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Autore: Eralery    31/05/2012    1 recensioni
Regulus Black/Marlene McKinnon | MiniLong.
E nonostante tutto, che si trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di malsano: qualcosa che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa che lo avrebbe o distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non sapeva ben definire. Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo via, alla luce del giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno senza che lui se ne accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e si era ritrovato circondato: circondato da muri di parole su parole che sapevano di rabbia, superiorità e disprezzo che doveva provare.
Ma stava a lui decidere, in fondo.

*
“Io non sono come loro, e se lo vuoi non lo sei neanche tu,” gli aveva detto Sirius, un giorno, e in quel momento si rese conto di volerlo.
Seconda classificata e vincitrice del Premio Giuria al contest "A white rabbit whit pink eyes ran close by Alice" indetto sul forum di efp da Daphne Kerouac.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mangiamorte, Marlene McKinnon, Regulus Black, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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dietrolapelle

4.*

Dicembre 1979.

 

Il tintinnio delle posate sui piatti di ceramica gli rimbombava nelle orecchie, mentre Orion e Walburga s’intrattenevano con i coniugi Hardgraves e cercavano, di tanto in tanto, di rendere partecipi lui e Lavinia, la figlia dei due ospiti, nonché sua futura sposa.
Di tanto in tanto, Regulus alzava gli occhi dal proprio piatto e li puntava di nascosto e con discretezza sulla figura della ragazza: i capelli biondi erano sciolti sulle spalle, gli occhi erano di un grigio chiarissimo e il corpo era piccolo e minuto.
Quando la guardava, Regulus non poteva trattenersi dal fare paragoni. Perché se una volta era il colore degli occhi, dopo era la linea delle labbra, e poi i capelli, e dopo ancora tutto il modo di fare. Lavinia aveva un’aria distaccata, simile alla sua, mentre Marlene era una di quelle persone esuberanti, che si fanno prendere spesso dall’entusiasmo. C’era una differenza abissale tra le due, e Regulus era sicuro che i suoi genitori avrebbero sempre preferito Lavinia – anche se Marlene fosse stata Purosangue –, mentre lui avrebbe scelto Marlene comunque.

Marlene, Marlene, Marlene
. Quando era in missione non ci pensava mai, un po’ perché non voleva un po’ perché quel che vedeva era talmente raccapricciante da impedirgli di pensare a qualcosa di bello. Aveva paura, Regulus, ce l’aveva sempre, perché bastava poco, uno sbaglio, un errore, una parola, un pensiero e tutto sarebbe finito e lui sarebbe morto – e con molte probabilità sarebbe morta anche Marlene.
Ci pensava troppo spesso, da quando si vedevano. Era solo sesso, quel che c’era tra loro, se lo ripetevano a vicenda ogni volta, quasi avessero paura di scordarlo. Eppure, nonostante ciò, Regulus spesso sentiva di essere come ossessionato da lei: Marlene, per lui, rappresentava l’unica cosa che avrebbe sempre voluto, la libertà. Questo significava per lui Marlene, ed era per questo che non la voleva lasciar andare via, in un certo senso: quando era con lei, in quella camera impolverata e ormai piena di loro due, era come se non appartenesse a nessun posto, come se potesse essere quel che voleva dove voleva.
“Mi passeresti il sale?” chiese Lavinia, con voce pacata, distogliendolo da quei pensieri. Regulus, dopo un attimo di smarrimento, le passò la saliera, nascondendosi dentro tutto – tutti i pensieri, tutte le parole, tutte le carezze. 

*

 Gennaio 1980.
 

“Passate buone vacanze?” domandò Marlene, appoggiata al cornicione della finestra della solita stanza della Testa di Porco, la bacchetta con cui aveva aperto la porta ancora in mano.
“Ovviamente,” rispose lui, neutro, togliendosi il cappotto e appoggiandolo allo schienale di una sedia vicino al tavolino. Si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti e lanciò appena un’occhiata al vassoio pieno delle prelibatezze di Aberforth che si trovava sul tavolo. “Tu?”
“Non mi lamento,” disse, stringendosi nelle spalle ed alzandosi in piedi. Gli si avvicinò, rapida e senza far rumore, allacciandogli poi le braccia dietro la nuca e piegando le labbra in quel suo sorriso da gatta. Marlene avvicinò il proprio viso al suo, e per l’ennesima volta non servirono parole.

