancia. “Alzati” “Non sai dire per favore?” disse con gli occhi chiusi. Non mi ero accorta di essermi avvicinata così tanto al suo viso. Lui aveva gli occhi chiusi. “Albicocca” disse sorridendo sempre a occhi chiusi. “Che?” chiesi senza capire, allontanandomi da lui. “Profumi di albicocca” aprì gli occhi e li puntò su di me. “Mi sono lavata prima” dissi, dandomi della stupida subito dopo aver pronunciato quelle parole. Lui rise “Lo so” disse portandomi all’imbarazzante scena di lui che mi guardava immobile, mentre ero solo in reggiseno e pantaloni. Arrossii di colpo. “Quando hai intenzione di baciarmi ancora?” mi chiese col suo ghigno. Non risposi. Evitai di guardarlo in faccia. Ma sapevo che faceva sul serio. Guardai verso la cucina. Sua madre poteva tornare da un momento all’altro. Ma quella volta fu lui a prendermi per la collottola della maglia e tirarmi a sé. Mi ritrassi subito da quel bacio. “Pezzo d’idiota” bisbigliai prima di alzarmi dal divano e lasciarlo solo. Per quanto breve potesse essere stato quel bacio, era riuscito a farmi esplodere il cuore in milioni di coriandoli. Mentre salivo per le scale non riuscii a non sorridere. A quanto sembrava lui voleva me quanto io volevo lui. Non era più un gioco. Non avrebbe rischiato tanto se fosse stato solo un gioco. Non mi avrebbe baciata a pochi metri da sua madre. Per quanto potessi sentirmi colpevole, sporca e sbagliata non smettevo di sorridere. Non chiedevo più al mio cuore di smettere di scoppiarmi nel petto. Non mi ripetevo che Adam era mio fratello. Adam era il ragazzo che mi piaceva. Per una frazione di secondo ripensai all’uscita con Freddie: non era lui che era cambiato dall’ultima volta che l’avevo visto. Ero io. Pensavo ad Adam la maggior parte della mia giornata. Mio fratello era riuscito a farmi dimenticare di Jamie. A prendere l’ipotetico posto di Freddie. Mio fratello mi faceva ridere, arrabbiare, piangere, imbarazzare. Ma se Adam non ci fosse stato, probabilmente mi sarei sentita persa, sola.

“Hayley dovremmo scendere” se la donna davanti a me non avesse parlato, probabilmente non avrei riconosciuto mia sorella. “Sei bellissima” riuscii solo a dire a quella creatura paradisiaca. Lei arrossì “Dici?” chiese solo. Mi ritrovai ad annuire convulsamente. “Ora togliti dalla faccia quell’espressione da ebete e vieni giù” disse trascinandomi fuori dalla mia camera. Dal piano di sotto sentii la voce di mio padre che presentava agli ospiti Jodi e Adam. “E loro sono le mie due splendide figlie. Savannah ti ricordi di Trent?” chiese mio padre a mia sorella. Lei arrossì vistosamente, quando un uomo le posò un lieve bacio sulla guancia. Un uomo molto affascinante. Sulla trentina. E’ lui. Guardai mia sorella e con solo uno sguardo capii che quell’uomo era la sua cotta. Strinsi la mano a Trent, sorridendo come una stupida. Poi mio padre ci presentò agli altri due uomini e alle loro mogli snob. C’erano anche due ragazzi, gemelli. Avevano approssimativamente la mia età. Joshua e Ray. Occhi scuri, capelli biondi. Visi anonimi. Sorrisi ad entrambi. “Direi che è ora di sederci a mangiare” esultò Jodi. Mi ritrovai seduta tra i due gemelli, figli di un collega di mio padre. Davanti a me un Adam tutt’altro che sereno. I due ragazzi erano molto gentili. Mi aiutarono a servirmi dai piatti, come se avessi cinque anni o fossi menomata. Continuavo a sorridere e iniziai a pensare che ora della fine di quella serata mi sarebbe venuta una paresi facciale. Lo sguardo di Adam era sempre su di me. Come se dovesse studiare le mie mosse. Come se