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Autore: nadya94    28/05/2012    1 recensioni
Questa è la mia prima ff quindi sarei davvero felice se mi deste dei consigli su come migliorare. Ho deciso di scrivere riguardo a questa coppia magnifica, Robert e Kristen, con le dovute modifiche! Spero vi piaccia!
"Ma dove trovarla? In fin dei conti sapevo solo il suo nome. Ma perchè mi interessava tanto? L'avevo vista una sola volta e non sapevo nulla del suo carattere, nulla di nulla": ragionamento con il cervello.
"Devo trovarla": ragionamento con il cuore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Questo è il mio nuovo capitolo e, lo so, ci ho messo proprio tanto per scriverlo. Ma oltre al semplice fatto che la scuola mi sta ancora letteralmente sfinendo, devo essere sincera con me stessa e con voi che avete la pazienza di leggermi! In realtà, ho pensato a lungo se la mia storia valesse davvero la pena di essere scritta e mi sentivo molto giù di tono anche perchè non mi riusciva di scrivere nemmeno qualcosa di sensato!
Poi, un giorno alla radio hanno trasmesso due canzoni che mi hanno fatto tornare la voglia di scrivere e la mia penna è volata sul foglio quasi come guidata da quelle note.
Se volete, potete accompagnare la lettura con "Vanilla Twilight" dei Owl City e poi con "The only hope for me is you" dei My Chemical Romance!
Vi aspetto giù! 



 “When violet eyes get brighter
and heavy wings grow lighter,
I’ll taste the sky and feel alive again.
And I’ll forget the world that I knew,
but I swear I won’t forget you,
oh if my voice could reach back through the past
I’d whisper in your ear
Oh darling I wish you were here.
 
Owl City-Vanilla Twilight

 
 
 
 
E’ il destino crudele di chi nella vita ama, cerca, spera. Il suo destino è quello di vedere frantumarsi tutte le sue speranze”
“No, non è sempre così. Le speranze non vanno in frantumi, non se non smetti di amare, credere, sperare”
 
Parole impresse a fuoco sulla mia pelle.
Non volevo crederci, no, facevo di tutto per non lasciarmi prendere da quella frase.
Cosa ne sapeva lui? Cosa sapeva della vita, della vera vita, dei veri problemi?
 
Ma chi volevo darla a bere?
Sapevo benissimo che Robert era l’unico che poteva realmente capirmi, ma io non potevo lasciarmi prendere da questa futile speranza.
In fondo, a cosa sarebbe valso pretendere che lui capisse quello che mi ribolliva dentro? Quello che cercavo in tutti modi di tenere nascosto anche a me stessa?
No, era un’assoluzione troppo semplice per la mia anima colpevole, troppo facile lasciarsi prendere dall’inutile voglia di ottenere perdono, di lavare la mia coscienza da una macchia che ormai si stava espandendo come un cancro mortale. Era un morbo che cresceva dentro di me, la cui forza consisteva nel dolore, nel mio autocolpevolizzarmi, nella mia passata immaturità, nel mio nascondermi dietro la verità, nonostante tutto.
 
La verità?
 
La verità era che Robert era l’unico lenitivo possibile per la mia sofferenza, ma niente e nessuno avrebbe mai potuto sradicare in me il senso di colpevolezza strisciante nel mio io. Era per questo che mi trovavo davanti ad un bivio, indecisa se scegliere se lasciarmi guidare dall’istinto o semplicemente tagliarmi fuori dalla realtà, come avevo fatto da quasi un anno a quella parte.
 
Istinto
Ragione
A chi dare ascolto?
 
Mi incamminai verso il primo piano, convinta che una rilassante doccia mi avrebbe allontanato da quei dilemmi esistenziali, ma…
All’improvviso, tutto intorno a me si fece scuro, tutto iniziò vorticosamente a girare e io, presa da quel tumulto di sensazioni, mi abbandonai a quello stato di semi-coscienza che mi stava ormai travolgendo.
 
Era… strano.
 
Ero svenuta, ma ero allo stesso tempo cosciente, sapevo che mi trovavo in un luogo recondito che preferivo non visitare mai, la mia memoria.
 
