4.*
Dicembre 1979.
Il tintinnio delle posate sui piatti di
ceramica gli rimbombava nelle orecchie, mentre Orion e Walburga
s’intrattenevano con i coniugi Hardgraves e cercavano, di tanto in tanto, di
rendere partecipi lui e Lavinia, la figlia dei due ospiti, nonché sua futura sposa.
Di tanto in tanto, Regulus alzava gli
occhi dal proprio piatto e li puntava di nascosto e con discretezza sulla
figura della ragazza: i capelli biondi erano sciolti sulle spalle, gli occhi
erano di un grigio chiarissimo e il corpo era piccolo e minuto.
Quando la guardava, Regulus non poteva
trattenersi dal fare paragoni. Perché se una volta era il colore degli occhi,
dopo era la linea delle labbra, e poi i capelli, e dopo ancora tutto il modo di
fare. Lavinia aveva un’aria distaccata, simile alla sua, mentre Marlene era una
di quelle persone esuberanti, che si fanno prendere spesso dall’entusiasmo.
C’era una differenza abissale tra le due, e Regulus era sicuro che i suoi
genitori avrebbero sempre preferito Lavinia – anche se Marlene fosse stata
Purosangue –, mentre lui avrebbe scelto Marlene comunque.
Marlene,
Marlene, Marlene. Quando era in missione non ci pensava
mai, un po’ perché non voleva un po’ perché quel che vedeva era talmente
raccapricciante da impedirgli di pensare a qualcosa di bello. Aveva paura,
Regulus, ce l’aveva sempre, perché bastava poco, uno sbaglio, un errore, una
parola, un pensiero e tutto sarebbe finito e lui sarebbe morto – e con molte
probabilità sarebbe morta anche Marlene.
Ci pensava troppo spesso, da quando si
vedevano. Era solo sesso, quel che c’era tra loro, se lo ripetevano a vicenda
ogni volta, quasi avessero paura di scordarlo. Eppure, nonostante ciò, Regulus
spesso sentiva di essere come ossessionato da lei: Marlene, per lui,
rappresentava l’unica cosa che avrebbe sempre voluto, la libertà. Questo
significava per lui Marlene, ed era per questo che non la voleva lasciar andare
via, in un certo senso: quando era con lei, in quella camera impolverata e
ormai piena di loro due, era come se non appartenesse a nessun posto, come se
potesse essere quel che voleva dove voleva.
“Mi passeresti il sale?” chiese Lavinia,
con voce pacata, distogliendolo da quei pensieri. Regulus, dopo un attimo di
smarrimento, le passò la saliera, nascondendosi dentro tutto – tutti i pensieri, tutte le parole, tutte le carezze.
*
“Passate buone vacanze?” domandò Marlene,
appoggiata al cornicione della finestra della solita stanza della Testa di
Porco, la bacchetta con cui aveva aperto la porta ancora in mano.
“Ovviamente,” rispose lui, neutro,
togliendosi il cappotto e appoggiandolo allo schienale di una sedia vicino al
tavolino. Si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti e lanciò appena
un’occhiata al vassoio pieno delle prelibatezze di Aberforth che si trovava sul
tavolo. “Tu?”
“Non mi lamento,” disse, stringendosi
nelle spalle ed alzandosi in piedi. Gli si avvicinò, rapida e senza far rumore,
allacciandogli poi le braccia dietro la nuca e piegando le labbra in quel suo
sorriso da gatta. Marlene avvicinò il proprio viso al suo, e per l’ennesima
volta non servirono parole.
“Ti uccideranno, quelle cose,” le fece
notare Regulus, guardandola con le sopracciglia scure inarcate.
Marlene alzò le spalle, sbuffando un
risolino e un poco di fumo, e ribatté come tempo addietro aveva fatto: “Penso che lo farà prima qualcun altro.”