Marlene si staccò da lui, i riccioli biondi che gli solleticarono il torace magro, e si allungò verso il comodino, cercando di afferrare il pacchetto di sigarette là sopra. Si tirò a sedere, appoggiandosi con la schiena nuda alla testiera del letto, e, dopo aver sfilato una sigaretta dalla confezione, l’accese con l’accendino. Regulus la guardò aspirare e trattenere il fumo per una decina di secondi, prima di rilasciarlo e guardarlo espandersi sopra di loro. Poi Marlene scoppiò a ridere, scivolando appena verso il basso e dando un’altra boccata alla sigaretta.
“Ti uccideranno, quelle cose,” le fece notare Regulus, guardandola con le sopracciglia scure inarcate.
Marlene alzò le spalle, sbuffando un risolino e un poco di fumo, e ribatté come tempo addietro aveva fatto: “Penso che lo farà prima qualcun altro.”
Regulus sbiancò appena, ancora, al sentirla pronunciare tali parole, e si coprì un po’ di più con le coperte del letto. Lo impressionava il modo di parlare di Marlene: sembrava essersi come rassegnata alla morte, quasi non avesse possibilità di scamparla e di salvarsi. Però non sapeva, Regulus, come lo impressionava: a tratti la considerava una stupida, perché volendo avrebbe potuto combattere, a tratti sveglia, perché nonostante tutto si godeva la propria corta vita.
“Non è detto,” rispose infine, con studiata calma, la voce piatta. Non lasciar trapelare nessuna emozione, era questo il trucco. Era sempre stato quello.
“Oh, sì che lo è,” commentò lei, ciccando in un posacenere fatto apparire poco prima. “E tu dovresti saperlo meglio di me,” aggiunse, lanciandogli un’occhiata penetrante. E Regulus si sentì scoperto da tutte le maschere che indossava, perché sapeva che lei era al corrente di tutto e che non perdeva occasione di ricordarglielo. Era una cosa che odiava, e ogni volta avrebbe voluto urlare che non era una cosa che aveva scelto lui, ma che gli era stata praticamente imposta.
“Sarà,” si limitò a controbattere, girandosi a pancia in sotto ed affondando il viso nel guanciale. Sentì Marlene – che aveva posato la sigaretta nel posacenere – muoversi verso di lui; gli si sdraiò accanto, accarezzandogli poi la schiena con una mano e sistemando una gamba tra le sue.
“È così,” mormorò Marlene, posando le labbra prima sulla sua spalla, poi un po’ più verso la nuca e poi sotto l’orecchio. “Ma ora non importa.”
 

*
 

Febbraio 1980.
 

Regulus sgranò gli occhi, mentre il suo viso perdeva colore. Accanto a lui, Severus Piton osservava la scena con un’espressione disgustata: poco distante da loro, stava Greyback, ormai noto come uno dei peggiori Lupi Mannari del tempo – se non il peggiore.
“Cosa ci fa lui qui?” domandò a bassa voce, osservando con orrore i denti acuminati del Licantropo.
Severus voltò il capo verso di lui e gli intimò: “Abbassa la voce, Black. A quanto pare è uno dei nostri. È entrato da poco tra le schiere dell’Oscuro Signore.”
Il viso di Regulus si tramutò in una maschera di stupore misto a ribrezzo e terrore. “Ma come… è… è un ibrido,” sussurrò, mentre Greyback diceva qualcosa ad un Rabastan Lestrange piuttosto schifato. “Non può stare qui.”

Il Signore Oscuro non lo permetterebbe mai.
O forse sì?
Ma lui vuole liberarci dalla feccia… e Greyback fa parte della feccia. Perché è qui?

Seveurs si strinse nelle spalle, e rispose: “Non ha il marchio. Ma è a capo di un branco di Licantropi, e altri alleati potranno tornarci utili.”
Regulus annuì impercettibilmente, per nulla convinto. Quel che aveva appena scoperto aveva fatto crollare un po’ di quel suo muro fatto di convinzioni che i suoi genitori gli avevano inculcato sin da quand’era solo un ragazzino. Aveva sempre pensato che i Licantropi, essendo degli ibridi, sarebbero stati esiliati; non aveva mai nemmeno immaginato che un giorno il suo Signore avrebbe anche solo preso in considerazione l’ipotesi di unirsi a loro.

Eppure l’ha appena fatto
-  pensò, mentre dubbi e supposizioni si accavallavano nella sua mente. Cosa vuole in realtà?
 

*
 

Marzo 1980.
 

Marlene gli baciò le labbra, le mani poggiate sulle sue guance, mentre lui le stringeva la vita con le braccia. Tuttavia, Regulus non era in grado di pensare ad altro che non fossero le parole di Kreacher, spezzate dai singhiozzi sfuggiti all’elfo.

“Kreacher…” mormorò, mentre l’elfo si stringeva le ginocchia, rannicchiato sotto le proprie coperte. “Kreacher, che succede? Kreacher, parla, che è successo?”

“Padron… Padron Regulus,” gracchiò la creatura, torturandosi le dita ossute delle mani. “Cose orribili, padron Regulus… C’erano mani bianche, e c’era acqua dappertutto… Kreacher voleva gridare, ma Kreacher doveva bere la pozione… Kreacher aveva tanta paura…”

Regulus sentì la rabbia montare in lui, guardando l’elfo che l’aveva cresciuto preda di un dolore tanto grande. Era sempre stato molto affezionato a Kreacher, lo trattava bene e lui si prendeva cura di lui, si premurava che stesse sempre bene.

