5
Dopo
una palude ed un deserto, il terzo mondo ultraterreno nel quale i ragazzi si
ritrovarono fu una lunga, interminabile lingua di roccia brulla e non
eccessivamente larga e sospesa sull’abisso, e che, a seconda di come la si guardava,
proseguiva senza sosta in alto o in basso, illuminata da migliaia curiose sfere
di luci simili a fuochi fatui che volteggiavano in tutte le direzioni in modo
lento e ripetitivo o seguitavano a rimanere immobili in un solo punto, come
galleggiando nell’aria.
«Certo che chi ha costruito questi posti
doveva avere davvero una gran fantasia.» commentò Honda.
Anzu si sporse
un momento a guardare oltre il ciglio.
L’oscurità sotto di loro era apparentemente
senza fondo, ed un brivido freddo le attraversò il corpo, al punto che dopo
pochi secondi dovette desistere.
«Suggerisco di fare molta attenzione.» disse Jounouchi «Cadere di sotto non mi sembra una grande
prospettiva.»
«Sì, sono d’accordo.» rispose la ragazza.
A quel punto decisero di iniziare a camminare,
dirigendosi verso l’alto, una scelta dettata in larga parte da un ragionamento
fatto da Yugi; dato che il loro si poteva considerare
come una sorta di percorso di ascensione verso un qualcosa di superiore,
probabilmente era verso l’alto che dovevano andare.
Non sapeva dire perché, ma Yugi
aveva la sensazione che quello sarebbe stato l’ultimo mondo che lui e gli altri
avrebbero visitato nel loro viaggio.
Regnava una certa inquietudine. L’incontro con
Marik aveva profondamente turbato tutti quanti, anche
se l’essersi resi conto, una volta abbandonato il deserto delle ambizioni e dei
sogni perduti, di possedere ancora la capacità di provare emozioni e sensazioni
li aveva indubbiamente fatti stare molto meglio.
Probabilmente, il momento di separarsi dalle
proprie esperienze terrene sarebbe arrivato solo al momento della rinascita,
quindi per il momento quelle cose facevano ancora parte di loro.
Paradossalmente però, proprio questo pensiero
riusciva a metterli in agitazione e ad inquietarli; comunque fosse andata, con
la rinascita avrebbero perso, oltre ai ricordi, anche le emozioni, le
esperienze e la consapevolezza della loro vita passata.
E quindi, anche nel caso in cui tre di loro
fossero riusciti a rinascere assieme nello stesso mondo, come avrebbero fatto a
recuperare le amicizie perdute?
Il loro legame sarebbe bastato a farli
rincontrare?
Avrebbero potuto rinascere con altri nomi,
altri aspetti. Atem aveva detto solo che sarebbero
rinati nello stesso tempo e nello stesso mondo, ma dove? E se fossero nati in
Paesi diversi, magari in tempo di guerra?
In quel momento nessuno di loro aveva voglia
di pensarci, ma quello era un tarlo che non smetteva un attimo di scavare nelle
loro menti.
Ben presto però l’attenzione di tutti prese a
venire attratta da quelle strane palle di luce che rischiaravano il loro
cammino; alcune di queste sembravano quasi essere vive, avere una volontà,
perché li andavano loro dietro, seguendoli e girando loro attorno come uno
stuolo di fate o spiritelli in cerca di qualcuno con cui giocare.
«Maledette lucciole.» disse Jounouchi tentando di scacciarne una che non smetteva di
gravitargli attorno al viso
«Non credo si tratti di questo.» rispose
ironica Anzu.
Incuriosito, Yugi si
fermò un momento ad osservarne una, e poco dopo al suo interno gli parve di
scorgere qualcosa. Sembravano immagini, come spezzoni di un film in presa
diretta, dove le scene erano riprese dal punto di vista di chi le osservava.
Ma la cosa più incredibile era che quelle
immagini non erano ambientate nella sua epoca, ma nel Giappone del Periodo Kamakura, a giudicare dai vessilli e dagli stendardi che
apparivano di tanto in tanto.
«Incredibile.» disse.
Anche gli altri allora guardarono all’interno
di qualcuna di quelle sfere, scorgendo scorci di vita provenienti dalle epoche
più diverse, dal Rinascimento alla Cina dei Tre Regni, dal medioevo europeo ai
regni precolombiani.
«Ma cosa sono questi cosi?» chiese Jounouchi
«Credo siano ricordi.» ipotizzò Yugi
«Vi ricordate quello che ha detto lo spirito
nell’altro mondo?» disse Anzu «Le anime prima di
reincarnarsi devono liberarsi di tutto quello che le tiene legate alla vita
precedente.»
«Anzu ha ragione. In
quel deserto venivano lasciati sogni e aspirazioni. Forse in questo mondo
vengono lasciati i ricordi.»
«Ah, ora è tutto chiaro.» disse Honda.
Sempre più curiosa, Anzu
prese a scrutarne uno dietro l’altro, fino a quando una di quelle sfere non le
volò letteralmente addosso, quasi ad invitarla a farsi guardare. Lei lo fece,
ma quello che vide la spiazzò; vide Yugi, sia
impegnato nei suoi molti duelli sia nei suoi rari momenti di tranquillità.
