Capitolo
5: Le
ossessioni di Hayley Doherty
“Vuoi stare
attenta?” la voce di Savannah mi riportò alla
realtà. Mi aveva afferrata per il braccio, evitandomi di
essere investita da un
autobus a due piani. “Si può sapere dove hai la
testa?” mi chiese mia sorella,
dandomi un buffetto in fronte. Non risposi. Non potevo di certo dirle
che
pensavo notte e giorno al bacio con Adam. Sospirai, senza speranze. Ero
uscita
con lei perché mi aveva obbligata. Avrei preferito rimanere
a casa. Non amavo
molto fare shopping, al contrario di mia sorella che ne era
ossessionata. Mi
trascinava per negozi e mi faceva provare vestiti che mai avrei messo
in vita
mia. Non accettava obiezioni quando tirava fuori la carta di credito di
papà e
pagava montagne di indumenti. “Lo sai di avere un problema,
vero?” le dissi,
dopo essere uscite dall’ennesimo negozio di abiti alla moda.
“Tanto paga papà”
rispose sorridendo. Mio padre guadagnava vagonate di soldi.
Sinceramente non
sapevo nemmeno di cosa si occupasse nello specifico. Sapevo solo che
lavorava
in borsa. Ma che cosa facesse per portare a casa tutti quei soldi, era
un
mistero per me. “Non mi hai più raccontato come
è finita con il tipo
dell’aereo” mi disse, fermandosi di colpo.
“Non è finita” risposi annoiata.
“Come mai?” “Te l’ha mai detto
nessuno che sei un’impicciona?” le dissi
scherzando. “Tu invece sei troppo misteriosa! E dai,
raccontami!” disse
supplichevole. “Era noioso. Parlava solo di sé e
dei suoi viaggi stupidi”
dissi. Né io né lei aggiungemmo altro.
“Devo comprare quelle scarpe!” gridò
guardando una vetrina. “Savannah, ne hai appena prese un paio
simili” ma la sua
espressione mi sciolse e l’accompagnai all’interno
di quel negozio. “Guarda se
ne trovi anche tu un paio” disse, prima di cercare un
commesso. Mi guardai
intorno. Non avrei trovato niente. Ne ero sicura. Scarpe dai tacchi
vertiginosi
e dai prezzi spaventosamente alti. Infatti, come pensavo, uscii a mane
vuote.
Mia sorella invece si era ritrovata indecisa su due paia, e alla fine
le aveva
prese entrambe. “Hai il ragazzo?” le chiesi,
immaginando lo avesse. La vidi
arrossire vistosamente. “No” bisbigliò
“Ma c’è un ragazzo che mi
piace” “E qual
è il problema?” “Non penso mi possa
ricambiare”. Fui io a quel punto a fermarmi
di botto a bocca spalancata. “Che
c’è?” mi chiese. “Come che
c’è?! Sei una delle
più belle ragazze che io abbia mai visto!”
“Non è questo il problema” “E
quale
sarebbe?” La vidi pensarci su. Poi mi sputò in
faccia la verità “Ha vent’anni
in più di me!” Rimasi senza fiato. E’
proprio tua sorella. Iniziai a ridere senza contegno.
“Smettila di ridere!”
disse arrabbiata. “Non rido per te. Questa situazione mi
è così familiare” Lei
non capì. E come poteva? Non le avevo ancora parlato di
Jamie. “Che dici se te
ne trovassi uno della tua età?” le chiesi.
“Sono tutti stupidi! Invece lui è così
maturo, sensibile, elegante” disse con fare sognante. Le
brillavano gli occhi.
Sorrisi. “Fai quello che devi” le dissi solo. Lei
mi guardò come se si
aspettasse tutt’altra risposta. Quando tornammo a casa Jodi
ci accolse con un
enorme sorriso davanti alla porta. “Non mi piace quello
sguardo” le disse mia
sorella. “Abbiamo ospiti a cena, stasera. Quindi mi aspetto
la massima
collaborazione da parte vostra” “Dobbiamo pulire
casa?” chiesi, abituata a
quando a New York io e mia madre ricevevamo ospiti e ci toccava
lustrare casa
da cima a fondo. “No, mi bastano solo le vostre
stanze” “Ma tanto nessuno ci
entrerà!” si lagnò Savannah
capricciosa. “Niente discussioni!” la
ammonì sua
madre indicandole le scale. “Puoi dire a tuo fratello di
mettere a posto camera
sua?” mi chiese Jodi, con sguardo supplichevole. Annuii non
molto convinta. E
così mi sarebbe toccato di parlare con lui dopo quel bacio.
