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Autore: SeleneLightwood    01/06/2012    23 recensioni
Kurt e Blaine non si sono mai incontrati, nonostante Westerville e Lima non siano poi così lontane. Non si sono mai scorti tra la folla, nemmeno quando hanno partecipato alle Regionali con due Glee Club rivali. Nemmeno al Lima Bean, quando andavano a prendere il caffè ognuno con i rispettivi amici.
Kurt e Blaine non si sono mai visti. Almeno fino a quando, sullo stesso treno diretto a New York, Blaine non si siede proprio di fronte a Kurt.
Ci credete, voi, nel destino?
*
Si dice che il destino si mostri solo a chi sa riconoscerlo davvero.
Vivi la tua vita distrattamente, piena o vuota che sia, aspettando il momento in cui una qualsiasi entità superiore ti metta di fronte qualcosa, o qualcuno, con tanta prepotente ovvietà da poter dire solo: ah, eccoti qui! Ti cercavo da una vita.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo undici

 

You can get addicted to a certain kind of sadness

 

Kurt si pentì di essere scappato nell’esatto istante in cui diede le spalle a Blaine per confondersi tra la folla. Sentiva le lacrime premere per uscire e la gola dolergli nel tentativo di trattenersi, ma strinse i denti e continuò a camminare in fretta, a testa bassa, come se mettere un piede davanti all’altro non gli costasse alcuna fatica.

Stronzate.

Ogni passo in avanti era un passo più lontano da Blaine. Perfino il suo maledetto orgoglio si era arreso all’evidenza: voleva tornare indietro.

Allora perché continuo a camminare?

Non si girò per guardarsi indietro, come di solito succede nei film.  

Girarsi avrebbe significato arrendersi, e lui non poteva permetterselo. Evidentemente l’orgoglio non era così facile da domare come aveva inizialmente pensato.

Una volta fuori dalla stazione fu facile chiamare un taxi. Alzò una mano ed un’automobile gialla si accostò al marciapiede nel giro di un istante. In condizioni normali si sarebbe emozionato per essere riuscito a fermare il suo primo taxi, ma tutto quello che sentì fu il pungente desiderio di girarsi e scherzarci su con Blaine.

Ma Blaine non c’era.

 

In quel momento, mentre il tassista – un uomo di circa cinquant’anni con dei ridicoli baffi e la maglia macchiata di burro d’arachidi – caricava la sua valigia nel portabagagli, Kurt esitò.

Si voltò indietro e, prima che potesse impedirlo, la speranza si fece pericolosamente strada in lui come un fiume in piena. E se Blaine lo avesse rincorso?

Ma Blaine non comparve dalla porta per corrergli incontro, gettare le valigie a terra e baciarlo, dimostrazione evidente del più grande cliché dell’umanità: la vita non è un film. La gola di Kurt, già chiusa in quella morsa dolorosa, bruciava dallo sforzo di trattenersi.

 

“Allora? Possiamo andare?” domandò il tassista con aria annoiata, appoggiato allo sportello del guidatore con i gomiti.

Kurt si costrinse a distogliere lo sguardo dall’entrata della Stazione Centrale e sentì l’improvvisa e dolorosa necessità di andarsene di lì, scappare a gambe levate, nonostante stesse maledicendo l’insensibilità del genere umano, nello specifico i guidatori di taxi sudaticci.

Aveva bisogno di andarsene, di mettere un po’ di distanza tra lui e Blaine, tra se stesso e gli avvenimenti degli ultimi due giorni.

Era troppo da sopportare, aveva bisogno di stare un po’ da solo e riflettere.

Salì nel taxi con il cuore a pezzi e il viso tirato ma ancora miracolosamente asciutto, nonostante gli occhi fossero già rossi.

Ma non stava piangendo. Non poteva, non di nuovo.

 

Il tassista lo scrutò dallo specchietto con le folte sopracciglia inarcate. “Dove la porto?”

Kurt abbassò gli occhi e controllò le note sul telefono, prima di dire: “Quarantacinquesima strada, Rockabilly” con voce stanca.

Il tassista annuì senza parlare e mise in moto, facendo partire anche il tachimetro, che iniziò a picchiettare piano vicino al contachilometri.

La Stazione Centrale scomparve dietro l’angolo lentamente, e New York si sarebbe rivelata un po’ alla volta ai suoi occhi, se solo Kurt non li avesse tenuti puntati in basso, sulle sue mani intrecciate in grembo.