C’era anche l’altro Yugi, il faraone Atem, ed il calore provato nel vederlo appagò ben poco le
sensazioni che la ragazza provò rendendosi conto di cosa stava guardando.
«Ma questi…» disse
riconoscendo le figure dei suoi genitori «Ma questi sono i miei ricordi!».
Gli altri ragazzi sgranarono gli occhi, poi
anche loro furono raggiunti dalle sfere di luce nelle quali, guardandovi
dentro, videro quelli che erano senza ombra di dubbio i ricordi della loro
vita.
«Ma come può essere!?» disse Jounouchi «Come è possibile che i nostri ricordi siano
qui?»
«Ha ragione.» disse Honda «Come possono essere
qui, se noi li abbiamo ancora?».
Yugi ci
rifletté un momento; anche lui era confuso, ma poi credette di aver trovato la
risposta.
«Tutto ritorna al punto iniziale. Noi in
questo momento non abbiamo dei corpi. Siamo puro spirito.»
«Questo lo sappiamo.» rispose Jounouchi «E allora.»
«Di noi ormai è rimasta solo l’anima, che si è
come cristallizzata dandoci questi corpi apparentemente reali. I nostri
ricordi, così come le nostre emozioni, sono parte di noi, della nostra anima.
Ma la loro natura vera e propria invece è altra, ed essa ha preso la propria
strada nel momento stesso in cui siamo morti.»
«Scusa, credo di non seguirti.» disse Honda
«Sii più chiaro.»
«Secondo il principio confuciano» rispose Anzu «L’essere umano è composto da tre entità distinte.
Corpo, mente e spirito. Ognuna di queste tre esiste separatamente, ma nel corso
del tempo si instaura tra di esse una specie di sintonia, cosicché ognuna
incamera dentro di sé una parte dell’altra.»
«La nostra anima si è fatta in parte corpo.»
concluse Yugi «E ha tramutato i sentimenti ed i
ricordi provenienti dalla mente in pensieri apparentemente reali. Ma sia il
nostro subconscio che i nostri ricordi ci sono già stati tolti.»
«Suona parecchio inquietante.» commentò Honda.
Dopo poco i ragazzi si rimisero in cammino,
con quelle sfere di luce che continuavano a seguirli di quando in quando e a
rischiarare il loro cammino.
Impossibile dire quanto tempo trascorsero
mettendo un piede avanti all’altro, giacché il tempo era un concetto
estremamente relativo in un posto come quello, e che non era facile capire se
la loro percezione dello scorrere del tempo fosse la stessa che avevano avuto
da vivi.
D’un tratto, però, nel buio, in lontananza,
cominciò ad intravvedersi qualcosa.
Sembrava un’isola, un piccolo eremo
galleggiante nell’abisso, proprio come il sentiero, sul quale vi era una specie
di edificio simile ad un tempio, e più si avvicinavano più si rendevano conto
di come fosse proprio lì che quella strada sospesa sul nulla li stava
conducendo.
«Guardate!» disse Anzu
«Forse è quello il tempio della vita di cui parlava il faraone!»
«Allora ce l’abbiamo fatta!» disse Honda
sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
Yugi, però,
non era tranquillo, e neanche Jounouchi.
«Col cavolo che è così facile.» disse Jounouchi guardandosi attorno preoccupato.
Dapprincipio sembrò che gli eventi fossero
destinato a dargli torto, ma poi, di colpo, accadde qualcosa; le sfere di luce
presero a comportarsi in modo strano, volando in tutte le direzioni come uno
stormo di uccelli sorpresi da un predatore, e uno strano rumore riecheggiò
tutto intorno, come uno sbattere di ali.
«Era solo per dire.» mugugnò Jounouchi, che per un attimo ci aveva sperato di
sbagliarsi.
I quattro ragazzi si portarono immediatamente
schiena a schiena, e tennero pronti i loro Dia Dhank.
Non fecero neppure in tempo ad evocare i
propri ka, che un nugolo di demoni alati piombarono
loro addosso sbucando dall’oscurità e attaccando da ogni dove. Forse erano i
guardiani di quel posto, forse altri di quegli esseri oscuri di cui aveva
parlato Atem, fatto sta che non avevano buone
intenzioni.
«E ti pareva!» disse Honda facendo comparire
il Comandante.
L’attacco combinato da più direzioni risultò
da subito molto difficile da contrastare.
Il problema principale stava nel fatto che i
nemici potevano volare, mentre dei ka dei ragazzi
solo i maghi di Yugi ed Anzu
avevano questa possibilità, e in un terreno come quello bisognava sempre tenere
un occhio sulle sporgenze, perché nessuno poteva dire cosa potesse significare
cadere di sotto, anche per uno spirito.
Non si trattava di esseri particolarmente
forti; al contrario, bastava davvero poco per riuscire a sconfiggerli
trasformandoli in innocuo pulviscolo.
Il problema era il loro numero: neanche il
tempo di sbarazzarsi di uno, e altri due ne arrivavano a prenderne il posto,
creando un martellante assalto che non si esauriva mai.