Sbuffai salendo le
scale. Bussai alla sua porta. Ma non mi rispose. Aprii piano la porta e
infilai
la testa nella sua stanza. Lo vidi sdraiato sul letto, con un braccio
sopra gli
occhi. “Chiunque tu sia, sparisci” disse immobile.
“Tua madre ha detto che devi
pulire la tua stanza” Appena sentì la mia voce
fece un salto sul letto,
guardandomi ad occhi sgranati. “Potevi dirmelo che eri
tu” mi disse, alzandosi
dal letto e chiudendo la porta alle mie spalle. “Non vedo che
differenza
avrebbe fatto” dissi, perdendo un paio di battiti nel
sentirlo e vederlo così
vicino a me. Lui mi sorrise. Se solo fossi potuta uscire ed evitare
quel
contatto visivo con i suoi occhi azzurri. “Sarà
meglio che inizi a pulire. La
tua camera fa schifo” dissi, guardando al di là
delle sue spalle. Lo vidi
girarsi un attimo. Era il momento giusto. Con uno scatto felino riuscii
ad
uscire dalla sua stanza e a barricarmi nella mia. Chiusi a chiave e mi
sentii
più tranquilla. Per un altro paio di ore sarei rimasta
lontana da Adam. Accesi
lo stereo e alzai il volume sulle note dei Pumpink Punkerz. Pulii la
stanza da
cima a fondo. Svuotai e riempii più volte
l’armadio, riponendo vestiti e scarpe
in modo quasi maniacale. Il comodino era stato pulito così a
fondo che la
polvere veniva respinta da una barriera invisibile creata con i fumi
dei
detersivi spray. Dalla camera di Adam proveniva uno strano quanto
sospetto
silenzio. Infatti sentii qualcuno spalancare la porta della sua stanza.
Jodi.
Gli gridò come un’ossessa dato che lui non si era
dimostrato per nulla
collaborativo. A quanto sembrava, dalle urla della mia matrigna, mio
fratello
si era appisolato tralasciando le faccende domestiche. Jodi
sbatté la porta e
scese al piano di sotto, borbottando adirata. Poche ore dopo,
constatando che
la mia camera brillava ormai di luce propria, decisi di andare a farmi
una
doccia. Nel momento in cui mi tolsi la maglietta, la porta del bagno si
spalancò. I suoi occhi, il suo sguardo, la sua bocca
semiaperta. Fu
imbarazzante. Non dicemmo nulla, entrambi. Lo spinsi fuori dal bagno e
chiusi
la porta a chiave. “La prossima volta bussa,
depravato!” gridai, imbarazzata.
Lo sentii ridere. La tipica risata da idiota di Adam. Mi buttai sotto
la doccia
per lavarmi via il suo sguardo di dosso. Il mio cuore batteva
così forte che
per un momento pensai di morire. Esagerata.
Quando uscii da sotto la doccia, mi ero calmata. Più o meno.
Mi asciugai i
capelli e li legai in una treccia laterale. Corsi in camera mia per
evitare di
incrociare mio fratello nel tragitto. Mi misi un paio di jeans e una
maglietta
a maniche corte che avevo comprato con Savannah quel pomeriggio. E
scesi al
piano di sotto. Entrai in cucina, dove un’isterica Jodi
armeggiava tra i
fornelli insieme alla domestica. “Oh, Hayley!
Assaggia” disse prima di
schiaffarmi in bocca un cucchiaio ustionante di non so bene cosa.
“Buono”
dissi, con la bocca in fiamme. “Sicura? Non pensi che ci
manchi un po’ di
sale?” “Penso sia perfetto” risposi,
tentando di tranquillizzarla. “Chi viene a
cena?” le chiesi, notando la sua ansia. “Un paio di
colleghi di tuo padre. E
voglio che sia tutto perfetto” “Lo vedo”
dissi ridendo. La domestica, la signora
Travis, era più agitata della mia matrigna. Era una signora
di circa
sessant’anni, bassa quanto me, con una crocchia di capelli
grigi sistemati
ordinatamente. I suoi compiti erano cucinare e pulire la casa. Ma data
la
follia generale che stava circondando casa nostra, Jodi le aveva
ordinato di
concentrarsi sulle portate, mentre noi avremmo pulito la casa.
“Camera tua è in
ordine?” mi chiese, aprendo più antine della
credenza, la mia ansiosa matrigna.