si aspettasse che facessi qualche danno. “Hayley, giusto?” venni richiamata da Trent, dall’altro lato del tavolo. Annuii. “Sei americana, no?” “Già” “Hai frequentato qualche università?” “Giornalismo. Ma ho abbandonato” dissi, dandomi dell’idiota per aver puntualizzato. “E come mai?” chiese, attirando l’attenzione su di me. Sentii un grido strozzato di Jodi e un tossicchiare imbarazzato di mio padre. Inventa una cazzata. “Mi piace di più disegnare” dissi. Aveva ragione Adam: ero una pessima bugiarda. Non riuscivo neanche a spararne una convincente. Ma tutti a tavola sembrarono crederci. Adam sorrideva divertito. Trattenni l’impulso di tirargli un calcio da sotto il tavolo. “Hai il ragazzo?” mi chiese la madre dei gemelli. “No” dissi, guardando di sfuggita mio fratello, che iniziò a mordersi il labbro inferiore. “Bè, potresti uscire con uno dei miei ragazzi. Tuo padre dice che non hai ancora visitato Londra come si deve e che ti piacerebbe avere compagnia” In quel momento smisi di sorridere. Guardai mio padre, che volontariamente teneva lo sguardo basso sul suo piatto. Ingoiai il rospo e le risposi “In realtà mio fratello si è già offerto di accompagnarmi” “Oh, bhè. Immagino che tuo fratello capirà se preferirai uscire con uno di loro” Se ci fosse stata una torta di panna sul tavolo, probabilmente gliel’avrei lanciata in faccia a quella vecchia rompicoglioni. “E sentiamo dove avreste intenzione di accompagnare mia sorella?” chiese Adam ai gemelli. Quei due cominciarono ad elencare posti su posti, senza fermarsi. Adam rise, beffardo. “Ad Hayley non interessano il Tower Bridge o Buckingham Palace. Sono luoghi troppo comuni per una come lei” disse sicuro. “E sentiamo tu dove la porteresti?” chiese sgarbata la donna. “Il London Eye. Hayley ha una specie di complesso sull’altezza. E’ la prima cosa che nota di una persona. Lì sopra probabilmente, guardando Londra dall’alto, riuscirebbe a sentirsi meno in imbarazzo per la sua statura. Oppure in qualche negozio di CD a scovare dischi di gruppi sconosciuti o a bere caffè da Starbucks. O le farei visitare tutti parchi di Londra” “I parchi?” “E’ di New York. E mia sorella non è una delle ragazze più comuni che esistano. Probabilmente passava le sue giornata a Central Park a… disegnare” finì, sottolineando l’ultima parola. Rimasi a bocca aperta. “E poi è stata ai Kensington per un paio d’ore ed è tornata a casa che sembrava un’altra persona” concluse tornando al suo arrosto. Savannah sorrideva soddisfatta, fiera di suo fratello. Jodi e mio padre non riuscivano a credere alle loro orecchie. Per quanto lui fosse stato stronzo con me, si era accorto di ciò che mi ossessionava. L’altezza, i dischi, il caffè e i parchi. “Capisce perché preferisco andare con mio fratello?” chiesi sorridendo alla donna che, stizzita, non disse una parola. Grugnì qualcosa di incomprensibile e si concentrò a fare a brandelli il resto della carne nel suo piatto. I gemelli, entrambi, stettero in silenzio fino alla fine della cena. Guardai Adam, ma lui evitò il mio sguardo. Allora decisi di guardare mia sorella. Trattenni una risata. Se solo avessi avuto un macchina fotografica per le mani avrei immortalato la sua espressione da pesce innamorato. Guardava Trent come se fosse un’apparizione divina. Decisi di finire il mio arrosto. La signora Travis portò il dolce: crostata ai frutti di bosco. Manna dal cielo. Amavo le crostate in generale, ma quelle ai frutti di bosco erano le mie preferite. “E’ deliziosa, Jodi. L’hai fatta tu?” “No, mio figlio è andato a prenderla in