 

Probabilmente fu per questo che non vide Blaine uscire dalla stazione e scrutare il marciapiede con uno sguardo talmente disperato da spezzare il cuore.

Poco male: il suo, di cuore, sembrava pieno di schegge.

 

*

 

Arrivarono alla New York Academy of Dramatic Arts in mezz’ora, un po’ più rispetto al tempo preventivato, a causa del traffico e un incidente tra un camion e una moto all’angolo tra la quarantesima e la trentanovesima strada. Kurt immaginò che fosse la routine tipica della Grande Mela: incidenti ad ogni angolo e automobili ferme ovunque. Eppure, di quel poco che aveva guardato dal finestrino, New York gli era sembrata spaventosamente estranea. Magica, sì, ma era come se fosse troppo lontana per essere raggiunta. Forse era perché aveva sempre immaginato di affrontarla con Rachel e Finn al suo fianco – e, negli ultimi due giorni, anche con Blaine, fin troppe volte – ed ora che era solo gli sembrava quasi…irraggiungibile.

Qualcuno tossicchiò alle sue spalle, così pagò il tassista senza dire una parola e quello scaricò la sua valigia sul marciapiede e si allontanò altrettanto silenziosamente.

 

Beh, eccoci qui.

L’enorme edificio che aveva di fronte era in stile liberty, con la facciata bianca e imponente tenuta in perfette condizioni ed una breve scalinata che conduceva ad un portone di legno ed una porta a vetri più interna.

Vista in foto faceva molto meno paura.

Kurt strinse gli occhi, prese la sua valigia per il manico e, facendosi coraggio, percorse la scalinata per entrare.

 

L’interno del palazzo era caldo ed accogliente, con le pareti in velluto bordeaux e un ampio bancone in fondo ad una sala molto luminosa, eppure Kurt non riuscì a godere appieno del brivido di eccitazione che gli corse lungo la spina dorsale. Anzi, svanì in fretta così com’era arrivato, lasciandolo solo più stanco e triste che mai. Poche volte, nella sua vita, si era sentito così solo.

Raggiunse la reception pallido in volto, inciampando nel tappeto persiano e stringendo la valigia fino a farsi male.

Dietro al bancone in mogano scuro c’era una ragazza che poteva avere sì e no la sua età, con degli enormi occhi azzurri e capelli neri liscissimi stretti in una coda alta. Indossava una camicia nera piuttosto semplice, ma Kurt riconobbe subito la firma: Alexander McQueen. Un altro dettaglio che avrebbe dovuto scatenare il gay entusiasta e modaiolo in lui, ma che non ebbe nessun effetto. Registrò l’informazione e passò oltre.

La ragazza gli lanciò una lunga occhiata, studiandolo, e quando gli sorrise cordialmente Kurt immaginò di aver appena superato il primo dei tanti esami ai quali sarebbe stato sottoposto nei quattro anni a venire.

“Posso aiutarti? Sono Amy, la nuova segretaria.”

Il sorriso a trentadue denti della ragazza era aperto e sincero e Kurt non voleva davvero pensare chi gli ricordava, perciò ricambiò con meno entusiasmo di quanto avrebbe voluto.

“Kurt Hummel” si presentò, allungando la mano verso di lei.

La ragazza – Amy, si corresse – glie la strinse con allegria.

“Sono uno dei nuovi studenti” aggiunse Kurt a mo’ di spiegazione, anche se doveva sembrare piuttosto ovvio.

Il volto di Amy si illuminò.

“Quello di Lima, vero? Ho sbirciato sulla lista candidati che mi ha passato mia zia” esclamò con entusiasmo. “Ti ho visto su You Tube, speravo che ti prendessero. Sei davvero eccezionale!”

Kurt arrossì e abbassò gli occhi. “E tua zia sarebbe…?”

“Carmen Tibideaux” disse Amy stringendosi nelle spalle timidamente. “Sono la figlia adottiva di sua sorella.”

Kurt sorrise stancamente alla ragazza. Per quanto amasse le lodi, quello non era il momento giusto.

Amy però parve notare la sua stanchezza, perché si batté una mano in fronte e spalancò gli occhioni azzurri.

“Oddio, scusa, starai morendo di stanchezza! Ecco, la tua stanza è la numero quattordici, questa è la chiave”

Il ragazzo si ritrovò l’oggetto di pesante ottone tra le mani e prima che potesse muoversi o aprire bocca per ringraziarla Amy era sgusciata fuori dal bancone, posizionando vicino al campanello un cartello con su scritto ‘Torno subito’.

