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Autore: ShootinStar    24/05/2012    9 recensioni
E' la mia seconda FF, quindi abbiate pietà di me! :') provo ad anticiparvi qualcosa.
Liam e Jenny si sono appena trasferiti con la madre a Canterbury. Nuova città, nuova scuola, nuovi amici: verranno a contatto con bande di "bad boys", ragazze problematiche, amori ed intrighi, affrontando con qualche ansia e non pochi dubbi quel delicato periodo della vita in cui tutto può accadere e in cui ogni certezza fa posto a confusioni ed angoscie, tipiche dell'adolescienza. E mentre questo gruppo di ragazzi sarà alle prese con cotte e sbandamenti vari, capiranno senza nemmeno accorgersene che non importa come o quando, l'amore trova sempre la sua strada.
Cercherò di fare del mio meglio, dategli un'occhiata, se avete tempo :D
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Basta, mi sta scoppiando la testa!”. Liam si gettò all’indietro sul divano con espressione esasperata, mentre Claire se ne stava a braccia incrociate di fronte a lui. “Ma se sono a malapena due ore e mezzo che proviamo! Come fai ad essere già stanco?” domandò stupita. Il ragazzo alzò un sopracciglio e la fulminò con lo sguardo. Lei si addolcì, sedendosi accanto a lui e chiudendo con aria rassegnata il copione. Passò le dita sulla copertina raffigurante un enorme mulino rosso e due giovani che danzavano.
Alla fine ce l’avevano fatta. Due mesi più tardi ci sarebbe stato lo spettacolo e loro due sarebbero saliti sul palco. Insieme. Davanti a centinaia di persone che avrebbero letteralmente riempito l’auditorium perché, dovevano ammetterlo, gli spettacoli della signora Peggy erano così spettacolari che perfino i più ignoranti la sera della prima sbirciavano dalla porta, per finire dentro con gli altri, a spellarsi le mani dagli applausi. E quella volta, gli applausi sarebbero stati anche per Claire. Una sedicenne con degli enormi occhi verdi pieni di sogni e aspettative, che però teneva per sé, seppellendoli sotto uno spesso strato di freddezza e indifferenza. Quante volte si era vista su quel palco, quante volte di notte aveva sognato di cantare e ballare per gli spettatori dei più imponenti teatri inglesi e chissà, magari anche stranieri. Ma ancora, quante volte aveva sognato di salire in punta di piedi quei pochi scalini, sistemare il microfono all’altezza giusta, dischiudere le labbra e...non udire neanche una sola, singola sillaba uscirle dalla bocca. Quante volte aveva immaginato di cadere, di slogarsi polsi, caviglie, spalle e quant’altro su quel palco, quante volte aveva immaginato che quel sogno così fragile che adesso le sembrava quasi a portata di mano, tanto vicino da poterlo sfiorare, potesse frantumarsi sotto le sue dita.
Liam le accarezzò una mano, riuscendo come suo solito a penetrare nel velo di mutismo con il quale si ricopriva mentre rifletteva ed attirò la sua attenzione. “So che ci tieni molto, ma dovresti riposarti anche tu. Sembri stanchissima” mormorò con una punta di apprensione. Claire sorrise e gli passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. “Tranquillo, Payne. Sto alla grande ed è ancora presto per farmi prendere dall’ansia...”. Ridacchiò e si mordicchiò il labbro inferiore. Liam incatenò il proprio sguardo a quello di lei e stettero immobili per attimi interminabili. Fino a quando Claire scosse la testa come per riprendersi da una sorta di incantesimo. Ma fu ancora Liam a parlare. “Andrà tutto bene. Sembri nata per stare su quel palco. Tu sei nata per vincere e per brillare, come le più grandi stelle di Hollywood”. Claire sorrise, imbarazzata per quell’esagerazione, ma allo stesso tempo grata e cercò di esprimergli con gli occhi tutti i ringraziamenti a cui non dava voce, ma che avrebbe voluto riferirgli ogni qual volta lui l’avesse fatta sentire sicura di se stessa. Ossia, ogni volta che la vedeva incerta e sul punto di mollare. Ossia, molto più spesso di quanto non pensasse. “Andiamo, scansafatiche. Ci aspetta almeno un’altra ora di prove!” riprese allegramente, alzandosi e tendendogli una mano.