“Lustra come uno specchio” le dissi, prendendo una
carota in miniatura da un
piatto. “Posala immediatamente Hayley Doherty!”
ululò Jodi, minacciandomi con
un mestolo. Feci come ordinato e uscii dalla cucina. Mi buttai sul
divano con
un tonfo e misi nella posizione in cui poco prima avevo visto mio
fratello. Era
rilassante stare in quella posa. “Non mi avevi detto che
avevi un tatuaggio” la
sua voce, tagliente come una lama, mi risvegliò da quello
stato di pace
assoluta, trascinandomi nel mio inferno personale.
“L’ho fatto un paio di anni
fa” dissi, sapendo che si stava riferendo al tatuaggio sulla
mia spalla
sinistra. “Non ho fatto in tempo a vedere
cos’era” disse, con quel suo ghigno
malizioso avvicinandosi al divano. “Una chiave”
dissi semplicemente. Alzò le
sopracciglia e si buttò sul divano, di fianco a me. Eravamo
così vicini. E
anche sua madre era così vicina a noi. Nella stanza di
fianco. “Spostati”
sibilai. “Spostami” disse divertito. Poi la sua
espressione diventò seria. Lo
vidi avvicinarsi a me, troppo. Istintivamente gli tirai un calcio,
dritta sullo
stinco. “Cazzo! La vuoi smettere di picchiarmi?”
disse massaggiandosi la gamba.
“Non è colpa mia se mi ispiri violenza”
dissi ridendo. “Adam!” lo voce di Jodi
ci fece voltare entrambi. Come se ci avesse colto in fragrante. Sui
nostri visi
una sola espressione: colpevolezza. Anche se non stavamo facendo nulla.
“Hai
sistemato la tua stanza?” finì sua madre. Lo vidi
annuire e abbassare lo
sguardo. Probabilmente stava pensando ciò che pensavo io.
Era sbagliato. Non
potevamo continuare così. Si scompigliò i capelli
castani e appoggiò la sua
testa sulla mia pancia. “Alzati” “Non sai
dire per favore?” disse con gli occhi
chiusi. Non mi ero accorta di essermi avvicinata così tanto
al suo viso. Lui
aveva gli occhi chiusi. “Albicocca” disse
sorridendo sempre a occhi chiusi.
“Che?” chiesi senza capire, allontanandomi da lui.
“Profumi di albicocca” aprì
gli occhi e li puntò su di me. “Mi sono lavata
prima” dissi, dandomi della
stupida subito dopo aver pronunciato quelle parole. Lui rise
“Lo so” disse
portandomi all’imbarazzante scena di lui che mi guardava
immobile, mentre ero
solo in reggiseno e pantaloni. Arrossii di colpo. “Quando hai
intenzione di
baciarmi ancora?” mi chiese col suo ghigno. Non risposi.
Evitai di guardarlo in
faccia. Ma sapevo che faceva sul serio. Guardai verso la cucina. Sua
madre
poteva tornare da un momento all’altro. Ma quella volta fu
lui a prendermi per
la collottola della maglia e tirarmi a sé. Mi ritrassi
subito da quel bacio.
“Pezzo d’idiota” bisbigliai prima di
alzarmi dal divano e lasciarlo solo. Per
quanto breve potesse essere stato quel bacio, era riuscito a farmi
esplodere il
cuore in milioni di coriandoli. Mentre salivo per le scale non riuscii
a non
sorridere. A quanto sembrava lui voleva me quanto io volevo lui. Non
era più un
gioco. Non avrebbe rischiato tanto se fosse stato solo un gioco. Non mi
avrebbe
baciata a pochi metri da sua madre. Per quanto potessi sentirmi
colpevole,
sporca e sbagliata non smettevo di sorridere. Non chiedevo
più al mio cuore di
smettere di scoppiarmi nel petto. Non mi ripetevo che Adam era mio
fratello.
Adam era il ragazzo che mi piaceva. Per una frazione di secondo
ripensai
all’uscita con Freddie: non era lui che era cambiato
dall’ultima volta che
l’avevo visto. Ero io. Pensavo ad Adam la maggior parte della
mia giornata. Mio
fratello era riuscito a farmi dimenticare di Jamie. A prendere
l’ipotetico
posto di Freddie. Mio fratello mi faceva ridere, arrabbiare, piangere,
imbarazzare. Ma se Adam non ci fosse stato, probabilmente mi sarei
sentita
persa, sola.
“Hayley dovremmo
scendere” se la donna davanti a me non
avesse parlato, probabilmente non avrei riconosciuto mia sorella.
