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Autore: Daicchan    30/05/2012    8 recensioni
Il percorso che porterà la vita di quattro ragazzi e di chi gli sta attorno a crescere, ad intraprendere strade diverse, all'amore, al tradimento.
E l'ascesa di un folle verso il potere, che distruggerà la loro vita e quella dell'intero mondo magico.
Il quinto anno dei Malandrini e di Lily Evans, ma anche di Severus Piton e di tutti quei personaggi destinati a mutare, in maniera più o meno ampia, le sorti della Gran Bretagna.
Una storia di amicizia, di amore; ma anche di guerra e magia.
[Dall'ultimo capitolo]
-Avanti, sarà divertente!- protestò il ragazzo. -Una cosa innocente, niente Serpeverde in mutande o chewgum nei capelli.-
Lily sbuffò: -Mi sa che abbiamo idee differenti su cosa sia “innocente”, Potter. E a quanto pare ci sei di mezzo anche tu, Remus.- aggiunse, guardando il prefetto, e lui fu svelto a distogliere lo sguardo, a disagio. -Non me lo aspettavo.-
-Non fare così, Lily! Remus non ne sapeva nulla, è un’idea che mi è venuta ora!- intervenne Potter, dispiaciuto. -E poi sarà uno scherzo del tutto innocuo. Come quello delle sedie, lo scorso Natale.-
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Regulus Black, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Aaaah, non ci credo!

Il nuovo capitolo, il nuovo capitolo! Pepeppeee (*suono di tromba)

ooh, finalmente.

Ce l'abbiamo fatta.

Dedico questo capitolo a  Just a little wizard, che mi ha recensito dall'inizio alla "fine" della nuova versione della ff.

Le tue lunghissime recensioni mi sono di grande incoraggiamento, thank you.

Spero che il capitolo ti piaccia, anche perchè riguarda soprattutto un personaggio che, da quel che ho capito, ti piaciucchia abbastanza, eheh.

Ed ora, con un capitolo decisamente fuori stagione, vi lascio alla lettura :D

(non siate timidi e recensite, pusillanimi! In cambio potrete vincere un pat-pat virtuale da parte mia sulla testa. Allettante, eh? )


 

 

 

 

 

Capitolo 9


Natale (parte I)

Quando casa non è casa.


James si risvegliò piuttosto lentamente, ma si rese subito conto di non essere nel suo dormitorio, ad Hogwarts.

Non sentiva Remus russare, né il solito tanfo tipicamente provocato da Peter, fin troppo solito a ingurgitare roba pesante per cena, prima di andare a dormire.

Ricordò in fretta: erano le vacanze natalizie, e lui si trovava a casa sua da quasi una settimana.

Aprì gli occhi, e il soffitto della sua stanza –appannato per l’assenza degli occhiali- accolse il suo risveglio.

Fin troppo entusiasta, Arturo gli diede il buongiorno saltandogli sullo stomaco e facendolo sobbalzare.

<< Ehi! >> esclamò, inforcando gli occhiali e indossandoli << Vattene via, brutto ammasso di ciccia! >>

Certe volte non riusciva proprio a sopportarlo, quel gattaccio di famiglia.

Era ridicolo: un tempo, diceva suo padre, aveva avuto i suoi momenti di gloria, quand’era un gatto snello ed agile, e sembrava un’affascinante creatura della notte, con gli allungati occhi gialli e il lucente manto nero.

… Doveva essere stato una montagna di croccantini e dolcetti fa, considerando l’attuale peso dell’animale.

Di malagrazia, James se lo tolse di dosso spingendolo di lato; il ragazzo ignorò i suoi striduli miagolii di protesta quando cadde –all’in piedi, ovviamente, era pur sempre un gatto, sotto quello strato di lardo- ai piedi del letto.

Mentre si sedeva al bordo del materasso e si stiracchiava, ricordò all’improvviso.

Stupito, spalancò gli occhi e la bocca allo stesso tempo.

Come aveva fatto a non pensarci subito? Era…

<< Natale! >> esclamò ad alta voce. Poi abbassò lo sguardo su Arturo, l’unico possibile interlocutore nella stanza. << E’ Natale! >> ripeté, ancora più entusiasta, prendendo il gatto sotto le ascelle –i gatti avevano le ascelle?- e sollevandolo di fronte a sé. << E’Natale, Arturo! >> disse ancora una volta, più felice che mai. Per un momento ebbe l’istinto di tenere l’animale ancora tra le mani e piroettare insieme a lui.

Ma Arturo era troppo pesante, e gli si erano stancate le braccia.

<< Stupido animale. >> bofonchiò, lasciandolo cadere a terra. Il gatto si allontanò con stizza.

James si sentiva un uragano di energia e felicità. Doveva contattare Sirius, fare gli auguri ai Malandrini, spedire i loro regali –eh sì, anche quest’anno era in ritardo-, scrivere una lunghissima lettera d’amore ad Evans e… No! Prima di tutto, i regali.

Alzandosi di scatto e rischiando di precipitare a mo’ di sacco di patate mentre s’infilava le pantofole, il ragazzo si precipitò fuori dalla stanza, immaginando la montagna di regali che lo aspettava sotto l’albero, in salone, al piano di sotto.

Aveva iniziato a scendere –o, per meglio dire, ruzzolare- giù per le scale, quando udì una voce che lo fece rimanere di sasso.

Non apparteneva né a suoi genitori né a qualche altro suo parente, ma non per questo risultava essergli meno nota.

Quando si affacciò dalla ringhiera per guardare giù in salotto, ebbe la conferma ai suoi dubbi.

Si ritrasse immediatamente, imbarazzato, e sperando di non essere visto. Ora, non gli rimaneva che tornarsene quatto quatto in camera sua, rimettersi a letto e…

<< James, che fai? Vieni qui a salutare. >>

La voce di sua madre fu la peggiore delle condanne.

Non avendo altra scelta, iniziò a scendere le scale, mentre l’ospite lo guardava benevolo.

<< Buongiorno, James. E buon Natale. >> gli disse Albus Silente in persona, mentre lui si presentava al preside della scuola, nonché ad uno dei più grandi maghi di tutti i tempi, coi capelli più spettinati del solito e un pigiama celeste a pois colorati.

<< ‘Giorno, professore. >> biascicò lui, in imbarazzo. Nonostante la sua solita spavalderia con il corpo docente, davanti a Silente James si sentiva sempre un po’ in soggezione. Malgrado l’atteggiamento piacevole e sempre sorridente dell’uomo, il ragazzo percepiva che mancargli di rispetto sarebbe stato da ingiusti. E da stupidi.