“Tanto sono arrivate solo due ragazze dal Nord Carolina giusto ieri e sono nell’altro edificio dove c’è il dormitorio femminile. Non è che mi stanno molto simpatiche” spiegò con una scrollata di spalle. “Vieni, ti accompagno e ti faccio fare un giro del dormitorio.”

Kurt la seguì docilmente lungo un corridoio non troppo largo. Ad un certo punto svoltarono a sinistra e finirono in una stanza molto ampia e luminosa, con una libreria piena di riviste e libri, una televisione e diversi divani.

“Questa è una specie di sala comune” spiegò Amy indicando la stanza con un gesto. “Ci ritroviamo tutti qui per chiacchierare o litigare e tirarci addosso gli spartiti, di solito”

“Anche tu frequenti la NYADA?” domandò Kurt stupito.

Amy gli lanciò una lunga occhiata inquisitoria, poi fece un gran sorriso.

“Mi piaci” dichiarò, lasciando Kurt di stucco. “Non hai pensato subito che io sia entrata alla NYADA grazie a mia zia.”

Kurt non sapeva che dire, perché in effetti il pensiero non l’aveva proprio sfiorato, così si limitò ad arrossire. Di nuovo.

“Comunque sì, sono al secondo anno.” chiarì Amy allegramente, prima di guidarlo verso un altro corridoio sulla destra.

“Ecco, queste sono le stanze. La tua è l’ultima prima della cucina, che è dietro quella porta in fondo.”

Amy lo guidò fino alla porta segnata con il numero quattordici in ottone, in tinta con la maniglia.

“Beh, eccoci qui” disse la ragazza mora. “Io devo tornare al lavoro, però spero di vederti di nuovo in giro, Kurt. Ah, fino all’inizio dei corsi dobbiamo cucinarci da soli, anche perché molta gente arriva la sera prima dell’inizio delle lezioni. La cucina è aperta a tutte le ore del giorno e della notte ed è fornitissima, ma puoi portare qualcosa di tuo, se vuoi.”

Kurt riuscì a tirare fuori un vero sorriso. “Grazie” disse. Sperò che bastasse.

Amy gli strizzò l’occhio prima di incamminarsi lungo il corridoio. 
“E’ stato un piacere!” esclamò. Poi girò l’angolo e sparì.

 

Kurt chiuse gli occhi per un attimo, cercando di calmarsi e non scoppiare a piangere lì davanti alla porta. Quando si sentì nient’altro che uno stupido, fermo davanti alla porta con la valigia in mano, si decise ad infilare la chiave nella serratura ed abbassare la maniglia per entrare.

Quella che sarebbe stata la sua stanza per i successivi quattro anni – quasi tremò al pensiero – era una camera grande e molto luminosa, con le pareti color verde chiaro, quasi pastello, e due ampie finestre a davanzale che davano sulla strada.

Sul lato sinistro Kurt intravide, dalla porta di legno chiaro socchiusa, un bagno piuttosto spazioso, abbastanza da contenere una doccia enorme. Proprio lì di fianco c’era una lunga scrivania sovrastata da una libreria completamente vuota.

C’era un letto a castello attaccato alla parete opposta, e sparsi in giro c’erano anche una lampada piuttosto alta, due poltrone e un tavolino. Tra le due finestre, infine, c’era una cabina armadio dello stesso legno chiaro della porta.

La stanza era inequivocabilmente per due persone, ma era vuota, e questo significava due cose. Uno, Kurt avrebbe avuto un coinquilino; due, non era ancora arrivato alla NYADA.

In quel momento non aveva davvero la forza di preoccuparsene, quindi si limitò a sperare che non avesse nessun problema con i gay e che il suo senso estetico non lasciasse a desiderare.

La testa gli doleva e tutto quello che avrebbe voluto fare era mettersi a letto e sfogarsi, e piangere fino a consumarsi la faccia, ma non poteva. Non voleva, dannazione.

Il pensiero di Blaine non l’aveva abbandonato neanche un istante per tutto il tempo, una costante dolorosa nella sua mente, ma doveva resistere. Doveva tenersi occupato con qualcosa.

Così appoggiò la valigia a terra – dove c’era una moquette color verde muschio – e spalancò le finestre.

Diamoci da fare.

 

Le due ore successive le passò a svuotare completamente la valigia sopra al letto, ripulire l’armadio da cima a fondo con uno straccio trovato in bagno, tra i prodotti per la pulizia, e sistemarci dentro tutti i suoi vestiti, lasciandone metà libera per il suo futuro coinquilino.