“Sei
bellissima” riuscii solo a dire a quella creatura
paradisiaca. Lei arrossì
“Dici?” chiese solo. Mi ritrovai ad annuire
convulsamente. “Ora togliti dalla
faccia quell’espressione da ebete e vieni
giù” disse trascinandomi fuori dalla
mia camera. Dal piano di sotto sentii la voce di mio padre che
presentava agli
ospiti Jodi e Adam. “E loro sono le mie due splendide figlie.
Savannah ti ricordi
di Trent?” chiese mio padre a mia sorella. Lei
arrossì vistosamente, quando un
uomo le posò un lieve bacio sulla guancia. Un uomo molto
affascinante. Sulla
trentina. E’ lui. Guardai
mia sorella
e con solo uno sguardo capii che quell’uomo era la sua cotta.
Strinsi la mano a
Trent, sorridendo come una stupida. Poi mio padre ci
presentò agli altri due
uomini e alle loro mogli snob. C’erano anche due ragazzi,
gemelli. Avevano
approssimativamente la mia età. Joshua e Ray. Occhi scuri,
capelli biondi. Visi
anonimi. Sorrisi ad entrambi. “Direi che è ora di
sederci a mangiare” esultò
Jodi. Mi ritrovai seduta tra i due gemelli, figli di un collega di mio
padre.
Davanti a me un Adam tutt’altro che sereno. I due ragazzi
erano molto gentili.
Mi aiutarono a servirmi dai piatti, come se avessi cinque anni o fossi
menomata. Continuavo a sorridere e iniziai a pensare che ora della fine
di
quella serata mi sarebbe venuta una paresi facciale. Lo sguardo di Adam
era
sempre su di me. Come se dovesse studiare le mie mosse. Come se si
aspettasse
che facessi qualche danno. “Hayley, giusto?” venni
richiamata da Trent,
dall’altro lato del tavolo. Annuii. “Sei americana,
no?” “Già” “Hai
frequentato
qualche università?” “Giornalismo. Ma ho
abbandonato” dissi, dandomi
dell’idiota per aver puntualizzato. “E come
mai?” chiese, attirando
l’attenzione su di me. Sentii un grido strozzato di Jodi e un
tossicchiare
imbarazzato di mio padre. Inventa una
cazzata. “Mi piace di più
disegnare” dissi. Aveva ragione Adam: ero una
pessima bugiarda. Non riuscivo neanche a spararne una convincente. Ma
tutti a
tavola sembrarono crederci. Adam sorrideva divertito. Trattenni
l’impulso di
tirargli un calcio da sotto il tavolo. “Hai il
ragazzo?” mi chiese la madre dei
gemelli. “No” dissi, guardando di sfuggita mio
fratello, che iniziò a mordersi
il labbro inferiore. “Bè, potresti uscire con uno
dei miei ragazzi. Tuo padre
dice che non hai ancora visitato Londra come si deve e che ti
piacerebbe avere
compagnia” In quel momento smisi di sorridere. Guardai mio
padre, che
volontariamente teneva lo sguardo basso sul suo piatto. Ingoiai il
rospo e le
risposi “In realtà mio fratello si è
già offerto di accompagnarmi” “Oh,
bhè.
Immagino che tuo fratello capirà se preferirai uscire con
uno di loro” Se ci
fosse stata una torta di panna sul tavolo, probabilmente
gliel’avrei lanciata
in faccia a quella vecchia rompicoglioni. “E sentiamo dove
avreste intenzione
di accompagnare mia sorella?” chiese Adam ai gemelli. Quei
due cominciarono ad
elencare posti su posti, senza fermarsi. Adam rise, beffardo.
“Ad Hayley non
interessano il Tower Bridge o Buckingham Palace. Sono luoghi troppo
comuni per
una come lei” disse sicuro. “E sentiamo tu dove la
porteresti?” chiese sgarbata
la donna. “Il London Eye. Hayley ha una specie di complesso
sull’altezza. E’ la
prima cosa che nota di una persona. Lì sopra probabilmente,
guardando Londra
dall’alto, riuscirebbe a sentirsi meno in imbarazzo per la
sua statura. Oppure
in qualche negozio di CD a scovare dischi di gruppi sconosciuti o a
bere caffè
da Starbucks. O le farei visitare tutti parchi di Londra”
“I parchi?” “E’ di
New York. E mia sorella non è una delle ragazze
più comuni che esistano.
Probabilmente passava le sue giornata a Central Park a…
disegnare” finì,
sottolineando l’ultima parola. Rimasi a bocca aperta.
“E poi è stata ai
Kensington per un paio d’ore ed è tornata a casa
che sembrava un’altra persona”
concluse tornando al suo arrosto. Savannah sorrideva soddisfatta, fiera
di suo
fratello. Jodi e mio padre non riuscivano a credere alle loro orecchie.