Ormai andavano avanti con quel ritmo da due settimane, vedendosi a giorni alterni e provando e riprovando una stessa scena decine di volte. Per non parlare delle canzoni: i vicini di Claire avevano più volte bussato alla loro porta lamentandosi e imponendogli di smetterla con quei “gorgheggi e cinguettii”, cosicché decisero di spostarsi a casa Payne, più isolata e sicuramente più adatta ai loro scopi.
Liam si alzò a sua volta, afferrando con riluttanza il copione abbandonato sulla poltrona, mentre Claire sfogliava allegramente le pagine color avorio. “Dunque, dove eravamo rimasti? Non ricordo più...”. Il ragazzo si concentrò sulla sua fronte corrugata, sugli occhi verdi che guizzavano lungo le righe, ricercando il punto dove si erano interrotti pochi minuti prima e su quella bocca rosea che sembrava chiamarlo in una strana lingua alla quale sentiva di non poter resistere.
“Sai che c’è?” chiese con un filo di voce, temendo che lei nemmeno l’avesse udito. Claire alzò lo sguardo con aria interrogativa. “Io opterei per provare la scena del bacio, se non sbaglio l’abbiamo sempre evitata, no?”. Non le diede neanche il tempo di ribattere. Colmò la distanza che rimaneva tra loro e premette le labbra sulle sue. La ragazza non si oppose come era accaduto altre volte, forse troppo colta di sorpresa o forse perché veramente non aveva intenzione di farlo. Dischiuse le labbra e in un attimo entrambi i copioni scivolarono a terra.
Claire intrecciò le dita tra i capelli del ragazzo, alzandosi sulle punte e stringendosi ancora più forte a lui. Liam con un impeto di entusiasmo la sollevò letteralmente da terra e volteggiarono insieme per interminabili minuti, separandosi e poi ritrovandosi, rincorrendosi per tutto il salotto di casa Payne, sorridendosi l’un l’altro, intrappolandosi in abbracci più stretti che potevano, quasi avessero paura che l’altro potesse volare via non appena l’uno avesse lasciato un po’ andare la presa.
Rotolarono ridendo sulla moquette color prugna e si fermarono con i loro corpi posti simmetricamente l’uno di fronte all’altro, occhi negli occhi. Liam le accarezzò i capelli prendendo tempo e lei non si sottrasse al contatto. Ma aveva il presentimento che il ragazzo stesse per chiederle qualcosa e forse sapeva già anche di che cosa si trattasse. Lui le si avvicinò ancora e ancora, fino a sfiorarle la fronte con la bocca e stava per sussurrarle qualcosa, quando Claire lo bloccò. “Liam” fu l’unica parola che pronunciò a bassa voce. Il ragazzo s’irrigidì, più che convinto che avrebbe commesso un madornale errore, ma lei sollevò il mento unendo la sua bocca a quella di lui e separandosene poco dopo mormorando: “Non stavo cercando di fermarti, idiota. Vorrei solo che tu ci andassi piano, sono ancora un po’ inesperta, come già sai...”.
Liam si ricordò di colpo della relazione di Claire con Jared, del motivo a suo avviso “assolutamente inconcepibile” per cui l’aveva lasciata e capì. Le sfilò la maglietta nera con tutta la lentezza e la calma di cui era capace, mentre lei si tratteneva dallo scoppiare a ridere. “Beh? Cosa ci trovi di così divertente?” le domandò alla fine, dopo essersi a sua volta tolto la polo rossa e messo in mostra gli addominali tutt’altro che assenti. Claire strofinò il naso sul suo collo e borbottò: “Ma no, niente. È che...quando ti ho detto di andarci piano...non credevo mi prendessi così alla lettera”. Ridacchiò, seguendo con l’indice la piega di una vena in rilievo sul braccio del ragazzo.
“Come vuoi, adesso facciamo sul serio” ringhiò lui in tono minaccioso, fissandola con sguardo famelico. Claire lanciò un urlo, ma Liam le fu subito addosso e cominciò a lasciarle una lunga scia di baci sotto il mento, sulla spalla destra, sulla mano, sopra la pancia piatta e poi risalendo, facendole il solletico e stimolando ancora di più le sue risate.