Ma io non sono riuscito a fare lo stesso.

“Kreacher,” disse a voce bassa ma perentoria. “Dimmi che è successo.”

Le mani calde di Marlene si facevano largo sotto la sua maglietta, e, sebbene non stesse pensando a lei e a quel che stava accadendo in quel momento, Regulus inarcò maggiormente la schiena, permettendole di sfilargliela. Lui fece scorrere le mani sulla pelle candida e scoperta di lei, i polpastrelli che intanto ne saggiavano la morbidezza per l’ennesima volta.

“E… e il Signore Oscuro è andato via, lasciando Kreacher da solo. L’acqua era fredda e a Kreacher faceva tanto male la gola… Mani bianche sono spuntate dal lago e hanno afferrato Kreacher… E Kreacher ha provato a resistere, ma loro erano di più… E poi… E poi a Kreacher è stato ordinato di tornare a casa, e Kreacher ha fatto come gli era stato detto.”

Regulus aveva ascoltato il racconto di Kreacher in silenzio, il viso contratto in una smorfia schifata e rabbiosa. Non riusciva a credere a ciò che il suo Padrone aveva fatto a Kreacher, era qualcosa di troppo vergognoso da poter capire o dimenticare.

“Non devi dire a nessun altro quel che è successo in quella caverna, Kreacher, mi raccomando,” disse quindi, con la voce tremante di rabbia. L’avrebbe pagata. “E nasconditi. Non farti vedere da qualcuno che potrebbe farti del male, okay?” L’elfo annuì, impaurito, stringendo con forza la propria coperta rattoppata. “Ora vai a dormire, Kreacher. Hai bisogno di riprenderti,” aggiunse, sinceramente dispiaciuto.

Kreacher annuì ancora e, dopo essersi alzato in piedi, si avviò, barcollante, verso l’armadio dove dormiva.

Regulus non dormì, quella notte, pensò solo a chi aveva sacrificato la propria vita.

Ti sei mostrato per quel che sei davvero, ed è troppo tardi.

Ma la pagherai.

Marlene gemette contro la sua spalla, i capelli biondi sparsi sul cuscino sotto la sua testa e le palpebre velate di trucco calate sugli occhi azzurri. Regulus diede qualche altra spinta, con i gomiti poggiati ai lati della testa della ragazza per non pesarle addosso; alla fine, arrivò l’orgasmo e Regulus si sdraiò accanto a lei con il fiatone.
Accanto a lui, Marlene si passò le mani tra i capelli, il petto che iniziava ad alzarsi e ad abbassarsi ad intervalli regolari. Poi la ragazza si girò di fianco, posando la testa sulla sua spalla e passandogli un braccio un po’ sopra la vita; lui la imitò, stringendola a sé e aspirando il profumo dei suoi capelli.
Riflettendo, Regulus pensò che effettivamente il suo momento preferito era il dopo orgasmo. Regnava la pace, in quei minuti, e c’era talmente silenzio che lui poteva anche contare i respiri di Marlene accanto a sé; e poi c’era proprio Marlene, che gli si accoccolava vicino e le sembrava la persona più vicina a lui in quel tempo. Non sapeva cosa gli stava accadendo, ma nascondere tutto al Signore Oscuro – solo a pensarci, la rabbia s’impossessava ancora di lui – diventava ogni giorno più difficile.
“Blacky, è tardi…” mormorò appena Marlene, parlandogli sulla pelle.
Lui lanciò un’occhiata all’orologio, prima di tirarsi a sedere, trascinandola così con lui. Lei gli scoccò un lieve bacio sul collo, ridacchiando appena ed accendendosi la solita sigaretta, mentre lui si rivestiva e, dopo aver aperto la porta, controllava che non ci fosse nessuno. Nessuno doveva vederlo lì, con Marlene, o sarebbe stata la fine.
Perché era tardi per tutto, ma per loro era ancora troppo presto.

(E forse, lo sarebbe stato sempre.)
 

*
 

Aprile 1980.
 