Non avevo corpo, né mani, né viso; non sentivo nulla, se non che la mia mente era sulla difensiva. Ero convinta che sarebbe successo qualcosa, che avrei visto qualcuno. Qualcuno che apparteneva al mio passato.
D’un tratto il silenzio ovattato che mi circondava si riempì di sussurri inarticolati.
All’inizio incomprensibili, poi sempre più chiari.
 
Una voce, calda, dolce, la sua.
 
“Sii felice, ti prego”
 
Mi riscossi all’improvviso e mi accorsi che ero appoggiata con la guancia sinistra sul freddo pavimento della mia stanza.
Gli occhi, anche senza volerlo, mi si riempirono di calde lacrime, che scivolarono lente sul mio viso fino a cadere sul pavimento.
Non feci nulla per asciugarle: era da tanto che le reprimevo, da tanto evitavo alle mie sensazioni di uscire fuori dal guscio protettivo costruito intorno a me. Ora, quel gesto, seppure semplice, mi calmò, mi rese in qualche modo meno pesante.
Ma una zavorra mi trascinava sempre a quella maledetta sera in cui avevo deciso di rovinare non solo la mia vita, ma anche la sua.
Non avrei mai potuto perdonarmi per un gesto così.
Proprio per questo , da quel giorno, non avevo cercato l’assoluzione nemmeno dall’alto, dove si dice risieda nostro Padre, che tutto comprende e tutto ama.
 
Mi avrebbe mai perdonato?
 
Strano a dirsi, ma in quel momento sentii un tremendo bisogno che lì, vicino a me, ci fosse Robert.
Un bisogno fisico, mentale, a tutti i livelli della mia coscienza: anche solo sapere che l’indomani l’avrei rivisto era diventata per me fonte di… serenità.
Non potevo mentire, fingere a me stessa che quello che provavo per lui fosse solo una pura e semplice amicizia. Non avevo mai provato nulla del genere prima di allora, mai avrei neppure sperato che il mio cuore avesse potuto provare simili sensazioni.
 
Io… cosa provavo per lui?
 
Il respiro mi si bloccò, per un attimo il mio cuore perse un battito.
Ero in attesa di una risposta che forse non avevo il coraggio di dare neanche a me stessa.
 
“Okay”dissi a me stessa“ magari questa domanda è meglio tralasciarla, no?”
 
Si, forse è meglio.
 
Mi rialzai di scatto dal pavimento, in preda ad un’energia su cui avevo appena rinunciato ad indagare. Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa che mi impegnasse anima e corpo.
Il mio sguardo si posò sugli scaffali che sovrastavano le pareti della mia stanza. Non ero una persona particolarmente ordinata, anzi si potrebbe benissimo dire che non lo ero affatto. Tuttavia, tendevo a sistemare libri, CD e tutto ciò che mi interessava in ordine caotico, per associazioni di idee o semplicemente per contrasti cromatici.
 
Un colore, diverso dagli altri, attirò la mia attenzione: rosso cupo, stonava su quello scaffale in cui i colori che predominavano erano le tonalità dell’azzurro.
Mi avvicinai, per un attimo le mie dita tremarono.
 
Ma certo, ora ricordavo.
Era il mio album da disegno: un regalo di mia madre, un residuo del mio passato relegato ai margini della mia mente.
Lo sfilai dallo scaffale e, con un soffio, sollevai la polvere che ne ricopriva la sommità e che finì per creare sottili effetti luminosi al contatto con la luce solare. Con la punta delle dita, girai la copertina: ad aspettarmi c’erano tentativi di disegnare paesaggi, case, città, gente sconosciuta in preda alla follia del tempo, immortalata per un istante eterno da una mano armata di matita. Con il passare delle pagine, si esplicava sempre di più la mia antica passione: il ritratto. All’epoca, era il modo attraverso il quale esprimevo le mie impressioni, il mio modo di vedere gli altri, il loro modo di vedere me.
 