pasticceria prima che arrivaste” rispose la mia matrigna. Lui se lo ricordava. Doveva per forza ricordarselo. Sapeva che avrei amato quella crostata. E il mio cuore si riempì di amore ad ogni morso che davo a quel dolce. Se avessi potuto, sarei saltata sul tavolo e l’avrei baciato. Ti sei fatta comprare con dolci parole e una fetta di crostata ai frutti di bosco. Ma non riuscivo a smettere di sorridere. Maledetto Adam. Lo vidi alzarsi e con lo sguardo lo seguii al piano di sopra. Aspettai un paio di minuti ma lui non si decideva a tornare. Così, dopo aver litigato pesantemente con il mio cervello, decisi di raggiungerlo. Corsi letteralmente su per le scale. Spalancai la porta e la richiusi dietro di me. Non dissi nulla. Mi avvicinai a lui, sdraiato sul letto. E lo baciai. Fu lui a fermarmi. “Che fai?” mi chiese sorridendo. “Chiudi quel forno” dissi, ricordandogli ciò che lui aveva detto a me, il giorno prima. Mi prese per i fianchi, continuando a baciarmi, e mi mise sotto di lui. Solo con il tocco delle sue mani con la mia pelle, ero andata fuori di testa. Iniziavo a non capire più niente. Ecco che riiniziava con i suoi baci sul collo. Paradisiaci. Stavolta non trattenni nessun gemito. Doveva sapere che amavo quando mi baciava sul collo. Doveva sapere cosa provavo quando mi toccava, quando il suo respiro affannato incontrava la mia pelle, pervasa da brividi. Lo sentii mettermi le mani sotto la mia maglietta. Saliva lentamente, come se avesse potuto farmi del male se avesse fatto più in fretta. Ma lo fermai. Quell’ultimo barlume di lucidità che mi era rimasto lo aveva fermato, andando contro a ciò che volevo realmente. Mi guardò senza capire. Chiusi gli occhi e cercai di riprendermi. “E’ sbagliato” sussurrai, più a me stessa che a lui. Lo vidi stringere le mascelle. Se avesse potuto mi avrebbe presa a schiaffi. Si sedette sul letto e mi diede le spalle, guardando la porta. ”Lo so anche io” disse a bassa voce “Ma non riesco a starti lontano” concluse, prendendosi la faccia tra le mani. “Come facevi a sapere della crostata di frutti di bosco?” chiesi, cambiando drasticamente discorso. “Quando eravamo piccoli, chiedevi a tuo padre di comprarti quella maledetta crostata ogni giorno. Ho pensato che avresti apprezzato” disse, continuando a tenersi la testa stretta fra le mani. Mi avvicinai a lui. Appoggiai la mia testa alla sua spalla “Grazie, Adam” dissi, chiudendo gli occhi. “Sarai mai mia?” mi chiese, prendendomi per le spalle e costringendomi a guardarlo negli occhi. “Io..” “Rispondi!” “No” risultando più convincente di quanto credessi. Se l’era bevuta. Per una volta che avrei voluto che lui si accorgesse che stavo mentendo, lui ci aveva creduto. La presa sulle mie spalle si fece per un attimo più forte, per poi affievolirsi, lasciandomi andare completamente. “E allora perché sei venuta qui?” “Non lo so” “Voglio delle risposte chiare” mi disse, battagliero. Presi coraggio e sputai “Non riesco a stare lontana da te”. Lui sorrise. Un sorriso amaro, poco convinto. “Non riesci a stare lontana da me, ma non vuoi essere mia. Questo è un controsenso” “E’ solo confusione” “Non voglio perdere tempo con persone confuse!” “Benissimo. D’accordo. Non ti farò sprecare un minuto in più della tua vita con me” dissi alzandomi dal letto. Alla fine dovevamo litigare, come sempre. “Brava! Scappa! Non sai fare altro” “Hai ragione. Non so fare altro” dissi prima di sbattere la porta della sua stanza alle mie spalle. Non volevo più ascoltarlo. Perché non riusciva a mettersi in quella testa bacata che per