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Autore: phoenix_esmeralda    26/05/2012    7 recensioni
"L’odio è freddo come brina che ti avviluppa, lascia insensibile tutto ciò che tocca. È affilato come ghiaccio e come il ghiaccio è tagliente. Ma l’odio gli permetteva di ricordare che un’ingiustizia era in atto, che lui era destinato ad altro, che un uomo non può trasformarsi in animale, in oggetto, neppure volendolo. Neppure non avendo scelta. L’odio, ferendolo con il suo gelo acuminato, gli diceva che la sua condizione era innaturale e che lui stava solo fingendo di non avere una testa, di non avere una dignità."
PRIMA CLASSIFICATA al contest "Un pizzico di drammaticità, introspezione, nonsense e sovrannaturale" di Sherry Dmp ; Seconda classificata al contest "Libera la fantasia che c'è in te" di ButnowImfeelinggod. Premio Speciale Miglior Personaggio Femminile
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Marchi di speranza
 
 
Milanda è tornata al tramonto e Laish le ha dato il cambio.
Axel non sa per quanto tempo le cose andranno avanti in questo modo, né ha un’idea precisa della zona di Saridan in cui si trovano. Immagina però che i suoi alleati non siano distanti dal confine e che nel giro di un’altra giornata possano raggiungerlo.
Ha cenato in silenzio e quando l’oscurità è scesa, è risalito lungo la scaletta verso il letto. Milanda però si sta pettinando seduta sul materasso. Gli sorride e vede i suoi occhi verdi colmi di imbarazzo quando gli chiede – “Vi dispiace se dormo sul materasso con voi? Temo di non essere abituata a riposare sul pavimento... stamattina mi sono svegliata tutta indolenzita.”
Si vergogna della sua debolezza e teme che lui, che ha sopportato tanto, la giudicherà per quella richiesta.
Axel si stupisce di capirla così bene. Per mesi non ha guardato in faccia nessuno, si era disabituato a leggere le emozioni altrui. Eppure oggi lo fa con facilità, come se non avesse mai smesso.
Alza le spalle in un gesto di disinteresse e si butta sul materasso accanto a lei. Potrebbe coricarsi a fianco di un elefante, per quel che lo riguarda, non basterebbe comunque a privarlo del piacere di dormire nuovamente in un letto.
Milanda spegne la candela e si corica vicino a lui, la luce chiara della luna gli permette di distinguerne chiaramente la sagoma. È assurdo che lei non tema la sua vicinanza. Le ha giurato vendetta, ha promesso che l’avrebbe uccisa. Come può dargli fiducia così ingenuamente?
 
 
  Non si è nemmeno accorto di essersi addormentato, ma quando sente la mano di lei sul suo petto, quando capisce che lei vuole usarlo come le donne alla Casa delle Valutazioni, si sveglia all’improvviso e reagisce. Si volta di colpo, violentemente, e la immobilizza con il suo corpo imprigionandole le mani ai lati della testa.
- “Cosa volete fare?” – ansima, mentre l’odio gli trasuda dalla voce – “Avete un unguento anche voi? Non vi permetterò di farmi violenza, non sarò un corpo per il vostro piacere! “ – avvicina il viso al suo, con rabbia – “Non lo sarò mai più, mi capite?”
Così vicino al suo viso però, vede con chiarezza i suoi occhi illuminati dalla luna. Occhi sbarrati, sbigottiti, in un viso innocente. E all’improvviso, Axel sa con chiarezza che lei è vergine. Capisce che l’ha sfiorato per sbaglio, nel sonno, e che lui, terrorizzato e confuso nel dormiveglia, ha frainteso.
Rimangono fermi in quella posizione un istante, mentre la consapevolezza di quello che è accaduto attraversa gli occhi di Milanda.
Axel si stacca da lei e raggiunge il bordo del materasso. Il cuore gli martella in petto come un tamburo, fa fatica a rendersi conto di non essere realmente in pericolo.