Tra i ritratti che più mi piacevano c’era, ovviamente, quello di mia madre. Attraverso il suo sguardo liquido, avevo cercato di far rifulgere tutta la sua dolcezza, la sua disponibilità in qualsiasi istante, il suo difendermi a spada tratta nelle occasioni della vita.
 
L’ultima pagina erta solo uno schizzo, una bozza raffigurante un ragazzo, giovane e dai tratti allegri, la cui espressione era ancora da definire.
 
Sapevo che quel ritratto non avrei mai potuto terminarlo.
Non sarei più stata in grado di riprodurre la sua vitalità, perché di vitalità in lui ormai… non c’era più nulla.
 
Come si fa a riprodurre la sostanza dei ricordi?
Come si fa a dare vita ad un sogno?
 
Rimisi a posto l’album, di nuovo con gli occhi colmi di pianto.
 
Basta piangere.
REAGISCI.
VIVI.
 
Si, avrei cercato dal quel momento in poi di godermi ogni piccolo attimo di quello che mi avrebbe riservato la vita.
 
 
Pov. Robert
 
 
Finalmente a casa.
Non vedevo l’ora di uscire e sgranchirmi un po’ le gambe: ero stanco di quell’aria uggiosa che si respirava in ospedale. Inoltre, ero liberi anche dai compiti che mi assegnavano a scuola perché ormai due giorni dopo sarebbero iniziate le vacanze estive e mai come quell’anno avrei voluto che arrivassero più lentamente: non avrei avuto più una scusa plausibile per aspettarla fuori dalla scuola, giusto per vedere il suo sorriso.
E poi le vacanze erano un po’ noiose per me, così come lo erano state quelle di Pasqua. Ciò mi portava a pensare al mio rapporto con la religione, o meglio al mio non-rapporto.
In famiglia erano tutti cattolici osservanti: lo era stato mio padre e lo era tuttora mia madre, ma la sua fede era più una sorte di consolazione, un appiglio, che uno slancio volontario. E con  questo non voglio dire che non credesse in Dio, piuttosto che si era avvicinata maggiormente alla religione dopo tutto quello che era successo.
Quanto a me, beh, la situazione era più complessa: non sapevo se credere o meno.
E poi, cosa significa credere?
Cercare un qualcuno che non esiste e che è una mera creazione dell’uomo o è uno slancio verso l’infinito, verso l’ignoto, quasi un desideri irrazionale verso ciò che non si conosce?
Questo dubbio mi perseguitava da anni, forse perché non avevo mai avuto il coraggio di guardarmi dentro e cercare la mia strada.
 
Perché il non conoscere a volte è la migliore protezione.
Perché così gli anni scorrono lasciandoti illeso.
Lasciandoti privo di illusioni.
 
 
“Domani cosa hai intenzione di fare?” mi chiese mia madre mentre appoggiava la busta della spesa sul grande tavolo della cucina.
“Ecco, domani ci sarebbe un concerto dei My Chemical Romance in centro. Tom ha già comprato i biglietti, andrò con lui e degli amici”
“Un concerto dei My Chemical-che??!”
“Dai, mamma, come fai a non conoscerli? E’ un gruppo che suona musica punk-rock fenomenale!”
“Grazie per l’informazione, adesso si che mi si sono schiarite le idee!” replicò con un sorrisetto sarcastico.
“E comunque, anche se non mi hai chiesto il permesse di andarci, la mia risposta è NO” aggiunse, spiazzandomi.
“Che cosa?! Ma lo sai che non mi si ripresenterà mai più un’occasione del genere! Devo andarci, ti prego!” e così dicendo mi misi teatralmente in ginocchio, assumendo un’espressione a metà tra un cane bastonato e un gattino con gli occhi dolci (per darvi un’idea, gli occhi del Gatto con gli stivali di Shreck! ).
“Non se ne parla! Sei stato appena dimesso, non puoi correre il rischio che ti accada qualcosa”
“Dai, ti prego! E’ importante per me, davvero. Ci tengo tantissimo ad andarci …”
“E va bene! Ma, tra parentesi, non mi fido tanto di quel tuo amico, Tom. Ha un’aria un po’… direi da farfallone! Perché non inviti quella ragazza che ti è venuta a salutare ieri? Si chiama Kristen, se non mi sbaglio. Si, mi sembra una tipa a posto”.
“Ehm… Non so se è il suo genere di musica” risposi imbarazzato, voltandomi per non farle vedere lo stupido rossore che improvvisamente sentii infiammarmi le gote.
“Guarda che è inutile che ti giri. Me ne sono accorta: ti piace e anche molto. Non sai quanto è stato buffo vederti boccheggiare quando hai tentato di presentarmela! Ah ah!” e scoppiò a ridere, provocando in me ancora più imbarazzo9.
“Pensi che… beh si… che mi consideri uno stupido?” riuscii infine a dire, temendo una risposta affermativa.
“Oh no, secondo me no. Anche se mi sono accorta che è molto rigida quando ti parla, quasi come se cercasse di frenarsi. In ogni caso, gli occhi parlano da sé”
 