<< Sono passato a fare visita per fare quattro chiacchiere coi tuoi genitori, ma credo che sia ora di andare e… No, Charlus, non scomodarti. >> aggiunse, mentre il signor Potter stava per alzarsi dalla poltrona, facendo appoggio su quel bastone in noce che ormai costituiva il suo perenne ausilio per camminare. Cordialmente orgoglioso come sempre, l’uomo non gli diede ascolto, e, una volta in piedi, gli porse la mano. << Non preoccuparti, Albus. E’ stato un piacere averti qui, sicuro di non volerti fermare per la colazione? >>

<< Oh no, grazie. >> replicò il preside, con un sorriso. << Ho ancora molte visite da fare, e purtroppo le giornate non sono mai abbastanza lunghe. >>

<< Rifletteremo sulle informazioni che ci hai dato. >> aggiunse Dorea, in piedi accanto al marito, i capelli neri raccolti in una coda spettinata. << Ma lascia almeno che ti offra del tè e una fetta di torta, è appena uscita dal forno. >>

<< Un po’ della tua torta l’apprezzerei, grazie. >> rispose il mago, allegro. << Per quanto adori le caramelle di fabbrica, i dolci casalinghi rimangono i miei preferiti. >>

<< Ben detto, Albus. >> rise Charlus, cingendo con un braccio la vita della moglie e avvicinandolo a sé. << Le torte di Dorea, poi, sono imbattibili. >> aggiunse, scoccandole un bacio sulla guancia.

James, rosso come un peperone, si coprì la faccia con entrambe le mani.

<< Allora, James, come va? >> domandò il preside, mentre riprendeva posto sul divano. Lui, invece, rimase come uno stoccafisso in mezzo alla stanza. << Ehm… bene. Grazie. >>

<< In quel trambusto con la figlia dei MacDonald , tuo figlio e i suoi amici sono stati molto valorosi. Sebbene abbiano infranto il coprifuoco, hanno aiutato una loro compagna in difficoltà. >>

<< Minerva me l’ha riferito. >> annuì Charlus, velatamente orgoglioso.

<< Sì, mi scusi. >> disse invece James, che dell’intero discorso aveva carpito solo la parola “coprifuoco” . Suo padre lo guardò di traverso.

Silente, invece, continuò: << Certe volte, bisogna essere pronti ad andare contro le regole, se è per una giusta causa. >>

<< …Sì, mi scusi. >>

<< E non vi è causa migliore del difendere chi ti sta a cuore. >>

<< Mi scusi. >>

Charlus gli mandò un’occhiataccia: << James, smettila di scusarti. >>

<< Oh, scus… Mi dispiace. >>

Il padre sospirò, mentre il preside rideva, benevolo.

<< Perdonalo, Albus. E’ come me, ci mette molto a carburare, la mattina. >> disse lo stesso uomo che, alle otto del mattino, aveva già mangiato, letto il giornale, terminato il rapporto all’Ufficio Auror e fatto riunione coi suoi colleghi.

<< Lo comprendo. >> replicò il mago più anziano, clemente. << Piuttosto, James, dimmi: hai già pensato al tuo futuro? >> domandò poi, con palese interesse.

<< Il nostro Jim sogna di diventare un campione di Quidditch. >> rispose il padre, in sua vece. << Vero, James? >>

<< Io… sì, credo di sì. >> rispose lui, sorprendondosi al contempo della propria incertezza. Era sempre stato molto convinto riguardo la sua carriera di giocatore. Che gli prendeva?

<< Non sembri molto sicuro. >> osservò Silente, con una strana luce negli occhi celesti.

James distolse lo sguardo, scompigliandosi i capelli con la mano. << Io… Non so, mi scusi. >>

<< Ancora con queste scuse? >> borbottò suo padre, alzando gli occhi al cielo.

Fortunatamente, Dorea Potter fece il suo trionfale ritorno dalla cucina proprio in quel momento, con un vassoio reggente una gloriosa torta alle fragole, posate, piattini e tazze che le fluttuava accanto.

<< Volete servirvi? >> domandò, allegra.

Silente fu il primo ad alzarsi.

 

 

James, sfinito, si buttò a pancia in su sul letto, sospirando.

Dopo che Silente se ne era andato, un corteo di parenti e regali era spuntato dal camino, trattenendolo per tutta la mattinata. Ognuno aveva portato dolci e dolcetti vari e, per quanto gli piacesse mangiare, il suo stomaco non aveva ancora sviluppato una capienza pari a quello di Peter, capace di reggere tutto quel cibo. Al pensiero del pranzo di Natale,che si sarebbe tenuto da lì a pochi minuti, gli veniva la nausea.

Almeno, c’erano stati i regali.

I suoi gli avevano regalato un nuovo manico di scopa, il migliore sul mercato, aveva poi ricevuto maglioni, goggibiglie, i Malandrini avevano fatto una colletta per regalargli il set di libri “Quidditch –dal XI secolo ad oggi- “ gli unici testi che avesse mai desiderato e che avrebbe mai letto –ad eccezione di qualche sporadica occhiata a quelli di scuola.-

Sempre sdraiato, allungò una mano sul comodino, cercando a tastoni lo specchio gemello con cui si teneva in contatto con Sirius.

Era Natale e non l’aveva ancora sentito, si sarebbe sicuramente infuriato se non l’avesse contattato immediatamente.

<< Ehi, ehi Pad! >> chiamò, con un sorrisone. Tuttavia, l’amico ci mise un po ‘a rispondere. Dovette aspettare qualche minuto, con un sorriso ebete in faccia che iniziava a dolergli, prima che il volto di Sirius apparisse nello specchio. << Ohi, amico. Ciao. >> lo salutò Felpato, un po’ cupo.

<< Buon Natale! Grazie per il regalo! Come va? Sei felice? Buon Natale! >>

<< Ferma la macchinetta, pazzoide. >> sorrise lui, seppur debolmente. << Aspetto ancora il tuo regalo. >>

<< Arriverà, vecchio barboncino impaziente, arriverà. >> ridacchiò lui, di rimando. Poi, come illuminatosi all’improvviso, tornò serio, e disse, con ton preoccupato: << E’ per questo che sei arrabbiato? >>

<< non sono arrabbiato. >> replicò l’altro, apparendo sorpreso. << Solo un po’ giù. >> aggiunse poi, tetro.

