NOTE: Sono in vergognoso ritardo, mea
culpa! *si
cosparge il capo di ceneri* Tra l’inizio della sessione
estiva e un attacco di
pigrizia/inedia acuta ho evitato il computer come la peste, ma adesso
è ora di
dire no al colesterolo e sì a Valsoia (WTF?), anche
perché ‘sto capitolo ce l’avevo
pronto da settimane. Ehm. Mi scuso ancora per l’attesa:
parola di Lupetto, farò
in modo che non si ripeta più.
Buona lettura!
“Chissà
perché, ma questa
stanza mi è familiare” sussurrò John
sottilmente ironico, alludendo al divano
Chippendale su cui erano stati invitati ad accomodarsi da un solerte
maggiordomo, al caminetto di marmo, ai tappeti e alle stampe che
abbellivano il
salotto di Villa Holmes. Gli ricordavano in maniera
impressionante…
“Buckingham
Palace” annuì
Sherlock, leggendogli nel pensiero. “A metà dei
favolosi anni ‘90 la nostra
amata regina si è fatta dare da mia madre
l’indirizzo di Moffat & Gatiss,
il migliore studio di interior design su piazza, non prima di averle
cortesemente chiesto il permesso di copiare pari pari
l’arredamento di casa
nostra”.
“Non mi avevi detto che
la tua famiglia era così intima dei reali
d’Inghilterra” borbottò il dottore,
un filino piccato.
“L’ho ritenuta
un’informazione inutile e di scarso interesse” fu
la risposta secca dell’altro.
Boswell, fino a quel
momento rimasto in contemplazione della collezione di animaletti di
vetro
soffiato esposta su un tavolino di epoca vittoriana, si
dichiarò soddisfatto e
reclamò l’attenzione dei genitori.
“Papà” chiamò, sgambettando
verso John. “Dov’è
la nonna? Ilene e Amiss si annoiano” e indicò la
carrozzina alla sue spalle.
Sherlock si sporse per
dare un’occhiata e dovette dare ragione al figlio: le
boccucce dei gemelli
erano corrucciate, gli occhi assottigliati, le manine erano strette a
pugno.
Minacciavano di scoppiare a piangere da un momento all’altro.
“John, passami la
rivoltella. Pericolo neonati urlanti e paonazzi a ore dodici”
ordinò.
“Col cavolo! Non ti
permetterò di brutalizzare della carta da parati il cui
costo a metro quadro è
pari ad un mio mese di stipendio” si oppose il compagno.
“E va bene”
sbuffò il
detective. “Vorrà dire che ripiegherò
sul violino”.
Non ce ne fu bisogno,
giacché il maggiordomo in livrea che poco prima li aveva
fatti entrare comparve
sulla soglia. “Lady Caroline Margareth Victoria Spencer,
vedova Holmes”
annunciò con un inchino rispettoso e si scostò
per lasciar passare la donna.
John per poco non rimase
secco dallo stupore. La versione femminile e attempata di Sherlock, con
indosso
uno splendido tailleur vintage che ne esaltava la silhouette, eleganti
tacchi a
spillo e i riccioli scuri venati di grigio perfettamente acconciati
fece il suo
altero ingresso nella sala. Sentendosi puntati addosso quei glaciali ed
imperscrutabili occhi azzurri tanto simili a quelli del suo uomo, il
dottore si
affrettò ad alzarsi in piedi, trattenendosi dal rivolgerle
il saluto militare. Sherlock
lo imitò con un certo disagio, con Boswell in braccio.
“John -posso chiamarla
per nome, vero?- carissimo, che piacere fare la sua
conoscenza” trillò la
nobildonna con un gran sorriso stampato in volto, e gli tese la mano.
L’improvvisa (in
realtà
temuta e prevista dal detective) affabilità della suocera
sconcertò non poco il
buon John, che si era aspettato di avere a che fare con una virago
spocchiosa.
Tuttavia, memore delle lezioni di galateo impostegli dalla madre
buonanima quando
era ancora in vita, riacquistò la piena padronanza di
sé e prese la mano che
gli veniva offerta per sfiorarla con un bacio leggerissimo.
“Onorato, Lady Caroline.
Mi chiami come più le aggrada” mormorò.
“Oh oh oh, lei
sì che sa
come lusingare una signora” si sdilinquì.
“Ma la prego, niente titoli
nobiliari: siamo in famiglia! Mi chiami semplicemente
Caroline”.
Il suo sguardo si posò
sulla figura del figlio e gli occhi le si accesero di una luce calda,
liquida.
Commossa. “Sherly, tesoro!” esclamò,
muovendo qualche passo verso di lui. Gli
circondò il volto con le mani -erano quasi alla stessa
altezza- e gli scoccò un
bacio in fronte. “Quanto mi sei mancato,
bricconcello!”