Regulus sbiancò appena, ancora, al sentirla
pronunciare tali parole, e si coprì un po’ di più con le coperte del letto. Lo
impressionava il modo di parlare di Marlene: sembrava essersi come rassegnata
alla morte, quasi non avesse possibilità di scamparla e di salvarsi. Però non
sapeva, Regulus, come lo impressionava: a tratti la considerava una stupida,
perché volendo avrebbe potuto combattere, a tratti sveglia, perché nonostante
tutto si godeva la propria corta vita.
“Non è detto,” rispose infine, con
studiata calma, la voce piatta. Non lasciar trapelare nessuna emozione, era
questo il trucco. Era sempre stato quello.
“Oh, sì che lo è,” commentò lei, ciccando
in un posacenere fatto apparire poco prima. “E tu dovresti saperlo meglio di
me,” aggiunse, lanciandogli un’occhiata penetrante. E Regulus si sentì scoperto
da tutte le maschere che indossava, perché sapeva che lei era al corrente di
tutto e che non perdeva occasione di ricordarglielo. Era una cosa che odiava, e
ogni volta avrebbe voluto urlare che non era una cosa che aveva scelto lui, ma
che gli era stata praticamente imposta.
“Sarà,” si limitò a controbattere,
girandosi a pancia in sotto ed affondando il viso nel guanciale. Sentì Marlene
– che aveva posato la sigaretta nel posacenere – muoversi verso di lui; gli si
sdraiò accanto, accarezzandogli poi la schiena con una mano e sistemando una
gamba tra le sue.
“È così,” mormorò Marlene, posando le
labbra prima sulla sua spalla, poi un po’ più verso la nuca e poi sotto
l’orecchio. “Ma ora non importa.”
*
Febbraio 1980.
Regulus sgranò gli occhi, mentre il suo
viso perdeva colore. Accanto a lui, Severus Piton osservava la scena con
un’espressione disgustata: poco distante da loro, stava Greyback, ormai noto
come uno dei peggiori Lupi Mannari del tempo – se non il peggiore.
“Cosa ci fa lui qui?” domandò a bassa
voce, osservando con orrore i denti acuminati del Licantropo.
Severus voltò il capo verso di lui e gli
intimò: “Abbassa la voce, Black. A quanto pare è uno dei nostri. È entrato da
poco tra le schiere dell’Oscuro Signore.”
Il viso di Regulus si tramutò in una
maschera di stupore misto a ribrezzo e terrore. “Ma come… è… è un ibrido,” sussurrò, mentre Greyback
diceva qualcosa ad un Rabastan Lestrange piuttosto schifato. “Non può stare
qui.”
Il
Signore Oscuro non lo permetterebbe mai.
O forse
sì?
Ma lui
vuole liberarci dalla feccia… e Greyback fa parte della feccia. Perché è qui?
Seveurs si strinse nelle spalle, e
rispose: “Non ha il marchio. Ma è a capo di un branco di Licantropi, e altri
alleati potranno tornarci utili.”
Regulus annuì impercettibilmente, per
nulla convinto. Quel che aveva appena scoperto aveva fatto crollare un po’ di
quel suo muro fatto di convinzioni che i suoi genitori gli avevano inculcato
sin da quand’era solo un ragazzino. Aveva sempre pensato che i Licantropi,
essendo degli ibridi, sarebbero stati esiliati; non aveva mai nemmeno
immaginato che un giorno il suo Signore avrebbe anche solo preso in
considerazione l’ipotesi di unirsi a loro.
Eppure
l’ha appena fatto -
pensò, mentre dubbi e supposizioni si accavallavano nella sua mente. Cosa vuole in realtà?
*
Marzo 1980.
Marlene gli baciò le labbra, le mani
poggiate sulle sue guance, mentre lui le stringeva la vita con le braccia.
Tuttavia, Regulus non era in grado di pensare ad altro che non fossero le
parole di Kreacher, spezzate dai singhiozzi sfuggiti all’elfo.