- “Axel...” – la voce di Milanda lo raggiunge appena percettibile – “Vi hanno fatto veramente questo?”
Lui si morde le labbra, si detesta per quello scatto. Ora lei sa e con questo la sua umiliazione è completa.
- “Axel...stavate sognando vero? Non... non hanno osato veramente...”
- “Sognando?” – scatta lui, mentre la rabbia lo travolge – “Credete che abbia sognato di restare legato a una tavola per ore e ore, mentre donne sconosciute, una dietro l’altra, usavano il mio corpo per il loro sporco comodo?” – tremava di indignazione e di furia. Non voleva che Milanda sapesse, ma al contempo non poteva tollerare che non sapesse quello che si faceva nel suo regno – “Come potete essere così sciocca e ingenua? Ve ne state nel vostro palazzo dorato, in mezzo al lusso e alle comodità, mentre i vostri schiavi dormono per terra, nudi, affamati e senza alcuna possibilità di replica, perché replicare significa solo soffrire all’infinito sotto una frusta, o legati a un tavolo in balia di un maledetto unguento che non smette mai di...” – gli si rompe la voce e si ferma, sbalordito dalle sue stesse parole.
Milanda gli ha dato la schiena e se ne sta immobile in silenzio. Offesa per quell’aggressione, con tutta probabilità.
Lui non sa più cosa fare e sta pensando di tornare a coricarsi, quando un sussulto nelle spalle della principessa lo ferma. Istintivamente la prende per un braccio e la costringe a girarsi. Lei si oppone, ma prima che riesca a nascondere nuovamente il viso, vede il suo volto rigato di lacrime.
- “Cosa vi prende?” – mormora, sconcertato – “Perché piangete?”
Lei scuote la testa, non vuole rispondere, cerca solo di nascondere la sua reazione.
Ma alla fine si gira lentamente, vergognosamente.
- “Mi dispiace” – sussurra – “Sono una sciocca a piangere. Siete voi a doverlo fare, non io... Ma è che... non avevo capito. Non davvero. Pensavo di sapere cosa succedeva nelle Case delle Valutazioni, perché raccoglievo in merito ogni voce che arrivava a palazzo. Ma nonostante questo, quando vi ho visto in carne e ossa, ridotto com’eravate, mi è mancato il fiato. Era mille volte peggio di quanto mi ero figurata fino ad allora. E tuttavia pensavo ormai di avere capito, pensavo di aver visto il peggio... E invece...” – affonda il viso nel lenzuolo, per nascondere una nuova ondata di lacrime – “Non avevo capito niente. Non avevo capito quello che cercano di fare. Di spezzare le persone, di annientarle finché resta di loro solo pelle vuota. Vi hanno tormentato oltre il limite del sopportabile e io... non so... come siate sopravvissuto...”
Axel non ha mai pianto nei lunghi mesi di prigionia. Gli animali non piangono e lui non aveva più l’anima per farlo.
Ma le parole di Milanda gli scavano nel cuore e lui ascolta sulle labbra di lei il suo stesso dolore, le sue lacrime rendono visibile la sofferenza che lui ha patito. Ascoltando la voce di Milanda, si rende veramente conto di quello che gli hanno fatto.
Sente le lacrime scivolargli dagli occhi e stupefatto le scaccia con il dorso della mano, ma altre prendono il posto delle prime. Non riesce a smettere di piangere, poiché vede se stesso con gli occhi di Milanda, immobilizzato e costretto a subire l’insopportabile.
Lei allunga una mano e afferra la sua, che sta ancora cercando di respingere le lacrime.
- “Non vergognatevi, avete il diritto di piangere... avete ragione a piangere” – sussurra.