Peggio di tutto, mantenere il proprio ka
in forma fisica e permettergli di combattere costava fatica, e più il tempo
passava più i ragazzi si sentivano stanchi, una stanchezza che si rifletteva
sui loro ka.
Era come un circolo vizioso, e dovevano
uscirne in fretta se volevano sperare di sopravvivere.
«Al diavolo queste bestiacce!» sbraitò Jounouchi.
Il biondino era così impegnato a contrastare i
nemici che gli piovevano addosso che non si accorse dell’approssimarsi furtivo
di uno di loro, proprio alle sue spalle.
«Jounouchi,
attento!» gridò Yugi.
Il suo mago era troppo lontano, e Jounouchi non aveva comunque modo di potersi difendere. Così,
Yugi fece l’unica cosa che l’istinto gli suggeriva, e
lanciatosi all’attacco spintonò il nemico con una spallata; quello barcollò all’indietro,
finendo oltre il bordo del sentiero, ed essendo uno dei pochi a non avere le
ali precipitò inesorabilmente nel buio.
Il problema fu che, subito prima di cadere,
afferrò Yugi per la collottola, tentando di portarlo
con sé, e anche se mollò la presa quasi subito il ragazzo si ritrovò con le
gambe sospese nel vuoto, e le mani che a stento riuscivano a tenere la presa
sul terreno sassoso e scivoloso.
«Yugi!» esclamò Anzu.
Proprio nell’istante in cui Yugi perse la presa, fortunatamente, Anzu
riuscì ad afferrargli una mano.
«Resisti! Ti tengo!».
Honda e Jounouchi si
avvidero di quello che stava accadendo, ma quasi a voler impedire loro di
intervenire i nemici continuarono a bersagliare loro e i loro ka senza fermarsi un momento, tanto che ad un certo punto
entrambi i ragazzi si ritrovarono in ginocchio senza quasi più forze.
«È inutile.» disse Honda «Per quanti ne
uccidiamo, non smettono di arrivare.»
«Maledizione.» disse Jounouchi
a denti stretti «Mi rifiuto di farmi battere in questo modo».
Forse fu la loro caparbietà, forse la loro
intraprendenza, o forse come Yugi stavano elevando il
loro livello di consapevolezza. Fatto sta che di colpo i due amici, da stanchi
e sfiniti com’erano, sentirono tornare le forze.
«Non mi farò sconfiggere così facilmente!»
urlò Jounouchi.
I loro ka ormai
sfiniti, come già accaduto al Mago Silente, furono avvolti dalla luce, e quando
ne uscirono erano decisamente cambiati; il Guerriero da Battagla
era diventato lo Spadaccino di Fuoco, e il Cyber Comandante il Soldato Gadget.
«Incredibile.» disse Honda «I nostri ka si sono evoluti.»
«Molto bene.» disse Jounouchi
«Ora inizia il secondo round!».
Con forza ritrovata i due ka
ripresero a combattere, facendo strage di diavoli, ma anche così il numero soverchiante
dei nemici impediva sia a loro che a Honda e Jounouchi
di andare in soccorso di Yugi e Anzu;
anche il Mago Silente e il Mago della Fede erano nella loro stessa situazione,
e serviva il loro aiuto anche solo per impedire che i demoni andassero a
cercare di far precipitare Yugi.
«Cerca di resistere, Yugi!»
continuava a ripetere Anzu.
In realtà la ragazza stava stringendo i denti
per la fatica, e per quanto ci provasse non riusciva a trovare la forza di
tirare su il suo amico, che invece stava perdendo sempre più la presa.
Yugi se ne
accorse, e guardando l’abisso sotto di sé non riusciva a non tremare come una
foglia; ma nonostante ciò, non voleva né poteva permettere che Anzu lo seguisse.
«È inutile! Lasciami!»
«Non se ne parla! Io non ti lascio!»
«Ragiona! Se non mi lasci andare cadrai anche
tu! Lo sai cosa succederebbe se fallissi la prova!»
«Chi se ne importa! Non posso abbandonarti!».
Yugi sapeva
che neanche a supplicarla Anzu avrebbe mollato la
presa, ma che anche lei lo seguisse se il suo destino era di fallire la prova
non se ne parlava neppure.
Forse fu solo un caso, forse una cosa voluta,
fatto sta che d’improvviso Anzu sentì la presa farsi
sempre meno stretta, e la mano di Yugi che lentamente
scivolava via.
La ragazza aveva un sospetto, un sospetto
terribile che non voleva neanche prendere in considerazione, ma intanto Yugi stava continuando a scivolare verso il basso, e il
ragazzo sembrava non fare quasi nessuno sforzo per cercare di mantenere la
presa.
«Non ti arrendere, Yugi!»
«Anzu…».
Improvvisamente, la stretta si sciolse; Anzu cercò con tutta sé stessa di recuperarla, fin quasi a
cadere lei stessa sporgendosi più di quanto potesse, ma Yugi
cominciò inesorabilmente a sprofondare nell’oscurità.