“Kreacher…” mormorò, mentre l’elfo si
stringeva le ginocchia, rannicchiato sotto le proprie coperte. “Kreacher, che
succede? Kreacher, parla, che è successo?”
“Padron… Padron Regulus,” gracchiò la
creatura, torturandosi le dita ossute delle mani. “Cose orribili, padron
Regulus… C’erano mani bianche, e c’era acqua dappertutto… Kreacher voleva
gridare, ma Kreacher doveva bere la pozione… Kreacher aveva tanta paura…”
Regulus sentì la rabbia montare in lui,
guardando l’elfo che l’aveva cresciuto preda di un dolore tanto grande. Era
sempre stato molto affezionato a Kreacher, lo trattava bene e lui si prendeva
cura di lui, si premurava che stesse sempre bene.
Ma io non sono
riuscito a fare lo stesso.
“Kreacher,” disse a voce bassa ma
perentoria. “Dimmi che è successo.”
Le mani calde di Marlene si facevano
largo sotto la sua maglietta, e, sebbene non stesse pensando a lei e a quel che
stava accadendo in quel momento, Regulus inarcò maggiormente la schiena,
permettendole di sfilargliela. Lui fece scorrere le mani sulla pelle candida e
scoperta di lei, i polpastrelli che intanto ne saggiavano la morbidezza per
l’ennesima volta.
“E… e il Signore Oscuro è andato via,
lasciando Kreacher da solo. L’acqua era fredda e a Kreacher faceva tanto male
la gola… Mani bianche sono spuntate dal lago e hanno afferrato Kreacher… E
Kreacher ha provato a resistere, ma loro erano di più… E poi… E poi a Kreacher
è stato ordinato di tornare a casa, e Kreacher ha fatto come gli era stato
detto.”
Regulus aveva ascoltato il racconto di
Kreacher in silenzio, il viso contratto in una smorfia schifata e rabbiosa. Non
riusciva a credere a ciò che il suo Padrone aveva fatto a Kreacher, era
qualcosa di troppo vergognoso da poter capire o dimenticare.
“Non devi dire a nessun altro quel che è
successo in quella caverna, Kreacher, mi raccomando,” disse quindi, con la voce
tremante di rabbia. L’avrebbe pagata. “E nasconditi. Non farti vedere da
qualcuno che potrebbe farti del male, okay?” L’elfo annuì, impaurito,
stringendo con forza la propria coperta rattoppata. “Ora vai a dormire,
Kreacher. Hai bisogno di riprenderti,” aggiunse, sinceramente dispiaciuto.
Kreacher annuì ancora e, dopo essersi
alzato in piedi, si avviò, barcollante, verso l’armadio dove dormiva.
Regulus non dormì, quella notte, pensò
solo a chi aveva sacrificato la propria vita.
Ti sei mostrato
per quel che sei davvero, ed è troppo tardi.
Ma la pagherai.
Marlene gemette contro la sua spalla, i
capelli biondi sparsi sul cuscino sotto la sua testa e le palpebre velate di
trucco calate sugli occhi azzurri. Regulus diede qualche altra spinta, con i
gomiti poggiati ai lati della testa della ragazza per non pesarle addosso; alla
fine, arrivò l’orgasmo e Regulus si sdraiò accanto a lei con il fiatone.
Accanto a lui, Marlene si passò le mani
tra i capelli, il petto che iniziava ad alzarsi e ad abbassarsi ad intervalli
regolari. Poi la ragazza si girò di fianco, posando la testa sulla sua spalla e
passandogli un braccio un po’ sopra la vita; lui la imitò, stringendola a sé e
aspirando il profumo dei suoi capelli.
