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Autore: Blue Drake    24/05/2012    1 recensioni
Questa è una storia senza futuro.
Questa è la storia di un passato senza coscienza.
Questa è la storia di un presente fra le ombre.
Questa è la mia storia.
Non sono sempre stato crudele. Non sono sempre stato freddo, cinico ed egoista. Un tempo non lo ero. Un tempo ero un bravo ragazzo, un ragazzo come tutti: normale.
Ma ci sono esperienze che cambiano la vita. Che ti strappano alla normalità, e ti privano di speranze e sentimenti.
Un tempo non era così. Un tempo io ero un uomo. Ed ora? Ora sono solo un'ombra...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dentro e Fuori dall'Agenzia'
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Capitolo 38

12-13 marzo 1965 - "Frammenti di vita"

 

 

Il buio era ormai parte della città. Non potevo vedere le stelle, oscurate dall'immancabile cappa di pesanti nuvole, ma sapevo che era molto tardi. Per ore, dopo essere riuscito a rimettermi in piedi, avevo camminato, senza una meta e senza un motivo, lungo le strade affollate, perso in mezzo a gente sconosciuta, cercando una risposta che non arrivò mai.

Distrattamente, la mia consapevolezza dello scorrere del tempo aleggiava, come nebbia, attorno a pensieri sconnessi. Non riuscivo a percepire con chiarezza il significato e l'origine dei suoni che giungevano alle mie orecchie. L'aria fredda della notte, che intaccava la mia pelle, non giungeva invece mai a sfiorare la mia attenzione. Per molto tempo, neppure mi resi conto che mi avevano gettato fuori solo con un paio di pantaloni ed una leggera maglia di cotone. Niente scarpe, niente giacca, niente documenti, niente di niente. Non ero più nessuno. Camminavo, attraverso la città, senza coscienza, forse nel tentativo di trovare quella parte di me che avevo perduto. Che cosa mi era rimasto? C'ero unicamente io. Nient'altro che un misero corpo, svuotato di ogni cosa. Sentivo freddo. Ma era un freddo che proveniva da dentro, dall'enorme vuoto che potevo intravvedere ogni volta che mi guardavo. Che cosa ero? Niente. Solo un'ombra che risucchiava la luce, lasciando unicamente vuoto ed oscurità.

 

 

Ero stanco. Tanto, troppo stanco. Finii per accasciarmi contro una porta, sfinito, mentre il cielo schiariva, acceso di nuovi colori, della luce di un nuovo giorno. Per tutta la notte non avevo fatto che cercare risposte. Ora non volevo più pensare. Volevo solo riposare. Volevo solo scomparire.

La porta si aprì, di scatto, e mi ritrovai scompostamente disteso, mezzo fuori e mezzo dentro. Avrei, forse, dovuto alzarmi, ma non ci riuscivo, non riuscivo più a muovermi. Attesi, rassegnato, di scoprire cosa sarebbe accaduto. Forse sarebbe stato più facile se mi fossi addormentato, magari per non risvegliarmi mai più.

Invece, con gli occhi appannati, scorsi una figura piegarsi su di me. La sua voce era un indistinto brusio nella mia testa. Rimasi in silenzio. Non avrei comunque trovato la forza di parlare.

Qualcuno, forse la stessa persona che aveva aperto a porta, mi trascinò completamente dentro. Continuava a parlare, anche se io non capivo cosa dicesse. Avrei preferito di gran lunga il silenzio, ma dato che avevo appena invaso, senza invito, la casa di qualcuno, non potevo certo pretendere che quel qualcuno se ne rimanesse zitto e mi desse il tempo di riprendermi.

L'ultima cosa che ricordo, fu il mio patetico tentativo di sollevarmi e dire qualcosa. Evidentemente lo sforzo si rivelò superiore a ciò che in realtà potevo permettermi. Il buio ed il silenzio calarono di nuovo su di me, impietosi e senza appello.

 

 

Ripresi coscienza su una superficie diversa dalla precedente. Non più il duro e freddo pavimento, ma un morbido materasso, e sopra il mio corpo perfino un caldo piumino. Fu come ritrovarsi improvvisamente all'interno di una tiepida nuvola. Mi rannicchiai su me stesso, concentrandomi unicamente su quell'inatteso senso di pace. Per una frazione di secondo, mi sentii perfino sereno e privo di peso.

Un istante troppo breve, ma infinitamente dolce. Poi, le ultime ore, l'ultimo giorno, tutto lo sgomento, lo sconforto, lo smarrimento, mi circondarono, stringendomi nella loro morsa, come un tornado di incontrollabili emozioni contrastanti, che mi lasciò letteralmente senza fiato, ad ansimare, stravolto, sotto le soffici e profumate coltri che mi ricoprivano.

Piansi. Non ero più in grado di frenare la mia disperazione. Tutto d'un tratto qualcosa, dentro di me, si ruppe, lasciando fluire le paure, l'angoscia, la stanchezza, l'impotenza, il dolore. Piansi a lungo, lasciando che il mio corpo si consumasse ed esaurisse. Decisi di smettere di oppormi, di smettere di lottare.

Mi arresi.

Poco dopo, molto probabilmente attirato dal suono dei miei singhiozzi, comparve sulla soglia della stanza in cui avevo, fino a poco prima, dormito, qualcuno. Faticai non poco per metterlo a fuoco, intralciato, fra le altre cose, dalle lacrime che velavano i miei occhi. Ma alla fine, non senza una certa sorpresa, fui in grado di riconoscerlo, nel momento stesso in cui si accucciò di fronte a me, con l'aria stanca e preoccupata, e mi chiese;

«Che cos'hai, Jules? Perché piangi?»

Chris. A stento riuscii a crederci. Senza nemmeno rendermene conto, dovevo essermi trascinato fino a casa sua. Ma quando era successo? Perché non ricordavo nulla? Perché non riuscivo a fermare i singhiozzi? Per quale diavolo di motivo era tutto così confuso, così doloroso, così assurdamente difficile?

Sentii le sue braccia sollevarmi delicatamente. Mi ritrovai appoggiato alle sue gambe, mentre la sua voce tentava di confortarmi.

«Non piangere, ti prego. Andrà tutto bene, vedrai. Sistemeremo tutto, te lo prometto. Jules, calmati...»

No. Troppe volte avevo creduto nelle favole. Ma non questa volta. Ormai era tardi. Niente si sarebbe sistemato. Sarei stato proprio uno stupido, se lo avessi pensato. No, non andava affatto tutto bene. La mia vita era appena andata in mille frantumi. Spezzata e calpestata. Non avrei mai trovato la forza di raccattarne tutti i pezzi e rimetterli insieme. Ero troppo distrutto per poter essere riparato.

 

 

Continuai a piangere, ora fra le sue braccia, sapendo che lui, per quanto fosse parte di me, non poteva veramente capire, non poteva aiutarmi. Solo io potevo farlo. Ma non ci sarei mai riuscito. Ero troppo debole. Lo sono ancora. Troppo debole per lottare. Troppo stanco per rialzarmi, ancora una volta, e riprendere in mano la mia vita a pezzi...

 

   
 
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