<< E’… E’ successo qualcosa? Confidati con zio Jim, ragazzo, avanti. >>

Sirius sorrise, malgrado tutto.

<< Non ora, ti racconto dopo. Adesso devo andare. >>

<< Eh? Ma, Pad, e la nostra chiacchierata di Natale? >> protestò il ragazzo << Non è passato nemmeno un minuto! >>

Il familiare ghigno beffardo apparve sul volto di Sirius: << Dopo, vecchio mio, dopo. E non preoccuparti, non ti tradirò con nessuna, mia cara mogliettina gelosa. >>

<< Sirius! >> lo richiamò lui, invano.

La conversazione era terminata.

Sbuffando, si ributtò sul letto.

Chissà che aveva Sirius? Era successo qualcosa con la sua famiglia?

Sapeva che ogni vacanza in cui non riusciva a sfuggire da casa Black si trasformava in un incubo, per lui. Chissà cosa succedeva tra quelle mura. Non credeva che gli alzassero le mani –Merlino, non riusciva nemmeno ad immaginarlo-, ma ogni volta Sirius tornava dalle vacanze cupo come non mai.

Chiuse gli occhi, mentre la mente si rivolgeva ad altri pensieri. Ripassò gli eventi della mattinata, la conversazione con Silente… e, in particolare, la sua insucerezza riguardo il proprio futuro.

Solo adesso, la verità gli si presentava con prorompente evidenza.

Non gli bastava diventare un campione sportivo, una celebrità. Voleva aiutare la gente, difendere gli ideali di giustizia ed uguaglianza che gli erano stati impartiti dalla famiglia, perché troppe poche erano le persone che disponevano del coraggio e dei mezzi per farlo.

Gli era servito l’incidente di Mary MacDonald per rendersi conto di quanto meschino fosse il mondo, e quanto grande fosse il suo desiderio di aggiustarlo.

<< Voglio fare l’Auror. >> esclamò inconsapevolmente ad alta voce, prendendone atto.

Oh, Merlino.

I suoi sarebbero stati fieri di lui, perlomeno.

 

 

***

Sirius ringraziò mentalmente il fatto che negli specchi gemelli era visibile solo il viso, in modo che James non si accorgesse della maniera ridicola in cui era conciato.

Con quel completo elegante di altri tempi sembrava un dannato damerino. Almeno, la chioma corvina era indomita –sebbene non al pari dei capelli di Prongs, ovviamente- come al solito, ultimo residuo della sua personalità ribelle e vivace, quel giorno.

Ah, Natale.

Quanto gli piaceva, e quanto riuscivano a farglielo odiare. Amava l’atmosfera gioiosa e calda di hogwarts, quella innevata e pacifica di Hogsmeade; detestava quella tetra e formale di casa sua.

Grande riunione di famiglia, il giorno di Natale.

Quando per famiglia s’intendono anche zii e cugini vari, ognuno più palloso, spregevole e Serpeverde dell’altro, allora l’istinto di infilarsi un cappio attorno al collo è difficilmente reprimibile.

Sospirò: era inutile rimandare a lungo l’inizio dell’agonia.

Si diede un’ultima occhiata disgustata e compiaciuta al contempo allo specchio, ed uscì dalla sua camera.

Il salotto di casa Black era stato trasformato in una sala di ricevimento. Un lungo tavolo coperto da un drappo color porpora occupava il centro della stanza, era posto orizzontalmente rispetto alle scale da cui giungeva il giovane, e alle due estremità due elfi domestici servivano gli aperitivi. Gli ospiti –una decina di parenti- avevano tutti l’aria altezzosa ed austera nei loro abiti sostenuti, scuri e sobri –i parenti dalle quattro S, li aveva chiamati una volta James, aggiungendo alla terna di aggettivi l’iniziale della parola Serpeverde-.

Nel complesso, piuttosto che un pranzo di Natale sembrava di assistere al ricevimento che segue un funerale.

A metà delle scale, Sirius non poté trattenere una morsa allo stomaco, resa più acuta dalla visione di due ragazze ai piedi della rampa.

Bellatrix, in un abito nero e aperitivo in mano, sollevò malignamente lo sguardo verso di lui, affiancata da una Narcissa abbigliata in maniera non meno altisonante.

<< Oh, cugino, guarda chi si vede. >> disse la mora, fingendo di accorgersi soltanto ora del suo arrivo. Ovviamente, pure lei si rendeva conto di quanto palese fosse la sua ostentata recita. << Affascinante, come sempre. >>

<< Cugina. >> l’appellò lui, con disprezzo. << vederti è il solito dispiacere. >>

<< Maleducato, come sempre. >> aggiunse Bellatrix, riallacciandosi alle sue precedenti parole, un ghigno allusivo sul viso pallido.

Sirius la ignorò, spostando il suo sguardo su Narcissa. La bionda lo guardò di sfuggita, ma il messaggio di quella breve e fredda occhiata fu evidente: che non fosse detta una parola, riguardo al favore che gli fece quella notte, la stessa in cui Avery e Mulciber attentarono più o meno consapevolmente alla vita di Mary MacDonald.

<< Tutti a tavola, prego. >> annunciò la voce di Orion Black, mentre, con un colpo di bacchetta, il bancone si trasformava in un tavolo attorniato da sedie e apparecchiato con stoviglie e calici d’argento.

<< Tredici posti. >> commentò sua zia Lucrezia Black, sorella di Orion, mentre prendeva posto. << Speriamo che non porti sfortuna. >>

<< Allora Regulus dovrà guardarsi le spalle. >> commentò Sirius, acido. Ogni cosa, ogni parola di quelle maledette persone lo infastidiva.

<< Speriamo di no, è l’unico erede sano di cui Salazar ci ha reso dono. >> fu l’aspro commento di sua madre.

Un tempo, Sirius avrebbe chinato il capo, incassando il colpo in silenzio. Ma, ultimamente, la sua insofferenza verso atteggiamenti di quel tipo era aumentata a dismisura. Non sapeva quale fosse la causa.

Forse gli ormoni adolescenziali, forse l’influenza di James, forse la crescente evidenza del disprezzo e la delusione che i genitori nutrivano nei suoi confronti.