 
 
Nora stava passando stancamente il lungo cucchiaio di legno all’interno della pentola in ebollizione sui fornelli, aspettando con non troppa pazienza che la pasta arrivasse al giusto punto di cottura. Louis e Vichi se ne stavano spaparanzati sul divano mentre sullo schermo della tv scorrevano i titoli di coda, sebbene avessero visto ben poco del film, troppo impegnati a farsi il solletico a vicenda e a contendersi la coperta troppo corta. La rossa sorrise involontariamente. Louis era ormai diventato un fratello per sua sorella e nonostante negli ultimi tempi avessero avuto alcune divergenze a causa della storia di Vichi con Niall, Nora era felice di vederli di nuovo così in sintonia tra loro.
Il campanello dell’ingresso squillò, attirando l’attenzione dei due litiganti che si stavano reciprocamente prendendo a cuscinate. Ma nessuno dei due sembrava aver intenzione di arrendersi, così Nora sospirò con aria sconfitta ed andò ad aprire. Ma mai avrebbe pensato di trovarsi davanti quelle due figure avvolte in trench color panna che se ne stavano immobili sulla soglia della casa.
Non li vedeva da quattro anni, ma non notò molti cambiamenti nel loro aspetto. La donna portava il solito rossetto color fragola, proprio come il suo profumo che non l’abbandonava mai e che in quel momento alla ragazza parve troppo dolce, troppo ingannevole paragonato all’indole della persona che aveva di fronte; i capelli erano castano scuro, ma all’altezza delle tempie si scorgeva un accenno di colore rosso, la stessa tonalità dei capelli di Nora. L’uomo si era fatto crescere dei piccoli baffetti neri e sembrava ingrassato di qualche chilo, ma continuava a mantenere un’aria pacata, che dissimulava con abilità il suo carattere autoritario. I suoi genitori erano invecchiati, ma continuavano a rimanere perfettamente riconoscibili nonostante il lungo periodo che li aveva divisi.
“Nora” mormorò sua madre facendo un passo avanti con un enorme sorriso stampato sulle labbra rosa. “Quanto tempo tesoro, fatti vedere...” Allungò una mano verso la spalla della rossa, che di riflesso arretrò di due passi, assumendo uno sguardo minaccioso. La donna doveva essersi aspettata una simile reazione, ma si curò di strabuzzare gli occhi in segno di sorpresa e tornò al suo posto. “Oh, Nora...” Il suo sguardo la scrutò dall’alto in basso, soffermandosi sulla pancia rigonfia. Ma stavolta non dovette fingere di rimanere allibita. “Oh mio dio, tesoro, tu...aspetti un bambino?”. La sua voce aveva assunto un tono acuto, che ricordava un topolino. Suo padre sembrò sul punto di dire qualcosa, passando dal bianco pallido che caratterizzava il suo colorito ad uno più roseo, tendente al purpureo. Ma non aprì bocca, rimanendo ad osservare la figlia.
Nora era rimasta in silenzio, troppo sconvolta per poter parlare, ma allo stesso tempo si era sforzata di non lasciar trapelare le proprie emozioni. Ma il tono usato da sua madre rivolgendosi alla SUA creatura le stava facendo montare una collera che avrebbe dato vita ad un incendio.
“Cosa ci fate qui?” furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, senza riuscire a contenere quella punta di ostilità che risuonò nella sua voce. La donna assunse un’aria contrita e cercò ancora il contatto con le mani della figlia, che le venne negato ancora una volta. Così si accontentò di guardarla negli occhi. “Nora, io e tuo padre ci abbiamo pensato. E non poco. Questi 4 anni ci hanno fatto riflettere e abbiamo capito che è stato tutto un errore abbandonarvi come abbiamo fatto. Con mia madre che immagino stia peggio di prima, posso solo immaginare come abbiate fatto ad andare avanti con le vostre vite...e tu adesso sei pure incinta… ma non ha importanza! Io e tuo padre siamo qui adesso e ci prenderemo cura di voi d’ora in avanti. Vogliamo rimediare alle nostre passate mancanze, a questi anni di assenza. Speriamo soltanto che vogliate ascoltarci e darci un’altra possibilità. Siamo pur sempre i vostri genitori e l’ultima cosa che vorrei è perdervi di nuovo, adesso che abbiamo speso giorni e giorni a rimuginare sulla decisione da prendere, se venire o no fino a qui per chiedervi di riunire la nostra famiglia. Che cosa ne dici, tesoro?”. Ecco, aveva finito. Nora elaborò le informazioni appena acquisite, scrutò il volto della madre segnato dalle prime rughe, poi si rivolse al padre, che rimase immobile. Non aveva niente da aggiungere, quindi. Toccava a lei parlare adesso.