Lacrime amare e taglienti come lame comparvero
sui suoi occhi azzurri, quando si rese conto che stava accadendo davvero.
«Yugi!» urlò con
tutta la sua voce, una voce rotta e piegata dalla disperazione.
Anche Jounouchi e
Honda a quel punto capirono, ed anche i loro volti si riempirono di terrore,
unito a quella sensazione di impotenza che non avrebbero mai voluto provare, men che meno in quel momento.
Il Mago della Fede, che solo in quel momento
era riuscito a trovare il tempo per andare se non altro in soccorso della sua
padrona, fu a sua volta avvolto dalla luce, riemergendone con le fattezze della
Guardiana Angel Joan.
La luce prodotta da quell’angelo rischiarò le
tenebre tutto attorno come neanche un milione di quelle sfere di luce avrebbe
saputo fare, e come se quella luce fosse stata per loro come una nube infuocata
tutti i demoni che ne furono raggiunti si dissolsero nel nulla lanciando urla
di dolore.
Mentre scompariva sempre più nel buio, Yugi si domandava cosa ne sarebbe stato di lui.
Aveva paura, ma in parte era sollevato dal
sapere che almeno i suoi amici sarebbero rimasti uniti. In fin dei conti era
quasi un modo per espirare, e anche per ringraziarli. Se non li avesse
conosciuti, se la sua vita non si fosse intrecciata con le loro, avrebbe
trascorso il resto dell’esistenza nella più vuota solitudine; d’altra parte,
però, se loro non avessero conosciuto lui non sarebbero mai finiti in quel
modo, e le loro sarebbero sicuramente durate molto più a lungo.
Chiusi gli occhi, e con un’espressione
stranamente felice, ma vanificata dalle lacrime che gli solcavano le guance, Yugi fece per lasciarsi andare, quando d’un tratto ebbe l’impressione
di venire abbagliato da una forte luce; subito dopo, sentì qualcuno tirarlo
verso l’alto, stringendolo forte per un braccio per poi iniziare a risalire
assieme a lui.
Quando Yugi e Angen Joan tornarono sul sentiero, i diavoli erano tutti
spariti.
«Yugi!» disse Jounouchi «Mi hai quasi fatto venire i capelli bianchi.»
«Meno male, per il rotto della cuffia.» disse
Honda.
Anzu piangeva
di felicità, ma quando l’angelo posò a terra Yugi lei
gli si avvicinò con sguardo contrariato, e dopo qualche istante, durante il
quale lui invece tenne lo sguardo basso, gli mollò un ceffone.
«Anzu…»
«Non azzardarti a farlo mai più! Non azzardarti
mai più ad arrenderti!»
«Mi… mi dispiace.»
rispose timidamente Yugi tenendosi la guancia.
Lei a quel punto non riuscì più a nascondere
le lacrime.
«Ma che ti è saltato in mente?» disse
singhiozzando «Da quando in qua getti la spugna in questo modo?».
Lui non riuscì a trovare una risposta.
«Ha ragione, Yugi.»
disse allora Jounouchi «Non sei tipo da arrenderti
così».
In verità, fin da quando erano arrivati
laggiù, Yugi non era riuscito ad essere completamente
sé stesso. Quella presunta consapevolezza di essere lui stesso il responsabile
di quanto successo ai suoi amici lo aveva perseguitato per tutto il tempo, e
anche se aveva cercato di non darlo a vedere provando a mostrarsi forte e
risoluto come aveva imparato ad essere la paura ed il rimorso erano compagni
dei quali non riusciva a liberarsi.
«Il nostro legame, i sentimenti che ci legano
l’uno con l’altro.» disse Anzu asciugandosi le
lacrime «Sono tutto quello che ci è rimasto. Non possiamo buttarlo via, o
rinunciarvi in questo modo. Non senza provare a difenderli e a conservarli il
più a lungo possibile.»
«Parole sante.» disse Honda «Dopotutto, lo
sapevamo che non sarebbe stata un’impresa facile, e se non potessimo
appoggiarci e sostenerci a vicenda, dubito che saremmo stati capaci di arrivare
fin qui».
Forse, pensò Yugi, era
per questo che non aveva cercato di salvarsi quando stava per cadere; perché credeva
che in fin dei conti era tutta colpa sua, e che aiutare i suoi amici a
preservare il loro legame era il minimo che potesse fare per espiare, anche se
significava condannarsi nuovamente alla solitudine con le sue stesse mani.
Ora però, dopo quello che era successo,
sentiva qualcosa di nuovo; per la prima volta da che aveva aperto gli occhi su
quella nuova situazione, gli sguardi e le parole dei suoi compagni riuscivano
ad infondere in lui una speranza sincera.
«Tutto questo, Yugi.»
disse Jounouchi «Per dirti che la forza e l’aiuto
reciproco sono stati i nostri migliori compagni, e che ora più che mai devono
continuare ad esserlo».
A quel punto, la flebile luce maturata nel
profondo di Yugi si accese del tutto, dandogli nuova
vita.
Jounouchi aveva
ragione; gettare via tutto prima di essere arrivati fino infondo era stupido.