Sul suo viso si disegnò un lieve ghigno provocatorio: << Forse avete mal deciso a chi rivolgervi. Sono certo che Godric Grifondoro sarebbe stato mille volte più misericordioso. >>

<< Oh, vi supplico, non nominate quello scellerato in mia presenza. >> si lagnò Irma Crabbe, la sua adorata nonnetta materna, una folle e vecchia decrepita, a parere di Sirius.

<< Lascialo perdere, nonna. >> commentò Bellatrix, lanciando frattanto un’occhiata disgustata a Kreacher, che iniziava a servire i primi piatti. << Il nostro Sir è piuttosto, di parte, direi. >>

<< Tu sta’ zitta. >> replicò lui, secco.

<< Sirius. >>

Il richiamo di suo padre fu asciutto, la sua occhiata glaciale, al punto che il ragazzo rimase in silenzio, chinando il capo.

<< Non preoccuparti zio, Sirius non si è mai affermato per educazione e compostezza. >> aggiunse Bellatrix, mentre prendeva delicatamente in mano le posate. << Dovresti vedere quanto patetici riescano a rendersi lui e quel suo amico Potter, a scuola. >>

<< Potter. Altro nome infame. >> mugugnò la vecchia.

<< Era una famiglia importante, un tempo. >> constatò zio Cygnus, discreto. << Imparentato al nobile ramo dei Black. >> aggiunse, rendendo omaggio alla famiglia sollevando di poco il calice in direzione del cognato. Orion sollevò a sua volta il bicchiere.

Tutti assecondarono il brindisi, e suo malgrado Sirius bevve dalla coppa davanti a lui.

Il vino gli scese lungo la gola come veleno.

Posando il calice, Walburga corresse il fratello: << Un tempo, esatto. Adesso, non mi sorprenderei di vederli girare a braccetto con i Babbani. >> ironizzò, provocando una smorfia di disgusto nel viso di molti dei presenti << Capisco la tua totale assenza di buonsenso, Sirius, ma questo è troppo. Devi smetterla di frequentarli. >>

Il ragazzo serrò la mascella. << Non possiamo parlarne dopo? >>

Parole vane: fu ignorato, come sempre.

<< Purosangue che fraternizzano con Sangue Sporco e babbani… E’ un tale disonore. Non immagino quale nullità sia il figlio… James, giusto? >>

James che sghignazza insieme a lui, passandogli un braccio attorno le spalle. Ramoso che si scompiglia i capelli, che è il suo migliore amico, suo fratello.

<< Per non parlare di quel biondino che c’era l’altro giorno con te alla stazione… Quello pallido. >>

<< Lupin? >> azzardò Regulus.

<< Ah, già, grazie Reg. Non so bene lo stato di sangue del padre, ma so che ha sposato… una babbana. E ciò è sufficiente a renderli tutti quanti al pari di quella feccia. >>

Remus che è sempre gentile, Remus che si degrada, che è un campione nel campo della dialettica e dell’ironia. Lunastorta che ha tanto l’aria da bravo ragazzo, che gli sbatte un libro in testa dicendogli di studiare, ma che in fondo è scapestrato tanto quanto loro.

<< Zia, che ne pensi dell’altro, Minus? >> incalzò Bellatrix, divertita dalle dinamiche che stava assumendo la conversazione.

Sirius strinse i pugni.

Peter che è  timido, silenzioso, impacciato. Codaliscia che deve essere protetto, che non crede in sé stesso, che è  fedele e vuole  loro un bene dell’anima.

<< Suo padre è un pezzo grosso, al Ministero, ma il suo sangue è infetto. Se non sbaglio, la madre di suo padre era.. >>

<< Adesso basta! >>

Prima che se ne fosse potuto rendere conto, Sirius era esploso, alzandosi di scatto e sbattendo le palme sul tavolo. I presenti ammutolirono, altri rimasero a bocca aperta. Un bicchiere vicino a lui cadde e rotolò giù dal tavolo, cadendo a terra. Il rumore del vetro che andava in frantumi spezzò il silenzio che era calato in sala.

Sirius guardò i presenti, negli occhi, freddo, furente, tutti, dal primo all’ultimo. Nel suo sguardo vi si leggeva, oltre la rabbia, anche un tono di sfida. Che si azzardassero, se ne avevano il coraggio. Che ci provassero ancora, ad insultare i suoi Malandrini.

Il suo sguardo si posò in quello di sua madre, che ricambiava con stupore, rabbia, disprezzo.

La odiava.

Lei, per quel che ne capiva il ragazzo d’interazioni umane, sarebbe dovuta essere la prima a sostenerlo, a proteggerlo a prescindere da tutto e tutti, a volergli bene ed accettarlo così com’era.

E, invece, era la prima a farsi avanti quando c’era da gettargli fango addosso.

Sapeva che era sua madre, avrebbe dovuto amarla comunque. Ma non ci riusciva, forse quello sbagliato era lui, però non poteva trattenersi dal detestarla. Era piena di odio, razzista, instabile. Era pazza.

<< Non ti permetto di parlare così dei miei amici. >> sibilò, a denti stretti. << Non davanti a loro. >>

<< Siediti. >> ordinò suo padre, l’espressione di ghiaccio. Il giovane guardò anche lui, vide l’imperturbabilità dei suoi occhi, e ne ebbe più paura rispetto al disgusto e la furia in quelli di sua madre.

… Ma non gli importava.

Sostenne il suo sguardo, a testa alta, fiero di ostentare tutta la sua audacia di Grifondoro.

<< Non preoccuparti, Orion. >> esclamò sua madre, passandosi un tovagliolo sulle labbra, chiudendo gli occhi, con aria improvvisamente tranquilla. << Presto Sirius avrà l’occasione di mettere la testa a posto, e portare onore alla sua famiglia, dato che ora sembra voler fare di tutto per metterci in imbarazzo dinnanzi alla comunità magica. >>

Con comunità magica, ovviamente, intendeva i soli Purosangue. Tuttavia, Felpato fu incuriosito dalle sue parole.

<< E questo che vuol dire? >> chiese, mentre uno strano timore s’infiltrava nella sua anima.

<< Diverrai un Mangiamorte, ovviamente. >> spiegò Walburga, in tono scontato. << Ti unirai al Signore Oscuro, e porrai la tua vita al suo servizio, giurandogli fedeltà. >>

Il silenzio scese nuovamente attorno al tavolo. Sirius si sentì morire mentre, al suo fianco, poteva ben percepire Regulus irrigidirsi.

Suo malgrado, rise, nervoso.