me non era normale quella situazione? Baciare mio fratello non era di certo uno dei miei sogni di bambina. Perché ci stavamo complicando la vita in quel modo? Perché non potevamo odiarci come avevamo sempre fatto? Lui aprì la porta della mia stanza e la richiuse alle sue spalle con violenza, quasi volesse scardinarla. Indietreggiai di qualche passo. Non mi piaceva la sua espressione minacciosa. Ed essere da sola in una stanza con lui, conciato a quel modo non mi tranquillizzava. “Chi cazzo ti credi di essere?! Vieni qui e mi incasini la vita in pochi mesi e mi fai perdere completamente il lume della ragione, stupida deficiente!” “Non insultarmi, brutto idiota! Hai fatto tutto tu! Sei tu che hai incasinato la mia vita! Io nemmeno ci volevo venire in questa città di merda! Quindi non rompermi i coglioni!” Di tutta risposta, lui mi spinse contro il muro. Ma non con violenza. “Ti prego, baciami” mi chiese quasi in una supplica. E io non riuscii a dirgli di no. Lo attirai a me, velocemente. Amavo sentire il suo sapore sulle mie labbra. Amavo sentire le sue mani sul mio corpo. Quel bacio non fu di certo innocente. Era desideroso, bramoso, lussurioso. Lo sentivamo entrambi. I nostri respiri affannati, parlavano per noi. Mi mordeva le labbra, come se volesse mangiarle. Mandai a cagare il barlume di lucidità che poco prima mi aveva fermato. “State bene?” la voce di Jodi al di là della porta ci fece staccare istantaneamente. “Si” rispondemmo in coro. Aprì la porta “Gli ospiti se ne stanno andando” disse, ordinandoci tra le righe di scendere per salutare. Lei se ne andò. Adam mi accarezzò il viso e mi rubò un ultimo bacio, prima di scendere al piano di sotto.

 Solo Trent rimase a fare compagnia a mio padre per parlare di lavoro, accompagnato da bicchierini di whisky invecchiato. Mio padre si alzò e andò in cucina. Io lo seguii. “E’ stato scorretto” dissi ferita. “Cosa?” chiese, facendo finta di non capire. “Quella pietosa messa in scena di prima. Cos’è, stai cercando di maritarmi con uno dei figli di qualche tuo collega?” Avrei voluto spaccargli la faccia. “Hayley, ho solo pensato..” “Bhè, non farlo. Sono capace di scegliere..” “Non mi sembra proprio, signorina. Ti sei fatta sbattere fuori dall’università per una tresca col tuo cazzo di professore” sibilò adirato a pochi centimetri dal mio viso. L’odore di whisky mi entrò nelle narici. Abbassai lo sguardo. “Uscirai con uno di quei ragazzi. O con tutti e due se ti aggrada di più. E ti divertirai, chiaro?” “No, non puoi decidere per me” “Sei a casa mia” “Non per mia scelta” “Hayley, finiscila. Questa discussione è chiusa” “Vaffanculo” dissi, trattenendo la rabbia. Sentii la guancia prendermi fuoco, nel momento in cui mi tirò una delle sberle più potenti che avessi mai preso in vita mia. Non gli diedi la soddisfazione di vedermi piangere. Uscimmo entrambi dalla cucina. Lui si fermò in salotto, mentre io uscii di casa, sbattendo la porta. Cominciai a camminare velocemente, ritrovandomi poi a correre. Maledetta la mia bocca che non stava mai zitta. Il cuore mi scoppiava nel petto. Le lacrime mi bagnavano il viso. La guancia mi faceva un male cane. Di certo non avevo imparato niente dalla mia esperienza. Se prima era il mio professore, ora era mio fratello. Mi diedi della stupida e rallentai la corsa. Avevo il fiato corto, e i singhiozzi convulsivi di certo non mi aiutavano a incanalare più aria. Tentai di calmarmi. Mi sedetti su una panchina e mi rannicchiai, cercando di sentirmi protetta. Avevo bisogno di un abbraccio. Di un abbraccio di mia