Per
quanto lui fosse stato stronzo con me, si era accorto di ciò
che mi
ossessionava. L’altezza, i dischi, il caffè e i
parchi. “Capisce perché
preferisco andare con mio fratello?” chiesi sorridendo alla
donna che, stizzita,
non disse una parola. Grugnì qualcosa di incomprensibile e
si concentrò a fare
a brandelli il resto della carne nel suo piatto. I gemelli, entrambi,
stettero
in silenzio fino alla fine della cena. Guardai Adam, ma lui
evitò il mio
sguardo. Allora decisi di guardare mia sorella. Trattenni una risata.
Se solo
avessi avuto un macchina fotografica per le mani avrei immortalato la
sua
espressione da pesce innamorato. Guardava Trent come se fosse
un’apparizione
divina. Decisi di finire il mio arrosto. La signora Travis
portò il dolce:
crostata ai frutti di bosco. Manna dal cielo. Amavo le crostate in
generale, ma
quelle ai frutti di bosco erano le mie preferite.
“E’ deliziosa, Jodi. L’hai
fatta tu?” “No, mio figlio è andato a
prenderla in pasticceria prima che
arrivaste” rispose la mia matrigna. Lui se lo ricordava.
Doveva per forza
ricordarselo. Sapeva che avrei amato quella crostata. E il mio cuore si
riempì
di amore ad ogni morso che davo a quel dolce. Se avessi potuto, sarei
saltata
sul tavolo e l’avrei baciato. Ti
sei fatta
comprare con dolci parole e una fetta di crostata ai frutti di bosco.
Ma
non riuscivo a smettere di sorridere. Maledetto Adam. Lo vidi alzarsi e
con lo
sguardo lo seguii al piano di sopra. Aspettai un paio di minuti ma lui
non si
decideva a tornare. Così, dopo aver litigato pesantemente
con il mio cervello,
decisi di raggiungerlo. Corsi letteralmente su per le scale. Spalancai
la porta
e la richiusi dietro di me. Non dissi nulla. Mi avvicinai a lui,
sdraiato sul
letto. E lo baciai. Fu lui a fermarmi. “Che fai?”
mi chiese sorridendo. “Chiudi
quel forno” dissi, ricordandogli ciò che lui aveva
detto a me, il giorno prima.
Mi prese per i fianchi, continuando a baciarmi, e mi mise sotto di lui.
Solo
con il tocco delle sue mani con la mia pelle, ero andata fuori di
testa.
Iniziavo a non capire più niente. Ecco che riiniziava con i
suoi baci sul collo.
Paradisiaci. Stavolta non trattenni nessun gemito. Doveva sapere che
amavo
quando mi baciava sul collo. Doveva sapere cosa provavo quando mi
toccava,
quando il suo respiro affannato incontrava la mia pelle, pervasa da
brividi. Lo
sentii mettermi le mani sotto la mia maglietta. Saliva lentamente, come
se
avesse potuto farmi del male se avesse fatto più in fretta.
Ma lo fermai.
Quell’ultimo barlume di lucidità che mi era
rimasto lo aveva fermato, andando
contro a ciò che volevo realmente. Mi guardò
senza capire. Chiusi gli occhi e
cercai di riprendermi. “E’ sbagliato”
sussurrai, più a me stessa che a lui. Lo
vidi stringere le mascelle. Se avesse potuto mi avrebbe presa a
schiaffi. Si
sedette sul letto e mi diede le spalle, guardando la porta.
”Lo so anche io”
disse a bassa voce “Ma non riesco a starti lontano”
concluse, prendendosi la
faccia tra le mani. “Come facevi a sapere della crostata di
frutti di bosco?”
chiesi, cambiando drasticamente discorso. “Quando eravamo
piccoli, chiedevi a
tuo padre di comprarti quella maledetta crostata ogni giorno. Ho
pensato che
avresti apprezzato” disse, continuando a tenersi la testa
stretta fra le mani.
Mi avvicinai a lui. Appoggiai la mia testa alla sua spalla
“Grazie, Adam”
dissi, chiudendo gli occhi. “Sarai mai mia?” mi
chiese, prendendomi per le
spalle e costringendomi a guardarlo negli occhi.
“Io..” “Rispondi!”
“No”
risultando più convincente di quanto credessi. Se
l’era bevuta. Per una volta
che avrei voluto che lui si accorgesse che stavo mentendo, lui ci aveva
creduto.