<< Stai scherzando, vero? >> domandò, forse nella vana illusione che si trattasse di una beffa. << Potrei finire ad Azkban. Potrei morire. >>

Tuttavia, sua madre era il ritratto della serietà. << Sarebbe una morte onorevole. Almeno, ci riscatteresti da tutto il disonore che ci arrechi ultimamente. >>

Una, due pugnalate. Sirius si sentì morire, tutto ad un colpo.

Ricordò le testate dei giornali, le foto di morti, dolore, le immagini di morte, che vedevano i seguaci del Signore Oscuro come protagonisti o fautori.

Cos’era che gli faceva così male?

Il fatto che quella donna –che, cazzo, era pur sempre sua madre!- gli augurasse un futuro simile? Che lo considerasse una vergogna per la famiglia? Che lo ritenesse soltanto uno strumento, una stupida pedina da sacrificare per l’onore e il buon nome  dei Black?

O forse tutto questo non gli importava. Magari, essendo già da tempo consapevole dei sentimenti che i genitori nutrivano nei suoi confronti, era qualcos’altro ad attanagliarli le viscere, a ferirlo come il gelo di una lama appuntita e letale.

Forse, era il senso d’impotenza per un futuro che non avrebbe potuto evitare.

Forse, era la paura.

Ora, in quel preciso momento, Sirius ne ebbe la certezza.

Non poteva rimanere lì, doveva andarsene. Doveva scappare, scappare come una bestia impaurita, con la coda tra le gambe, il corpo scosso dai brividi e il coraggio gettato da parte. Doveva fuggire, subito.

Guardò suo padre, in un moto di disperata speranza. Lui teneva il viso chino sul piatto, aveva in mano le posate.

Mangiava, come se niente fosse.

Smarrito, Sirius fece qualche passo indietro, guardandoli, guardandoli tutti.

Eccoli là, i Black, disumani, impassibili, fieri e crudeli.

Arretrò e, solo come non mai, uscì dalla stanza.

 

 

 

 

La notte era calata su Londra, fredda come sempre, accompagnata da un manto di neve e silenzio.

Nel momento della giornata in cui Morfeo culla i mortali, tuttavia, vi era qualcuno di cui animo era febbrile, sveglio.

Si trattava di un ragazzo che, infine, s’apparecchiava per mettere in atto una delle scelte più importanti della sua giovane vita.

Sirius terminò d’infilare, un po’ alla rinfusa, i suoi libri nel baule, poi lo chiuse con un colpo secco, facendovi un po’ di pressione sopra per opprimerne il contenuto all’interno.

Aprì la porta della sua stanza, senza guardarsi indietro, e trascinò il bagaglio nel pianerottolo. L’operazione non fu proprio silenziosa, ma poco importava: difficilmente avrebbero tentato di fermarlo.

Sospirò, nel buio del pianerottolo, le scale che portavano al piano di sotto, e poi all’ingresso, apparivano come un ripido dirupo senza fondo, un baratro da cui era impossibile risalire. E, metaforicamente parlando, in un certo senso era proprio così.

<< Che… Che stai facendo? >>

Il ragazzo si voltò, riconoscendo a malincuore quella voce infantile: Regulus, in pigiama e sulla soglia della sua camera, lo guardava, sconvolto ma, al contempo, palesemente consapevole. Non che ci volesse molto a comprendere quali fossero le intenzioni dle fratello, che quatto quatto nella notte si trascinava un enorme baule appresso.

<< Me ne vado, ovviamente. >> rispose lui, secco. Il suo tono risultò più duro di quanto desiderasse, ma che poteva fare?

<< No. Non puoi. Qui si scatenerebbe l’inferno. >>

<< Cosa dovrei fare, Regulus? >> domandò Sirius, sorprendendosi intanto di quanto disperata risultasse la sua voce. Ma, nel profondo, covava anche un gran senso di rabbia e frustrazione, che venne fuori nelle successive parole: << seguire i vostri folli ideali? Diventare un Mangiamorte, andare a farmi ammazzare? >>

Il colpo andò a segno. Scosso ed incerto, Regulus chinò lo sguardo, in difficoltà. Sirius lo osservò abbassare il capo, apparire così indifeso, e per un istante provò un istinto di affetto e protezione che lo fece desistere dalla fuga. Forse il fratello correva lo stesso pericolo da cui lui stava scappando? Avrebbe dovuto portarlo con sé?

Il dubbio s’insediò nel suo animo solo per un attimo.

Regulus, a differenza sua, era amato e protetto, considerato un piccolo tesoro da salvaguardare. Loro madre stravedeva per lui, e il padre l’aveva sicuramente designato come suo erede.

Difficilmente avrebbe buttato allo sbaraglio colui che avrebbe portato avanti il nome e l’onore dei Black, il futuro capofamiglia.

E, poi, Regulus poteva ritenersi perso da ormai molto tempo.

Aveva abbracciato la mentalità della famiglia, le loro idee.

Il suo luogo era quello, quello il suo ambiente. La sua famiglia, il suo mondo.

<< Lei… Mamma potrebbe cambiare idea. >> tentò Regulus, intanto. << Se solo tu potessi cambiare, smetterla di ribellarti… Se tu fosti come noi, tutto si risolverebbe. >>

In quel momento, udite tali parole, Sirius provò un enorme pietà, per lui.

Lui che un tempo era stato il suo più gran confidente, per lui che ora gli si presentava irrecuperabile.

Chiuse gli occhi.

Oh, Regulus…

<< Addio, Reg. >>

Gli voltò le spalle, il cuore a pezzi, ed iniziò a scendere le scale.

Ma, nemmeno il tempo di superare più di due gradini, che il fratello parlò di nuovo. Furono due semplici parole, che però ebbero il potere di bloccarlo, fare fermare lui e anche i battiti del suo cuore per un frangente di secondo.

Furono due parole crude, fredde, vibranti di rabbia.

<< Ti odio. >>

Fu come ricevere un pugno in pieno petto. Cosa gli fece tale effetto?

Il significato di quelle parole? Oppure, il fatto di non esserne così sorpreso?

La consapevolezza dell’astio di Regulus nei suoi confronti era stato evidente dal suo primo anno ad Hogwarts quando, divenendo Grifondoro, aveva portato in casa discussioni, litigi e rabbia.

Tanta rabbia.

Era ovvio che Regulus lo colpevolizzasse. Ma non per questo, Sirius si sentiva in dovere di pentirsi del proprio comportamento.