Si schiarì la voce e poi incrociò le braccia. “No”. La donna la fissò perplessa per alcuni secondi. “No?” chiese senza capire. “No” ripeté la rossa, indurendo lo sguardo. “Mi hai appena chiesto se io e Vichi vogliamo riunirci con voi e tornare a formare quella che un tempo chiamavamo famiglia, giusto? Beh, credo di parlare anche a nome suo rispondendoti che NO, non accettiamo la vostra proposta”. La donna rimase sbigottita, scambiò un’occhiata veloce col marito e tornò a guardare Nora. “Bambina mia, dovresti prendere tempo e pensarci con calma. Io e tuo padre siamo qui per scusarci e per offrirvi tutto il nostro amore...possiamo ancora rimediare, possiamo ancora essere una famiglia. E tu hai bisogno...” “Te lo dico io di cosa ho bisogno, visto che sono 4 anni che l’unica persona che si occupa di me e di mia sorella sono IO” la interruppe, alzando il tono della voce. “Ho bisogno che voi due la smettiate di trattarmi come la quattordicenne spaventata che si faceva mettere i piedi in testa da qualcuno che considerava importante, ma che alla fine l’ha abbandonata senza alcuno scrupolo. Ho bisogno che lasciate a me e Vichi la possibilità di andare avanti con la nostra vita. Le secondo possibilità non si regalano se non c’è neanche un minimo merito. E, mi dispiace, ma non posso perdonarvi per averci abbandonate e costrette a crescere troppo in fretta e senza nessuno che ci amasse. Vi rendete conto di cosa ci avete fatto? Del futuro di cui ci avete private? Ci stiamo facendo entrambe il culo per andare avanti e voi avete finto di dimenticarvi della nostra esistenza per 4 anni, per poi riemergere con un sorriso e chiederci di dimenticare a nostra volta? No, mi dispiace, no”.
A quel punto, dopo un lungo silenzio, fu l’uomo a prendere la parola. “Siamo ancora i vostri genitori legali e non potete far finta che non esistiamo. E tu, come pensi di poter sfamare un’altra bocca? Un bambino...vedo che il tuo senso di responsabilità non è maturato affatto...”. Parole forti, taglienti come rasoi, che acuirono la fitta che Nora sentiva nel petto. “E chi sarebbe il padre? Un delinquente che hai raccattato per strada, immagino, e che hai introdotto in casa di tua nonna e di tua sorella come si fa con un cane abbandonato...”
Nora alzò il mento, mantenendo uno sguardo orgoglioso quando ribatté: “Louis Tomlinson è il padre di mio figlio. Si, papà, ricordi il ragazzino dei campi, quello che mi avevate proibito di vedere? Beh, in questo momento è in salotto con Vichi e indovina un po’? mi ha voluto più bene lui in questi 4 anni che voi in un’intera vita”. Il padre della rossa corrugò la fronte. “Il moccioso dei campi? Oh, avrei dovuto aspettarmelo”. La donna accanto a lui si morse il labbro inferiore, per poi mormorare angosciata: “Ma come è potuto accadere, Nora? E come farai a mantenerlo? E Vichi...chissà come deve averla presa...” “Sicuramente ha preferito questo alla notizia del vostro abbandono” ribatté la rossa in modo freddo.
“Io e Louis facciamo entrambi due lavori e ce la stiamo cavando come meglio possiamo. E continueremo a farlo anche per nostro figlio, perché non ho intenzione di privare una creatura così meravigliosa della possibilità di avere una vita e di essere amata. Non ripeterò il vostro errore. Quindi, se credevi che offrendomi un aiuto finanziario io potessi accettarvi, ti sbagliavi di grosso” concluse, rivolta alla madre. Quest’ultima sbatté le palpebre e per un attimo, solo per un attimo, i grandi occhi marroni sembrarono colmarsi di lacrime, ma subito dopo tornarono alla loro solita opacità. “Perlomeno lascia che Vichi ci veda, vorrei poter parlare anche con lei e dirle...” “Non ne vedo il bisogno. Vichi sarebbe perfettamente d’accordo con me e, anzi, se fosse stata al mio posto ti avrebbe già chiuso la porta in faccia”.
“Lasciala in pace, non si merita di vederti tornare strisciando ad implorare il suo perdono dopo che c’è voluto così tanto tempo per attutire il suo dolore” disse infine, facendo un ulteriore passo indietro. Il padre scattò verso la porta, ma Nora aveva lasciato solo un centimetro di spazio aperto e sussurrò: “Andatevene e non tornate” e richiuse la porta.