La presa sulle mie spalle si fece per un attimo più forte,
per poi
affievolirsi, lasciandomi andare completamente. “E allora
perché sei venuta
qui?” “Non lo so” “Voglio delle
risposte chiare” mi disse, battagliero. Presi
coraggio e sputai “Non riesco a stare lontana da
te”. Lui sorrise. Un sorriso
amaro, poco convinto. “Non riesci a stare lontana da me, ma
non vuoi essere
mia. Questo è un controsenso”
“E’ solo confusione” “Non
voglio perdere tempo
con persone confuse!” “Benissimo.
D’accordo. Non ti farò sprecare un minuto in
più della tua vita con me” dissi alzandomi dal
letto. Alla fine dovevamo
litigare, come sempre. “Brava! Scappa! Non sai fare
altro” “Hai ragione. Non so
fare altro” dissi prima di sbattere la porta della sua stanza
alle mie spalle.
Non volevo più ascoltarlo. Perché non riusciva a
mettersi in quella testa
bacata che per me non era normale quella situazione? Baciare mio
fratello non
era di certo uno dei miei sogni di bambina. Perché ci
stavamo complicando la
vita in quel modo? Perché non potevamo odiarci come avevamo
sempre fatto? Lui
aprì la porta della mia stanza e la richiuse alle sue spalle
con violenza,
quasi volesse scardinarla. Indietreggiai di qualche passo. Non mi
piaceva la
sua espressione minacciosa. Ed essere da sola in una stanza con lui,
conciato a
quel modo non mi tranquillizzava. “Chi cazzo ti credi di
essere?! Vieni qui e
mi incasini la vita in pochi mesi e mi fai perdere completamente il
lume della
ragione, stupida deficiente!” “Non insultarmi,
brutto idiota! Hai fatto tutto
tu! Sei tu che hai incasinato la mia vita! Io nemmeno ci volevo venire
in questa
città di merda! Quindi non rompermi i coglioni!”
Di tutta risposta, lui mi
spinse contro il muro. Ma non con violenza. “Ti prego,
baciami” mi chiese quasi
in una supplica. E io non riuscii a dirgli di no. Lo attirai a me,
velocemente.
Amavo sentire il suo sapore sulle mie labbra. Amavo sentire le sue mani
sul mio
corpo. Quel bacio non fu di certo innocente. Era desideroso, bramoso,
lussurioso. Lo sentivamo entrambi. I nostri respiri affannati,
parlavano per
noi. Mi mordeva le labbra, come se volesse mangiarle. Mandai a cagare
il
barlume di lucidità che poco prima mi aveva fermato.
“State bene?” la voce di
Jodi al di là della porta ci fece staccare istantaneamente.
“Si” rispondemmo in
coro. Aprì la porta “Gli ospiti se ne stanno
andando” disse, ordinandoci tra le
righe di scendere per salutare. Lei se ne andò. Adam mi
accarezzò il viso e mi
rubò un ultimo bacio, prima di scendere al piano di sotto.
Solo
Trent rimase a
fare compagnia a mio padre per parlare di lavoro, accompagnato da
bicchierini
di whisky invecchiato. Mio padre si alzò e andò
in cucina. Io lo seguii. “E’
stato scorretto” dissi ferita. “Cosa?”
chiese, facendo finta di non capire.
“Quella pietosa messa in scena di prima.
Cos’è, stai cercando di maritarmi con
uno dei figli di qualche tuo collega?” Avrei voluto
spaccargli la faccia.
“Hayley, ho solo pensato..”
“Bhè, non farlo. Sono capace di
scegliere..” “Non
mi sembra proprio, signorina. Ti sei fatta sbattere fuori
dall’università per
una tresca col tuo cazzo di professore” sibilò
adirato a pochi centimetri dal
mio viso. L’odore di whisky mi entrò nelle narici.
Abbassai lo sguardo.
“Uscirai con uno di quei ragazzi. O con tutti e due se ti
aggrada di più. E ti
divertirai, chiaro?” “No, non puoi decidere per
me” “Sei a casa mia” “Non per
mia scelta” “Hayley, finiscila. Questa discussione
è chiusa” “Vaffanculo”
dissi, trattenendo la rabbia. Sentii la guancia prendermi fuoco, nel
momento in
cui mi tirò una delle sberle più potenti che
avessi mai preso in vita mia. Non
gli diedi la soddisfazione di vedermi piangere. Uscimmo entrambi dalla
cucina.