“Tutto bene?” le chiese Emmeline, versandole del tè. Erano sedute al tavolo della cucina del quartier generale dell’Ordine da ormai una mezzoretta, ma fino ad ora avevano passato il tempo lancia dosi occhiatine di sottecchi – nel caso di Emmeline – o guardando fuori dalla finestra – nel caso di Marlene.
A scuola, loro due non si erano mai parlate. Emmeline aveva due anni più di lei ed era stata una Corvonero, perciò oltre a non avere corsi in comune non l’aveva mai nemmeno incrociata in luoghi comuni. Avevano iniziato a legare quando, circa sei mesi prima, era stata coinvolta in un attacco dei Mangiamorte ed Emmeline l’aveva tratta in salvo, portandola da Silente. Lui aveva proposto a Marlene di entrare nell’Ordine, ma lei ci aveva messo qualche settimana a decidersi. Da allora, Emmeline era diventata la sua più grande amica: Astris era ancora in viaggio – doveva tornare a luglio, e Marlene non vedeva l’ora di rivederla e poterla riabbracciare – mentre le altre sue amiche di Hogwarts sembrano essere scomparse, inghiottite dalla guerra.
“Oh, sì,” sorrise Marlene, tranquilla, soffiando sul proprio tè. “Grazie,” aggiunse poi, indicando la tazza con un cenno del capo. Emmeline scosse la testa, come a farle intendere che non c’era nulla per cui ringraziare. “Tu?”
“Bene, bene,” rispose Emmeline, sistemandosi una ciocca scura dietro l’orecchio. “Senti… è da un po’ che ti vedo strana. C’è qualcosa che vorresti dirmi?”
“Mmh? Strana?, in che senso?” chiese Marlene, sorseggiando il tè, assumendo un’aria curiosa.
“Non lo so,” ammise Emmeline, sorridendole dolcemente. “Sei sicura che non ci sia niente? Con me puoi parlare, se c’è qualche problema puoi dirmelo.”
Marlene scosse la testa, i riccioli biondi che si muovevano sulle spalle. “Ehi, tranquilla,” ridacchiò quindi. “Non succede nulla.”
Emmeline si morse il labbro inferiore, osservandola con un’espressione decisamente poco convinta. Aveva paura per lei, glielo si leggeva negli occhi velati di un misto di dispiacere e paura. Marlene si chiese perché avesse paura Emmeline, se non ce l’aveva neppure lei; o almeno, lei non l’aveva per se stessa, ma non poteva negare di essere terrorizzata dall’idea della morte della sua famiglia. E sapeva, Marlene, che stare nell’Ordine sì, conferiva loro maggiore protezione, ma allo stesso tempo erano più ambiti tra i Mangiamorte.
Alla fine, Emmeline parve convincersi, perché sbuffò e si raddrizzò sulla sedia. Poi le sorrise, quasi volesse parlare per risollevarle il morale. Marlene si era a malapena trattenuta dall’aggrottare le sopracciglia, nascondendo tutto dietro il solito sorriso sfacciato e sicuro di sé.
“Vabbe’, ma che mi racconti?” chiese, infatti, ora curiosa. “A volte sparisci per pomeriggi interi… Impiccio?”
“Non lo definirei proprio un impiccio,” sorrise Marlene, bevendo un altro po’ di tè.
“Oh,” Emmeline si illuminò. “Quindi è qualcosa di più serio!”
“Non esageriamo,” la bloccò la bionda, perché Emmeline, quando ci si metteva, sapeva parlare finché non crollava. “È solo… niente, già,” annuì, pensierosa, per poi posare la tazza sul tavolo e battere le mani. “E tu, invece? Ragazzi?”
Emmeline arrossì ed iniziò a parlarle di un certo Samuel, che seguiva il suo stesso corso al Ministero. Marlene, prima di poterselo impedire, si chiese perché lei non potesse fare lo stesso con Regulus. Poi si ricordò chi erano entrambi.
 

*
 

Maggio 1980.
 

“Avrei un incarico per voi, spero lo svogliate con l’attenzione e la precisione necessarie,” si premurò di dire Voldemort, guardando i quattro Mangiamorte davanti a lui. Regulus, Bellatrix, Rodolphus e Severus annuirono. “Dobbiamo ringraziare Peter, che ha deciso di unirsi a noi e collaborare,” aggiunse, senza degnare di uno sguardo Peter Minus, che lo guardava, tremante, da un angolo poco lontano. “Li abbiamo scovati, finalmente. Agirete domani.”

 
Quella volta fu Marlene ad alzarsi per prima da quel groviglio di coperte, vestiti e talvolta anche cenere. Si rivestì rapidamente, prendendosi solo il tempo di fumare una sigaretta accanto alla finestra.
Regulus la guardò lasciar uscire il fumo fuori, coperta solo dall’intimo, i capelli biondi che le arrivavano quasi a metà schiena in onde morbide e profumate – odoravano di mela, i capelli di Marlene, ormai l’aveva capito.
Mentre la ragazza si rivestiva, Regulus non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Era bella, Marlene, e lo sapevano entrambi: snella, slanciata, bionda e dall’aria fresca. Una di quelle bellezze che colpiscono al volo, e lei aveva sempre usato questa sua dote a proprio vantaggio, ad Hogwarts; fuori da scuola era stato più difficile: non sapeva chi fossero i Mangiamorte, a parte qualche persona grazie al suo ruolo nell’Ordine, e a volte aveva paura di essere riconosciuta. Di solito dava la colpa al suo spiccato egocentrismo.
Allacciandosi i bottoncini della camicetta, Marlene si sedette sul bordo del letto, accanto a Regulus. Poi gli prese il viso fra le mani e catturò le sue labbra in un bacio dolce, forse anche troppo per loro due. Lui non disse niente, limitandosi a ricambiare e poi a guardarla uscire via.