Riflettendo, Regulus pensò che
effettivamente il suo momento preferito era il dopo orgasmo. Regnava la pace,
in quei minuti, e c’era talmente silenzio che lui poteva anche contare i
respiri di Marlene accanto a sé; e poi c’era proprio Marlene, che gli si
accoccolava vicino e le sembrava la persona più vicina a lui in quel tempo. Non
sapeva cosa gli stava accadendo, ma nascondere tutto al Signore Oscuro – solo a
pensarci, la rabbia s’impossessava ancora di lui – diventava ogni giorno più
difficile.
“Blacky, è tardi…” mormorò appena
Marlene, parlandogli sulla pelle.
Lui lanciò un’occhiata all’orologio,
prima di tirarsi a sedere, trascinandola così con lui. Lei gli scoccò un lieve
bacio sul collo, ridacchiando appena ed accendendosi la solita sigaretta,
mentre lui si rivestiva e, dopo aver aperto la porta, controllava che non ci
fosse nessuno. Nessuno doveva vederlo lì, con Marlene, o sarebbe stata la fine.
Perché era tardi per tutto, ma per loro
era ancora troppo presto.
(E
forse, lo sarebbe stato sempre.)
*
Aprile 1980.
“Tutto bene?” le chiese Emmeline,
versandole del tè. Erano sedute al tavolo della cucina del quartier generale
dell’Ordine da ormai una mezzoretta, ma fino ad ora avevano passato il tempo
lancia dosi occhiatine di sottecchi – nel caso di Emmeline – o guardando fuori
dalla finestra – nel caso di Marlene.
A scuola, loro due non si erano mai
parlate. Emmeline aveva due anni più di lei ed era stata una Corvonero, perciò
oltre a non avere corsi in comune non l’aveva mai nemmeno incrociata in luoghi
comuni. Avevano iniziato a legare quando, circa sei mesi prima, era stata
coinvolta in un attacco dei Mangiamorte ed Emmeline l’aveva tratta in salvo,
portandola da Silente. Lui aveva proposto a Marlene di entrare nell’Ordine, ma
lei ci aveva messo qualche settimana a decidersi. Da allora, Emmeline era
diventata la sua più grande amica: Astris era ancora in viaggio – doveva
tornare a luglio, e Marlene non vedeva l’ora di rivederla e poterla
riabbracciare – mentre le altre sue amiche di Hogwarts sembrano essere
scomparse, inghiottite dalla guerra.
“Oh, sì,” sorrise Marlene, tranquilla,
soffiando sul proprio tè. “Grazie,” aggiunse poi, indicando la tazza con un
cenno del capo. Emmeline scosse la testa, come a farle intendere che non c’era
nulla per cui ringraziare. “Tu?”
“Bene, bene,” rispose Emmeline,
sistemandosi una ciocca scura dietro l’orecchio. “Senti… è da un po’ che ti
vedo strana. C’è qualcosa che vorresti dirmi?”
“Mmh? Strana?, in che senso?” chiese
Marlene, sorseggiando il tè, assumendo un’aria curiosa.
“Non lo so,” ammise Emmeline,
sorridendole dolcemente. “Sei sicura che non ci sia niente? Con me puoi
parlare, se c’è qualche problema puoi dirmelo.”
Marlene scosse la testa, i riccioli
biondi che si muovevano sulle spalle. “Ehi, tranquilla,” ridacchiò quindi. “Non
succede nulla.”
Emmeline si morse il labbro inferiore,
osservandola con un’espressione decisamente poco convinta. Aveva paura per lei,
glielo si leggeva negli occhi velati di un misto di dispiacere e paura. Marlene
si chiese perché avesse paura Emmeline, se non ce l’aveva neppure lei; o
almeno, lei non l’aveva per se stessa, ma non poteva negare di essere
terrorizzata dall’idea della morte della sua famiglia. E sapeva, Marlene, che
stare nell’Ordine sì, conferiva loro maggiore protezione, ma allo stesso tempo
erano più ambiti tra i Mangiamorte.