Magari fossi stato anche io così ottimista.
 
Mugugnai, cercando di non lasciarmi scappare nient’altro: era davvero difficile tenere a bada la curiosità femminile!
“Comunque invitala! E non è un’offerta: se lei non viene con te, tu non vai da nessuna parte!”
“Uffa, come vuoi. Tanto devo accettare per forza, giusto?”
“Giusto!”
“Alla faccia della democrazia!” scherzai.
“In realtà, vedila dalla mia prospettiva: è una democrazia guidata, cioè sei libero di fare quello che dico io” puntualizzò satiricamente.
“Ah ah le illusioni aiutano a  vivere!” replicai, schioccandole un bacio sulla guancia prima di salire al piano superiore e dirigermi in camera.
 
Mi gettai di peso sul mio comodo letto a due piazze e mezzo. Da qui, avevo un’ampia visuale della mia stanza.
Ricordi su ricordi: in tre parole la descrizione completa della mia stanza. Tutte le pareti erano tappezzate di foto che mi ricordavano chi ero, da dove venivo, passato, presente, futuro.
A partire dal mio primo giorno di vita, quelle foto raccontavano di me, della mia vita, di ciò che avevo perso, di ciò che avevo ottenuto.
Come in una climax ascendente, la storia si dispiegava pian piano, mostrando ogni cambiamento che avveniva in me.
L’ultima foto si trovava proprio affianco al mio letto; non smettevo mai di guardarla, tanto che mi ero abituato a dormire da quel lato e a toccarla con la punta delle dita prima di scivolare nel sonno.
Mi girai di fianco per poterla guardare meglio: era un’esplosione di felicità, ecco cosa rappresentava. Dovevo avere circa cinque anni quando era stata scattata nel giardino di casa.
Ero sulle spalle di mio padre e con i piedi che ciondolavano ed il sole che, accarezzando i miei capelli biondi, irradiava raggi bellissimi che andavano a rispecchiarsi nei dolci occhi azzurri di mio padre.
Era uno dei ricordi più belli che possedevo di lui e quella foto riusciva a lasciarmi impresso quel momento, unico perché irripetibile, e non lasciava che lo dimenticassi.
In realtà, non avrei mai potuto dimenticarlo, neppure volendo.
 
 
 
Pov. Kristen
 
Do you feel cought in lost and desperation?
(…)
Rimember all the sadness and frustration
and let it go, let it go
 
La musica mi stordiva le orecchie, ma era un bene, perché mi permetteva di allontanare i miei pensieri dalla testa caotica che mi ritrovavo a gestire e al tempo stesso mi lasciava pensare a qualcosa che fosse completamente estraneo dalla mia usuale realtà.
Ero in giardino, sotto la grande quercia che dominava lo spazio circostante, immagine di imponenza e protezione per le migliaia di specie di giunchiglie e margherite che ospitava alle sue radici.
In mano, il mio cellulare con cui stancamente stavo cambiando canzone, fino a quando non trovai quella giusta. Ma quella… beh quella canzone era davvero importante per me: sapeva di nostalgia, di rimpianto, ma anche di liberazione.
 
Proprio quella che io cercavo.
 