Se proprio doveva scegliere di sacrificarsi
per il bene dei suoi compagni, lo avrebbe fatto quando quella prova fosse
giunta alla fine; fino a quel momento, avrebbe continuato a combattere e a
vincere come sempre.
«Vi chiedo scusa.» disse mentre nei suoi occhi
tornava a risplendere la forza di sempre
«Così ti voglio.» disse Jounouchi
«Bentornato tra noi.»
«Avanti, ora.» disse Anzu
«Ormai ci siamo quasi.»
«Ben detto.» disse Honda «La meta è vicina».
Senza più nessuno ad intralciarli, e con le
sfere di luce tornare a guidare loro la strada, i quattro ragazzi si rimisero
in cammino, raggiungendo infine l’enorme edificio che avevano intravisto in
lontananza già molto tempo prima, e che speravano sarebbe stato la tappa finale
del loro viaggio.
Quella specie di tempio era davvero immenso,
ma pervaso da un’atmosfera tetra, quasi minacciosa; non era certo la
costruzione idilliaca ed accogliente che Yugi e gli
altri si erano immaginati.
«Sarebbe questo il tempio della vita?» domandò
Jounouchi osservando gli inquietanti e giganteschi
bassorilievi egizi che ne adornavano il frontone
«Non saprei.» rispose Yugi.
Ancora una volta, giunse in aiuto la passione
di Anzu per l’egittologia.
«Una volta ho letto che la tappa finale del
viaggio nell’oltretomba nella mitologia egizia è la Sala del Giudizio, il luogo
dove le anime vengono giudicate per la propria condotta terrena e dove si
compie il loro destino.»
«Quindi, questo non sarebbe il Tempio della
Vita.» disse Honda seccato «Ma questa, Sala del Giudizio.»
«E ti pareva.» mugugnò Jounouchi
«In effetti mi sembrava che fosse stato anche troppo facile.»
«Forza e coraggio.» disse Yugi
con ritrovato vigore «Se davvero questa è la Sala del Giudizio, significa che
il nostro viaggio è quasi alla fine.»
«Hai ragione.» rispose il biondino ritrovando
l’impeto «Il che significa che se supereremo le prove che ci aspettano qui
dentro, ce l’avremo fatta sul serio.»
«È probabile.»
«In questo caso, entriamo!».
Jounouchi a quel
punto partì a razzo, fiondandosi sugli enormi portoni che chiudevano l’ingresso
alla sala e riuscendo a spalancarli con un solo, poderoso calcio.
L’interno era completamente spoglio, oltre che
immerso nell’oscurità e nel silenzio più totali; solo un’unica, immensa sala
senza fine, simile a quella dove i ragazzi si erano trovati al loro risveglio
nell’oltretomba.
«Ehilà? C’è nessuno?» urlò Jounouchi.
Gli altri lo raggiunsero, guardandosi attorno
a loro volta.
«E adesso?» domandò Anzu
«Non lo so.» disse Yugi
«Forse dobbiamo continuare a camminare.»
«Ovviamente.» sbuffò Jounouchi
«Avanti, pappamolla!» disse Honda tutto
baldanzoso «Dov’è finita tutta la tua determinazione? Gambe in spalla, e
andiamo! Ormai ci siamo quasi, me lo sento!».
A quel punto fu lui ad aprire la strada, ma
non aveva fatto neanche due passi che di colpo, e senza motivo, i portoni si
chiusero da soli, emettendo un rumore come di serratura bloccata, e lui
scomparve nel nulla, come se fosse stato teletrasportato da un’altra parte.
I suoi compagni assistettero impotenti e
sgomenti, e prima che potessero anche solo pensare di fare qualcosa il loro
amico era già sparito.
«Honda!» esclamò Jounouchi.
L’amico cercò di muoversi in quella direzione,
ma quasi contemporaneamente anche lui e Anzu sparirono
allo stesso modo.
«Yugi!» ebbe appena
il tempo di dire Anzu
«Ragazzi!».
Da un istante all’altro, Yugi
si ritrovò da solo.
A lungo provò a chiamare i suoi amici, ma nel
silenzio raggelante di quel luogo spettrale l’unico suono che sentiva era
quello dell’eco prodotto dalla sua stessa voce.
Affranto e preoccupato, cominciò a correre in
tutte le direzioni nella speranza di trovarli, scoprendo ben pesto che quell’edificio
era molto più intricato e complesso di quanto sembrasse all’apparenza; c’erano
stanze, e stanze e stanze, collegate tra di loro da corridoi, rampe, scale e
passaggi segreti, e tutto era immenso e senza fine, come una sorta di labirinto
impossibile da districare.
«Anzu! Jounouchi! Honda! Dove siete finiti? Rispondete!».
In
un altro punto imprecisato del tempio, Anzu e gli
altri, ritrovatisi a loro volta da soli da un istante all’altro, stavano
cercando di ritrovarsi tra di loro esplorando le varie stanze e girovagando
senza meta, come vere anime in pena.
«Maledizione!» imprecò Jounouchi
«L’ho sempre detto io, stai alla larga dai labirinti!».