Non bussarono di nuovo. Non tentarono di contrattare. Era stata decisa e forse, per una volta tanto, era riuscita a lasciarli veramente senza parole e senza giustificazioni.
Tornò in cucina, mentre Louis e Vichi stavano litigando per chi dovesse condire la pasta. Nel vederla rientrare, la sorella le corse incontro. “Ma dove ti eri cacciata? qui era tutto quasi affumicato!” e Louis ribatté: “Chi era alla porta?” mentre i vapori nascondevano quasi del tutto il suo viso. “E perché ci hai messo così tanto?”. Nora sospirò e prese la pentola dalle sue mani, tentando di arginare il quasi disastro. “Nessuno, solo una mia vecchia amica di passaggio, abbiamo scambiato due chiacchiere e poi è scappata via”. Concluse con un sorriso rivolto ad entrambi. E stavolta, speriamo sia scappata per sempre.
 
 
“Hey, hai sentito di Styles?” “Styles? Il riccio della 3F?” “Quello carino da morire che ogni settimana se ne porta a letto una diversa?” “Già! Avete saputo le ultime novità?”.
Jenny ascoltava di malavoglia quel chiacchiericcio di corridoio mentre riponeva i libri della prima ora nell’armadietto, ma quelle 3 ochette del secondo anno si erano fermate a due metri di distanza da lei e non riusciva ad evitare di udirle.
“Andiamo Jules, spara!” “Non so quanto sia vero, comunque...” “E dai, sappiamo quanto siano attendibili le tue informazioni. Scommetto che Leonard, il segretario della scuola, è sempre disponibilissimo a rivelarti ogni particolare su ogni singolo studente…specie quando ti fai vedere in giro con quella minigonna di jeans!”. Ridacchiarono sguaiatamente, mentre la ragazza poco lontana storceva il naso. Ma nonostante tutto, una punta di curiosità si stava insinuando dentro di lei.
“ E va bene! L’altro giorno stavamo parlando come nostro solito mentre era impegnato a sistemare alcune carte…sembravano dei moduli da compilare e c’era stampato sopra il nome “Harold Styles” e, non vorrei sbagliarmi, ma credo di aver letto di sfuggita qualcosa come “Modulo di trasferimento – studenti”. “Quindi ci stai dicendo che Styles si trasferirà in un’altra scuola?”. Le altre due ragazze sembravano davvero stupefatte, ma mai come lo era Jenny. La cosiddetta Jules sogghignò, aggiungendo: “Ripeto, non so se sia vero. Ma io non mi stupirei così tanto. I suoi genitori sono manager di grande prestigio a cui non mancano certo i soldi per pagare una scuola privata all’unico figlio che hanno. Mi chiedo piuttosto perché non l’abbiano fatto prima!”.
Jenny non udì il resto della conversazione, dato che l’aria vicino al suo armadietto era diventata improvvisamente opprimente. Afferrò la borsa e si avviò in classe, mentre il suo cervello lavorava a pieno ritmo. Erano passati soltanto due giorni dal suo “incontro” con i signori Styles, due giorni in cui Harry era stato assente a scuola. Ma questo non significava nulla. O perlomeno, aveva creduto che fosse così. Adesso mille dubbi accorsero nella sua testa, come uno sciame di api che ronza senza sosta.
Devo calmarmi. Potrebbe essere tutto un’enorme stronzata. Già, quella Jules poteva aver benissimo scambiato un semplice modulo attinente a qualche attività extra-scolastica per uno di trasferimento. Oppure poteva essersi inventata tutto di sana pianta per attirare l’attenzione. Jenny conosceva bene l’influenza del riccio, la sua reputazione all’interno della scuola e più specificamente, tra le ragazze della The King’s.
Ma se invece fosse vero? Se i suoi genitori avessero deciso di mandarlo in una scuola privata? Se vedendolo con me avessero pensato che si stesse allontanando troppo dal futuro a cui lo avevano destinato e stessero cercando di riadattarlo ai canoni da loro fissati? Se avessero sentito l’esigenza di allontanarlo da Canterbury, da questa scuola e da me?
Erano pensieri orribili, puntellati di dubbi ma anche di possibilità non da escludere.