Ed era bello volare sulle ali della fantasia, librarmi sulle nuvole che mollemente passeggiavano nel cielo sereno di quel giorno di inizio estate, ignare delle vicende umane, ignare del dolore e delle gioie, così come delle forti passioni che tingevano l’animo umano a volte di colori accesi, brillanti, altre volte di tinte fosche, oscure.
 
 
Vento che soffia tra i miei capelli arruffati, ma non me ne curo: sono con lui, ancora un ricordo del passato.
“Guarda, cosa ti sembra quella nuvola?”
“Mmm, sembra una grossa montagna di cioccolato fuso e …”
“Ma come diavolo fai a vederla?! Mi sa che non ci vedi più dalla fame, Kris!”
“Può darsi! Quando sto con te perdo la cognizione del tempo … Ecco, guarda quella, lì in fondo. Cosa ti sembra?”
“Non ne ho idea, ma non è bella come te”
Labbra che toccarono le sue.
Dolcezza infinita.
 
 
Un rumore improvviso mi ridestò dal torpore mentale in cui ero caduta: era il mio cellulare, che per alcuni istanti aveva preso a vibrare.
 
Era un messaggio da parte di Robert.
 
“Ehi, ciao! Come va?”
“Ciao Rob. Bene! Sei tornato?”
“Si, per fortuna … Senti, vorrei chiederti una cosa”
“ … Dimmi”
“Ecco … domani ci sarebbe un concerto nel parco del centro, è dei My Chemical Romance. Vorresti venirci con me?”
 
Ci pensai per cinque minuti, indecisa sul da farsi.
Sarebbe stato grandioso andare ad un loro concerto, ero una loro fan da anni, ma …
 
“Ci penserò”
“Ok, Se vuoi, ci vediamo a casa mia alle 6.30 p.m. Ah, non ti preoccupare per i biglietti, già fatto!”
“Ti faccio sapere allora ;) A domani”
“A domani Kris”
 
 
Pov. Robert
 
Aprii piano i miei occhi, stiracchiandomi lentamente sotto le coperte. E no, non mi andava proprio di alzarmi: adoravo il contatto delle mie mani con le calde coperte e stare lì, in silenzio, a guardare al di fuori della mia finestra era la parte migliore del mattino. La luce entrava a poco a poco, quasi una tenera madre che volesse darmi il buongiorno. I miei occhi si abituarono ad essa e la salutarono felici, perché quel giorno sarebbe stato speciale.
Perché quel giorno avrei aperto gli occhi e l’avrei incontrata.
Perché avrei rivisto i suoi occhi.
Perché ormai non sapevo più fare a meno di lei.
 
Dopo un sonoro sbadiglio, scostai, purtroppo, le coperte e appoggiai i piedi a terra. Mentre con una mano mi passavo le dite tra i capelli, cercando di sistemarli come meglio potevo, avvicinai l’altra al comodino, dove, come al solito, avevo posto il mio cellulare.
Lo so, è stupido a dirsi, ma speravo davvero che mi avesse già mandato un messaggio, per dirmi di si magari.
E invece … niente, nessun messaggio.
Per evitare di rendermi conto che ero stato preso da una subitanea delusione, mi alzai il più in fretta possibile e mi recai in bagno: ci voleva una doccia fredda per non pensare a nulla.
Subito dopo, stavo ancora pensando alla stessa cosa: ero un caso disperato, davvero.
Ad un tratto, un soffio al cuore, la perdita di un battito: il mio cellulare vibrò e io lo guardai, inebetito per una manciata di secondi, non sapendo che fare.
Ma quel giorno sembrava che tutte le mie speranze fossero destinate ad essere deluse: era Tom, che mi pregava di recarmi a casa sua perché voleva dei consigli, ma non mi spiegò precisamente quali consigli.
 
“Muovi quelle chiappe e vieni subito a casa mia!!!”
“Ok ok calma amico!”
 