Alla fine, Emmeline parve convincersi,
perché sbuffò e si raddrizzò sulla sedia. Poi le sorrise, quasi volesse parlare
per risollevarle il morale. Marlene si era a malapena trattenuta
dall’aggrottare le sopracciglia, nascondendo tutto dietro il solito sorriso
sfacciato e sicuro di sé.
“Vabbe’, ma che mi racconti?” chiese,
infatti, ora curiosa. “A volte sparisci per pomeriggi interi… Impiccio?”
“Non lo definirei proprio un impiccio,”
sorrise Marlene, bevendo un altro po’ di tè.
“Oh,” Emmeline si illuminò. “Quindi è
qualcosa di più serio!”
“Non esageriamo,” la bloccò la bionda,
perché Emmeline, quando ci si metteva, sapeva parlare finché non crollava. “È
solo… niente, già,” annuì, pensierosa, per poi posare la tazza sul tavolo e
battere le mani. “E tu, invece? Ragazzi?”
Emmeline arrossì ed iniziò a parlarle di
un certo Samuel, che seguiva il suo stesso corso al Ministero. Marlene, prima
di poterselo impedire, si chiese perché lei non potesse fare lo stesso con
Regulus. Poi si ricordò chi erano entrambi.
*
Maggio 1980.
“Avrei un incarico per voi, spero lo
svogliate con l’attenzione e la precisione necessarie,” si premurò di dire
Voldemort, guardando i quattro Mangiamorte davanti a lui. Regulus, Bellatrix,
Rodolphus e Severus annuirono. “Dobbiamo ringraziare Peter, che ha deciso di
unirsi a noi e collaborare,” aggiunse, senza degnare di uno sguardo Peter
Minus, che lo guardava, tremante, da un angolo poco lontano. “Li abbiamo
scovati, finalmente. Agirete domani.”
Quella volta fu Marlene ad alzarsi per
prima da quel groviglio di coperte, vestiti e talvolta anche cenere. Si rivestì
rapidamente, prendendosi solo il tempo di fumare una sigaretta accanto alla
finestra.
Regulus la guardò lasciar uscire il fumo
fuori, coperta solo dall’intimo, i capelli biondi che le arrivavano quasi a
metà schiena in onde morbide e profumate – odoravano di mela, i capelli di
Marlene, ormai l’aveva capito.
Mentre la ragazza si rivestiva, Regulus
non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Era bella, Marlene, e lo sapevano
entrambi: snella, slanciata, bionda e dall’aria fresca. Una di quelle bellezze
che colpiscono al volo, e lei aveva sempre usato questa sua dote a proprio
vantaggio, ad Hogwarts; fuori da scuola era stato più difficile: non sapeva chi
fossero i Mangiamorte, a parte qualche persona grazie al suo ruolo nell’Ordine,
e a volte aveva paura di essere riconosciuta. Di solito dava la colpa al suo
spiccato egocentrismo.
Allacciandosi i bottoncini della
camicetta, Marlene si sedette sul bordo del letto, accanto a Regulus. Poi gli
prese il viso fra le mani e catturò le sue labbra in un bacio dolce, forse
anche troppo per loro due. Lui non disse niente, limitandosi a ricambiare e poi
a guardarla uscire via.
Perché
gli era sembrato tutto un addio?
Regulus seguì sua cugina e il marito
attraverso la stradina di una cittadina semi-magica piuttosto piccola. Si
trovavano vicino Tinworth, gli era parso di capire. Lungo i cigli della strada,
le foglie degli alberi erano verdi, ed il cielo diventava mano a mano sempre
più scuro.
Si fermarono davanti ad una casa come
tutte le altre: le luci del salone e due del piano di sopra erano accese, e a
volte si vedevano delle ombre proiettate sui muri. Regulus sentì sua cugina
Bellatrix ridere ed estrarre la bacchetta.