Mise in ordine l’intero bagno, che era comunque già pulito e splendente, e allineò tutte le sue creme per il trattamento di idratazione della pelle in ordine di utilizzo su una delle mensole libere.

Poi svuotò di nuovo l’armadio, non soddisfatto, e risistemò tutto dentro una seconda volta, dividendo i capi per colore.

Aveva appena appoggiato il portatile sopra alla scrivania e sistemato i libri che si era portato dietro nella libreria, non riuscendo a riempirla nemmeno di un decimo. Fortunatamente suo padre gli avrebbe spedito il resto della sua roba a breve.

Sudato e con l’odore della polvere sulla pelle, si accinse a controllare un’ultima volta la sua valigia prima di farsi una doccia che cancellasse la stanchezza, la sporcizia e magari anche il dolore sordo che non era riuscito del tutto ad ignorare. Frugò un’ultima volta nelle tasche della sua valigia, controllando di aver tirato fuori tutto, e  quando infilò la mano nella tasca davanti, le sue dita sfiorarono della carta stropicciata.

 

Kurt tirò fuori il foglio con circospezione, senza guardare, e si andò a sedere sul letto con un sospiro tremante.

Quando finalmente trovò il coraggio, guardò. Era la lettera di Dave, ripiegata con cura.

Blaine doveva averla raccolta e messa in valigia al posto suo, incredibilmente consapevole del fatto che Kurt non avrebbe voluto rivederla, ma nemmeno lasciarla lì a terra.

Fu in quel momento che, finalmente, scoppiò a piangere.

 

 

*

 

 

La porta dell’appartamento di Nick e Jeff si aprì cigolando e Blaine li seguì dentro, trascinandosi dietro borsone e chitarra. Nick accese la luce, e tutti e tre scrutarono la casa per un istante.

Il loro bilocale non era grande o spazioso, ma era l’ideale per due studenti ricchi che vivono insieme a New York: aveva una cucina, due camere da letto, due bagni e un soggiorno piuttosto grande con un angolo libreria davvero invidiabile.

“Beh” fece Jeff, accompagnando le parole con un gesto della mano. “Casa.”

Blaine non riuscì a trovare nulla da commentare di diverso da ‘è carina’, che gli sembrava una cosa orribile da dire, perché figuriamoci se a Nick e Jeff importava dell’arredamento, così diede la colpa alla gola secca e si limitò a tacere e tentare un sorriso.

Nick – che non lo aveva perso di vista nemmeno per un secondo da quando l’aveva trovato in stazione – gli appoggiò una mano sulla spalla con fare fraterno.

“Ti abbiamo preparato il divano, ti toccherà dormire lì.” gli disse con un sorriso di incoraggiamento.

 “Grazie” rispose Blaine con voce roca, trovando un po’ di energia per rispondergli, cercando di trasmettergli tutta la gratitudine di cui fosse capace. “Per ospitarmi e tutto. Voglio dire, se è un problema posso andare a–“

Ma Nick non gli fece nemmeno concludere la frase, colpendolo sul braccio e strappandogli un lamento. Proprio come ai vecchi tempi, solo che lui non si sentiva affatto il vecchio Blaine.

“Non ci pensare nemmeno, Anderson.” lo minacciò scherzosamente. “Non ci vediamo dal tuo compleanno! Tu fino al provino non ti muovi di qui, a costo di inchiodarti al termosifone”

Blaine, suo malgrado, stirò le labbra nel più minuscolo dei sorrisi.

Nick e Jeff si erano trasferiti nella Grande Mela non appena era finita la scuola, ed erano tornati a Lima solo per festeggiare il suo compleanno: il primo aveva fretta di iniziare l’apprendistato all’ Hospital Trade Center di New York, mentre l’altro lavorava alla caffetteria all’angolo in attesa che iniziassero i corsi della facoltà di Economia.

Lanciò ad entrambi un’occhiata riconoscente, sperando che bastasse. Era importante che capissero quanto significasse per lui la loro presenza nella sua vita.

Nick gli fece strada fino al soggiorno per mostrargli il divano e lo stomaco di Blaine fu scosso da una fitta quando si rese conto che, per quanto Nick e Jeff sapessero di casa, famiglia e calore, era nel posto sbagliato. L’aveva saputo fin da quando aveva varcato la soglia.