A quello parole lui scoppia in singhiozzi, si perde in un pianto rotto, devastante. Piange su ciò che ha perduto, su ciò che non ritroverà più. Per la prima volta versa lacrime sulla morte di suo padre e sul funerale cui non ha mai partecipato, piange sull’innocenza che ha perso, sulla sua fiducia nell’uomo che è andata distrutta, sui sogni e sugli ideali che nutriva e che ha scoperto non essere altro che un vento passeggero. Piange per ogni frustata, per ogni umiliazione che ha sofferto, per ogni parola di conforto che non ha ricevuto, per tutta la solitudine che è stato costretto ad accettare. Per ogni marchio di dolore congelato nella sua carne. Per la consapevolezza che non tornerà mai più ad essere la persona che era.
E mentre i singhiozzi lo devastano, in singulti disperati, si accorge che la principessa di Saridan, la sua mortale nemica, lo sta abbracciando. Lo stringe a sé come fosse un bambino, mentre continua a mormorare – “Avete ragione, avete così ragione a piangere...”
E le sue parole lo fanno singhiozzare, se possibile, ancora di più. I marchi di dolore gocciolano dai suoi occhi, frammento dopo frammento, mentre il calore dell’abbraccio di Milanda stempera l’odio in un sentimento che Axel riconosce troppo simile alla disperazione.
 
- “È stata zia Resi a farmi vedere la verità” – sussurra Milanda nel buio – “La madre di Laish. Fin da quando ero bambina ha continuato a ripetermi che Saridan stava sbagliando. Che la guerra con Verathan era un errore e che la schiavitù era... un orrore. Errore e Orrore. L’ha ripetuto fino allo sfinimento, a me e a Laish, e ci ha fatto promettere che avremmo cambiato le cose quando sarebbe stato il nostro momento. Lei adesso è morta, ma i suoi insegnamenti sono gli unici che io riconosca sensati. Negli anni io e Laish abbiamo cercato di scoprire cosa avvenisse realmente alla Casa delle Valutazioni. Gli schiavi che arrivano a palazzo sono tutti di livello piuttosto alto, ben istruiti, ben nutriti... oh, è sempre schiavitù, ma non è... come quello che ho visto quando sono venuta a cercarvi. Non vi è neppure lontanamente simile. Sapevo che fuori dal palazzo c’era... di peggio, ma...” – deglutisce e lancia uno sguardo afflitto ad Axel, che siede nel buio sul materasso, con la schiena appoggiata al muro. Lui si sente completamente svuotato.
- “Quando mio padre ha iniziato a vantarsi dell’acquisto di un principe di Verathan, non ho creduto alle mie orecchie. Credevo che schiavi si nascesse... era una condizione disumana, ma se non altro l’unica che queste persone conoscessero. Ma sapere che si poteva diventare schiavi dopo aver vissuto come uomini liberi... sapere che un principe poteva diventare schiavo del suo nemico... è stato uno shock per me. Trovavo intollerabile che per mio padre tutto questo fosse accettabile... zia Resi sarebbe morta di indignazione vedendo suo cognato gongolare per qualcosa di tanto ... disgustoso. Tuttavia la mia autorità a palazzo è limitata, non ho potuto contrastare apertamente mio padre ordinando la vostra liberazione immediata. Ho dovuto studiare questo sotterfugio, nella speranza che ogni cosa andasse bene. Devo ringraziare Laish e Yulien che mi hanno aiutata, altrimenti, da sola, non avrei saputo come fare.” – sorride imbarazzata – “Purtroppo mi ritrovo ad essere una persona piuttosto inutile”.
 
Axel ha ascoltato ogni parola, nascosto dal buio della stanza. Milanda è illuminata dalla luna e la sua presenza, la sua voce, sembrano far tutt’uno con i raggi lattiginosi che schiariscono il materasso.
Non è ancora sicuro di fidarsi, perché dopo ciò che ha vissuto crede che non si fiderà mai più. Ma il suo cuore pesa cento volte meno e per il momento questo gli basta.  Porta ancora sulla pelle il tepore delle sue stesse lacrime e le sue spalle ricordano la forma dell’abbraccio di Milanda.  È più di quanto abbia ricevuto in quei mesi, è più calore di quello che gli sia mai stato offerto da quando suo padre è morto.  È tutto ciò che ha, e se lo tiene ben stretto.