“Ancora non si sono accorti delle
barriere,” commentò, sarcastica. “Che sciocchi”. Con un incantesimo, Bellatrix
aprì il cancelletto che dava sul cortile della casa. Regulus aveva la pelle
d’oca e non sapeva perché: si guardava attorno con aria circospetta, e più che
tutto cercava di capire di chi fosse la casa in cui stavano entrando.
Rodolphus fece scattare la serratura di
casa, aprendola senza far rumore: erano entrati in una specie di atrio lungo e
un po’ stretto. Dalla porta un po’ più avanti verso la destra arrivò il rumore
di passi affrettati e sussurri decisi.
A Regulus parve di sentire un: “Chiama
gli altri” dal tono dannatamente familiare, e mentre sentiva i propri battiti
accelerare strinse maggiormente la bacchetta, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo sappiamo che siete qui,” canticchiò
Bellatrix, ridacchiando, malevola. “Uscite fuori, su. Fate i bravi, oppure
Silly vi metterà in punizione!”
I rumori cessarono e calò un silenzio
innaturale, che poi venne spezzato da un urlo: “Prendi Sally! Prendi Sally e
scappa! Mi hai sentito, Marlene? Prendi Sally e scappa! Ti prego!”
Se non avesse indossato la maschera,
Regulus non avrebbe saputo spiegare il motivo per cui sbiancò notevolmente. Il
suo corpo era scosso da un leggero tremore: Marlene, qualcuno aveva chiamato
Marlene. Ed era di Marlene la figura che corse fuori dal salotto e salì le
scale – a Regulus mancò l’aria per un attimo, e non solo per il singhiozzo che
aveva udito benissimo uscire dalle labbra di Marlene.
Rodolphus e Rabastan entrarono nel
salotto, le bacchette spianate, e dopo poco delle urla agghiaccianti riempirono
la casa. Bellatrix invece si affrettò in direzione delle scale, le labbra piegate
in un sorriso sardonico, e Regulus avrebbe davvero voluto che si fosse messa la
maschera, solo per non vedere quel ghigno.
“Marlenuccia, non potrai scappare in
eterno…” ridacchiò la donna, iniziando a salire le scale e facendo cenno a
Regulus di seguirla. Passando di fronte al salotto, il ragazzo vide un uomo dai
capelli biondi come quelli di Marlene che si contorceva a terra, urlando a
pieni polmoni.
Il piano superiore era completamente
buio, fatta eccezione per la luce che filtrava da sotto l’ultima porta del
corridoio, chiusa con la magia. All’interno, la voce di Marlene e di qualcun
altro erano a malapena percepibili, ma la paura era palpabile in quei loro
mormorii. Quando Bellatrix fece saltare in aria la porta, Regulus avrebbe
voluto scomparire: il volto di Marlene era totalmente bianco, così bianco da
far paura, e gli occhi erano umidi di lacrime che premevano per scivolarle
lungo le guance; aveva un braccio attorno alle spalle di una ragazzina che non
doveva avere più di tredici anni e che tremava forsennatamente.
Bellatrix mosse la bacchetta, dalla cui
punta scaturì un getto verde che però Marlene parò rapidamente, lasciando
andare la bambina – Regulus capì che si trattava della Sally di cui aveva
parlato l’uomo sotto – e urlandole: “Usa la bacchetta, Sally!”
Quando Bellatrix puntò la bacchetta
contro la ragazzina, tuttavia, Marlene urlò forte un: “Non toccare mia sorella,
puttana!” e un gettò verde partì dalla sua bacchetta. Subito dopo, mentre la
donna parava il colpo ridendo di lei, Marlene lanciò un altro Anatema, e
Regulus, ancora fuori dalla porta, nascosto nel buio, vide nei suoi occhi la
disperazione di chi è pronto a tentare il tutto per tutto per la propria vita.
Bellatrix le lanciò contro un incantesimo
di ostacolo, e Marlene lo evitò per un soffio, gettandosi di lato, ma la
Mangiamorte, approfittando del momento, scagliò un secondo Anatema verso Sally.