Bricconcello.
John
soffocò giusto in tempo una risata
incredula.
“Mamma, per
favore”.
“Per favore cosa, eh?
Sono dieci anni che ti vedo solo in fotografia, che non ricevo una tua
telefonata, che non ti sottopongo ad un terzo gra- cioè, che
non chiacchieriamo
come si deve e tu fai i capricci perché non sopporti le
smancerie di tua
madre?” si adombrò lei, dandogli dei buffetti
sulle guance. “Ti perdono solo perché
hai un compagno adorabile e tre frugoletti che muoio dalla voglia di
conoscere,
mascalzoncello che non sei altro”.
Il dottore, a quel punto,
tossicchiò discretamente, evitando d’incrociare lo
sguardo di Sherlock.
Caroline
liberò (smise di martoriare) il viso del figliol profigo per
concentrarsi sul
bimbo che gli stava aggrappato addosso come un cucciolo di koala.
“E chi è
questo bellissimo micino?” tubò, chinandosi verso
di lui.
“Bossuell,
nonna” rispose lui, compito. “Acche tu sei
bbella!” cinguettò, incantato dalla
somiglianza tra lei e il babbo.
“Awww,
che
amore! E come si esprime bene” osservò lei, con
gli occhi a cuoricino. “E’
identico a te, Sherly, ma ha ereditato la tua dolcezza, John caro,
nonché un
certo savoir-faire con le donne” ammiccò.
“Dimmi, Bosie, vuoi venire in braccio
alla nonna?” si rivolse al nipote.
Visto
l’entusiasmo con cui il bambino accettò la
proposta, Sherlock lo accontentò.
“Buonno
il
tuo poffumo, nonna” affermò il piccolo,
strofinando il nasino contro il collo
sottile della donna.
“Mi
stupirebbe il contrario, tesoruccio: è Amouage, la fragranza
più preziosa al
mondo, creata dal Sultano Qabus dell’Oman come regalo di
nozze per la sua
incantevole e amatissima sposa”.
“Niente
di
meno” commentò Sherlock a mezza voce.
John e la
madre gli rivolsero occhiate di rimprovero, e Boswell se ne accorse.
“Babbo,
fai il bbavo” pigolò con la franchezza dei suoi
quasi diciassette mesi di vita.
“Sagge
parole, figliolo” approvò il dottore.
“Ascolta nostro figlio, tesoro, non fare
l’antipatico”.
“Uffa”
protestò lui.
“Sai,
John
caro, si comportava così anche da bambino”
ridacchiò Caroline. Si avvicinò alla
carrozzina. “Posso vedere i gemelli?” chiese, quasi
timorosa. “Non vorrei
svegliarli”.
“Come
no” le
venne in aiuto il genero, scostando la copertina per prendere in
braccio Irene.
“Principessa di papà, di’ ciao alla
nonna”.
“Oh”
si illuminò
la donna mentre cullava al contempo Boswell. “Che bella
testolina bionda
abbiamo qui”.
La nipotina
diede mostra di aver gradito il complimento sbavando tutta contenta
sulla sua
tutina.
“Sherlock,
mi dai una mano con-” non fece in tempo a chiedere John che
il compagno era già
accanto a lui, intento a tirare fuori dalla carrozzina Hamish, che si
ciucciava
il pollice di gran lena.
“Ti
somiglia
tantissimo, John caro” esclamò Caroline.
“La stessa bocca, il colore dei
capelli, persino le orecchie! Ma ha il naso e gli occhi di Sherly, come
Irene”.
“E io
che
volevo un mini John in tutto e per tutto” mugugnò
il detective.
“A me
non
dispiace affatto, anzi. Tu e tua madre avete degli occhi
così belli, di un
taglio e di un colore talmente particolari; sarebbe stato un peccato se
i
bambini non li avessero ereditati” sorrise il dottore,
orgoglioso.
Sherlock
arrossì, e un pochino anche Caroline.
Nota
di alcuna rilevanza, ma siccome sono pignola inside vi tocca
sopportare; io di
cavolate ne invento davvero tante, però la storia di Amouage
è vera. Esiste,
guardate qui! (http://it.wikipedia.org/wiki/Amouage)
Certo, come noterete ho mischiato un pochino le informazioni e la
storia del
regalo di nozze è farina del mio sacco, ma un tocco di real
life ci sta sempre
bene. Tra l’altro un’amica di famiglia ne
è un’affezionata cliente, e lo usa
sempre: ha un profumo magnifico, ve lo garantisco.
Questa,
se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per
seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Buon
weekend a tutti, miei cari! Un bacio.