 
Il pomeriggio dopo, Milanda torna dalla ricognizione in anticipo rispetto al giorno precedente. Sembra che abbia in mente qualcosa e infatti lo chiama vicino al fuoco. Tiene in mano un oggetto di metallo e lo sta arroventando alle fiamme, tenendolo stretto tra due pinze. Axel aguzza la vista finché non si rende conto che l’oggetto è il sigillo del casato reale di Saridan.
- “Axel, sapete come si fa ad affrancare uno schiavo?”
Lui è stupito. - “Non credevo si potesse.” – ammette.
- “In effetti accade così di rado, che si crede quasi inutile parlarne.” – Milanda avvicina il sigillo al viso, controllandone la temperatura – “Toglietevi la maglia”
Lui rimane immobile. Non è propenso a spogliarsi nuovamente davanti lei, è rimasto nudo per un tempo più che sufficientemente lungo.
Milanda riavvicina il sigillo al fuoco, senza girarsi.
- “Toglietevi la maglia, Axel – ripete – “Non posso affrancarvi, se non mi porgete la spalla nuda.”
Per un istante gli manca il fiato.
- “Vo..lete dire che..?” – balbetta, quando ritrova il respiro.
- “Il sigillo reale posto sopra al marchio di schiavitù, ne annulla gli effetti. Solo il re può affrancare uno schiavo e renderlo un uomo libero.” – si gira verso di lui e sorride – “Naturalmente ho preso in prestito il sigillo di mio padre. Beh.. lui non sa nulla di questo prestito... Ma a conti fatti, il risultato è lo stesso. Quando avrete il marchio, nessuno potrà più rivendicare diritti su di voi.”
Solamente due giorni prima, Axel avrebbe pensato a un crudele scherzo. Non avrebbe dubitato che quelle parole celassero l’intenzione di farlo soffrire doppiamente, per il dolore di una bruciatura e per l’illusione vana di potersi salvare.
Ma oggi si leva maglia con un sol gesto e si volta verso la principessa, porgendo la spalla con il marchio di schiavitù.
- “Vieni, Laish!” – chiama Milanda, togliendo ancora una volta il sigillo dal fuoco – “Aiuta il principe a restare immobile, mentre appongo il simbolo!”
Laish arriva, Axel si appoggia a lui mentre il ferro arroventato gli brucia la carne. Sono mesi che soffre, ma questo dolore è il primo che riconosce sensato.
 
 
Più tardi Milanda gli lava la spalla con acqua fredda e poi appone una pomata lenitiva che lo aiuti a sopportare il bruciore. Axel contempla stordito quel minuscolo emblema che, da un istante all’altro, gli ha restituito la libertà.
Non è più uno schiavo, nessuno ha più il diritto di valutarlo e di assegnarli punteggi, di immobilizzarlo e punirlo, di schernirlo o usarlo.
Una piccola bruciatura dalla forma di un airone in volo lo ha trasformato nuovamente in un essere umano.
La novità è così inaspettata, così sorprendentemente enorme, che non riesce a dire nulla. Siede vicino al fuoco in silenzio, sopporta il dolore del marchio e aspetta che la consapevolezza raggiunga ogni angolo della sua mente.
 
 
Nel frattempo cala l’oscurità, Laish torna a fare la guardia, Milanda scalda della zuppa e gliela porge. Axel continua a tacere, mangia avvolto da una patina di irrealtà.
Milanda si alza, comincia a riordinare il campo, ma lui resta fermo a osservare il fuoco che lambisce la notte.
È un rumore sordo a farlo riscuotere, unito a un gemito soffocato.
Si volta di scatto, balzando in piedi, tutti i sensi all’erta. E si trova di fronte a un viso conosciuto.