E questa volta, la ragazzina non fu così fortunata: cadde a terra nel giro di
pochi secondi, mentre l’urlo di Marlene gli riempiva le orecchie.
Regulus si costrinse a guardarla, e così
facendo entrambe le donne all’interno della stanza si accorsero di lui.
Bellatrix gli disse di entrare, mentre Marlene lo guardava fisso, spaventata:
non aveva speranze, ormai lo aveva capito. Dopotutto lo sapeva da tanto, che un
giorno quel giorno sarebbe arrivato, ma aspettarselo era diverso dal dover
vivere quel momento.
“Vuoi avere l’onore?” gli chiese
Bellatrix, giocando con la propria bacchetta. Marlene scattò in piedi di
scatto, evitando appena un altro incantesimo della Mangiamorte, per poi
lanciare una fattura contro Regulus. La sua maschera cadde per terra, e gli
occhi di Marlene si sgranarono alla luce della luna davanti a quel viso
conosciuto; le sue labbra si socchiusero, come se stesse per dire qualcosa, ma
se anche così fosse stato si sarebbe portata quel qualcosa nella tomba, perché
in quel preciso istante Bellatrix gridò:
“Avada
Kedavra!”
Gli occhi di Marlene, sgranati e colmi di
lacrime, persero la luce che solitamente li emanava, mentre il suo corpo si
afflosciava sul pavimento. Bellatrix si avvicinò al cadavere, per poi pestarle
una mano e ringhiando: “Così imparate, luridi Sanguesporco.”
Regulus tuttavia rimase lì, mentre
Bellatrix lo ignorava ed usciva dalla stanza. Ci mise qualche secondo a
realizzare che la risata di Marlene non esisteva più: che non esisteva più quel
sorriso, che non esistevano più quei baci, quelle parole e quegli incontri.
E si odiò, Regulus, senza riuscire ad
impedirselo – perché lei non aveva mai voluto sentimenti, ma alla fine lui si
era attaccato a lei, come se fosse la sua ancora, e dopotutto lo era. Ora era
perso nel buio, e anche la luce era stata spenta.
Marlene
non gli avrebbe più illuminato la strada.
Me tanto triste. Me tanto triste perché
questa storia - che giuro, amo con tutta me stessa - è già arrivata al
penultimo capitolo, e io non mi sento ancora pronta a postare l'ultimo:
Dietro la pelle significa così tanto per me, ma mi tengo il discorso chilometrico per l'ultimo discorso.
Però, ai pochi che seguono questa fanfiction (solo la mia Tef♥), prometto che presto o tardi mi vedrete tornare con un'altra Reglene♥,
perché li amo troppo e, nonostante il loro ciclo si stia chiudendo -
già, nonostante sia morta Marlene, loro non sono ancora finiti, e per
me non finiranno mai -, non potrò mai lasciarli.
Comunque.
Non
avete idea di quanto sia stato difficile scrivere la morte di Marlene -
lei, così vitale: vederla spezzarsi in questo modo mi ha distrutta,
sebbene, ovviamente, essendo l'autrice, sapessi già come sarebbe
successo. Ci tengo solo a specificare che NO, manca ancora un pezzo, e
Marlene purtroppo non comparirà, ma ci sarà solo Regulus - e non con i
suoi soliloqui su Marlene, ma alle prese con qualcosa di più importante
che la morte di Marlene gli ha fatto finalmente vedere.
La parte di Greyback è ispirata, come detto nelle note di inizio ff, a Eroi non si nasce, si diventa di Julia Weasley - la amo, il suo Regulus è il migliore del mondo, leggetela, merita davvero!
Ora
vado a finire Hunger Games (o almeno a tentare di finire di leggere
HG), oppure a scrivere qualcosa - qualcosa farò, in sostanza.
Ai lov iu oll, ai suer (sto sclerando, non fateci caso) ♥
Eralery
LA MIA PAGINA E' QUESTA.