 

*

 

Kurt aveva saltato la cena – aveva la nausea e nessuna voglia di mettersi a cucinare – e aveva ripetuto il trattamento post-doccia di idratazione della pelle due volte. Ora se ne stava lì, con gli occhi ancora rossi di pianto, seduto su una delle poltrone.

Il cellulare era appoggiato al suo ginocchio e Kurt continuava a far vagare lo sguardo dallo schermo buio alla finestra, incapace di fissarsi su una sola cosa. Certo, guardare il telefono come se potesse improvvisamente prendere vita e dirti quanto zuccone tu sia stato rispecchiava particolarmente il suo stato d’animo, ma era un po’ improbabile che accadesse davvero.

Così si risolse con l’insultarsi da solo per la sua profonda inettitudine.

Perché diavolo era scappato in quel modo, lasciando lì Blaine? Solo pensare il suo nome gli faceva stringere lo stomaco.

Perché sei così stupido, Kurt?, si domandò. Stupido stupido stupido.

 

Il cellulare sul suo ginocchio si illuminò di colpo e vibrò, facendogli perdere almeno dieci anni di vita tutti in un solo colpo, e Kurt, sentendosi improvvisamente più vecchio – e di dieci anni più vicino alla morte - sobbalzò sulla poltrona. Afferrò l’oggetto con le mani che tremavano, ma non poté evitare di farsi scappare un gemito deluso quando vide che non era un messaggio da parte di Blaine, come aveva spudoratamente sperato, ma di Rachel.

Si fece coraggio e si decise ad aprirlo.

 

(20:27 p.m.)

Skype?

 

 

In effetti moriva dalla voglia di distrarsi un po’, e parlare con la sua migliore amica era qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo anche a fare chiarezza, così accese velocemente il portatile e attese il login di Skype, sedendosi sul letto di sopra a gambe incrociate e accendendo la lampada per farsi più luce. Nemmeno un minuto dopo il viso sorridente di Rachel comparve sullo schermo.

Ehi” fece lei salutandolo con la mano. Ci fu un po’ di trambusto e Kurt notò che ora era stesa a pancia in giù sul suo letto.

“Ehi” rispose debolmente, cercando di tirar fuori un sorriso e pregando silenziosamente che lei non si accorgesse dei suoi occhi gonfi e rossi di pianto.

Ma a Rachel Berry non sfuggiva mai niente.

Sono appena tornata da casa tua e – Kurt, stai bene?”

A che serviva mentire?

Kurt abbassò gli occhi prima di rispondere: “Non lo so. No.” talmente piano che pensò che Rachel non l’avesse nemmeno sentito.

Cos’è successo?” chiese lei preoccupata. L’aveva sentito eccome. “Ti trovi male? Gli altri studenti sono stronzi? Hai dimenticato le creme a casa?”

Kurt scosse lentamente la testa e il viso di Rachel si illuminò di comprensione.

E’ per quel ragazzo, quel Blaine che hai conosciuto sul treno, non è vero? Che cos’è successo, Kurt?”

E Kurt non ce la fece più a resistere, così raccontò tutto quanto a Rachel, che lo osservava sempre più basita attraverso lo schermo del portatile. Le raccontò di come aveva conosciuto Blaine, di cosa avevano parlato e cosa avevano fatto; le disse del sogno, arrossendo violentemente, e del quasi bacio quando il treno si era fermato. La parte più dura fu raccontarle di Dave e della notte passata tra le braccia di Blaine. Rachel lo interruppe solo per inveire per cinque minuti buoni contro Finn, inconsapevole complice. Quando arrivò all’arrivo in stazione, era distrutto ed erano già le dieci di sera. 
Kurt dimmi che non ti sei fatto prendere dal panico, come tuo solito, e sei corso via. O, se l’hai fatto davvero, dimmi che ti ha rincorso.” mormorò Rachel massaggiandosi le tempie.

“C’era il suo ex – o quello che è – in stazione, quel Sebastian Smythe, e io – non so cosa mi sia preso, ma dovevi vederlo, Rach. Blaine era praticamente paralizzato e quel tipo è…non lo so, non mi piace affatto. Mi sono fatto prendere dal panico, sì, e sono scappato a gambe levate, dicendogli qualcosa tipo ‘ci sentiamo’. Blaine è rimasto lì, comunque. Non ha detto niente.” concluse con un sospiro tremante. Aveva di nuovo le lacrime agli occhi.

Probabilmente l’hai spiazzato” disse Rachel con un tono di voce che evidentemente lei reputava saggio. Kurt mugugnò qualcosa di indefinito.

