Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: HermyLily89    31/05/2012    6 recensioni
Fanfiction su Harry/Hermione, vista con gli occhi di lei.
Siamo dopo la Seconda Guerra Magica e il mondo ha trovato la sua pace. Hermione è sta partendo per l'Australia per trovare i suoi genitori, mentre Harry resta ad Hogwarts per dare una mano.
Possono i sentimenti di lei cambiare verso di lui? O, in realtà, sono sempre stati forti, ma per evitare disastri erano stati mascherati?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Harry/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Devo aver preso da mia madre, decisamente.
Per certi versi avrei sempre voluto discostarmene, non perché non la sopportassi, anzi, ma per poter essere io, me stessa, senza troppi condizionamenti. Tuttavia, la genetica parla chiaro, ed io sono sempre più simile a lei di quanto potessi aspettarmi.
Sistemo il colletto della camicia, dandomi un’ultima occhiata allo specchio e prendendo il borsone accanto a me. Una donna di quasi cinquant’anni mi sorride al riflesso dello specchio. Una donna di quarantasette anni, a voler essere precisi. Ma soprattutto, una donna che sorride, che ha imparato a farlo davvero, finalmente.
Guardo il letto alle mie spalle, con le lenzuola ben tirate da entrambe le parti, un giaciglio diventato per troppo tempo il mio rifugio dalla tristezza e dal fallimento, sempre sgualcito solo da un lato, il mio lato.

“Rose, potresti chiamare il taxi?”

La vedo con la coda dell’occhio mentre esce dalla sua stanza, l’ipod nelle orecchie e la bacchetta dietro l’orecchio. Guardarla mi provoca sempre un tuffo al cuore, un po’ per la somiglianza perfetta con me alla sua età e un po’ per quegli occhi verdi: già, è sempre la genetica che fa capolino.

Mi manca, mamma!”
Era seduta sul suo letto, le gambe incrociate, e si tormentava una ciocca di capelli con le dita, sfogando su di sé tutta la frustrazione che sentiva e che percepivo. D’altronde era colpa mia, perché se perfino Ron si era accorto che tra me e lui non poteva più funzionare, significava che era troppo evidente, che il mio cuore era davvero un libro aperto. Avevo sempre pensato che mio marito non fosse cresciuto, che fosse rimasto il ragazzino divertente e insensibile degli anni ad Hogwarts, ma avevo dovuto ricredermi. Aveva capito ed aveva fatto quello che io non ero stata capace di fare. Era passato un anno da quando se n’era andato, lasciandomi con Rose ed Hugo, che comunque vedeva ogni finesettimana.
“Tesoro, lo vedrai domenica.”
Sapevo bene che mia figlia intendeva ben altro, ma speravo scioccamente che questa risposta potesse bastarle. Era inutile: una ragazza di sedici anni, nel pieno dell’adolescenza, ricerca la verità più profonda, vuole conoscere e capire, si sente grande, soprattutto se si chiama Rose Weasley.
“Io so cosa senti per zio Harry, mamma. So quanto tutto è stato difficile per voi, che scelte abbiate dovuto prendere per il bene di tutti. Ma… ma papà è papà e lo vorrei qui, accanto a me.”
Non avevo avuto la forza per dirglielo, per dirle che quello che davvero chiamava ‘papà’ in realtà non lo era, ma d’altra parte Ron l’aveva cresciuta e l’aveva accudita, le aveva rimboccato le coperte e l’aveva presa in braccio per portarla in camera sua quando si addormentava sul divano, leggendo un libro. Ron era in fin dei conti più ‘padre’ di quanto lo fosse stato Harry per lei. Giusto o meno che fosse, era andata così, l’avevo fatta andare così  e non era in mio potere cambiare il passato.

 
“Certo mamma, telefono subito!”

Mi dà le spalle e scende dalle scale di corsa, alla ricerca del telefono e lasciando l’ipod davanti alla mia stanza, sul pavimento. Il disordine è parte di lei e per quanto io possa provarci, non cambierebbe nulla e di certo non accadrebbe ora, che ha vent’anni. L’anno prossimo dovrebbe entrare come tirocinante ad Hogwarts, affiancando la professoressa Vector di Aritmanzia ed io non potrei essere più orgogliosa di lei, non tanto per i G.U.F.O. e i M.A.G.O. ottenuti, ma perché sta coronando il suo sogno e vederla finalmente felice per me significa tutto.

“Mamma, sei bellissima!”

