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Autore: Blue Drake    02/06/2012    1 recensioni
Questa è una storia senza futuro.
Questa è la storia di un passato senza coscienza.
Questa è la storia di un presente fra le ombre.
Questa è la mia storia.
Non sono sempre stato crudele. Non sono sempre stato freddo, cinico ed egoista. Un tempo non lo ero. Un tempo ero un bravo ragazzo, un ragazzo come tutti: normale.
Ma ci sono esperienze che cambiano la vita. Che ti strappano alla normalità, e ti privano di speranze e sentimenti.
Un tempo non era così. Un tempo io ero un uomo. Ed ora? Ora sono solo un'ombra...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dentro e Fuori dall'Agenzia'
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Capitolo 39

5 giugno 1965 - "Qualcosa in cambio"

 

 

Le rotelline, arrugginite e mezze svitate, del mio cervello, arrancavano nel tentativo di ritrovare un ritmo umanamente sostenibile.

Dando ascolto alla mia personalissima ed assillante coscienza, per l'occasione nelle vesti di quel gran rompiballe che è il mio amico Chris, mi ero sforzato di riprendere in mano i libri di architettura. Concentrarmi su quelle pagine un po' ingiallite, scritte fitte fitte e senza un grammo di personalità, fu un'impresa titanica. La mia attenzione sfuggiva ogni cinque o sei righe, costringendomi continuamente a tornare indietro, stringere i denti e sforzarmi di comprendere il senso di tutte quelle parole stampate, all'apparenza perfettamente inutili ed indecifrabili.

Ogni sera ero praticamente obbligato a trascinarmi a letto, con gli occhi doloranti ed il cervello drammaticamente in panne, pregando che il giorno seguente fosse meno difficile di quello appena trascorso.

Ma non lo era. Ogni mattina, al mio risveglio, avevo bisogno di lunghi minuti per rendermi presentabile. Se fossi uscito dal letto così com'ero, di certo mi avrebbero preso per malato mentale ed internato di volata.

 

Avevo tentato di tornare all'università, ma evidentemente non ero ancora pronto ad affrontare tanta gente, tutta assieme. Gente che, sicuramente, si sarebbe avvicinata con il desiderio di parlarmi o, peggio, di farmi delle domande.

Chris aveva insistito per farmi rimanere, almeno per il momento, a casa sua. In particolare dopo il mio precipitoso ritorno dal primo, misero tentativo di reinserirmi in facoltà. Dovevo essere talmente pallido e tremante che nemmeno lui aveva avuto cuore di chiedermi spiegazioni. Si era limitato a levarmi dalla porta, a cui ero appiccicato, e trascinarmi, adagio, fino al grande divano nel suo salotto.

 

C'erano alcuni momenti in cui lo scorgevo, mentre mi osservava, con tutta la discrezione di cui era capace, con l'espressione triste e preoccupata di chi vorrebbe fare qualcosa per risolvere la situazione, ma non ha modo di sapere che cosa sia davvero giusto fare.

La realtà era ben diversa. Chris non poteva fare proprio nulla. Io sapevo che non esisteva un modo per uscirne. Non c'era alcun tipo di soluzione a portata di mano. Già il fatto che mi ospitasse in casa sua, evitandomi di stare in mezzo ad una strada a morire di fame, era molto più di quanto meritassi.

 

Cercai, mi impegnai con tutto me stesso, per trovare la forza di parlargli di ciò che mi era capitato, del perché ero ridotto in quello stato. Ci provai sul serio. Ma non ci riuscii mai.

A volte avrei voluto dare un'occhiata ai pensieri che riempivano la sua testa. Spesso mi domandavo che cosa pensasse, che idea si fosse fatto, come aveva accolto il mio inatteso e burrascoso ritorno.

Eppure, stranamente, in tutto quel periodo non mi disse mai nulla, non cercò mai di scoprire ciò che nascondevo, non sembrò mai desideroso di indagare su dove ero sparito quella mattina di febbraio.