Perché gli era sembrato tutto un addio?
 

Regulus seguì sua cugina e il marito attraverso la stradina di una cittadina semi-magica piuttosto piccola. Si trovavano vicino Tinworth, gli era parso di capire. Lungo i cigli della strada, le foglie degli alberi erano verdi, ed il cielo diventava mano a mano sempre più scuro.
Si fermarono davanti ad una casa come tutte le altre: le luci del salone e due del piano di sopra erano accese, e a volte si vedevano delle ombre proiettate sui muri. Regulus sentì sua cugina Bellatrix ridere ed estrarre la bacchetta.
“Ancora non si sono accorti delle barriere,” commentò, sarcastica. “Che sciocchi”. Con un incantesimo, Bellatrix aprì il cancelletto che dava sul cortile della casa. Regulus aveva la pelle d’oca e non sapeva perché: si guardava attorno con aria circospetta, e più che tutto cercava di capire di chi fosse la casa in cui stavano entrando.
Rodolphus fece scattare la serratura di casa, aprendola senza far rumore: erano entrati in una specie di atrio lungo e un po’ stretto. Dalla porta un po’ più avanti verso la destra arrivò il rumore di passi affrettati e sussurri decisi.
A Regulus parve di sentire un: “Chiama gli altri” dal tono dannatamente familiare, e mentre sentiva i propri battiti accelerare strinse maggiormente la bacchetta, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo sappiamo che siete qui,” canticchiò Bellatrix, ridacchiando, malevola. “Uscite fuori, su. Fate i bravi, oppure Silly vi metterà in punizione!”
I rumori cessarono e calò un silenzio innaturale, che poi venne spezzato da un urlo: “Prendi Sally! Prendi Sally e scappa! Mi hai sentito, Marlene? Prendi Sally e scappa! Ti prego!
Se non avesse indossato la maschera, Regulus non avrebbe saputo spiegare il motivo per cui sbiancò notevolmente. Il suo corpo era scosso da un leggero tremore: Marlene, qualcuno aveva chiamato Marlene. Ed era di Marlene la figura che corse fuori dal salotto e salì le scale – a Regulus mancò l’aria per un attimo, e non solo per il singhiozzo che aveva udito benissimo uscire dalle labbra di Marlene.
Rodolphus e Rabastan entrarono nel salotto, le bacchette spianate, e dopo poco delle urla agghiaccianti riempirono la casa. Bellatrix invece si affrettò in direzione delle scale, le labbra piegate in un sorriso sardonico, e Regulus avrebbe davvero voluto che si fosse messa la maschera, solo per non vedere quel ghigno.
“Marlenuccia, non potrai scappare in eterno…” ridacchiò la donna, iniziando a salire le scale e facendo cenno a Regulus di seguirla. Passando di fronte al salotto, il ragazzo vide un uomo dai capelli biondi come quelli di Marlene che si contorceva a terra, urlando a pieni polmoni.
Il piano superiore era completamente buio, fatta eccezione per la luce che filtrava da sotto l’ultima porta del corridoio, chiusa con la magia. All’interno, la voce di Marlene e di qualcun altro erano a malapena percepibili, ma la paura era palpabile in quei loro mormorii. Quando Bellatrix fece saltare in aria la porta, Regulus avrebbe voluto scomparire: il volto di Marlene era totalmente bianco, così bianco da far paura, e gli occhi erano umidi di lacrime che premevano per scivolarle lungo le guance; aveva un braccio attorno alle spalle di una ragazzina che non doveva avere più di tredici anni e che tremava forsennatamente.
Bellatrix mosse la bacchetta, dalla cui punta scaturì un getto verde che però Marlene parò rapidamente, lasciando andare la bambina – Regulus capì che si trattava della Sally di cui aveva parlato l’uomo sotto – e urlandole: “Usa la bacchetta, Sally!”
Quando Bellatrix puntò la bacchetta contro la ragazzina, tuttavia, Marlene urlò forte un: “Non toccare mia sorella, puttana!” e un gettò verde partì dalla sua bacchetta. Subito dopo, mentre la donna parava il colpo ridendo di lei, Marlene lanciò un altro Anatema, e Regulus, ancora fuori dalla porta, nascosto nel buio, vide nei suoi occhi la disperazione di chi è pronto a tentare il tutto per tutto per la propria vita.
Bellatrix le lanciò contro un incantesimo di ostacolo, e Marlene lo evitò per un soffio, gettandosi di lato, ma la Mangiamorte, approfittando del momento, scagliò un secondo Anatema verso Sally. E questa volta, la ragazzina non fu così fortunata: cadde a terra nel giro di pochi secondi, mentre l’urlo di Marlene gli riempiva le orecchie.
Regulus si costrinse a guardarla, e così facendo entrambe le donne all’interno della stanza si accorsero di lui. Bellatrix gli disse di entrare, mentre Marlene lo guardava fisso, spaventata: non aveva speranze, ormai lo aveva capito. Dopotutto lo sapeva da tanto, che un giorno quel giorno sarebbe arrivato, ma aspettarselo era diverso dal dover vivere quel momento.
“Vuoi avere l’onore?” gli chiese Bellatrix, giocando con la propria bacchetta. Marlene scattò in piedi di scatto, evitando appena un altro incantesimo della Mangiamorte, per poi lanciare una fattura contro Regulus. La sua maschera cadde per terra, e gli occhi di Marlene si sgranarono alla luce della luna davanti a quel viso conosciuto; le sue labbra si socchiusero, come se stesse per dire qualcosa, ma se anche così fosse stato si sarebbe portata quel qualcosa nella tomba, perché in quel preciso istante Bellatrix gridò:
Avada Kedavra!”
Gli occhi di Marlene, sgranati e colmi di lacrime, persero la luce che solitamente li emanava, mentre il suo corpo si afflosciava sul pavimento. Bellatrix si avvicinò al cadavere, per poi pestarle una mano e ringhiando: “Così imparate, luridi Sanguesporco.”
Regulus tuttavia rimase lì, mentre Bellatrix lo ignorava ed usciva dalla stanza. Ci mise qualche secondo a realizzare che la risata di Marlene non esisteva più: che non esisteva più quel sorriso, che non esistevano più quei baci, quelle parole e quegli incontri.
E si odiò, Regulus, senza riuscire ad impedirselo – perché lei non aveva mai voluto sentimenti, ma alla fine lui si era attaccato a lei, come se fosse la sua ancora, e dopotutto lo era. Ora era perso nel buio, e anche la luce era stata spenta.