La voce profonda di Hugo mi distoglie dai miei pensieri riflessi su quello specchio della mia stanza che continuo ad osservare senza quasi rendermene conto. Osservarlo mi fa sentire sempre tremendamente in colpa e non solo perché è identico a suo padre. E’ sempre stato molto legato a me, come capita spesso tra una madre ed un figlio, mi ha sempre difesa nei litigi tra me e Ron nel cuore della notte, è sempre accorso, senza mai realmente capire quanto io avessi sbagliato, sin dall’inizio. Il suo amore a prescindere è troppo per me.

“Oh, tesoro. Dici?”

Gli sorrido e chiudo l’anta dell’armadio a cui è appeso lo specchio: basta riflessi, basta ricordi dolorosi, basta tutto. Si avvicina e solleva la valigia alla mia destra dandomi un lieve bacio sulla guancia.

“Non mento mai! Ti accompagno all’aeroporto?”

Con la mano libera gli scompiglio dolcemente i capelli e mi soffermo ad osservare i suoi occhi, così simili a quelli di Ron, ma con una luce diversa. E’ cresciuto anche lui, come Rose, e da qualche mese lavora assieme a George e Fred II ai Tiri Vispi Weasley. Vedere i miei figli felici mi dà una gioia immensa, anche perché so di averli fatti soffrire troppo in passato, perché gli sguardi tristi e abbattuti che per anni hanno oscurato i loro volti erano una mia colpa, un mio errore.

Avevo sentito bussare alla porta della mia stanza e poco dopo qualcuno era entrato, mentre con la mano cercavo di arginare le lacrime.
“Oh, Hugo, tesoro. E’ tardi. E’ meglio che tu vada subito a letto”.
Si era avvicinato, non prestando ascolto alle mie parole, e mi aveva gettato le braccia attorno al collo. Altre lacrime, solo mie. Mio figlio non stava piangendo, era lì per accogliere la mia tristezza e solo allora mi ero accorta che questa situazione l’aveva fatto crescere, maturare. Io avevo avuto la guerra che sconvolgeva la mia esistenza durante l’adolescenza, lui un terremoto all’interno della sua famiglia.
Eravamo rimasti così per non ricordo quanto tempo, forse fino a quando le mie lacrime si erano asciugate da sole, grazie al calore di quell’abbraccio.
“Vai a letto, tesoro.”
“Sii felice, mamma. Sii felice tu. Te lo meriti.”
Non capivo in quell’occasione chi fosse l’adulto e chi il ragazzo, o meglio, l’adulto non ero certamente io. Avevo sempre creduto non capisse, che mi vedesse in quel modo incantato in cui a volte i figli dipingono le proprie madri. Quella volta avevo compreso che Hugo conoscesse bene i miei limiti, che avesse ben chiari gli errori che avevo compiuto, ma che, nonostante tutto e forse proprio per quello, mi amasse.

“Tranquillo, Hugo. Rose ha appena chiamato un taxi”.
“Ah, questi aggeggi babbani!”

Scuote leggermente la testa, sorridendo, e mi aiuta a portare al piano inferiore i bagagli per la mia partenza. Ron ed io abbiamo sempre voluto che i nostri figli crescessero sapendosela cavare sia nel mondo magico, sia in quello babbano, anche se Hugo è sempre stato scettico a riguardo.
Non appena arrivo all’ingresso, avverto il rumore di un’automobile che frena delicatamente e Rose che mi avverte che il taxi è arrivato. E’ la prima volta che mi allontano da casa senza i miei figli, ma sento che ho bisogno di stare un po’ per conto mio, di essere egoisticamente felice per un po’. So che sanno badare a loro stessi, so che non mi biasimano per ciò che sto per fare, dal momento che sono stati loro ad insistere, ma questo viaggio mi dà la sensazione che molte cose stiano cambiando e mi sento come in bilico su una fune, con la paura che la novità possa cogliermi impreparata.

“Mi raccomando…”

Non faccio a tempo a finire la frase che sia Hugo, sia Rose mi abbracciano, come quando erano piccoli ed io andavo al lavoro. Un saluto affettuoso, dimenticato da tempo, diventato strano e finito nel dimenticatoio con l’imbarazzo dell’adolescenza.
Con un cenno, dopo aver baciato le loro guance e accarezzato le loro teste, apro la porta di casa e mi dirigo al taxi, dove salgo sistemando accanto a me i miei pochi bagagli. Il finestrino segnato dalle gocce di pioggia della sera precedente mi lascia intravvedere la mia famiglia, che agita la mano e che poi torna a casa, nella quotidianità che troppo spesso mi ha tenuta in trappola.

“All’aeroporto, grazie”.

Inizio a tormentarmi le mani e a giocare con i miei capelli: benché non abbia più undici anni, mi rendo conto di avere gli stessi atteggiamenti di quei tempi quando sono nervosa, come se stessi tornando giovane e stessi smettendo gli abiti da donna in carriera di mezz’età. Vedo il paesaggio cambiare, la campagna diventare città e poi di nuovo mutare, trasformandosi in una zona industriale, e mano a mano che tutto cambia sento il cuore farsi più leggero, battere forte come non mi è mai accaduto prima.