Entrò in classe a testa bassa, continuando a rimuginare anche quando si fu seduta e Claire le ebbe chiesto se fosse tutto ok. Ma la ragazza sembrava non averla sentita neppure lontanamente, così l’amica la scosse leggermente per le spalle. “Hey, Jenny! Jenny? Terra chiama Jennifer Payne, RISPONDIMI, CAZZO!”. Finalmente tornò al presente, sebbene una parte del suo cervello fosse ancora impegnata in 43645675 seghe mentali. “Mmmh sì? Dimmi Claire...” rispose con poca convinzione.
L’altra ragazza sbuffò, sedendosi sul proprio banco ed incrociando le braccia. “Credo di aver appena trovato un modo per trascorrere l’ora di buco d’inglese. Raccontami tutto, forza” la incoraggiò con un sorriso.
Venuta a conoscenza delle chiacchiere sul trasferimento di Harry e delle conseguenti perplessità di Jenny, Claire storse il naso con aria scettica. “Secondo me potrebbe essere benissimo una marea di sciocchezze. Andiamo, conosci l’affidabilità di certe dicerie! E comunque, credo che se anche fosse vero, tu saresti la prima persona a venirne a conoscenza, non pensi?”. Jenny ci rifletté un po’, concludendo che Claire aveva pienamente ragione. Eppure non riusciva a tranquillizzarsi del tutto.
L’amica le ripeté più volte di calmarsi e di pensare ad altro, ma nonostante le varie rassicurazione, non poté fare a meno di inviare un sms al diretto interessato non appena la quinta campanella ebbe suonato. “Hey Jche fine hai fatto? Sono due giorni che non ho tue notizie e avrei bisogno di parlarti…”. Nelle ore successive non si separò neanche per un istante dal suo cellulare, che però si ostinava a rimanere silenzioso. E così fece fino a sera, quando Jenny perse definitivamente le speranze. Forse non ha credito e per il momento non può fare una ricarica pensò, ma neppure una minima parte di lei ci credeva.
 
 
Ashley fissava con scrupolosità la propria immagine riflessa mentre si passava per l’ultima volta il lucidalabbra sulla bocca carnosa. Era ad occhio e croce la ventesima volta che ripeteva quel gesto e fu necessaria tutta la sua forza di volontà per riporre lo stick rosa nella borsa e lasciarlo lì. Maledetta ansia. Neanche stessi andando in guerra. cazzo, Ash, è solo un appuntamento! E lui è solo... I suoi pensieri si bloccarono di netto, soppesando quel nome che la intimoriva ed eccitava al tempo stesso. ...è solo Zayn Malik. Ho affrontato situazioni peggiori.
Ma stava mentendo e lo sapeva bene. Nessun ragazzo l’aveva mai fatta sentire come lui, nessuno l’aveva mai messa così in difficoltà e questo la faceva infuriare. Lo odiava, perché riusciva a lasciarla sempre senza parole. Lei, stimata per la sua lingua tagliente e per avere la risposta sempre pronta; lei, che nessuno riusciva a far dubitare della sua bellezza, vicino a lui si sentiva inadeguata, goffa, completamente sbagliata. Perfino quella lontana sera al Black Rose, quando erano finiti a baciarsi nella toilet di servizio, anche allora mille domande le avevano invaso la testa, quando di solito si limitava a fare ciò che gli altri si aspettavano da lei e che le riusciva meglio. Una botta e via. E dimenticarsi di tutto la mattina seguente, ecco il trucco. Ma Zayn quella volta non glielo aveva permesso. Tirandosi indietro all’ultimo secondo, dicendole semplicemente: “Non posso, non sarebbe giusto nei tuoi confronti. Devo andare...” e lasciandola lì, da sola su quel pavimento umido e freddo, senza sapere più cosa pensare di se stessa. Cosa pensare di tutto il resto. E un ricordo del genere, per quanto si provi a lavarlo via con litri e litri di detersivo, diventa sempre più visibile ed evidente, una macchia che è destinata a rimanere indelebile, come una cicatrice.
Un clacson proveniente dalla strada di fronte la fece sussultare. Respiro profondo. Non sudare. Non torturarti le dita. Non morderti le labbra. Sei sempre la solita Ashley, nessuno avrà la soddisfazione di vederti cedere, neanche lui.