D’un tratto, in lontananza, gli parve di
sentire un rumore, come una specie di rintocco. Credendo che fosse qualcuno dei
suoi compagni, ma pronto comunque ad affrontare un eventuale imprevisto, si
diresse cautamente nella direzione da dove proveniva il suono, incontrando dopo
poco il suo amico Honda, intento a picchiare ininterrottamente la fronte contro
il freddo muro di pietra con un’espressione contrariata e sconfortata.
«Honda!» disse correndogli incontro «Per
fortuna ti ho trovato! Yugi e Anzu
sono con te? Li hai visti?».
Lui non rispose, e dopo poco si volse a
guardarlo; i suoi occhi mettevano quasi paura, tanto sembravano contrariati.
«Accidenti a te, razza di incapace!» sbraitò
«Cosa!?»
«Al diavolo te, ed io per averti voluto
prendere come amico! Alle medie avrei fatto meglio ad incontrare una ragazza,
invece di incontrare te!»
«Ma che stai dicendo!?»
«Fin da quando ti ho conosciuto, l’unica cosa
in cui sei stato insuperabile è stato metterti nei guai. E non solo. Non
contento, hai finito spesso per mettere nei guai anche gli altri».
Jounouchi si
sentiva spiazzato; non era certo la prima volta che litigava con Honda, ma in
quel momento e in quella circostanza simili parole tagliavano più di un
pugnale.
«Con quelle tue arie da spaccone e da padrone
della situazione. Dimmi solo una volta in cui hai avuto ragione ad essere così
tanto sicuro di te. Tu sempre a ficcarti nei guai, e io o qualcun altro che
molto spesso ti ci dovevano tirare fuori.»
«Questo… questo non
è vero.»
«Ah, non è vero. Te ne sei già dimenticato per
caso? Se contro Seth non avessi voluto fare di testa tua non ti saresti ridotto
in quelle condizioni, e se io e Anzu non avessimo
dovuto perdere tempo a trascinarti appresso credi che sarebbe comunque finita
così?».
Solo in quel momento Jounouchi
realizzò. Honda aveva ragione; se come al solito non avesse voluto atteggiarsi
a spaccone, agendo prima di riflettere, probabilmente non sarebbe finita in
quel modo, e tutti sarebbero riusciti ad allontanarsi in tempo prima dell’esplosione.
«Io… io…»
«Vorrei tanto non averti mai conosciuto, lo
sai? Lo vorrei con tutto me stesso. Almeno ora sarei ancora vivo».
Honda
aveva avuto appena il tempo di fare un passo, che subito dopo, voltandosi alle
proprie spalle, si era accorto di non trovarsi più all’ingresso del tempio, ma
peggio ancora di essere completamente solo.
Senza perdersi d’animo aveva iniziato a
cercare gli altri, e dopo poco tempo per fortuna si era imbattuto in Jounouchi, appoggiato con la schiena ad una colonna con
braccia e gambe incrociate e sguardo imbronciato piantato a terra.
«Ah, eccoti finalmente.» disse avvicinandosi
«Si può sapere che diavolo è successo?».
Jounouchi lo guardò
molto male, quasi con stizza.
«Ma che ti prende?» chiese allora Honda
«Ecco qua la grande, grottesca, inutile palla
al piede.»
«Che cosa!?»
«Avrei preferito imbattermi in Yugi, invece che in te. Almeno lui sarebbe stato più di
aiuto.»
«Ma che stai dicendo?»
«Sto dicendo che da quando ti conosco, e da
quando il nostro gruppo è stato formato, non c’è stata una sola volta in cui tu
abbia mostrato una qualche utilità.
Sei stato sempre e solo, come ho detto, una palla
al piede».
Punto sul vivo, Honda afferrò Jounouchi per il bavero, ma il biondino contrariamente al
solito non rispose, seguitando a guardarlo con quegli occhi così severi e
cattivi.
«Provati a ripeterlo, razza di sbruffone.»
«Guarda in faccia alla realtà. Che cosa hai
mai fatto in tutti questi anni? Niente più che il tifo dalle retrovie. Se volevo
un gruppo di supporto, avrei trovato più stimolante una compagnia di
cheerleader, invece che una scimmia di montagna senza cervello né attributi.»
«Tu, razza di…»
«Credi che mi stia sbagliando? Ammettilo che è
così».
Honda purtroppo, passato il momento di rabbia,
dovette riconoscere che il suo ex migliore amico non aveva tutti i torti. Yugi, Jounouchi erano quelli che
si erano sempre battuti, e anche Anzu quando
necessario aveva fatto la sua parte. Lui, invece, che cosa aveva realizzato in
tutto il tempo che erano stati insieme? Assolutamente nulla, a ben guardare.
Attonito, lasciò andare Jounouchi,
che incurante ed impassibile si risistemò la maglietta.
«Mi domando che mi diceva la testa quando ho
stretto un legame con te.» concluse freddo il biondino.
Quando
si era ritrovata così, da sola in mezzo al niente, Anzu
aveva provato una paura tremenda; quel posto le faceva paura già quando era in
compagnia dei suoi amici, ma senza di loro a momenti non riusciva a trovare
neanche la forza per camminare.