E’ l’amore, Hermione.
Credevi di essere cresciuta troppo per provarlo?
Credevi che la tua possibilità fosse stata sprecata trent’anni fa?

Giunta a destinazione, pago il tassista e cerco di respirare profondamente, sistemandomi il trench beige e i capelli, guardando il mio riflesso nel vetro della porta d’entrata scorrevole dell’aeroporto. Per un attimo rivedo il mio riflesso alla Tana, la collana fredda a contatto della mia pelle, il mio abito da sposa.
Riflessi e pensieri. Pensieri che si susseguono, come sempre, prima di un momento importante e decisivo.

“E’ tutto nel suo cuore, Hermione.
E ne tuo.
Vi siete scelti senza mai dirvelo apertamente.
Dovevate solo capirlo”.

Tutti avevano capito, avevano visto e avevano taciuto, tranne Ginny. La stessa Ginny che cinque anni fa aveva deciso di andarsene, come aveva fatto Ron.
Stufi di sentirsi ‘di ripiego’, stanchi di essere ‘la seconda scelta’. Che avevano scelto, loro sì, di andarsene, di farsi da parte, di buttare a terra la maschera e di guardare in faccia alla realtà, con quel coraggio che a me era mancato più volte.

“Harry, ne varrebbe davvero la pena?”
 
Credo di non aver mai detto qualcosa di più sbagliato nella mia vita, mai qualcosa di così sciocco e controproducente. Perché non è stato il matrimonio che ci ha allontanati, piuttosto il dubbio che quello che c’era tra di noi fosse autentico, vero, degno di esistere. Io, con la mia stupida ed onnipresente razionalità, ho tarpato le ali a me stessa e ad Harry, ho distrutto ciò che ancora doveva nascere davvero. E quella notte di ventun’anni fa non ha fatto altro che rendere evidente quanto mi fossi sbagliata, perché Harry è sempre stato tutto, ancora prima che me ne accorgessi.
Di solito, quando si fanno discorsi di questo tipo è tardi, la maturità è avanzata, portando qualche capello bianco in più e la voglia di lottare si è spenta del tutto.
Entro nell’aeroporto e vengo investita da ricordi che sembrano appartenere ad un’altra vita, ad un’altra me.
Cammino a passo spedito, alla ricerca del gate, ma soprattutto di una ragione concreta per partire, per non tornare sui miei passi ancora una volta.
E poi la vedo, una ragione nitida, sorridente, splendente, una ragione incarnata in un uomo di mezz’età, ma con i capelli spettinati che l’hanno sempre contraddistinto.

“Sei arrivato.”

Riesco appena a pronunciare quelle parole, tanta è la gioia mescolata all’emozione di poter riprendere in mano la mia vita come avrei dovuto fare  a diciotto anni.
Si avvicina ed in un attimo vengo investita da quel profumo dolce e speziato, che ho sempre portato nel mio cuore e nella mia mente. Il profumo di quel divano di pelle.

“Non sono mai andato via”.

Lo sussurra all’orecchio, facendomi rabbrividire, perché so perfettamente che sono stata io ad allontanarmi, a guardare altrove, nascondendomi dietro la paura del pensiero degli altri.
Un bacio, e poi un altro.
Non un bacio nascosto, anestetizzato dall’alcol, ma autentico, vero, alla luce del sole. Un bacio troppe volte negato, un bacio desiderato.
Sollevo lo sguardo e, leggendo la destinazione al pannello poco distante da noi, capisco che è il nostro gate, lì dove tra poco ci imbarcheremo.
Gate 15.
Australia.
Rinascita dopo una guerra che mi aveva cambiata, facendomi crescere prima del tempo e rinascita da un periodo troppo lungo in cui mi ero negata la felicità, mi ero negata me stessa.
La sua mano stretta alla mia mi fa capire che ha compreso ciò a cui sto pensando, che questa rinascita non è più solo la mia.
E’ la nostra.


 



Ebbene sì, la storia è finita.
Ed è finita esattamente dove è iniziata, come un cerchio, come l’infinito.
Ringrazio ciascuno di voi,
perché con le vostre recensioni,
i vostri commenti,
mi avete dato forza e determinazione per proseguire.
Grazie. Davvero.
Questo capitolo è dedicato ad ognuno di voi,
in particolare al mio Harry, che c’era sempre e
so che sempre ci sarà.
Fatemi sapere (per l’ultima volta) cosa vi pare :)
Baci,
HermyLily89


   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: HermyLily89