Non per Regulus avrebbe seguito il volere e le idee della loro famiglia. Non per Regulus avrebbe chiuso gli occhi, tradito i suoi amici e rispettato la volontà dei genitori.

Non per quella persona che, piano piano, stava iniziando a non riconoscere come quel ragazzino riservato ed affettuoso a cui aveva voluto bene.

Gliene voleva ancora, probabilmente. Ma l’affetto stava venendo messo in ombra dal rancore e dal disdegno, nel riconoscere nel suo sguardo di disprezzo quello di suo padre. Disprezzo causato dal disgusto, per i babbani, per i Mezzosangue, per chi non la pensava come loro.

Per lui.

Per Regulus, non poteva fare nulla.

<< Non parlare a voce così alta. >> si limitò a dire, senza voltarsi a guardarlo. << O loro si sveglieranno. >>

Non seppe che espressione si delineò nel viso di suo fratello.

Quella fu forse l’ultima volta che lo vide senza che entrambi si ritenessero nemici.

Scese le scale, superò il salotto, giunse di fronte alla porta d’ingresso.

Era al capolinea.

Bastava poggiare la mano sulla maniglia, spingerla verso il basso, e la sua vita sarebbe cambiata, per sempre.

Se ne sarebbe pentito?

Era pronto?

Scosse la testa: che se la sarebbe cavata o meno, era la cosa giusta da fare.

Era l’unica cosa da fare, in realtà.

Deciso, mise una mano sulla maniglia, determinato a non tornare più indietro.

<< Io ci penserei, prima di farlo. >>

Sirius si voltò: suo padre, in vestaglia, poggiato allo stipite della porta della cucina con un calice di vino in mano, lo guardava con tranquillità.

Il ragazzo sollevò il mento, con aria di sfida: << Sennò che farai, mi disconoscerai come tuo figlio? >>

Orion Black lo guardò, per mezzo dei suoi stessi occhi grigi. Non c’era odio, né rabbia o preoccupazione nel suo sguardo: come al solito, sembrava che nulla del mondo esterno lo potesse turbare, o causare in lui un qualunque sentimento, che la sua natura fosse negativa o positiva.

<< Non ti ritengo più mio figlio da molto tempo, ormai. >>

Più tardi, negli anni, Sirius poté ritenere di aver incassato il colpo piuttosto bene. Non ebbe alcuna reazione visibile, se non un impercettibile tremolio, mentre una voce, nella sua testa, lo incoraggiava con le seguenti parole: “Avanti, Sirius. Sapevi anche questo.”

Ricambiò lo sguardo di quel uomo che, in fondo, per lui era sempre stato un estraneo.

<< Allora, non ho davvero nessun motivo per rimanere qui. >>

Suo padre non disse nulla.

Sirius aprì la porta, e fu fuori.

 

 

 

Il freddo della notte lo investì tutto d’un colpo, insieme a quella forte e totale consapevolezza.

Era libero.

Libero da ogni costrizione, rimprovero, obbligo, preoccupazione.

… Libero dalla sua famiglia.

Due lacrime, solo due, gli rigarono le guance, già arrossate per l’aria gelida, mentre un vento leggero gli scompigliava i capelli corvini.

Era libero, ma anche solo.

Non aveva più un padre.

Non aveva più una madre.

 

<< Ti odio. >>

 

Chiuse gli occhi.

Quella notte, aveva perduto Regulus.

Tuttavia, ciò non voleva dire che non avesse più nessuno da chiamare fratello.

Inspirò profondamente, con l’aria ghiacciata di Dicembre che gli penetrava nei polmoni.

“Ricorda questo momento, sempre. Percepiscilo, assaporarlo in tutta la sua intensità, perché è questo l’istante in cui smetti di essere un Black, ed inizi ad essere semplicemente Sirius.”

Iniziò a camminare, il baule appresso, i piedi che incespicavano sull’asfalto bagnato.

Non si voltò indietro a guardare la sua vecchia casa.

Scese un’altra lacrima, ma andava bene così.

 

 

 

***

 

<< James, suonano alla porta! >>

<< Sì, mamma, scendo! >> urlò il ragazzo, precipitandosi giù dalle scale, e imprecando mentalmente nel frattempo.

Probabilmente era un altro di quegli insopportabili gruppi canterini che intonavano carole natalizie di casa in casa. Aveva trovata una figata assurda il primo, trovati piacevoli gli altri tre ed odiosi il quarto e il quinto. Non ne poteva più.

Il campanello suonò di nuovo.

<< Arrivo! >> gridò James, scavicollandosi verso la porta e rischiando di rompersi l’osso del collo inciampando nel tappeto. Praticamente, precipitò sulla maniglia: << Basta, con questi cazoncine ci avete rotto… >>

S’interruppe a metà frase, guardando colui che si trovava sull’uscio di casa.

Una figura snella, incappucciata, più alta di lui.

Abbastanza riconoscibile.

James si sporse in avanti –incurante di avere addosso soltanto il pigiama- e piegò la testa di lato, cercando di sbirciare sotto il cappuccio. << Pad? >> domandò, perplesso e stupito allo stesso tempo.

<< Posso entrare? >> domandò Sirius, con voce strana.

Ramoso battè le palpebre, confuso. << C-certo. >> rispose tuttavia, facendosi di lato per lasciare passare l’amico. Mentre gli passava accanto, notò che portava con sé un grosso baule.

James si chiuse la porta alle spalle: << Sirius, che succede? >>

<< Scusami, Jam. Non sapevo dove andare. >>

Prongs iniziava a non capirci più nulla.

<< Che vuol dire che non sapevi dove andare? Perché hai un baule con te? E perché ora che sei in casa non ti abbassi quel cappuc-… oh. >>

James si bloccò di colpo, mentre le parole gli morivano in gola. Ora che ora sotto la luce della lampada, riusciva a scorgere con abbastanza chiarezza il viso dell’amico, nonostante il cappuccio del mantello ne coprisse gran parte.

Ci mise un po’ a capire cosa volessero dire il naso rosso, gli occhi lucidi e il viso bagnato.

Sirius, il suo amico Sirius, stava piangendo.

<< Sirius… >>

<< Dovevo andarmene, Jim. Non potevo restare. >> continuò l’amico, la voce forzatamente controllata, le lacrime palesemente represse.