Lui si fermò in salotto, mentre io uscii di casa, sbattendo
la porta. Cominciai
a camminare velocemente, ritrovandomi poi a correre. Maledetta la mia
bocca che
non stava mai zitta. Il cuore mi scoppiava nel petto. Le lacrime mi
bagnavano
il viso. La guancia mi faceva un male cane. Di certo non avevo imparato
niente
dalla mia esperienza. Se prima era il mio professore, ora era mio
fratello. Mi
diedi della stupida e rallentai la corsa. Avevo il fiato corto, e i
singhiozzi
convulsivi di certo non mi aiutavano a incanalare più aria.
Tentai di calmarmi.
Mi sedetti su una panchina e mi rannicchiai, cercando di sentirmi
protetta.
Avevo bisogno di un abbraccio. Di un abbraccio di mia madre. Di quelli
caldi,
profumati che mi facevano sentire al sicuro anche se tutto intorno a me
stava
andando a puttane. Piansi ancora più forte, cercando di
scrollarmi di dosso
tutto il dolore che provavo. “Hai le gambe corte, ma corri
veloce” la voce di
Jodi mi fece alzare la testa. Non era proprio il momento migliore per
sdrammatizzare. E la mia espressione glielo fece capire.
“Scusami, non sono
molto brava a consolare le persone” “E allora che
cavolo sei venuta a fare?”
dissi, maligna. Lei sospirò. “Torna a casa. Ci
sono pochi gradi e sei a maniche
corte” “Non mi interessa. Se morissi assiderata,
sarei meno di peso” “Oh,
forza! Non fare la drammatica! Alzati su e torna a casa con
me” Aveva la voce
ferma, di quelle che non ammettono repliche. Mi alzai in piedi
“Lasciami stare”
le dissi, perforandola con lo sguardo. “Hayley, per
l’amor del cielo! Non fare
la cocciuta!” disse prendendomi per le spalle.
“Voglio tornare a casa mia” le
bisbigliai tra le lacrime, completamente stravolta. “Lo
so” disse,
abbracciandomi dolcemente. Jodi non profumava di mamma. O meglio, non
profumava
come mia madre. Probabilmente perché aveva passato
metà pomeriggio in cucina a
cucinare e l’altra metà a pulire casa.
“Per ora accontentati di stare qui.
Quando tua madre si sarà calmata, vedremo cosa
fare” disse cullandomi tra le
sue braccia. Tornammo a casa, camminando piano, in silenzio. Per tutto
il
tragitto aveva tenuto ben saldo il suo braccio intorno alle mie spalle,
per
farmi stare un po’ più a caldo. Ma non era servito
a molto, dato che ero
seriamente congelata. Non dissi una parola nemmeno quando entrai in
casa, dove
mio padre parlava ancora con Trent. Savannah si era addormentata sul
divano.
Adam probabilmente era in camera sua. Salii al piano di sopra e mi
chiusi in
camera a chiave. Sentii bussare un paio di volte. Non aprii. Era Adam,
lo
sapevo. Ma volevo stare sola. Rimasi sdraiata sul letto, a pancia in
su,
particolarmente interessata ad una minuscola crepa sul soffitto. Se
fossi
tornata davvero a New York? Sarei riuscita a chiudere il capitolo
‘Adam’?
Sbuffai. Mia madre non me l’avrebbe perdonata facilmente e a
New York
probabilmente non sarei più tornata. Mi accarezzai la
guancia che poco prima mio
padre mi aveva colpito. “Ahia” sussurrai,
massaggiandomi lo zigomo. Mi aveva
presa bene. Spalancai la finestra e mi accesi una sigaretta. Quale modo
migliore per calmarsi? L’aria fredda della sera mi
congelò la faccia. Lasciai
la sigaretta in bilico sul davanzale e presi una felpa dalla sedia di
fianco al
letto. Alzai il cappuccio, come se avesse potuto proteggermi
dall’aria fredda.
Fumai quella sigaretta lentamente, come se fosse stata
l’ultima della mia vita.
C’era un silenzio che metteva pace. Da piccola, come quasi
tutti i bambini,
odiavo il buio. Ma il buio di Londra iniziava a piacermi. Era un buio
diverso
da quello newyorkese. Non c’erano insegne luminose, i tombini
non emanavano
quell’inquietante fumo da film dell’orrore, non si
sentiva l’odore di cibi
fritti. C’era pace e silenzio. Spensi la sigaretta contro il
muro esterno della
casa e buttai il mozzicone in giardino. Chiusi la finestra e piombai
nel buio
della mia camera. Non vidi, però, il comodino che centrai in
pieno con il
mignolo del piede. Gridai come un animale ferito, prendendomi il piede
e
buttandomi sul letto. “Apri questa cazzo di porta!”
sentii fuori dalla mia
camera. Zoppicando nel buio riuscii ad arrivare alla porta e ad
aprirla. “Che
vuoi?” chiesi, ancora dolorante. “Che è
successo?” mi chiese mio fratello.