madre. Di quelli caldi, profumati che mi facevano sentire al sicuro anche se tutto intorno a me stava andando a puttane. Piansi ancora più forte, cercando di scrollarmi di dosso tutto il dolore che provavo. “Hai le gambe corte, ma corri veloce” la voce di Jodi mi fece alzare la testa. Non era proprio il momento migliore per sdrammatizzare. E la mia espressione glielo fece capire. “Scusami, non sono molto brava a consolare le persone” “E allora che cavolo sei venuta a fare?” dissi, maligna. Lei sospirò. “Torna a casa. Ci sono pochi gradi e sei a maniche corte” “Non mi interessa. Se morissi assiderata, sarei meno di peso” “Oh, forza! Non fare la drammatica! Alzati su e torna a casa con me” Aveva la voce ferma, di quelle che non ammettono repliche. Mi alzai in piedi “Lasciami stare” le dissi, perforandola con lo sguardo. “Hayley, per l’amor del cielo! Non fare la cocciuta!” disse prendendomi per le spalle. “Voglio tornare a casa mia” le bisbigliai tra le lacrime, completamente stravolta. “Lo so” disse, abbracciandomi dolcemente. Jodi non profumava di mamma. O meglio, non profumava come mia madre. Probabilmente perché aveva passato metà pomeriggio in cucina a cucinare e l’altra metà a pulire casa. “Per ora accontentati di stare qui. Quando tua madre si sarà calmata, vedremo cosa fare” disse cullandomi tra le sue braccia. Tornammo a casa, camminando piano, in silenzio. Per tutto il tragitto aveva tenuto ben saldo il suo braccio intorno alle mie spalle, per farmi stare un po’ più a caldo. Ma non era servito a molto, dato che ero seriamente congelata. Non dissi una parola nemmeno quando entrai in casa, dove mio padre parlava ancora con Trent. Savannah si era addormentata sul divano. Adam probabilmente era in camera sua. Salii al piano di sopra e mi chiusi in camera a chiave. Sentii bussare un paio di volte. Non aprii. Era Adam, lo sapevo. Ma volevo stare sola. Rimasi sdraiata sul letto, a pancia in su, particolarmente interessata ad una minuscola crepa sul soffitto. Se fossi tornata davvero a New York? Sarei riuscita a chiudere il capitolo ‘Adam’? Sbuffai. Mia madre non me l’avrebbe perdonata facilmente e a New York probabilmente non sarei più tornata. Mi accarezzai la guancia che poco prima mio padre mi aveva colpito. “Ahia” sussurrai, massaggiandomi lo zigomo. Mi aveva presa bene. Spalancai la finestra e mi accesi una sigaretta. Quale modo migliore per calmarsi? L’aria fredda della sera mi congelò la faccia. Lasciai la sigaretta in bilico sul davanzale e presi una felpa dalla sedia di fianco al letto. Alzai il cappuccio, come se avesse potuto proteggermi dall’aria fredda. Fumai quella sigaretta lentamente, come se fosse stata l’ultima della mia vita. C’era un silenzio che metteva pace. Da piccola, come quasi tutti i bambini, odiavo il buio. Ma il buio di Londra iniziava a piacermi. Era un buio diverso da quello newyorkese. Non c’erano insegne luminose, i tombini non emanavano quell’inquietante fumo da film dell’orrore, non si sentiva l’odore di cibi fritti. C’era pace e silenzio. Spensi la sigaretta contro il muro esterno della casa e buttai il mozzicone in giardino. Chiusi la finestra e piombai nel buio della mia camera. Non vidi, però, il comodino che centrai in pieno con il mignolo del piede. Gridai come un animale ferito, prendendomi il piede e buttandomi sul letto. “Apri questa cazzo di porta!” sentii fuori dalla mia camera. Zoppicando nel buio riuscii ad arrivare alla porta e ad aprirla. “Che vuoi?” chiesi, ancora dolorante. “Che è successo?” mi chiese mio fratello. Doveva aver