Batte le palpebre due, tre volte, prima di dare a quel volto un  nome.
- “...Selander?”
Il giovane, uno dei migliori amici della sua infanzia, il più fedele dei suoi sudditi, è fermo di fronte a lui. Con un braccio immobilizza Milanda a sé, con l’altro le tiene un coltello puntato alla gola.
- “Abbiamo fatto come ci hai detto, Axel. Siamo stati prudenti e abbiamo aggirato il ragazzo che faceva la guardia. Abbiamo lasciato Vinor a tenerlo d’occhio, qui ci siamo solo noi due.”
Alle sue spalle, Axel vede Roman, un altro dei fedeli compagni della sua infanzia. Quando zio Aratan l’ha tradito, diversi amici non hanno esitato a lasciare il palazzo per creare  una fazione a suo favore.
- “Axel, sei irriconoscibile” – mormora Selander, guardandolo meglio. Sembra manifestamente scosso. I suoi occhi corrono lungo il corpo magrissimo e ferito del principe – “Come hanno osato, questi sporchi selvaggi?”
Così dicendo, accentua la stretta su Milanda e le sfiora il collo con il coltello, palesando di pregustare il momento di squarciarle la gola e  vendicare il  principe.
- “Non vedo motivo di portare la principessa di Saridan con noi” – aggiunge, strattonandola a sé – “La uccido, così ce ne andiamo immediatamente.”
Cerca con gli occhi quelli di Axel, perché dia l’assenso all’esecuzione e lui rimane per un istante sospeso tra due scelte contrastanti. È il momento della vendetta, quello che ha agognato per più di sei mesi, mentre si dibatteva tra odio e dolore. Se uccide l’erede di Saridan, l’unica figlia del re, causerà a quel maledetto regno un danno considerevole.
Guarda Milanda trattenendo il respiro. Lei non dice nulla, i suoi occhi verdi non supplicano, aspettano semplicemente che lui prenda una decisione.
- “Non è la principessa di Saridan, mi sono sbagliato.” – dice.
Roman trasale, Selander prende un’espressione incredula.
- “Sbagliato? Sei impazzito Axel? Stiamo parlando dell’erede al trono di Saridan, della nostra vendetta! E tu mi dici di esserti sbagliato? Come puoi sbagliare su una cosa simile?”
Axel gli restituisce uno sguardo obliquo - “Solo gli imbecilli non si sbagliano mai - dice, sfidandolo a smentirlo  – “Credi che io sia un imbecille Selander?”
Il giovane rimane spiazzato, torna immediatamente nei ranghi.
- “No... certo che no... non oserei mai...”
- “Allora lasciala.”
Selander, ancora dubbioso, abbassa il coltello e libera la ragazza. Sembra deluso, frustrato.
- “Abbiamo esaurito le scorte di cibo” – interviene Roman – “C’è qualcosa che possiamo prendere?”
Milanda indica il rifugio sull’albero.
- “Lì troverete qualcosa da portare con voi”.
Entrambi i giovani salgono la scaletta e scompaiono ai loro occhi.
- “Grazie” – pronuncia piano Milanda. Una parola che lui, a lei, non è ancora riuscito a rivolgere.
- “Voi passerete grossi guai per avermi aiutato.” – le dice invece – “Vostro padre sarà furioso.”
La ragazza si stringe nelle spalle.
- “Qualunque punizione dovrò sopportare, varrà bene la libertà di un uomo.”
Lui stringe i pugni - “Milanda... perché fate questo? Non posso credere che sia solo per gentilezza... che non ci sia un altro fine!”
Lei sorride. Un sorriso sottile, consapevole.
- “C’è sempre un altro fine.” –  ammette – “Axel, ora voi tornerete a Verathan, combatterete per riavere il trono e un giorno sarete re. Mentre io fra qualche anno sarò regina di Saridan. Quando tutto questo succederà... quando io sarò regina e voi sarete re, forse... forse voi vi ricorderete di un atto di gentilezza che la vostra nemica ha compiuto nei vostri confronti. Forse la guerra tra di noi vi sembrerà un poco più insensata.”