Tanto non avevo nulla da fare e girarmi i pollici non era una buona opzione, per cui mi decisi per il male minore. Attraversai a piedi la Londra incasinata che da qualche tempo aveva riacquistato tutti i suoi colori. Sembra strano quanto una sola persona possa cambiarti non solo dentro, ma trasformi con la sua sola presenza tutto ciò che ti circonda. Tutto riacquista colore, senso, bellezza. E non puoi farci niente se ti senti felice, se ti senti librare in aria senza un motivo logico, razionale. E non puoi niente se invece, quando quella persona ti manca, non puoi sopportare che il mondo ritorni al suo stato originario.
 
Quando hai sperimentato l’ebbrezza della vita, non apprezzerai mai abbastanza la sterile stasi quotidiana.
 
Arrivato a destinazione, suonai il citofono e sentii i passi veloci di Tom che venivano ad aprirmi.
 
“Cazzo, ce ne hai messo di tempo!”
“Ma se sono venuto in un nanosecondo! Ci sono i tuoi in casa?” I suoi genitori mi facevano sentire sempre un po’ a disagio, forse perché erano sempre tutti agghindati in cravatta e tailleur e li vedevo così distanti.
“No, per fortuna sono andati ad un convegno o roba del genere”
“E allora? Mi vuoi dire perché tutta questa fretta?”
“Ehm … Okay, è meglio se prima ti siedi sul divano. Vuoi qualcosa?”
 
A cosa era dovuta tutta quella gentilezza?
 
“Si, una Coca, grazie”
Lo sentii andare in cucina e aprire il frigo, per poi tornare e sedersi di fronte a ma, su una poltroncina. Era strano, era una delle poche volte che lo vedevo così a disagio.
“Okay, lo so che sarà una sorpresa per te, ma …”
“Ma? Dai mi stai facendo letteralmente rotolare tra le spine!”
“Mi … mi sono …”
“Ti sei?!”
“Ecco, mi sono innamorato!” gettò tutto d’un fiato.
Quasi non gli sputai in faccia la Coca-cola che avevo in bocca per la sorpresa. Lui? Innamorato? Noo mi stava prendendo in giro, non ci credevo.
 
“Ma va! Okay dove vuoi andare a parare? Perché lo sai che non ci  credo nemmeno se mi paghi vero?” e al pensiero di lui che faceva gli occhi dolci a qualcuno scoppiai a ridere fino alle lacrime.
“Guarda che non c’è niente da ridere! Piuttosto, c’è da piangere!”
“E allora chi sarebbe la fortunata?!”
“Ehm … okay adesso non ridere, giura!”
“Va bene, basta che la fai finita”
“La conosci. E’ Eleonor Shakes, quella son cui hai parlato tre settimane fa”
“Tre settimane fa?! Ma che è, ti sei segnato i giorni in cui la vedi e i giorni in cui non la vedi?”
 
Lo vidi arrossire ed allo stesso tempo negare pedissequamente. No, non potevo credere ai miei occhi: non lo avevo mai visto così. Lui era il tipo da una botta e via, non  si fermava a giocare con i sentimenti. Era il tipico ragazzo che in superficie mostrava di essere il figo della scuola: le ragazze prive di cervello gli sbavavano dietro ad ogni suo passo e lui non doveva far altro che schioccare le dita, o quasi.
Cosa gli mancava, allora?
Lo sapevo cosa gli mancava, perché la differenza tra il suo stato ed il mio l’avevo sentita sulla mia pelle, ed era una grande differenza.
Mi soffermai a pensare a Eleonor. Con un piccolo esercizio di memoria, riuscii a ricordare chi fosse. Ah già, avevo frequentato lo stesso corso di Fisica l’anno precedente e l’avevo conosciuta lì.
Lei era, come dire, totalmente DIVERSA da Tom. Aveva occhi di un azzurro limpido, che quasi sfidavano il cielo a imitare il loro colore; capelli castano mogano le coronavano il volto, ma, quasi inconsapevole della loro bellezza, li portava sempre racchiusi in uno stretto chignon.
Era la tipica ragazza liceale insicura: lo si vedeva dai suoi atteggiamenti.
La prima volta che le rivolsi la parola fu quando decisi di sedermi accanto a lei. Non so perché scelsi proprio quel posto, ma mi resi conto di aver fatto una buona scelta. Quando la salutai, mi rivolse un timido saluto e le sue dita erano corse al viso, a sistemare una fantomatica ciocca che lei immaginava le fosse caduta sul viso. Capii che era una ragazza molto insicura anche da come si poneva con gli altri, quasi temesse di venire “sbranata”.
Pian piano facemmo amicizia e scoprii che la sua intelligenza era davvero al di sopra della media. La sua non era concorrenza con gli altri: non le interessavano per niente i voti che prendeva, né tanto meno quelli degli altri.
Il suo era desiderio puro di conoscenza.
Era una ragazza unica per la sua innocenza, per il modo fiducioso con cui vedeva il mondo.
Mi dispiaceva non frequentarla più come una volta.
 