Kurt, io…devo proprio chiedertelo, o tu non te lo chiederai mai. Quanto…quanto ti piace questo Blaine?”

“Non è una questione di quanto mi piace” esclamò Kurt diventando rosso in zona orecchie. “ma di quanto io sia stato infinitamente stupido e immaturo e-“

“Invece sì, è proprio una questione di quanto ti piace.” lo interruppe Rachel.

Kurt fissò lo schermo del portatile per un lungo istante.

“Io – tanto. Ok, tanto. Contenta?”

Rachel aprì la bocca per rimproverarlo, quando il cellulare di Kurt, appoggiato sulla mensola, prese a vibrare e illuminarsi, mentre la suoneria – Single Ladies, messa appositamente per il contatto di Blaine in un attacco di follia – invadeva la stanza.

Rachel esclamò “Oh mamma, è lui?!” sporgendosi verso la telecamera come se potesse uscire fuori dallo schermo e assalire Kurt, che nel frattempo si era lanciato sopra al telefono con uno scatto felino.

Quando lesse il nome sullo schermo il cuore iniziò a battergli all’impazzata nel petto, quasi volesse schizzargli fuori.

 

Chiamata in arrivo da:

Blaine.

 

Merda.

“E’ Blaine” sussurrò con voce tremante e più alta del normale, fissando il telefono senza avere il coraggio di rispondere alla chiamata. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Oddio, come faceva a spiegargli che non sarebbe voluto scappare e che era solo panico e – Oh, dio.

“No, no, no. Non posso farlo!” strillò Kurt, stringendo il telefono tra le mani mentre quello continuava a squillare. Se non fosse stato sull’orlo di una crisi di nervi, la scena gli sarebbe sembrata perfino comica.

Kurt Elizabeth Hummel, non ci provare!” esclamò irata Rachel dal computer. “Rispondi a quel maledetto telefono!

Kurt chiuse gli occhi e scosse freneticamente la testa a destra e sinistra.

“Non posso” gemette. “Come faccio? Che gli dico?”

Porca Barbra, Kurt, non costringermi a volare a New York seduta stante!”

Il viso di Rachel ormai occupava interamente lo schermo del portatile.

Con un ultimo squillo, il telefono di Kurt smise di suonare e la nuvoletta di chiamata persa: Blaine comparve sullo schermo.

Quando le prime lacrime si affacciarono sui suoi occhi e strinse il telefono al petto sentì Rachel sospirare e mormorare: “Oh, Kurt.”

 

 

*

 

Non ha risposto.

Blaine rimase a fissare lo schermo vuoto con un turbine di domande in testa e nessuna risposta. Di certo il suo telefono non poteva dargliele.

Perché Kurt non aveva risposto? Perché era scappato, in stazione?

Il cellulare rimase silenzioso tra le sue mani.

Forse Kurt non aveva sentito squillare il suo telefono. Magari era sotto la doccia.

Forse non ha voluto rispondere, si intromise una vocina maligna nella sua testa.

Chi voleva prendere in giro?

Quello che era successo alla Stazione Centrale doveva aver spaventato Kurt, e lui non l’aveva nemmeno rincorso. Idiota, Blaine, idiota.

Blaine appoggiò il cellulare sopra agli spartiti che teneva sulle ginocchia e si passò una mano sul viso.

La tazza di caffè che teneva nell’altra mano si inclinò pericolosamente e un paio di gocce caddero sui fogli pieni di note e musica con i quali aveva cercato di distrarsi prima di chiamare Kurt. Aveva passato tutto il pomeriggio con la musica a tutto volume nelle orecchie, fingendo di esercitarsi per il provino nel tentativo di evitare di dover raccontare tutto a Nick e Jeff; o meglio, ad aspettare una telefonata o un messaggio. Poi aveva speso tutta la sera davanti al telefono a cercare il coraggio di chiamare Kurt.

Maledizione, sapeva che avrebbe dovuto mandargli un messaggio per scusarsi e magari iniziare una conversazione, ma sul momento chiamare era sembrata la cosa più intelligente da fare, e anche la più giusta. Ma ora…

“Blaine?”

Nick era fermo sulla porta del soggiorno, appoggiato allo stipite a braccia conserte, con un sorriso sereno in viso.

Blaine si sentì un po’ meglio per via della familiarità della situazione: aveva condiviso la stanza con Nick per tre anni, alla Dalton.

“A che ora hai il provino, domani?” chiese il ragazzo, avvicinandosi al divano dov’era rannicchiato Blaine.

