IL SUDARIO
E' freddo
l'obitorio del Barts.
Freddo e avvolto nella penombra,
come l'antro sinistro di una strega.
Che strano, si dice John, c'è stato
molte volte, ma non l'ha mai notato prima.
Qualcuno sta parlando poco distante
da lui.
Forse è Mycroft che ha appena
effettuato il riconoscimento. Non lo sa. Non riesce a capire: tutto
ciò che giunge
alle sue orecchie è un ronzio indistinto.
E comunque non gli importa. Tutto
ciò che vuole è andare da Sherlock, che giace
immobile su un tavolo da autopsia
al di là di un vetro opaco.
Sherlock, trasformato nel cattivo
delle fiabe da un cantastorie bugiardo.
Raggiunge la porta, ma un
poliziotto lo blocca "Mi spiace signore, ma non può entrare
nemmeno se è
un parente: non è ancora stata fatta l'autopsia e..."
"Agente, lo lasci
passare." sospira Lestrade con voce stanca.
"Ma, ispettore..."
"Agente, è un ordine."
ribatte l'altro, alzando appena la voce.
Il poliziotto si sposta, lasciando
passare il dottore.
Fa ancora più freddo in quella
stanza.
C'è un gelo che gli penetra nelle
ossa e più dentro ancora, che lo fa tremare e rabbrividire,
mentre John si
trascina claudicante verso la sagoma celata sotto al lenzuolo bianco,
sul quale
spicca una macchia di sangue talmente rossa che fa male agli occhi a
guardarla.
"Sherlock..." ciò che
esce dalla sua gola è poco più di un rantolo
indistinto e sofferente.
"Sherlock, ti prego, alzati.
Torniamo a casa." lo implora piano. Perché è
troppo dolorosa da sopportare
l'idea che Sherlock non ci sia più. John non è in
grado di concepirla, né
tantomeno di accettarla.
John vuole credere che anche questa
sia una favola, perché nelle fiabe dopo mille e mille
peripezie, dopo il dolore,
dopo la paura, la disperazione e quando tutto sembra perduto, ecco che
puntuale
arriva il lieto fine.
Si accosta al tavolo d'acciaio e
posa la sua mano su quelle rigide di Sherlock, che qualcuno si
è preoccupato di
intrecciargli sul petto.
Chiude gli occhi e nella sua mente
stanca e provata l'immagine di Sherlock si sovrappone a quella di tante
favole
senza nome, dove la bella principessa addormentata si risveglia col
bacio del
principe.
E John si china su quel lenzuolo
macchiato di morte e preme forte le sue labbra su quelle di Sherlock.
E se ne frega se qualcuno lo sta
osservando in quel momento.
E se ne frega di ciò che gli altri
penseranno di lui, di loro.
E se ne frega se la gente parlerà.
Vuole solo che Sherlock si alzi e
torni a casa con lui.
Ti prego,
svegliati, mia bella addormentata.
Ma
Sherlock non si sveglia.
Sherlock continua a giacere morto sotto quel lenzuolo.
Ovvio, si dice John,
perché lui non è un principe
azzurro: lui non ha saputo salvare la sua bella principessa. Lui
è rimasto lì a
guardarla cadere incontro alla morte.
Non piange
John, perché il suo
dolore è talmente profondo da essere al di là
delle lacrime e delle urla di
disperazione.
"Perdonami." sussurra
infine, prima di trascinarsi verso l'uscita.
La porta si richiude con un
colpo secco e Sherlock
prova per la prima volta in vita sua uno sconfinato senso di colpa.
Buttarsi da
quel tetto non è stato difficile quanto restare immobile
mentre John lo
baciava, continuare a fingere e procurargli altro dolore.
Non c'era
altro modo per
proteggerlo, ma forse questo John non lo capirà mai, non
accetterà mai quel
tradimento.
E forse tutto ciò che gli resterà
di lui sarà un bacio, il suo primo bacio, attraverso un
bianco sudario di
cotone.
FINE