“Ti rendi conto che lei è diversa da quelle che di solito ti fai?” gli dissi, sincero.
“E’ proprio per questo che mi piace! Riesci a crederci?”
“No, sinceramente no. Ma non voglio assolutamente che tu la prenda in giro o cose simili. Ti faccio nero se hai intenzione di fare una cosa del genere”
“Ma che dici?! No, no è l’ultima cosa che voglio fare! Io vorrei solo che la smettesse di pensare a me come un ragazzo superficiale, di cui lei non può fidarsi”
“E cosa potrebbe mai pensare? Tu ti sei sempre comportato così con le ragazze, è inutile negarlo”
“Si, ma sono cambiato e tutto questo per lei. Lei è straordinaria e io vorrei che mi desse la possibilità di dimostrarle che posso essere alla sua altezza”
“E io in tutto questo cosa doveri fare?”
“Dovresti aiutare il tuo migliore amico! Mettere una buona parola per me quando parli con lei, o giù di lì”
 
Stavo per rispondergli che non mi sarei immischiato nei fatti suoi, ma mi resi conto che sarei stato un tremendo ingrato. Lui era sempre stato con me quando avevo avuto bisogno di aiuto e non si era mai tirato indietro. Così decisi di accettare.
Mi abbracciò strettissimo, al settimo cielo per la felicità.
“Grazie amico, lo sapevo di poter contare su di te!”
 
No, grazie a te, Tom. senza di te non ce l’avrei mai fatta.
 
 
 
Ore 6:45 p.m. : il mio telefono ormai era quasi andato in tilt per tutte le volte che avevo controllato la schermata, con la speranza di trovare un suo messaggio.
Ma niente, niente di niente.
 
Non c’è nulla da fare Rob, rassegnati.
 
E una grande tristezza mi invase il cuore. Era come se si fosse appesantito, come se battesse solo perché era un suo dovere, solo perché la vita è più forte e va avanti nonostante le delusioni. E allora decisi che tanto valeva che mi godessi la serata, se di godere si poteva parlare.
Non volevo pensare che non si era degnata nemmeno di farmi sapere che non veniva.
Se ne fregava altamente di me, altrimenti avrebbe avuto almeno il buon gusto di dirmi che non sarebbe potuta venire.
Invece, niente.
 
Mi incamminai al parco in centro, dove i suoni del concerto iniziavano a farsi sentire: ma la mia allegria era totalmente scomparsa.
Chissà perché.
In lontananza, sentivo le chitarre elettriche fatte suonare da mani esperte, che le accarezzavano a volte dolcemente a volte con rabbia, a seconda delle emozioni che quelle stesse mani volevano trasmettere. E vidi un mare di mani, che si sollevavano a ritmo delle canzoni, come mosse da una leggera brezza marina, che le gettava prima da una parte, poi dall’altra.
E, infine, sentii dei suoni familiari. Ma di quale canzone?
 
Where, where will we stand
when all the lights go out across the city streets?

 
 
Perfetto, la canzone ideale  per risollevarmi il morale. Le note, però, stavano pian piano penetrando nelle mie vene, sciogliendo il ghiaccio che vi si era a poco a poco insinuato. La delusione di quella sera si sciolse come neve al sole, senza lasciare alcuna traccia dietro di sé. La musica mi aveva sempre fatto questo effetto. Mi cullava, mi trascinava con sè verso mondi sconosciuti, eppure così vicini a me.
 