Ma a restare lì così, immobile ad aspettare,
non avrebbe risolto nulla, e poi sarebbe stato come tradire le sue stesse
parole di poco prima, quando aveva detto che la forza di loro quattro stava nel
gruppo, e nell’aiuto che potevano darsi l’uno con l’altro.
Fattasi forza, e cercando di richiamare a sé tutto
il proprio coraggio, cominciò a girovagare in lungo e in largo alla ricerca dei
suoi amici, chiamandoli a gran voce e sussultando ad ogni più piccolo rumore,
prodotto quasi sempre però da lei stessa inconsciamente urtando qualcosa o
facendo scricchiolare i sassolini e la sabbia sul pavimento.
Il primo che incontrò fu Yugi,
seduto di spalle nel bel mezzo di una stanza in posizione fetale. Sollevata,
gli andò incontro, poggiandogli una mano sulla spalla.
«Yugi. Per fortuna
ti ho trovato. Stai bene?».
Lui non rispose, e neanche diede qualche segno
di aver sentito; continuava a restare immobile e impassibile, come una statua. Anzu allora si preoccupò.
«Yugi?»
«Non mi seccare.» rispose lui di botto.
Colta alla sprovvista, Anzu
sgranò gli occhi.
«Yugi!? Che è
successo!?».
Yugi allora si
girò a guardarla, e la guardò come Anzu non ricordava
di averlo visto mai fare.
«Dacci un taglio. Non ho bisogno di te.»
«Ma di che stai parlando!?»
«Non era forse questo, quello che avresti sempre
voluto fare? Proteggermi?»
«Che cosa stai dicendo!?»
«Fin da quando ci siamo conosciuti, ti sei
messa in testa l’idea che non fossi in grado di cavarmela da solo. Pensavi che
non avrei mai concluso niente, e che avrei passato il resto della mia vita
vittima del prepotente di turno.
Così, ti sei appiccicata a me nella speranza
di interpretare il ruolo della paladina del bene che protegge i più deboli dai
soprusi del mondo».
Poi, Yugi piegò gli
occhi in uno sguardo ancor più cattivo.
«Ma credi sul serio di esserci mai riuscita? Di
essere riuscita a proteggermi anche solo una volta?».
Anzu non seppe
trovare una risposta.
«La verità, è che l’hai fatto solo per un
motivo. Perché prima di conoscermi tu eri sola al mondo, esattamente come me!»
«Questo… questo non
è vero…» rispose lei mentendo a sé stessa
«Non ti sei avvicinata a me perché volevi
proteggermi, ma perché cercavi disperatamente qualcuno che non ti facesse
sentire sola. È questa la verità, e tu lo sai».
La ragazza, affranta, abbassò gli occhi.
Era vero.
Prima di conoscere Yugi,
anche lei si era sempre sentita sola; le amiche d’infanzia, una dopo l’altra,
se n’erano andate, e lei per molto tempo non aveva avuto nessuno. Poi aveva
incontrato Yugi, e la sua vita era sembrata
riprendere.
Dal canto suo aveva sempre cercato di
mostrarsi forte davanti a tutto e tutti, perché credeva che solo così si poteva
avere la forza di andare avanti. Quel ragazzino apparentemente così gracile e
indifeso le aveva subito fatto tenerezza, spingendola ad avvicinarlo quando si
era resa conto che era come lei, e facendole promettere che in ogni caso lo
avrebbe protetto e difeso che chiunque avesse cercato di fargli del male o di
approfittare del suo buon cuore.
E invece, era successo esattamente l’opposto.
Più il tempo passava, e più le loro avventure
andavano avanti, era stato sempre Yugi a proteggere
lei, tirandola fuori da brutte situazioni più di una volta, e così i ruoli
avevano finito per invertirsi, cosa che quello Yugi
così freddo e spietato non mancò di puntualizzare.
«È sempre stato così. Sono sempre stato io
quello che ha posto rimedio alle situazioni più difficili, e che ha protetto tutti.
Tu, invece, sei mai riuscita davvero a
proteggermi?»
«Però… però non è
ancora finita.»
«Non è finita, dici!? Ma ti rendi conto di
dove siamo? Se non è finita ora, quando dovrebbe esserlo?».
Anzu non
voleva accettare che fosse così; ma a differenza di poco prima, sentiva di non
avere più la forza di lottare, tanto quelle parole le facevano male.
Continuando
a correre e a chiamare i suoi amici per un tempo indeterminato, Yugi riuscì infine a ritrovare almeno Anzu,
trovandola seduta in terra in un punto imprecisato di un lungo corridoio seduta
in terra appoggiata al muro.
Stava piangendo, ma non c’era di che essere
sorpresi; una simile situazione avrebbe spaventato e sconfortato chiunque.
«Anzu!».
Lei però, come sentì la sua voce, strinse i
denti come per rabbia, e quando lui tentò di sfiorarla la ragazza prima rifuggì
il contatto e poi si alzò violentemente in piedi, allontanandolo con una spinta
e buttandolo a terra.