Afferrò la pochette grigia lucida e scese la scala a chiocciola alla velocità della luce, rallentando solo quando ebbe aperto la porta per uscire. Lo raggiunse nel suo Subaru nero e quando incontrò i suoi occhi che rilucevano di un intenso marrone/giallo, aggiunse un altro punto alla sua lista mentale. Cerca di non essere troppo insopportabile. Poche chiacchiere, la maggior parte inerenti al clima delle ultime settimane, alla scuola, alle reciproche compagnie. Niente di speciale. Grazie ad un tacito accordo evitavano argomenti imbarazzanti per uno dei due e non si azzardavano ad avvicinarsi neanche di qualche millimetro in più.
Così non va affatto bene. Urge trovare qualcosa che rompa questa specie di iceberg che c’è fra di noi pensò il moro, sterzando all’improvviso ed imboccando l’autostrada verso Dover. Ashley si decise, dopo quasi un’ora di viaggio, a domandare: “Posso sapere dove stiamo andando?”. Il ragazzo sorrise. “E’ una sorpresa. All’inizio pensavo di portarti al cinema, ma ho realizzato che era un’idea troppo banale, così sono passato al piano B...”
Accostarono vicino ad un muretto in pietra alto circa un 1 metro e 80, ma la ragazza riuscì comunque a scorgere cosa c’era dall’altra parte. “Oh mio dio, mi hai portata al mare...” balbettò. Prima che il ragazzo potesse proferire parola, la bionda era già scatta fuori dall’auto e stava risalendo delle scalette di granito che conducevano alla spiaggia. Una volta giunta allo scalino più alto, si voltò verso di lui ancora fermo davanti alla portiera. “Andiamo, muoviti!” lo incitò con un sorriso che le andava da un orecchio all’altro. E Zayn seppe di aver centrato il bersaglio.
Erano gli ultimi giorni di aprile, l’estate cominciava a pizzicare nell’aria ma non ancora in modo evidente. Cosicché la spiaggia era pressappoco deserta. Ashley si tolse le ballerine nere abbandonandole sul muretto dietro di sé e continuò a camminare a piedi nudi sulla sabbia tiepida. Zayn a sua volte si tolse le Nike e la raggiunse in riva al mare.
Stava contemplando le onde cristalline che procedevano in digressione verso il bagnasciuga, per poi tornare indietro ogni volta ad alimentare quell’enorme tavola blu che si estendeva davanti a loro. I capelli dorati ondeggiavano alle sue spalle mossi da una brezza leggera ed il ragazzo rimase di stucco di fronte a tanta bellezza. Per di più, non l’aveva mai vista sorridere così e sentì montare dentro di sé il desiderio di farla sua. Lì, su quella spiaggia dorata, con la risacca del mare di sottofondo ed il sole caldo a scaldare i loro corpi.
Alt! Sei stato tu a voler ricominciare con lei, adesso vedi di non mandare tutto a puttane. Avresti dovuto mettere in conto il fatto che Ashley è stramaledettamente sexy! La ragazza si voltò verso di lui, quasi avesse udito i suoi pensieri e Zayn abbassò lo sguardo imbarazzato. “Grazie per avermi portata qui. Nessuno dei ragazzi con i quali sono uscita ci aveva mai pensato. Ed io adoro il mare” gli disse dolcemente, volteggiando su se stessa. Sembrava una bambina che balla da sola in tutta libertà ed in attesa che qualcuno si unisca a lei.
“Non c’è di che” rispose lui a bassa voce per non disturbarla mentre continuava a girare su se stessa e a danzare in punta di piedi. Era così diversa dalla Ashley che tutti conoscevano, ma allo stesso tempo si trattava sempre della stessa ragazza. Dopo alcuni minuti la bionda si fermò, riaprendo gli occhi azzurri verso di lui. “Hai qualche altra sorpresa per me, Malik?” chiese con una punta di malizia nella voce. Ma aveva assunto un tono divertito e spensierato.
Zayn ci pensò su e dopo alcuni istanti ebbe un lampo di genio. “Ho ancora un asso nella manica, seguimi!”. Le prese la mano come se fosse un gesto più che naturale e lei lo seguì senza parlare, stringendogli le dita tra le proprie. Camminarono per una decina di minuti prima di arrivare ad una piccola grotta marina alta poco più di un metro. Il ragazzo si inginocchiò di fronte all’apertura e la invitò a fare altrettanto. Tra le rocce, nascoste dalla semioscurità, delle piccole creature si mossero lentamente venendo verso di loro.