“Alle tre di pomeriggio” mormorò indicando inutilmente gli spartiti macchiati e tentando un sorriso.

Tutto quello che riusciva a pensare, però, era ‘non ha risposto’.

“Hai intenzione di mangiare qualcosa?” mormorò Nick di rimando, facendosi spazio tra i fogli pieni di annotazioni e note e sedendosi sul bracciolo del divano. “Abbiamo dei biscotti.”

Blaine gli lanciò un’occhiata riconoscente, ma scosse la testa.

“Ho ancora lo stomaco chiuso.”

Nick lo osservò per un lungo istante, poi sospirò e indicò con un cenno della testa il telefono di Blaine.

“C’entra quello?”

Blaine esitò, poi annuì.

Nick si voltò verso di lui e lo costrinse a guardarlo negli occhi scuri.

“Ne vuoi parlare?” propose con calma.

Blaine sentì gli occhi pizzicargli, e non aveva nessuna intenzione di piangere di nuovo davanti a Nick, se non altro per non farlo preoccupare. In stazione aveva avuto un piccolo momento di debolezza, tutto qui. Sapeva fin dall’inizio che le cose sarebbero potute andare in quella direzione, e sapeva anche che c’era una sola soluzione a tutto quello. Forse era quella consapevolezza, che lo spaventava tanto.

Nick stava ancora aspettando speranzoso una risposta, perciò scosse debolmente la testa.

“Possiamo…domani? Oppure – non adesso, ti prego. Io – Io – ho bisogno di riflettere un po’”.

L’amico sospirò, ma gli batté una mano sulla spalla e sorrise mestamente.

“Quando vuoi, lo sai.”

Si alzò dal divano, stiracchiandosi, e Blaine chiese con tono noncurante: “Jeff?”

Nick si irrigidì leggermente, ma cercò di non darlo a vedere. “In camera sua. Credo stia già dormendo.”

Blaine non disse niente, perché ovviamente era l’ultima persona che potesse dare quel genere di consigli, ma sapeva che Nick stava reprimendo i suoi sentimenti da tanto, tantissimo tempo.

L’ex Warbler fece per andare verso la sua camera, ma a metà strada si fermò, voltandosi di nuovo.

“Blaine?” lo chiamò con voce soffice.

Blaine alzò gli occhi dorati e tristi su di lui.

“Andrà tutto bene” gli disse sorridendo. Lui si ritrovò ad annuire, suo malgrado.

Nick era ormai arrivato alla porta quando lo richiamò sottovoce.

“Nick?”

“Sì?”

“Grazie.” sussurrò Blaine con le lacrime che premevano per uscire.

Il sorriso rassicurante di Nick lo fece sentire un po’ meno un relitto, nonostante il telefono nella sua mano non squillò mai.

 

*

 

La sveglia luminosa che aveva appoggiato alla mensola del letto di sopra segnava l’una e mezza di notte e Kurt era ancora sveglio a fissare il soffitto verde chiaro senza riuscire a chiudere occhio.

La stanchezza sembrava scomparsa nel nulla, risucchiata dall’ansia, dallo sconforto e da una buona dose di sottile fastidio verso se stesso.

Forse un po’ più di sottile, ok. Diciamo che era furioso per essere stato così stupido.

Aveva chiuso la conversazione con Rachel poco dopo la chiamata di Blaine – solo a pensare al fatto che non aveva risposto avrebbe voluto prendere una rivoltella e spararsi un colpo in fronte – e l’amica gli aveva raccomandato di riposarsi e pensarci bene una volta fatta una bella dormita, prima di fare cavolate. Eppure non riusciva a dormire.

Decise di alzarsi e andare in cucina a farsi qualcosa di caldo da bere – latte o qualcosa del genere – e riflettere un po’.

La cucina era deserta, così accese la luce e frugò un po’ tra le mensole e i cassetti fino a trovare qualcosa di suo gradimento, e mise su l’acqua.

 

Di fronte ad una tazza di tisana fumante - emolliente, ai frutti di bosco - Kurt riuscì a recuperare un po' di energie. Così, mentre sfiorava con il pollice lo schermo del telefono, dal quale faceva capolino la chiamata persa di Blaine, iniziò a riflettere.

 

*

 

Il treno ad alta velocità sfrecciava silenziosamente attraverso la campagna dell’Ohio occidentale sotto gli occhi stanchi di Sebastian.

Il blackberry di ultima generazione che teneva tra le mani segnava le tre di mattina. Si rigirò tra le mani l’oggetto con fare pensieroso.