Doveva aver sentito il mio urlo spacca-timpani. “Ho sbattuto
il mignolo contro
il comodino” dissi imbarazzata. “Ah”
disse solamente. Rimase immobile a
fissarmi in silenzio. “C’è
altro?” chiesi acida. “Mi fai entrare?”
chiese lui
scocciato. Lo feci passare e accesi la luce. Chiusi la porta e aspettai
che
iniziasse a parlare. Si sedette sul letto, mentre io lo guardavo a
braccia
conserte in piedi, vicino alla porta. “Cosa siamo?”
chiese all’improvviso. “Due
umani” risposi ironica, senza capire che intendesse.
“Stupida, intendo: come
dobbiamo definirci?” “Fratellastri”
risposi, sapendo già che un’altra litigata
era nell’aria. “Quindi se io mi frequentassi con
altre ragazze, non ci
sarebbero problemi?” “Ripeto: siamo fratelli. Puoi
fare quel diavolo che vuoi”
risposi astiosa. “Hai intenzione di uscire con quei due
idioti di stasera?” “Non
lo so” “Sono due idioti”
“L’hai già detto”
“Cristo, Lee! Mi sembri un pezzo di
ghiaccio” “Ho preso freddo”
“Smettila di fare l’idiota e di dare risposte alla
cazzo!” “Puoi evitare di gridare?”
“No perché mi fai incazzare!” Mi
sovrastava
di almeno trenta centimetri. Eppure quando eravamo piccoli eravamo alti
uguali.
“Senti, non ho proprio voglia di discutere per
l’ennesima volta con te” dissi
stanca, guardandolo negli occhi. Sbuffò irritato.
“Perché mi sembra sempre di
fare un passo in avanti e cinquanta indietro con te?” disse
abbassando lo
sguardo. “Perché è sbagliato”
ripetei per l’ennesima volta. “Maledizione,
finiscila di ripeterlo! L’ho capito! Perché almeno
per un attimo non provi a
mettere da parte questo cazzo di presupposto?!” gridava come
un pazzo. “L’ho
già fatto una volta. E mi sono ritrovata su un aereo per
Londra con un
biglietto di sola andata” dissi bisbigliando. “Non
è la stessa cosa” disse,
accarezzandomi il viso. Gli allontanai la mano bruscamente.
“E’ esattamente la
stessa cosa. E tu stai solo complicando l-“ Mi
tappò la bocca con un bacio, all’improvviso,
inaspettato. Mi prese in braccio e mi buttò sul letto, senza
mai staccarsi
dalle mie labbra. Ero un mucchio di carne, ossa e brividi. Se ne fossi
stata
capace, sarei andata in autocombustione spontanea. “Non
farlo” dissi,
staccandomi da lui. “Cosa?” chiese. “Non
uscire con altre” dissi, rossa in
volto. Lo vidi sorridere. Un sorriso così dolce che avrebbe
sciolto chiunque.
Me compresa. “Nemmeno tu” disse, prima di
riprendere a baciarmi. Maledette le sue
labbra. Maledetto il suo respiro. Maledetto il suo odore. Maledette le
sue
mani. Maledetti i suoi occhi azzurri che mi guardavano curiosi.
Maledetta me,
che non imparava mai dai miei errori.
Capitolo 5: fine! E’ stata
‘na faticaccia scrivere sto
capitolo! :D Speriamo che sia uscita una cosa decente XD Allora,
facciamo il
punto della situazione: ormai è chiaro che questi 2 non si
considerano più fratelli
._.’’ La piccola e dolce Savannah, prendendo
inconsapevolmente esempio da sua
sorella, è stracotta di un collega del padre (solo a
pensarci mi vien da ridere…
Ma che razza di famiglia sto descrivendo?? Muhauhauah XD). Il padre di
Hayley
le combina appuntamenti al buio, mascherandoli da semplici cene tra
colleghi e
famiglie, cosa che fa andare fuori di testa la ragazza. Jodi sembra
l’unico
personaggio normale, o almeno ‘mentalmente sano’.
Ringrazio ancora una volta
chi ha inserito la mia umile storia tra i preferiti o le seguite.
Fatemi sapere
che ne pensate di quest’ultimo capitolo (o della storia in
generale)! :D
Un bacio,
Kiki :D