<< James, chi è? >> domandò intanto Dorea, spuntando dalla cucina con ancora i guanti da forno e il grembiule addosso, seguita a ruota dal marito. << Sirius! Che ci fai qui? >>

Il giovane Potter guardò l’amico.

Aveva capito tutto, infine. Rimase in silenzio, sconvolto, a fissarlo imbambolato.

Felpato era lì.

Felpato non aveva più una casa.

Nel frattempo, Sirius distolse lo sguardo, ruotando lievemente il capo verso i suoi genitori.

<< Scusi l’orario, signora Potter. Non volevo disturbare. >>

<< Non… Non preoccuparti, figliolo. >> rispose al suo posto Charlus, mentre la moglie si portava una mano alla bocca. Dovevano aver notato il viso umido di pianto, l’espressione stravolta. Seguì qualche istante di imbarazzato silenzio.

James, dal canto suo, attendeva.

Continuava a guardare l’amico, e aspettava che si sfogasse, che urlasse, che piangesse, che facesse qualsiasi cosa che non fosse rimanere lì, fermo e muto, tenendosi tutto dentro.

Ovviamente, Sirius deluse le sue aspettative.

James avvertì la rabbia crescere dentro di lui.

<< Sei uno stupido! >> sbuffò e, con immenso stupore da parte dei suoi genitori, strinse l’amico in un abbraccio, alzandosi sulle punte e buttandogli le braccia al collo.

Non avvertì nessuna reazione da parte di Sirius, se non un lieve sussulto, e pertanto lo strinse più forte.

Non gli importava se, in quel pigiama ridicolo ed abbracciato ad un altro ragazzo si stesse rendendo patetico.

<< Che vuol dire che non sapevi dove andare? >> gli chiese, di nuovo. << Saresti dovuto venire qui fin da subito, lo sai. >>

Sirius rimase in silenzio per qualche momento. Poi, lentamente, sollevò le braccia.

In pochi attimi, l’amico stava ricambiando il suo abbraccio, disperatamente, piangendo, come un bambino, sulla sua spalla.

 

 

***

 

Lily si chiuse la porta alle spalle e s’accasciò contro di essa, sfinita.

Avere a che fare con sua sorella Petunia stava diventando sempre più estenuante e complicato. Nemmeno tutto il sangue freddo –di cui non ne aveva neanche una goccia, lei- reperibile avrebbe potuto aiutarla a resistere dalle sue frecciatine, sempre più frequenti da un anno a quella parte. Mantenere la calma era piuttosto complicato; il risultato erano bicchieri che si rompevano e lampadine che saltavano a causa di un indesiderato rilascio di magia da parte sua.

Di sotto, era appena andato in frantumi il vaso di vetro regalato loro dalla zia; Tunia aveva colto l’occasione per infierire, rigirare il coltello nella piaga e darle dello scherzo della natura.

Non si offendeva nemmeno più, ormai.

Più che altro, era stanca. E triste. Sebbene i suoi genitori la sostenessero e sgridassero la sorella ogni qualvolta che le rivolgeva insulti ed offese varie, Lily iniziava a sentirsi un’estranea, in quella casa.

Non sapeva più dove sentirsi a proprio agio: nel mondo babbano, quello in cui era nata ma a cui non apparteneva più, o in quello magico, dove le davano della strega a metà.

Si staccò dalla porta e, con decisamene poca grazia, si buttò sul letto.

… Si sentiva sola.

I suoi genitori, sebbene affettuosi come sempre, cominciavano a guardarla in un modo strano.

Sua sorella aveva paura di lei, o la invidiava, ad ogni modo, la detestava.

Con Alice andava d’accordo, ma era poco più di una compagna di scuola.

Aveva litigato col suo unico vero amico.

Chiuse gli occhi, avvertendoli umidi.

“Severus, dove sei?”

Come a rispondere alla sua domanda, un rumore sordo la fece sobbalzare.

In un primo momento, attribuì l’origine di quel suono alla sua immaginazione, ma quando questi si ripeté una seconda e una terza volta, scattò a sedere, voltandosi verso l’origine: la finestra della sua stanza.

Vide il vetro bagnato all’esterno, e capì subito.

Si alzò, corse verso la finestra, decisa a porre fine alla cosa.

<< Vuoi smetterla? Romperai il vetro, in questo modo. >> esclamò, affacciandosi all’esterno, sul lato che dava sulla strada.

Una figura scura stava davanti al cancelletto di casa Evans, una palla di neve in mano.

<< Lily, perdonami. Ti prego, ti chiedo scusa. >> la implorò Severus, nel suo abbondnate e vecchio cappotto nero, l’aria da cane bastonato.

La ragazza rammentò la loro discussione, il litigio che avevano avuto ad Hogwarts.

Avrebbe voluto fare la sostenuta ma la verità era che era felicissima di vederlo.

… Ma non bastava. Dovevano parlare, chiarire la faccenda.

<< Aspetta. >> disse Lily << Vengo giù ad aprirti. >>

Uscì dalla stanza, scese le scale e corse verso la porta, ignorando l’aria interrogativa sulla faccia dei suoi.

Uscì in giardino, dirigendosi verso il cancello.

Severus le rivolse uno sguardo timoroso.

<< Ciao. >> tentò, timido. Lily gli parì il cancelletto: << Entra pure. >>

Quando rientrarono in casa, la ragazza si rivolse ai genitori: << Severus è passato a salutarmi e a farmi gli auguri. Siamo di sopra, ok? >>

Suo padre grugnì un verso di assenso, mentre squadrava malamente il ragazzo che, alle nove di sera, saliva nella camera da letto di sua figlia.

 

 

<< Allora? >>

Severus guardò Lily, incerto. Non sapeva da dove iniziare anzi; non era nemmeno sicuro del motivo per cui era lì.

L’unica certezza che aveva era il profondo sentimento che lo legava a Lily Evans.

Non voleva, non poteva permettersi di perderla.

Perché era di questo che aveva paura: essere lasciato indietro.

Fissò il verde intenso dei suoi occhi, occhi che oramai erano parte integrante e fondamentale della sua vita, della sua anima. Tuttavia, non riuscì a leggervi dentro.

Sebbene conoscesse Lily da molto tempo, la ragazza per lui rappresentava un mistero. Nei primi tempi non riusciva a capire: com’era possibile? Lui era sempre stato bravo a studiare le persone, comprenderne la natura, calcolarne le mosse. Con lei, invece, no. Solo dopo aveva compreso quanto i suoi sentimenti, confusi e potenti, offuscassero il suo giudizio.