Marlene non gli avrebbe più illuminato la strada.






***

Me tanto tristeMe tanto triste perché questa storia - che giuro, amo con tutta me stessa - è già arrivata al penultimo capitolo, e io non mi sento ancora pronta a postare l'ultimo: Dietro la pelle significa così tanto per me, ma mi tengo il discorso chilometrico per l'ultimo discorso.
Però, ai pochi che seguono questa fanfiction (solo la mia Tef
), prometto che presto o tardi mi vedrete tornare con un'altra Reglene, perché li amo troppo e, nonostante il loro ciclo si stia chiudendo - già, nonostante sia morta Marlene, loro non sono ancora finiti, e per me non finiranno mai -, non potrò mai lasciarli. 
Comunque.
Non avete idea di quanto sia stato difficile scrivere la morte di Marlene - lei, così vitale: vederla spezzarsi in questo modo mi ha distrutta, sebbene, ovviamente, essendo l'autrice, sapessi già come sarebbe successo. Ci tengo solo a specificare che NO, manca ancora un pezzo, e Marlene purtroppo non comparirà, ma ci sarà solo Regulus - e non con i suoi soliloqui su Marlene, ma alle prese con qualcosa di più importante che la morte di Marlene gli ha fatto finalmente vedere.
La parte di Greyback è ispirata, come detto nelle note di inizio ff, a Eroi non si nasce, si diventa di Julia Weasley - la amo, il suo Regulus è il migliore del mondo, leggetela, merita davvero!
Ora vado a finire Hunger Games (o almeno a tentare di finire di leggere HG), oppure a scrivere qualcosa - qualcosa farò, in sostanza.
Ai lov iu oll, ai suer (sto sclerando, non fateci caso)

Eralery

LA MIA PAGINA E' QUESTA.