Per quanto mi sentissi profondamente colpevole ed ingrato, fui anche sollevato dal suo silenzio rispettoso. Mi aspettavo spesso di vederlo entrare, un bel giorno, con la fronte corrugata e tutta l'intenzione di estorcermi la verità. Invece non accadde mai.

 

 

 

I primi giorni, a dire il vero, nemmeno parlai.

Dopo aver consumato tutte le lacrime che possedevo, rimasi disteso, senza forze, ad attendere pazientemente che il dolore scemasse. La sera del secondo giorno mi trascinò lui stesso, di peso, direttamente in una vasca da bagno. Quando ne uscii, pallido come un lenzuolo candeggiato e ricoperto di lividi di ogni forma e dimensione, trovai ad attendermi dei vestiti puliti. Tornai immediatamente a seppellirmi nel letto appena rifatto e, solo la mattina seguente, in seguito alle strazianti preghiere di Chris, accettai di mangiare qualcosa.

Lui mi guardava, probabilmente angosciato dal mio silenzio ostinato ed apparentemente incomprensibile. Io invece cercavo, per quanto mi fosse possibile, di evitare i suoi occhi indagatori, sapendo che difficilmente avrei potuto sostenere a lungo la sua evidente voglia di sapere.

 

 

 

In quei giorni... No, forse sarebbe più giusto dire in quei mesi, mi sentii tremendamente simile ad un insulso parassita: capace solo di prendere, finendo per prosciugare ogni energia, ma totalmente incapace di dare qualcosa in cambio.

Che cosa avrei potuto offrire, per ripagare ciò che avevo preso, senza alcun rimorso, senza nemmeno chiedere il permesso? Per quanto cercassi, non trovavo nulla che potesse servire allo scopo.

Fino al giorno in cui, muovendomi per la sua casa come un fantasma, lo scorsi, accoccolato in una poltrona. Qualcosa mi costrinse a bloccarmi. Lo osservai, qualche momento. Le sue mani ricoprivano stancamente parte del volto. Un brivido percorse la mia schiena, quando me ne resi conto. Stava piangendo.

Cautamente, mi avvicinai, rimanendo poco distante, in attesa. Forse, inavvertitamente, dovevo aver prodotto qualche rumore. Forse fu la mia semplice presenza, in un posto in cui prima non c'era nulla. Risollevò il volto, fissando i suoi occhi verdi, ora arrossati, nei miei.

«J-Jules...»

Una piccola lacrima rotolò giù, bagnandogli la guancia. Si rese conto, forse solo in quel momento, di ciò che stava accadendo.

«Io... s-scusa, non...»

«Perché stavi piangendo?»

Spalancò gli occhi, sorpreso, poiché quelle erano le prime parole che mi sentì pronunciare dal mio ritorno.

«N-niente, sono solo sciocchezze»

Mormorò, accennando un lieve sorriso.

Un sorriso. Ero piombato in casa sua, invadendo la sua vita, usando il suo tempo, la sua casa, oscurando le sue giornate con le ombre che mi portavo dietro. Tutto quello che in cambio avevo saputo dare era solo freddezza, dolore e silenzio. E lui mi aveva sorriso.

«Mi dispiace», sussurrai.

«Per... cosa?», chiese, apparentemente sorpreso.

«Per tutto. Sono stato un egoista..»

Una seconda lacrima scivolò, sfuggendo ai suoi occhi.

«... E ti ho fatto piangere»

Aggiunsi, sentendomi un verme.

Tremai, ritrovandomi, senza accorgermene, le sue braccia attorno al corpo.

«Non importa. Niente ha davvero importanza. Tu sei qui. In qualche modo hai mantenuto la tua promessa di tornare. Non mi serve nient'altro. Mi basta sapere che sei di nuovo qui»

Mi guardò di nuovo. I suoi occhi dolci si posarono delicatamente su di me.

Avevo appena trovato qualcosa da offrire in cambio. Qualcosa di mio, di cui fargli dono.

Gli donai un piccolo sorriso sincero...

 

   
 
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