La verità, era che stare con Lily lo tormentava. Di gioia, ma anche di timore, di folle terrore per la possibile natura effimera di quella situazione di felicità.

Forse, un giorno Lily si sarebbe stancata di lui.

Ed allora, eccolo lì, ad aggrapparsi a lei con tutte le sue forze. Non poteva, Lily non poteva sostituirlo con qualcun altro. Soprattutto se questi era James Potter, che non faceva altro che umiliarlo e denigrarlo.

… Ma pazienza. Sebbene non potesse neanche concepire il pensiero di lui e la sua Lily uno accanto all’altra, avrebbe sopportato una loro eventuale amicizia.

Tutto, pur di non perderla.

<< Severus…? >>

Al richiamo della ragazza, il Serpeverde sollevò lo sguardo, e il cuore gli si fermò in petto.

La sua Lily, eccola là.

Amava ogni singola cosa di lei, e gli ci era voluto così tanto, per capirlo.

Cadde lentamente sulle ginocchia, le palme a terra, il capo chinato verso il pavimento.

<< Perdonami, Lily. Ti prego. >>

Lei parve in difficoltà: << Avanti, alzati… >>

<< No! >> ribatté il giovane, la voce tremante. << E’ qui che merito di stare. >>

“Ai tuoi piedi. Perché non ti merito, perché non ti avrò mai. Ma sei con me, comunque.”

Sbirciò il viso di Lily: la ragazza parve intristirsi. Severus non sapeva se aveva capito il senso delle sue parole; fatto sta che si inginocchio di fronte a lui, prendendogli il viso tra le mani e costringendolo delicatamente a guardarla negli occhi.

Guardarla negli occhi. Un premio o una punizione, non avrebbe saputo dirlo.

<< Severus Piton, smettila di denigrarti in questo modo. >> iniziò, dolce ma ferma. << Sei una persona meravigliosa. Sei il mio migliore amico. >>

<< Ma, l’altro giorno, ad Hogwarts… >>

<< Era solo una discussione. Può capitare. >>

Severus distolse lo sguardo: << Io… >>

Chiuse gli occhi.

Li riaprì, e tornò a guardarla.

<< Io… ho paura di perderti, Lily. >>

Le parole sembrarono soritre uno strano effetto sulla Grifondoro. In un primo momento, i suoi occhi si spalancarono, in un moto di stupore. Poi, prima che Severus se ne potesse rendere conto o fare qualcosa per impedirlo, essi si colmarono di lacrime.

La ragazza lasciò il viso dell’amico, e portò le mani sul proprio, coprendolo e scoppiando a piangere.

<< Lily… >>

<< Scusa. Scusa se piango. >>

Lo sguardo del ragazzo si addolcì, in un intenso moto d’affetto.

“Non ti scusare mai con me, Lily. Non ce ne sarà mai bisogno.” Pensò il Serpeverde.

Ed era la verità: solo il fatto che lo guardasse, il solo fatto di esistere, avrebbe riscattato la sua Lily da qualsiasi colpa.

La ragazza, intanto, scostò leggermente le mani dal volto, lasciando intravedere un occhio verde.

<< Posso abbracciarti? >>

Severus s’avvertì avvampare, in imbarazzo. Tuttavia, acconsentì, titubante. << C-certo… >>

Un po’ insicura, Lily si sporse in avanti. Poi, pian piano, si strinse a lui, affondando il volto sulla sua spalla. << Anch’io ho paura di perderti, Sev. Sei l’unica certezza rimastami. >> mormorò, chiudendo gli occhi. << Ti prego, dimmi che ci sarai sempre. >>

Lentamente, Severus ricambiò l’abbraccio. << Te lo prometto. >>

 

***

 

Quando Ramoso scrisse loro una lettera, di nascosto all’amico, nel cuore della notte, Remus e Peter si attivarono subito per essere lì per l’indomani.

James aveva appena trascinato Padfoot in cucina a fare colazione con i suoi, quando i due Malandrini ruzzolarono fuori dal camino di casa Potter, sporchi di cenere, con Codaliscia che precipitò sopra il ben più esile amico.

<< Sirius! >> esclamarono all’unisono, dal pavimento. Felpato li osservò stupefatto, sperando nel frattempo che il povero prefetto non si fosse fatto troppo male, sotto un Peter reduce dai numerosi e abbondanti pasti natalizi.

Non fece in tempo a chiedersi cosa ci facessero lì, che Prongs lo precedette, avvicinandosi ai due ed esclamando a gran voce: << Oh, amici! Cosa vi ha portati sino a qui? >> domandò, a voce esageratemente alta ed esageratamente sorpresa.

Peter e Remus si scambiarono un’occhiata interrogativa, poi il viso del licantropo parve illuminarsi.

<< Ah! Noi siamo qui per… Augurarti un buon natale! O meglio, buon giorno dopo natale! >> esclamò, anch’egli con un tono di voce talmente alta da palesare la recita messa in atto –e risultando insolitamente ridicolo.- << Oh, Sirius! Anche tu qui? >> domandò poi all’amico, con sorpresa poco credibile.

Peter, dal canto suo, iniziava a non capirci più nulla: << Ma che stai dicendo, Remus? Siamo venuti apposta per lu-.. >> dovette interrompersi, poiché James si era tolto una pantofola e gliela aveva tirata in testa.

Sirius guardò di sottecchi i suoi amici: era chiaro che James avesse raccontato della sua fuga.

Forse si sarebbe dovuto sentire arrabbiato ma, in realtà, era contento che Prongs li avesse chiamati. E, probabilmente, James stesso sapeva che ne sarebbe stato felice.

Aveva bisogno dei suoi Malandrini, in quel momento.

Voleva che l’unica famiglia rimastagli gli stesse accanto.

Dal pavimento, Remus sollevò lo sguardo verso di lui, preoccupato: << Sirius… >>

Il ragazzo sbuffò, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa, mentre un piccolo sorriso increspava le sue labbra.

Si piegò sulle ginocchia, chinandosi sui due.

Scompigliò i capelli di Lunastorta e diede qualche pacca sulla testolina di Codaliscia, trattandoli a mo’di cagnolini.

<< Grazie di essere qui, ragazzi. >>

James, dietro di loro, sorrise.

In fondo in fondo, quelle feste natalizie erano ancora recuperabili.

 

 

 

 

 

 

  
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