sentito il mio urlo spacca-timpani. “Ho sbattuto il mignolo contro il comodino” dissi imbarazzata. “Ah” disse solamente. Rimase immobile a fissarmi in silenzio. “C’è altro?” chiesi acida. “Mi fai entrare?” chiese lui scocciato. Lo feci passare e accesi la luce. Chiusi la porta e aspettai che iniziasse a parlare. Si sedette sul letto, mentre io lo guardavo a braccia conserte in piedi, vicino alla porta. “Cosa siamo?” chiese all’improvviso. “Due umani” risposi ironica, senza capire che intendesse. “Stupida, intendo: come dobbiamo definirci?” “Fratellastri” risposi, sapendo già che un’altra litigata era nell’aria. “Quindi se io mi frequentassi con altre ragazze, non ci sarebbero problemi?” “Ripeto: siamo fratelli. Puoi fare quel diavolo che vuoi” risposi astiosa. “Hai intenzione di uscire con quei due idioti di stasera?” “Non lo so” “Sono due idioti” “L’hai già detto” “Cristo, Lee! Mi sembri un pezzo di ghiaccio” “Ho preso freddo” “Smettila di fare l’idiota e di dare risposte alla cazzo!” “Puoi evitare di gridare?” “No perché mi fai incazzare!” Mi sovrastava di almeno trenta centimetri. Eppure quando eravamo piccoli eravamo alti uguali. “Senti, non ho proprio voglia di discutere per l’ennesima volta con te” dissi stanca, guardandolo negli occhi. Sbuffò irritato. “Perché mi sembra sempre di fare un passo in avanti e cinquanta indietro con te?” disse abbassando lo sguardo. “Perché è sbagliato” ripetei per l’ennesima volta. “Maledizione, finiscila di ripeterlo! L’ho capito! Perché almeno per un attimo non provi a mettere da parte questo cazzo di presupposto?!” gridava come un pazzo. “L’ho già fatto una volta. E mi sono ritrovata su un aereo per Londra con un biglietto di sola andata” dissi bisbigliando. “Non è la stessa cosa” disse, accarezzandomi il viso. Gli allontanai la mano bruscamente. “E’ esattamente la stessa cosa. E tu stai solo complicando l-“ Mi tappò la bocca con un bacio, all’improvviso, inaspettato. Mi prese in braccio e mi buttò sul letto, senza mai staccarsi dalle mie labbra. Ero un mucchio di carne, ossa e brividi. Se ne fossi stata capace, sarei andata in autocombustione spontanea. “Non farlo” dissi, staccandomi da lui. “Cosa?” chiese. “Non uscire con altre” dissi, rossa in volto. Lo vidi sorridere. Un sorriso così dolce che avrebbe sciolto chiunque. Me compresa. “Nemmeno tu” disse, prima di riprendere a baciarmi. Maledette le sue labbra. Maledetto il suo respiro. Maledetto il suo odore. Maledette le sue mani. Maledetti i suoi occhi azzurri che mi guardavano curiosi. Maledetta me, che non imparava mai dai miei errori.

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 5: fine! E’ stata ‘na faticaccia scrivere sto capitolo! :D Speriamo che sia uscita una cosa decente XD Allora, facciamo il punto della situazione: ormai è chiaro che questi 2 non si considerano più fratelli ._.’’ La piccola e dolce Savannah, prendendo inconsapevolmente esempio da sua sorella, è stracotta di un collega del padre (solo a pensarci mi vien da ridere… Ma che razza di famiglia sto descrivendo?? Muhauhauah XD). Il padre di Hayley le combina appuntamenti al buio, mascherandoli da semplici cene tra colleghi e famiglie, cosa che fa andare fuori di testa la ragazza. Jodi sembra l’unico personaggio normale, o almeno ‘mentalmente sano’. Ringrazio ancora una volta chi ha inserito la mia umile storia tra i preferiti o le seguite. Fatemi sapere che ne pensate di quest’ultimo capitolo (o della storia in generale)! :D

Un bacio,

Kiki :D

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: CookieKay