If there’s a person I could be,
Then I’d be another memory

 
“Can I be the only hope for you?” domandai silenziosamente, rivolgendo lo sguardo alle stelle, che quella sera brillavano intense nel cielo londinese.
“Because you’re the only hope for me” mi rispose una voce, stringendomi la mano ed intrecciando le sue dita tra le mie.
Mi voltai di scatto, impossibile resistere alla tentazione di credere che lei fosse lì.
Ma lei era lì, per davvero!
 
“Scusa per il ritardo” esordì.
Non so perché, ma tutto ad un tratto mi sentii pieno di rabbia, di delusione, di scoraggiamento.
“Mi dici solo un semplice scusa?!”
“Beh … ecco … ho avuto degli imprevisti” mi disse, distogliendo lo sguardo e ritirando le dita dalle mie.
“Che sarebbero?”
Ancora una volta, non ebbe il coraggio di guardarmi in viso, all’improvviso consapevole del poco valore delle sue scuse, che non facevano altro che allontanarci sempre di più.
“Va bene, ho capito” e feci per andarmene, stanco ormai di tutto quel disagio che a quanto pareva lei provava nell’esternare i suoi sentimenti.
Ormai, mi sembrava anche inutile pretendere di poterle essere amico, se poi non si decideva nemmeno a darmi una spiegazione plausibile alle sue azioni.
 
“No, aspetta, ti prego” e di nuovo mi prese il braccio, stringendo le sue dita tra le mie: sembravano fatte apposta per essere intrecciate le une alle altre.
Si avvicinò a me che stavo appoggiato alla dura corteccia di un albero dell’immenso giardino e si alzò in punta di piedi per avvicinare il suo viso al mio.
Temevo che il battito del mio cuore potesse rimbombare al di sopra dell’assordante musica che ci circondava.
Le sue labbra sfiorarono il mio orecchio.
Brividi. 
Come una carezza, mormorò a ritmo di musica:
 
“And if we can find where we belong
we’ll have to make it on your own,
face all the pain and take it on,
because the only hope for me is you alone”

 
 
Non resistetti: allungai una mano sul suo fianco, per poi risalire, con leggerezza, sul suo collo morbido e delicato.
Lei spostò il viso per guardarmi negli occhi.
Non so cosa lei vi lesse o cosa io riuscii ad esprimere silenziosamente, ma vidi i suoi dolci occhi verdi come smeraldi palpitare, come incatenati ai miei senza possibilità di uscita.
Ma non l’avrei mai obbligata a fare nulla che non volesse. Per questo, rimasi così, immobile al pensiero di commettere lo stesso errore della prima volta.
Ma vi fu una cosa che mi spiazzò totalmente.
Fu lei ad accostare le sue labbra morbide alle mie e… fu l’estasi per me. Una miriade di indefinibili emozioni mi travolse e susseguirono le une alle altre, mentre le nostre lingue si esploravano, si ritrovavano, si riconoscevano.
Le sue dita si infilarono nei miei capelli, provocandomi brividi di piacere a cui non avrei mai più saputo rinunciare.
Mentre la tenevo stretta a me, con le labbra che lentamente scoprivano le sue, mi resi conto che era magnifico  sentirla accanto a me, respirare il suo stesso respiro ed unificarmi in un unico essere con lei.
Stavolta, il bacio non fu interrotto da nessun ripensamento.
Quando ci staccammo, la strinsi forte a me e lei appoggiò la sua testa sul mio petto.
Le baciai la fronte delicatamente, felice e appagato.
“Non ti lascerò andare via questa volta” le mormorai all’orecchio.


Allora, che cosa ve ne pare? ;)
Eh si, finale romantico per i nostri due piccioncini!
Ad ogni modo, volevo mettervi a parte di un mio dubbio: vi piace il titolo della storia? Perchè io avrei pensato ad un titolo alternativo, e cioè "
It takes two to whisper quietly".
Che ne pensate? Commentate numerose e fatemi sapere quale dei due titoli vi piace di più!



 

   
 
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