- “Milanda, mi state chiedendo di cessare la guerra fra i nostri popoli?”
- “Sto solo gettando un seme, principe. Un giorno mi direte voi se sarà sufficiente a parlare di pace.”
- “Verathan non potrà mai trovare un accordo con un popolo che perpetua la schiavitù!”
- “Allora forse Verathan potrà insegnarci a vivere senza schiavi.”
Lui sorride beffardo – “Per fare questo, i nostri popoli dovrebbero mescolarsi.”
- “Sì, lo dovrebbero” – Milanda non abbassa lo sguardo, i suoi occhi verdi non arretrano sotto a quella proposta così sfacciata.
Lui è sbigottito davanti a tanta audacia.
- “State ventilando l’ipotesi... di un nostro matrimonio?”
A quel punto lei sorride imbarazzata e l’antica vergogna torna a velarle lo sguardo.
- “Lo so... vi sembra inaccettabile. Detestate la mia gente ed è normale dopo ciò che avete sopportato. E io devo apparirvi una sciocca ingenua. Mio padre ripete in continuazione che sono una stupida illusa, piena di idee insensate. Se per lo meno fossi bella, la mia proposta vi parrebbe  meno ridicola. Tuttavia non posso farci niente.”
Roman e Selander scendono dalla scaletta con le sacche piene di cibo.
- “Siamo pronti Axel, andiamo. Dobbiamo avvisare Vinor della partenza.”
- “Sì, andiamo.”
Axel fa un cenno di saluto a Milanda e quando i due si inoltrano nel bosco li segue. È ancora frastornato per il susseguirsi degli eventi, per le ultime parole della principessa. Sa che lei non è affatto una sciocca ingenua. A quindici anni è una vera e propria rivoluzionaria, ha ordito un autentico complotto ai danni del re di Saridan per ridare la libertà al suo più acerrimo nemico. La testa di Milanda non è colma di stupide illusioni, checché ne dica suo padre. È una testa saggia... più saggia di quella di qualunque glorioso re sia mai salito sul trono di Saridan. E ha occhi caldi, caldi come il fuoco che gli ha ridato la libertà.
Si ferma e si gira verso di lei, che lo sta ancora guardando.
- “In ogni caso, per sicurezza, evitate di sposarvi nei prossimi tempi.” – le dice.
Gli occhi di lei si illuminano e in un istante gli corre incontro, gli butta le braccia al collo e accosta il viso al suo... Ma poi si ferma. Per rispetto a ciò che lui ha subito, non gli si imporrà mai. È Axel a colmare l’ultimo spazio tra loro e a sfiorarle le labbra con le sue. Lei risponde con altrettanta delicatezza e quel tocco, così in contrasto con la violenza che ha ricevuto negli ultimi mesi, apre nel suo animo uno spiraglio di fiducia nel futuro.
- “Voi che avete così sofferto, potreste mettere fine a tutte queste atrocità” – bisbiglia Milanda.
- “Vedremo” – risponde lui e stavolta si gira per raggiungere i suoi compagni.
Ma non può ignorare quella possibilità. Mentre accelera il passo verso i confini di Saridan, si rende conto delle infinite opportunità che Milanda ha aperto sul futuro.
Potrebbero scomparire gli schiavisti e le Case delle Valutazioni, ogni schiavo potrebbe tornare ad essere uomo, a vivere una vita degna di un essere umano. Le possibilità si spalancano davanti a lui.
Due occhi verdi, caldi come il sole estivo, hanno gettato un seme che sta già germogliando. I marchi di dolore non sono più circonfusi d’odio, ma di un calore che pian piano lascia spazio alla speranza. Ogni cosa sta diventando possibile. Axel si ritrova a sorridere.
Vedremo.
 
  
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