A Regulus parve di sentire un: “Chiama gli altri” dal tono dannatamente familiare, e mentre sentiva i propri battiti accelerare strinse maggiormente la bacchetta, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo sappiamo che siete qui,” canticchiò Bellatrix, ridacchiando, malevola. “Uscite fuori, su. Fate i bravi, oppure Silly vi metterà in punizione!”
I rumori cessarono e calò un silenzio innaturale, che poi venne spezzato da un urlo: “Prendi Sally! Prendi Sally e scappa! Mi hai sentito, Marlene? Prendi Sally e scappa! Ti prego!”
Se non avesse indossato la maschera, Regulus non avrebbe saputo spiegare il motivo per cui sbiancò notevolmente. Il suo corpo era scosso da un leggero tremore: Marlene, qualcuno aveva chiamato Marlene. Ed era di Marlene la figura che corse fuori dal salotto e salì le scale – a Regulus mancò l’aria per un attimo, e non solo per il singhiozzo che aveva udito benissimo uscire dalle labbra di Marlene.
Rodolphus e Rabastan entrarono nel salotto, le bacchette spianate, e dopo poco delle urla agghiaccianti riempirono la casa. Bellatrix invece si affrettò in direzione delle scale, le labbra piegate in un sorriso sardonico, e Regulus avrebbe davvero voluto che si fosse messa la maschera, solo per non vedere quel ghigno.
“Marlenuccia, non potrai scappare in eterno…” ridacchiò la donna, iniziando a salire le scale e facendo cenno a Regulus di seguirla. Passando di fronte al salotto, il ragazzo vide un uomo dai capelli biondi come quelli di Marlene che si contorceva a terra, urlando a pieni polmoni.
Il piano superiore era completamente buio, fatta eccezione per la luce che filtrava da sotto l’ultima porta del corridoio, chiusa con la magia. All’interno, la voce di Marlene e di qualcun altro erano a malapena percepibili, ma la paura era palpabile in quei loro mormorii. Quando Bellatrix fece saltare in aria la porta, Regulus avrebbe voluto scomparire: il volto di Marlene era totalmente bianco, così bianco da far paura, e gli occhi erano umidi di lacrime che premevano per scivolarle lungo le guance; aveva un braccio attorno alle spalle di una ragazzina che non doveva avere più di tredici anni e che tremava forsennatamente.
Bellatrix mosse la bacchetta, dalla cui punta scaturì un getto verde che però Marlene parò rapidamente, lasciando andare la bambina – Regulus capì che si trattava della Sally di cui aveva parlato l’uomo sotto – e urlandole: “Usa la bacchetta, Sally!”
Quando Bellatrix puntò la bacchetta contro la ragazzina, tuttavia, Marlene urlò forte un: “Non toccare mia sorella, puttana!” e un gettò verde partì dalla sua bacchetta. Subito dopo, mentre la donna parava il colpo ridendo di lei, Marlene lanciò un altro Anatema, e Regulus, ancora fuori dalla porta, nascosto nel buio, vide nei suoi occhi la disperazione di chi è pronto a tentare il tutto per tutto per la propria vita.
Bellatrix le lanciò contro un incantesimo di ostacolo, e Marlene lo evitò per un soffio, gettandosi di lato, ma la Mangiamorte, approfittando del momento, scagliò un secondo Anatema verso Sally. E questa volta, la ragazzina non fu così fortunata: cadde a terra nel giro di pochi secondi, mentre l’urlo di Marlene gli riempiva le orecchie.
Regulus si costrinse a guardarla, e così facendo entrambe le donne all’interno della stanza si accorsero di lui. Bellatrix gli disse di entrare, mentre Marlene lo guardava fisso, spaventata: non aveva speranze, ormai lo aveva capito. Dopotutto lo sapeva da tanto, che un giorno quel giorno sarebbe arrivato, ma aspettarselo era diverso dal dover vivere quel momento.
“Vuoi avere l’onore?” gli chiese Bellatrix, giocando con la propria bacchetta. Marlene scattò in piedi di scatto, evitando appena un altro incantesimo della Mangiamorte, per poi lanciare una fattura contro Regulus. La sua maschera cadde per terra, e gli occhi di Marlene si sgranarono alla luce della luna davanti a quel viso conosciuto; le sue labbra si socchiusero, come se stesse per dire qualcosa, ma se anche così fosse stato si sarebbe portata quel qualcosa nella tomba, perché in quel preciso istante Bellatrix gridò:
Avada Kedavra!”
Gli occhi di Marlene, sgranati e colmi di lacrime, persero la luce che solitamente emanavano, mentre il suo corpo si afflosciava sul pavimento. Bellatrix si avvicinò al cadavere, per poi pestarle una mano e ringhiando: “Così imparate, luridi Sanguesporco.”
Regulus tuttavia rimase lì, mentre Bellatrix lo ignorava ed usciva dalla stanza. Ci mise qualche secondo a realizzare che la risata di Marlene non esisteva più: che non esisteva più quel sorriso, che non esistevano più quei baci, quelle parole e quegli incontri.
E si odiò, Regulus, senza riuscire ad impedirselo – perché lei non aveva mai voluto sentimenti, ma alla fine lui si era attaccato a lei, come se fosse la sua ancora, e dopotutto lo era. Ora era perso nel buio, e anche la luce era stata spenta.
Marlene non gli avrebbe più illuminato la strada.