Ashley dapprima strinse più forte la mano del moro, ma poco dopo sorrise spontaneamente. “Ma sono...tartarughe?” domandò per avere una conferma. Zayn annuì e prese ad accarezzarne una sul collo, forse la più temeraria che si era spinta verso di loro. Ashley allungò la mano verso un’altra più piccola ed il contatto con la pelle bagnata e rugosa la fece sussultare. Fu solo un attimo, perché ben presto decine di altre piccole tartarughe li raggiunsero, desiderose di attenzioni.
“Come sapevi che si trovavano qui?” chiese la bionda dopo alcuni minuti. “Ci vengo spesso, adoro starmene ad osservare il tramonto seduto sulla spiaggia in solitudine. E una settimana fa stavo vagando alla ricerca di alcune conchiglie da portare a mia nonna che ha avuto da poco un malore e mi sono imbattuto in queste signorine qua” concluse dando un buffetto sul muso alla tartaruga più grossa presente nella caletta, forse la madre di tutte le altre. Rimasero per un’ora intera ad osservarle, accarezzarle ed a sistemare l’imboccatura dell’insenatura, in modo che dall’esterno non fossero visibili i suoi abitatori.
Quando sentì il moro accanto a lei sospirare, Ashley si girò a guardarlo con aria interrogativa. “Stavo solo pensando che questo pomeriggio con te...sono stato da dio. Giuro, è stato bellissimo venire qui con te. Non avevo mai condiviso questo posto con nessuno, neanche con gli altri del gruppo. Lo consideravo solo mio, ma adesso sono felice di averlo condiviso con te. Quindi, credo di doverti...ringraziare”. Si passò una mano tra i capelli e continuò ad osservare quegli enormi occhi azzurri, che si tinsero di una luce arancione mentre il sole scendeva velocemente sotto l’orizzonte.
“Forse dovremmo andare, si sta facendo buio e...” continuò il moro, ma Ashley gli mise un dito sulle labbra. “Grazie anche a te” mormorò, sfiorandogli delicatamente le labbra con le proprie. Un contatto lieve. Leggero come un petalo di rosa che atterra su uno specchio d’acqua. Senza lingua, senza passione, senza il solito furore che caratterizzava entrambi. Un solo istante, prima che la ragazza si allontanasse di nuovo. Un nuovo inizio forse, quello più appropriato per loro due, quello che nessuno si sarebbe mai aspettato.
“Questa tua idea di ricominciare tutto con calma comincia ad andarmi a genio, sappilo”.



my space:
Ce l'ho fatta, porca vacca!
Nessuna scusa stavolta per il mio MEGAGALATTICO ritardo. Sapete come sono fatta ormai, non dovreste sorprendervi LOL anche se ammetto di aver raggiunto un nuovo record, mmmh #proudofme
Passiamo a parlare delle cose serie e più precisamente di questa FF. Lo sapete quando è iniziata? Il 18 settembre. E sapete quando finirà? Prima che la scuola sia finita, ossia entro il 9 giugno.
Si, e come potrete intuire, non c'è spazio per molti altri capitoli. Diciamo che ci sarà spazio solo per un ulteriore capitolo, il 24. E poi porrò la parola FINE anche a questa storia. So che alcune di voi vorranno uccidermi adesso *ç___ç*, qualcuna già lo sapeva, ma adesso lo annuncio ufficialmente: QUESTO E' IL PENULTIMO CAPITOLO DI
  Love will always find a way . Non cambierò idea, non ne aggiungerò altri quindi cercate di perdonarmi se potete, ma è così che voglio che vada. Sono abbastanza soddisfatta del mio lavoro fino ad ora, ma è giusto terminare questa fanfiction prima di cadere nella banalità, cosa che voglio e DEVO evitare a tutti i costi. Mi sono resa conto che stavo cercando di arrampicarmi sugli specchi e non è giusto portare avanti a forza qualcosa che forse è bene concludere così, finché riesco a renderla piacevole sia per voi che per me.
Quindi vi chiedo scusa.
Prometto di scriverne al più presto altre e non scherzo, perché scrivere mi mancherebbe da morire ed è una delle poche valvole di sfogo che ho.
Sto parlando troppo come al solito e vi sto togliendo tempo per scrivermi una bella recensione ;) quindi la finisco qui.
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo e sia valsa la pena attendere *ne dubito, critica come sono uù*

Un bacione a tutti, grazie di essere stati con me fino a qui.
France ♥



 

  
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