Aveva sbollito la rabbia dell’incontro con Blaine e quegli altri due da un pezzo, e tutto quello che era rimasto era una profonda sensazione di disagio che non aveva fatto altro che innervosirlo. Cos’è, si era trasformato in una mammoletta? Solo perché aveva capito un paio di cose – tipo cosa significava prendersi un’enorme sbandata per l’ultima persona che pensavi ti sarebbe interessata sulla faccia della terra – non significava certo che non era più Sebastian Smythe.

Il vecchio Sebastian avrebbe mandato al diavolo Blaine Anderson e le sue paranoie da verginella, avrebbe rimesso il telefono in tasca e avrebbe lasciato perdere l’intera situazione per farla marcire da qualche parte in un cassetto del suo straordinario cervello.

Allora perché non riusciva a scacciare l’idea di mandare un messaggio a Blaine per dirgli che non avevano fatto sesso perché era troppo ubriaco per rimanere sveglio, ma che erano comunque arrivati, come si suol dire, un bel pezzo avanti?

In fondo poteva risparmiarselo, visto che avrebbe significato ammettere di aver fatto cilecca. E quel cretino di Blaine non era mai venuto a chiederlo, quindi era giustificato se aveva pensato che non gli importasse un accidenti.

Certo, ora aveva un vago sospetto sul perché Blaine non era piombato davanti a lui domandando ‘allora, l’abbiamo fatto, Sebastian? Perché non mi ricordo un cazzo’; oltre al fatto che fosse stupido, ovviamente.

Doveva dirgli la verità, nonostante il modo in cui l’aveva trattato? Ma ormai non importava più, faceva parte del passato, no?

Eppure sentiva di volerlo fare.

 

Il treno rallentò con uno stridio di freni e la stazione di Lima-sono-un-buco-nel-nulla, Ohio, comparve davanti a lui, deserta.

Fatta eccezione per una figura un po’ in penombra, appoggiata ad una delle colonne nel bel mezzo della stazione.

Sebastian sorrise lievemente a quella vista.

Dio mio, quando sono diventato così patetico?

Eppure, quando il ragazzo uscì dalla penombra e sorrise timidamente, Sebastian non riuscì a trattenersi e colmò la distanza che li separava a grandi passi, prendendogli il viso tra le mani e catturando la sua bocca in un bacio.

Quand’è che si era innamorato senza accorgersene? E quando, esattamente, avrebbe smesso di farsi questa domanda?

Quando si separarono Sebastian ricordò improvvisamente una cosa molto, molto importante.

“Ho incontrato Blaine alla stazione di New York” disse sottovoce. L’altro ragazzo lo osservò per un istante, poi chiese: “Quel Blaine?”

Preparati, sto per lanciarti la bomba a mano.

“Quel Blaine. Con un certo Kurt Hummel.”

 

 

 

 

Note dell’Autrice

 

Vi prego non fatemi del male, io voglio tanto bene! Ho anche aggiornato prima, come promesso! J

Ok, ancora non si sono rincontrati, ma dovete avere pazienza. E’ rimasto pochino pochino pochino :D

So che questo è un capitolo un po’ di passaggio, ma fa da base a tutto quello che verrà e introduciamo un nuovo personaggio, Amy, che...boh, in pratica si è scritta da sola, e presto fangirlizzerà per Kurt e Blaine quanto noi :)

Per quanto riguarda il fatto che Kurt non risponde al telefono a Blaine...io avrei fatto la stessa identica cosa; anzi, mi è successo un paio di volte, quindi mi sono basata su quello.

Ora, non prendeteva con Sebastian, visto che non è poi così tanto cattivo?

Saprete tutto, saprete tutto. Presto, giuro :)

 

 

Ah, io direi di far partire le scommesse: chi sarà questo misterioso ragazzo che è riuscito a rabbonire Sebastian Smythe? E perché? E come? *-* Mi state odiando, lo so.

Ci si vede martedì, ragazze :)

Ecco, forse martedì mi odierete un po’ di più! :D

Ah, so che non ho risposto a molte recensioni ultimamente – faccio schifo, lo so! – ma le leggo e rileggo in continuazione, e presto mi metterò in pari! Che ci volete fare, gli esami di maturità cominciano tra venti giorni xD

 

Spoilerino del prossimo capitolo? Kurt visita New York. Che non è poi così grande come pensa. Solo che ancora non lo sa.

 

A martedì, gente!

Baci,

 

Selene

 

 

   
 
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