A Regulus parve di sentire un: “Chiama gli altri” dal tono dannatamente familiare, e mentre sentiva i propri battiti accelerare strinse maggiormente la bacchetta, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo sappiamo che siete qui,” canticchiò Bellatrix, ridacchiando, malevola. “Uscite fuori, su. Fate i bravi, oppure Silly vi metterà in punizione!”
I rumori cessarono e calò un silenzio innaturale, che poi venne spezzato da un urlo: “Prendi Sally! Prendi Sally e scappa! Mi hai sentito, Marlene? Prendi Sally e scappa! Ti prego!”
Se non avesse indossato la maschera, Regulus non avrebbe saputo spiegare il motivo per cui sbiancò notevolmente. Il suo corpo era scosso da un leggero tremore: Marlene, qualcuno aveva chiamato Marlene. Ed era di Marlene la figura che corse fuori dal salotto e salì le scale – a Regulus mancò l’aria per un attimo, e non solo per il singhiozzo che aveva udito benissimo uscire dalle labbra di Marlene.
Rodolphus e Rabastan entrarono nel salotto, le bacchette spianate, e dopo poco delle urla agghiaccianti riempirono la casa. Bellatrix invece si affrettò in direzione delle scale, le labbra piegate in un sorriso sardonico, e Regulus avrebbe davvero voluto che si fosse messa la maschera, solo per non vedere quel ghigno.
“Marlenuccia, non potrai scappare in eterno…” ridacchiò la donna, iniziando a salire le scale e facendo cenno a Regulus di seguirla. Passando di fronte al salotto, il ragazzo vide un uomo dai capelli biondi come quelli di Marlene che si contorceva a terra, urlando a pieni polmoni.
Il piano superiore era completamente buio, fatta eccezione per la luce che filtrava da sotto l’ultima porta del corridoio, chiusa con la magia. All’interno, la voce di Marlene e di qualcun altro erano a malapena percepibili, ma la paura era palpabile in quei loro mormorii. Quando Bellatrix fece saltare in aria la porta, Regulus avrebbe voluto scomparire: il volto di Marlene era totalmente bianco, così bianco da far paura, e gli occhi erano umidi di lacrime che premevano per scivolarle lungo le guance; aveva un braccio attorno alle spalle di una ragazzina che non doveva avere più di tredici anni e che tremava forsennatamente.
Bellatrix mosse la bacchetta, dalla cui punta scaturì un getto verde che però Marlene parò rapidamente, lasciando andare la bambina – Regulus capì che si trattava della Sally di cui aveva parlato l’uomo sotto – e urlandole: “Usa la bacchetta, Sally!”
Quando Bellatrix puntò la bacchetta contro la ragazzina, tuttavia, Marlene urlò forte un: “Non toccare mia sorella, puttana!” e un gettò verde partì dalla sua bacchetta. Subito dopo, mentre la donna parava il colpo ridendo di lei, Marlene lanciò un altro Anatema, e Regulus, ancora fuori dalla porta, nascosto nel buio, vide nei suoi occhi la disperazione di chi è pronto a tentare il tutto per tutto per la propria vita.
Bellatrix le lanciò contro un incantesimo di ostacolo, e Marlene lo evitò per un soffio, gettandosi di lato, ma la Mangiamorte, approfittando del momento, scagliò un secondo Anatema verso Sally. E questa volta, la ragazzina non fu così fortunata: cadde a terra nel giro di pochi secondi, mentre l’urlo di Marlene gli riempiva le orecchie.
Regulus si costrinse a guardarla, e così facendo entrambe le donne all’interno della stanza si accorsero di lui. Bellatrix gli disse di entrare, mentre Marlene lo guardava fisso, spaventata: non aveva speranze, ormai lo aveva capito. Dopotutto lo sapeva da tanto, che un giorno quel giorno sarebbe arrivato, ma aspettarselo era diverso dal dover vivere quel momento.
“Vuoi avere l’onore?” gli chiese Bellatrix, giocando con la propria bacchetta. Marlene scattò in piedi di scatto, evitando appena un altro incantesimo della Mangiamorte, per poi lanciare una fattura contro Regulus. La sua maschera cadde per terra, e gli occhi di Marlene si sgranarono alla luce della luna davanti a quel viso conosciuto; le sue labbra si socchiusero, come se stesse per dire qualcosa, ma se anche così fosse stato si sarebbe portata quel qualcosa nella tomba, perché in quel preciso istante Bellatrix gridò:
Avada Kedavra!”
Gli occhi di Marlene, sgranati e colmi di lacrime, persero la luce che solitamente emanavano, mentre il suo corpo si afflosciava sul pavimento. Bellatrix si avvicinò al cadavere, per poi pestarle una mano e ringhiando: “Così imparate, luridi Sanguesporco.”
Regulus tuttavia rimase lì, mentre Bellatrix lo ignorava ed usciva dalla stanza. Ci mise qualche secondo a realizzare che la risata di Marlene non esisteva più: che non esisteva più quel sorriso, che non esistevano più quei baci, quelle parole e quegli incontri.
E si odiò, Regulus, senza riuscire ad impedirselo – perché lei non aveva mai voluto sentimenti, ma alla fine lui si era attaccato a lei, come se fosse la sua ancora, e dopotutto lo era. Ora era perso nel buio, e anche la luce era stata spenta.
Marlene non gli avrebbe più illuminato la strada.

   
 
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