«Tu sei insopportabile, Yugi!
Io ti odio!»
«Anzu, ma…» disse Yugi spiazzato e
sconvolto
«E non guardarmi con quegli occhietti da
bambino spaventato! È stato proprio quello sguardo a tradirmi.»
«Tra… tradirti!?»
«Sia maledetto il giorno in cui sono voluta
diventare tua amica! Se non lo avessi fatto, tutto questo non mi sarebbe mai
accaduto!»
«Ma… ma io…»
«Tu sei solo. Sei sempre stato solo. E la cosa
incredibile è che non hai mai fatto niente per cercare di cambiare le cose. In vita
tua non hai mai preso una decisione. Hai sempre lasciato che altri lo facessero
per te, o mi sbaglio?».
Non aveva tutti i torti.
Se c’era una cosa in cui Yugi
sentiva di non essere mai stato bravo, questa era proprio il saper prendere in
mano le redini della sua vita; per molto tempo si era semplicemente lasciato
trasportare dalla corrente, lasciando che il tempo, il destino o altri
decidessero e agissero per lui.
La prova era nel fatto che quasi tutte le
sfide che gli si erano presentate davanti, e che lui bene o male aveva
affrontato, le aveva superate quasi esclusivamente con l’aiuto dell’Altro Yugi, o di chi per lui.
«Sai una cosa, Yugi?
Io sono stufa marcia di questa situazione. E scommetto che anche Honda e Jounouchi la pensano così. Tu e il tuo amico faraone ci
avete messo in un guaio dietro l’altro. E per quanto l’abbia stipulato con
tutto il cuore ed i migliori propositi, il patto di amicizia non prevedeva che
saremmo dovuti morire tutti per una questione che riguardava solamente te e Atem.
Che diritto avevate voi di decidere delle
nostre vite?»
«Mi… mi dispiace.»
rispose Yugi sull’orlo delle lacrime
«Da quando ti sto vicina, ho sofferto più di
quanto avrei mai voluto. Ho sofferto così tanto che il muore, se un cuore ce l’ho
ancora, non ce la fa più. Che mi importa di reincarnarmi con te, e di
preservare questo legame?
È stato proprio questo legame ad ucciderci
tutti».
Quindi, Anzu si
voltò, con gli occhi iniettati di rabbia.
«Vorrei non averti mai conosciuto! Vorrei che
fossi rimasto solo!».
Improvvisamente, tutto il tempio prese a
tremare, come se la voce tonante e spaventosa di Anzu
avesse avuto il potere di scuotere tutto l’oltretomba.
Yugi sentì le
mattonelle ed i piastroni tremare sotto i suoi piedi, e prima che potesse
accorgersene una voragine si aprì sotto di lui, facendolo sprofondare in un
abisso dai mille colori.
Il ragazzino urlò con tutta la sua voce, chiudendo
gli occhi per la paura e chiamando con tutta la sua voce i nomi dei suoi amici,
ignaro del fatto che anche loro, nel medesimo istante, stavano provando la
stessa sensazione.
Come se la mente avesse potuto vedere per lui,
gli sembrò di attraversare il tempo e lo spazio, fino a ritrovarsi al di sopra
di una città, una grande città affacciata sul mare.
La caduta continuò, sempre più veloce ed
inesorabile; come una meteora giunta dallo spazio attraversò le nuvole, lambì i
palazzi, precipitando dritto sul tetto blu – verdognolo di uno strano e curioso
edificio situato proprio al centro di una specie di piazza.
Spaventato, urlò di nuovo, mettendosi a sedere
sul letto.
Prima ancora di rendersi conto di cosa fosse
successo o di dove si trovasse, la prima cosa che Yugi
sentì fu un tremendo mal di testa. Si sentiva confuso, disorientato, e non gli
riusciva di organizzare correttamente i propri pensieri.
«Ma cosa… cosa è
stato?» disse guardandosi attorno.
Era nella sua stanza, al secondo piano del
negozio di giochi del nonno. Dalla finestra entrava un bel sole di metà
primavera, avvisaglia di quella che sarebbe stata sicuramente una splendida
giornata.
«Era… un sogno!?»
disse sempre più confuso.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Eccoci arrivati al
penultimo capitolo!
È molto lungo, lo so.
In teoria sarebbe dovuto essere più corto, ma calcolando quello che avrei
dovuto scrivere nel successivo e quanto avevo scritto quando avevo calcolato di
fermarmi, ho deciso di andare più a fondo, fermandomi qui, così da creare anche
la giusta suspance in vista del gran finale.
Ma non disperate.
A meno di imprevisti,
già martedì dovrei poter inserire il prossimo, e mercoledì il tanto sospirato
epilogo.
Anche perché, a dirla
tutta, sta per iniziare il periodo universitario peggiore dell’anno, e da qui
ai primi di luglio avrò una tesina dietro l’altra da dover scrivere, quindi
devo liberarmi il prima possibile.
Grazie come sempre ai
miei lettori e recensori, e a risentirci. Ora scappo che devo cenare!
A presto!^_^
Carlos Olivera